| × Off-Game × × LegendaNarrazione°Pensieri°«Dialoghi»Il tempo stava finendo. Ormai aveva fatto ciò che doveva; aveva conosciuto, vissuto, sofferto, piano, combattuto. L'ultimo anno di quei 7, si stava rivelando per lui essere difficile come non mai; chi l'avrebbe mai detto che proprio lui, Raven, avrebbe tanto sofferto quell'aria di addio alla scuola che sentiva e percepiva in sé e fuori da sé? I MAGO erano vicini. Il futuro era incerto. Arya era scomparsa. L'unica cosa che lo rallegrava, era la sempr eterna presenza della sua bacchetta, lì,nella sua tasca dei pantaloni, colei che sempre lo aveva salvato da situazioni difficili e dalla morte certa. A parlare poco, un po' li dispiaceva di lasciare la scuola: vi aveva conosciuto persone, volti, amori. Nella sua memoria e nel suo spirito da sempre vi erano sensazioni strane, quelle immagini non sarebbero mai sparite dalla sua mente nel nulla; erano delle lontane sensazioni a lui molto care e stimate. Ancora, a dir la verità, si ricordava i suoi primi giorni: le prime partite a Quidditch, le prime vittorie, i primi duelli. Sì, quelle emozioni, quei ricordi, quelle atmosfere, le paure e i disastri, tutto ciò aveva realmente percepito, vissuto e sofferto. Era cresciuto molto, sul piano magico. Aveva dimostrato molto, e comprendeva benissimo che altrettanto avrebbe ancora dovuto dimostrare. Aveva un'ideale, e quell'ideale lo soffriva, ci combatteva, andava in avanti e mai indietro. Ogni passo per lui era una fatica, ma era proprio ciò a temprarlo nell'animo e nello spirito, a renderlo forte e permetterne la crescita. Cosa avrebbe fatto senza di quello? Ove sarebbe giunto, se avesse vissuto una vita mediocre, disperso tra piaceri futili e materiali, e uno studio inutile? No. Sapeva che così non poteva essere, sapeva che ciò no doveva e non poteva esistere. Aveva fatto le giuste conclusioni tempo addietro; aveva scelto la giusta strada. Si ricordava ancora di come, tempo e tempo prima, dovette abbandonare un mondo per concentrarsi su un altro. Si ricordava di come veniva invaso dalle paure di quel tempo, dai stupidi sguardi di quei babbani inutili, e di come superava gli ostacoli, che il Fato, il Destino o quel che è gli metteva davanti. La vita tutta, era per lui nient'altro che una Via, un allenamento forzato, o combatti, o sappi, e se scegli di combattere, ti perfezioni, vai oltre, sarai un altro. E lì, Raven che stava a osservare le cime innevate sugli alberi, era decisamente cambiato. Un altro Raven... un Raven irriconoscibile rispetto a quello che un giorno era, e che un giorno faceva a pugni con stupidi babbani pur di difendere il suo fratello. Quei 9 anni gli avevano permesso di accedere agli ultimi materiali della forza, avete conoscenze sugli atomi e sugli elementi; semplicemente giungere oltre. Quei anni lo avevano trasformato dalla preda al predatore, e la corsa non era ancora finita. Anzi! Per lui non era, forse, nemmeno iniziata. Il panorama innevato che Raven guardava oltre la finesta, gli portava nell'animo una condizione depressiva incredibile. Fra qualche giorno sarebbe iniziato l'esame MAGO; fra qualche giorno avrebbe dovuto lasciare quelle mura per sempre, per concentrarsi su altro. Era pronto, questo lo sapeva. Era da sempre pronto. Era pronto anche quando, 9 anni addietro, il Cappello Parlante si abbassò sulla sua testa, esitò un po', e quindi esclamò "Corvonero", quasi il ragazzo se lo aspettasse. Da quando ne sapeva, suo Padre era stato un Grifondoro a suo tempo, motivo per cui quella scelta del Cappello gli parve essere alquanto azzardata. Con un gesto del capo, Raven cercò di eliminare quella nostalgia, quei ricordi per i vecchi bei tempi passati dalla sua testa. Ora vi era un futuro a cui rispondere; avrebbe dovuto prestare attenzione, concentrarsi, far sì che il Fato lo cogliesse sempre con il sorriso sulle labbra, sempre degno e forte. L'età adulta non portava solo diritti in più. Essa portava sopratutto dei doveri in più. Doveri verso la comunità magica, verso quel mondo nascosto oltre il Velo, infine anche verso sé stesso, seppur egli era ancora soltanto un piccolo mago appena ventenne. Il lavoro che gli si prospettava dinnanzi appariva minaccioso, sullo sfondo di quelle colline bianche, di quei alberi bianchi, le cui cime innevate brillavano sotto la luce del sole, riflettendola. Un