| × Off-Game × × LegendaNarrazione«Dialoghi»«Certo.» – Rispose Raven alla domanda della giovane domatrice. - «Ho domato due Longhorn rumeni, tre neri delle ibridi, un ungaro spinato, e, se non sbaglio, anche un petardo cinese... Però di quest'ultimo, in effetti, non mi ricordo tutte le particolarità.» – Poi sospirò. - «La cosa avveniva soltanto nella mia testa, ma perché allora non potrebbe essere reale?» – Chiese, riferendosi al lavoro che aveva sognato, e che, se non fosse per quella sua maledetta scopa e i suoi stramaledetti successi su un campo di Quidditch, avrebbe sicuramente svolto. Del resto, se era riuscito a domarli quei draghi nella propria fantasia, e a fantasticare su come lo avrebbe fatto da adulto, sarebbe sicuramente riuscito a farlo anche nella realtà. Poi, bhe, poco importava se nella realtà non aveva mai visto un drago vero con i propri occhi e si era limitato a sentire storie varie, a leggere su di essi, e fantasticare su di sé stesso, con una spada di luce nella mano, a cavalcare un drago. Non era forse fantastica? Era sublime. E così, aveva dinnanzi una domatrice di sfingi, cavalli alati, e grifoni. Bhe, tralasciando i grifoni – quelli Raven li amava domare da sé durante i duelli nel castello -, le altre due creature lo incuriosivano alquanto: i cavalli alati li avrebbe domati quando avrebbe raccolto il proprio esercito alla volta della conquista di Hogwarts e del mondo magico intero; le sfingi, bhe, se ne avrebbe fatto il suo corpo speciale, la sua arma preferita. Se fosse riuscito a piegare la volontà delle creature magiche, chi più lo avrebbe sconfitto? La magia stessa si sarebbe posta al suo comando, e lui l'avrebbe usata nel metodo che più gli si addiceva: per riportare l'ordine delle cose nel mondo. «Al più, » – rispose Raven, - «il mio implica di dover correggere montagne noiose di compiti e ogni tanto andare al campo di volo, per vedere come dei primini si impegnano cercando di indirizzare il proprio manico di scopa nel punto giusto. Una noia totale, mi creda.» – "Avrei preferito domare i draghi. O anche i cavalli alati. O persino le puffole pigmee... Anche solo dentro la mia mente, oppure al di fuori di essa" – «Tuttavia, mi pagano bene, quindi non mi lamento affatto.»- Aggiunse Raven. Poi continuò: - «E più che sentinella, mi direi piuttosto un'anima in pena che non ha voglia di dormire, e vuole semplicemente osservare il mondo per com'è veramente: meraviglioso e splendido.» – Il suo sguardo si rivolse di nuovo fuori, oltre la finestra, ove i fiocchi di neve continuavano a scendere giù lentamente, e ove la luce della una veniva riflessa, formando quel che Raven amava, forse troppo frettolosamente, definire "poesia". Poi sorrise, lievementre allargando gli angoli delle labbra. "Dignità". - Pensò. La cosa gli sviluppò dentro un intenso vortice di emozioni, più che altro, positive. La dignità... Quindi, uccidere per i propri ideali non era dignitoso? E, sempre per i propri ideali, mandare gente ad Azkaban, ove si uccideva torturava, si privava la persona della propria anima, dei propri ricordi felici, e di tutto ciò che di positivo vi poteva essere? Volle sorridere ancora, ancora, ancora e ancora, ma non lo fece, facendolo solo nella propria anima e nei pensieri, piuttosto conservando quella sua espressione fredda e glaciale, come la neve fuori. Per altro, sapeva tenere il controllo della situazione: le sue dita, ognuna di esse controllare, seguite dalla propria mente, continuavano a tamburellare lentamente sul massiccio tavolo dinnanzi al quale l'ex Corvonero era seduto. Dignità... Punto di vista, quindi. Un concetto astratto, allora. Uno