| Forse Versus aveva una capacità speciale: cambiare discorso quando si finiva in una conversazione scomoda. Il dire, non volente ma nemmeno nolente, quello che pensava, prima ancora di capire a che diamine stesse pensando, l'aveva spiazzata così come la risposta dell'altra. Non si pentiva di quel che aveva detto o fatto, al contrario, era stato un grande successo, forse la cosa più sensata, intelligente e giusta che avesse mai fatto. Per la prima volta, anche se per poco, aveva mostrato la sua vera sé, ovvero qualcuno che non se la cavava con discorsi troppo complessi e che non perdeva molto tempo a pensare. Se una cosa le passava per la testa, quella seguiva. Così sbagliava ma, a volte, combinava qualcosa di buono. La sua breve e inconsistente vita era simile a un test a crocette, vero o falso, o vinceva o falliva. Si deprimeva, poi si rialzava... era ancora troppo piccola per farsi schiacciare da problemi o sbucciature al ginocchio. Così si era rialzata da terra, si erano dette qualcosa di molto importante, con poche parole, per poi riprendere a far quello che dovevano fare. Non era tempo e luogo per una chiacchierata seria, anche perché non sapeva bene cosa dirle, non aveva mai parlato di cose simili. Sperava di averle fatto capire che non era lei il problema del suo comportamento anomalo, anche se forse, in parte, lo era. Non per qualcosa di brutto, anzi, il problema era che nell'altra non vedeva nulla di brutto. Sembrava capirla, accettarla e parlarle volentieri e così era per lei. Era quella un'amicizia? La sua prima, vera, amicizia? No, forse all'inizio poteva sembrare tale, con quel dispetto in Sala Grande. Dopo il bacio, però, non riusciva a guardarla senza arrossire, senza provare una forte e diffusa sensazione di calore. Sentiva di volerle stare vicina, desiderava prenderla per mano e, come dal principio, ogni volta si sforzava per apparire più intelligente, capace e forte. Come quei palestrati che gonfiavano il petto davanti a certe ragazze, facendo solo la figura degli imbecilli con chi aveva cervello, attirando, al massimo, elementi degni di loro. Audrey non sembrava una che apprezzava la gente per l'aspetto, sarebbe stato assurdo visto che non si pensava questa grande bellezza. Ecco che sorse un dubbio, cosa vedeva in lei? Voleva lasciarle il segno, perché? Che significava? Perché, il suo cervello era avido di perché, voleva capire cose spesso non alla sua portata e sapere più cose possibili. Era vero, la Serpeverde aveva ragione, le cose gliele diceva, anche se spesso erano strane. Era lei a non capirle e a non ricambiare come si doveva. Quel blocco era onnipresente, una parte di lei. Aveva ceduto per una manciata di secondi, facendole fuggire quelle spiegazioni confuse e quel paio di parole che avevano sì alleviato la situazione pesante e deprimente, ma non l'aveva esposta più di tanto. Cos'era quel fermo? Non conosceva la parola esatta, non sapeva perché si comportava così, non ci aveva mai davvero fatto caso. Lei era consapevole di essere ancora debole, ignorante, insicura e fifona, spesso e volentieri. Era quello che nascondeva? Sapeva poco e niente del mondo esterno ma conosceva i suoi difetti e il suo orgoglio le impediva di esporsi. Ecco cos'era, orgoglio. Da bambina, immatura ma pur sempre presente. Come quando non voleva farsi veder piangere o quando, semplicemente, si sforzava di non farlo. Ci avrebbe messo ancora molto ad accettarlo e ad assorbire completamente quella sua parte, eppure ci aveva provato, aveva dato qualche indizio e non era scappata, era un grande passo avanti. Forse anche lei doveva impegnarsi per dirle quello che le passava per la testa, glielo doveva dato che era la persona cui si era più avvicinata sia in quella scuola sia fuori. Quando accettò di darle qualche nozione di matematica, non poté far altro che ridacchiare per qualche istante, portandosi una mano ai capelli come per mandare via quella sensazione di imbarazzo. Grazie. Rispose semplicemente, in un modo fin troppo sentito, era un ringraziamento non solo per la matematica ma anche per l'impegno che aveva preso prima sul dirle cosa pensava. Hai ragione, non so quanto sia taccagno, meglio lasciare la cosa del usare stracci puliti “tra noi”. Sottolineò quel “tra noi” per palesare un qualcosa che rimanesse solo tra loro, come spesso succedeva, anche se le prime volte aveva pensato di aver trovato una semplice complice, mai avrebbe pensato di trovare.. cosa? Non sapeva ancora cosa erano. Prima di avviarsi verso l'ubriacone, la Verde-Argento le chiese se sapesse già tutto a memoria. Arrossì leggermente, anche se il volto era rimasto di quella tinta da prima, quindi la differenza di colorito era minima. Rileggo il menù nelle numerose ore in cui non c'è nessuno ma... non ricordo ancora tutto, ecco. So solo i nomi di un paio di alcolici, quelli che ordinano più spesso e ho chiesto al capo i nomi dei bicchieri, anche se per lui son frivolezze. Il nome sulle bottiglie mi aiuta tanto, a furia di spolverarle qualcosa rimane, sempre se son leggibili. Spolverare, ebbene sì, non lo aveva detto per sbaglio, serviva per farle sembrare nuove, in realtà il loro contenuto era, per lo più, di origini arcane. Solo i drink più utilizzati avevano date recenti, gli altri, probabilmente, erano già mutati in petrolio. Persino i nomi erano spesso cancellati per il degenero naturale cui andava incontro la carta. Più di una volta aveva letto cose come “Dvandi”e “Visci”, al posto di “Brandy” e “Whisky”, cose che le avevano fatto perdere tempo i primi tempi. Stava già facendo ritorno, guardando con la coda dell'occhio l'altra. Era contenta di averla come collega? Non lo voleva ammettere ma sì e non era tutto. Le piaceva guardala, ci tentava spesso anche in Sala Grande durante i pasti, cercandola con la coda dell'occhio, velocemente, per non farlo notare agli altri. Non ci riusciva mai data la massa di persone, ora poteva farlo quando voleva. Un po' si vergognava, iniziava a pensare di essere strana. Nulla di malizioso ovviamente, era solo curiosa di sapere che faceva, se anche lei la stesse cercando, era un po' egocentrica in effetti.
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