po' si vide in quella metafora, in quella visione: sarebbe mai riuscito, egli a risplendere di luce propria, come un astro? O sarebbe sempre stato una marionetta delle Idee più forti, un pedone sacrificabile per di giungere all'Idea di un mondo magico depurato dall'invasione di soggetti ed elementi esterni? Gira e rigira si tornava sempre li, nelle mente del ragazzo. Si tornava sempre a pensare a quel mondo, tornava sempre ai suoi calcoli, alle sue idee. In tutto quello, Hogwarts appariva essere un elemento non trascurabile; un elemento che avrebbe dovuto rimanere sotto il controllo dell'Oscurità,in un modo o in un tutt'altro modo. Sì, avrebbe dovuto conquistare quel tassello; avrebbe dovuto fare ciò, che molti anni addietro Salazar non aveva fatto, e doveva ormai estendere la sua opera a tutto il mondo magico, portandoli la propria opera. Sì, era quello ad essere importante: la sua Opera. Quella che avrebbe dovuto estendere oltre i confini. Una proficua oopera di Bene Ultimo, estesa a tutto il Mondo, Galassia, Universo! Strinse i pugni. Gli uomini saggi dicevano che la materia può essere piegata, sconfitta, misurata, deplorata, distrutta solo se le viene posto contro un'Idea di portata gigantesca, idea pura e ultima. Idea d'Amore! Idea di coraggio... Sì, quei pensieri, quelle idee, quelle azioni, quei mestieri, quelle conoscenze, gli incantesimi e le pozioni che aveva imparato, il sangue freddo. Tutto sé stesso, in una parola sola, avrebbe messo contro quel mondo, dichiarandogli guerra in tutto e per tutto, una guerra totale e senza fine. "Il mondo nuovo! Sulle rovine del mondo vecchio!" Quando era ancora nel mondo babbano, quando il velo bianco non trasparente era ancora al suo posto, a 7 anni il cittadino magico e futuro studente Corvonero, lesse un libro che gli piacque molto. Parlava di come fosse illogico e insensato il mondo, e raccontava di come si poteva costruire dalle ruine di quel mondo, un mondo nuovo, fatto di logica e spirito. Quelle parole, seppur stampate su carta, gli erano penetrate dentro come un fuoco; era poi un'Idea che in lui bruciava, accendendosi sempre più forte, e spegnendosi di volta in volta, lasciando spazio alla rassegnazione. No! Non poteva farlo. Lo capiva. Non poteva arrendersi. Doveva raggiungere l'apoteosi; trasformarsi, essere Idea, essere Spirito. Doveva giungere làddove altri fallivano. Provare tutto, conoscere tutto e soffrire tutto! Le giovani generazioni di maghi puri, dovevano seguire il suo esempio, dovevano evolversi, diventare super-maghi, andare oltre togliend anch'essi il loro piccolo velo. Con un braccio, il ragazzo si appoggiò al vetro della finestra, quasi come se stesse per cadere. La mano si stirnse in pugno; il volto in una piccola smorfia. Venti anni, e rimaneva ancora lì. Venti anni, e respirava ancora quella dannata aria, infestata dai parassiti. Tutto ciò era ormai noioso, e seppur nostalgico, una nuova vita sarebbe iniziata dopo i MAGO, una vita diversa, più pericolosa, e con ciò più difficile da perseguire. Ma sarebbe stata una Via di quelle che gli avrebbe reso gli omaggi, una volta che Raven Shinretsu su fosse trovato in vetta. Era un sogno, che avrebbe realizzato. E il primo passo per realizzarlo, stava proprio nel rimanere a Hogwarts. Sì. Finiti i MAGO, avrebbe di nuovo salito le scalinate, presentandosi dalla Preside. Poi, forse, avrebbe chiesto di diventare un Docente, precisamente quello di Volo. Quindi, sarebbe stato l'inizio della sua arrampiccata ai vertici di ogni gerarchia sociale e non. Di scattò, sentì dei lontani passi in quel corridoio al 5° piano, che minuti prima scelse proprio perché non vi era nessuno. La solitudine era per lui spesso la migliore amica, che dava i migliori consigli. Poi però c'erano anche i saggi studenti con un buon sangue, e perché no? Iniziare la sua opera da adulto già quel giorno, poteva essere il primo passo della corsa, seppur conveniva ancora rifletterci su, e rifletterci su per molto.
«C'è qualcuno...?»
Chiese, quasi come se si stesse rivolgendo a sé stesso, parlando da solo. Che importava, del resto, se era solo? Della compagnia, era comunque e sempre ben gradita. La sua mano rimase poggiata sul vetro; l'altra, stesa lungo il mantello, su cui figurava, ancora per poco, lo stemma Corvonero.
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