di quelli che non si avvicinava alla comprensione delle cose, né le abbracciava, né le capiva. La dignità... Non serviva altro per capire che la persona dinnanzi alla quale Raven si trovava, faceva parte della schiera opposta d'anime. La dignità, per come la maggior parte dei maghi e streghe la intendevano, era soltanto un concetto sacrificabile per un scopo più grande. Quel che contava era altro, specialmente, quando il mondo magico intero era in pericolo per colpa di concetti ed idee astratte; per colpa, quindi, di menti che non comprendevano la reale portatà delle cose, che mettevano in dubbio e in rischio millenni di esistenza. Doveva fermarli. Poi abbassò il capo. "Non esistono cose essenzialmente giuste". - Pensò. «Non esistono cose essenzialmente giuste.» – Disse, esplicando i suoi pensieri. - «E nemmeno cose essenzialmente sbagliate. E' tutto relativo.» – Rispose. - «Per me, ogni morte, che sia magica o babbana, che sia di auror o di mangiamorte, che sia persino di un drago o di un unicorno, è una grande tragedia, al di fuori di tutti i discorsi sul gusto/sbagliato, sul bene/male che se ne possono fare.» – Rispose, in parte mentendo, in parte dicendo cose vere. Non gli importava nulla né delle creature magiche, mentre molto di più gli importava degli auror. Mentre le creature erano nate inferiori e quindi per via di un ordine naturale delle cose dovevano sottostare alla legge magica e ai maghi in generale, gli auror avevano scelto, per via della propria indole, ad ergersi alla difesa di ciò che essi consideravano il Bene. I primi li avrebbe sottomessi, i secondi – rieducati, con il dolore e con la sua filosofia, la filosofia del dolore, a vedere le cose senza il prosciutto sugli occhi: vedere le cose, per come realmente erano. Ci sarebbe voluto del sangue e del tempo, ma alla fine delle cose, Raven sarebbe riuscito nella propria intenzione. «Questo è il mio criterio: la morte.» – Aggiunse. Quindi, con voce calma, fredda, quasi atona, chiese: «Invece, mandare gente ad Azkaban...» – "ma saprà cos'è l'Azkaban?" - «E' essenzialmente giusto, o essenzialmente sbagliato? Mandare delle persone, dei maghi, nelle braccia dell'infelicità totale, della morte dell'anima, ma anche della pazzia, è giusto? Fare in modo che essi perdano la propria dignità, e se l'hanno già persa, permettergli di rimanere senza di essa per sempre, è giusto? E' giusto ergersi a paladini della giustizia, dicendo di rispecchiare il pensiero di tutti, in contempo rispecchiando soltanto il proprio, soggettivo, punto di vista?» Poi si fermò. «E' per questo che non amo particolarmente né gli uni, né gli altri.» – Aggiunse infine. - «Perché né gli uni, né gli altri riescono a vedere le cose al di fuori del proprio odio. Né gli uni, né gli altri riescono a capirsi a vicenda. Nè gli auror, né i mangia... ehm...» – Si fermò, tossendo. - «...riescono a vedere la cosa nella propria completezza: piuttosto di sedersi dinnanzi al tavolo delle trattative, continuano a uccidersi; le persone continuano a morire e il sangue a bagnare il terreno. Dopo la morte di un auror, muore un mangiamorte. Dopo la morte di un mangiamorte, morirà un auror.» – Disse, gelido. - «E' un cerchio. E un cerchio, come lei ben sa, non ha né fine, né inizio; esso continua per l'eternità.» "E così continuerà" – Pensò il Docente, continuando i propri pensieri. - «A meno che una delle due fazioni non trionferà sull'altra, dopo una battaglia e un alto numero di morti. Solo dopo ci potrà essere la Pace.» "Pace. Che solo io sarò in grado di ergere a difesa del sangue magico".
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