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Non lo sopportava. Non lo sopportava davvero. Horus posò di malavoglia la tracolla a terra, sbuffando sonoramente. Aveva cercato ovunque, ma il volume di Pozioni sembrava esser sparito. Quanto detestava la sua testa sbadata? Lo avrò dimenticato in aula... Si tranquillizzò, cercando di esser ragionevole e non cedere alle paranoie. Prese quindi un po' di patate dalla grossa scodella dorata al centro del tavolo imbandito e si servì di un paio di fette di roast-beef. Prima che potesse assaggiare il tutto —era da un po' che alternava momenti di fame a momenti in cui il cibo lo nauseava—, i suoi occhi saettarono verso il tavolo Serpeverde. Non lo faceva apposta, era più un riflesso automatico e spesso e volentieri, prima che potesse notare la fulva chioma di una certa Serpina, chinava il capo, timoroso di scoprire se ci fosse stata davvero o meno. In quel momento, tuttavia, quasi non si avvide del suo solito gesto e quando si ritrovò con la forchetta a mezz'aria e un pezzo di patata arrosto cadde sul piatto, si rese conto di quanto fosse imbecille. Scosse il capo, innervosito, e si decise ad attaccare il suo pranzo, scoprendosi affamato come un leone. Forse avrebbe preso anche un paio di mele, ecco. O forse no? Forse non aveva poi tanta fame. Magari avrebbe dovuto fiondarsi nei sotterranei per cercare il libro prima che fosse troppo tardi e qualcuno lo trovasse prima di lui scoprendo che... ... No, no, avrebbe mangiato con calma e poi sarebbe andato nei sotterranei. Dopodiché si sarebbe dedicato ai suoi affari, al lungo tema di Astronomia che doveva quantomeno incominciare e le solite scartoffie da sistemare nell'ufficio. Già, pensò mentre assaporava la carne, lui non aveva alcuna fretta e non c'era motivo per cui dovesse girovagare per il Castello a caso, con la (piccolissima) speranza di intravedere un volto familiare che non vedeva da un po'. *Aspetta... cosa?!*
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Niente da fare, non c'era. Horus si accasciò sul banco vuoto dell'aula di Pozioni, mentre lo sconforto permeava ogni sua cellula. *Sei un cretino, un imbecille, un deficiente, un maledetto troll, Horus Ra Sekhmeth.* Pensò con ferocia, mentre si reggeva la testa fra le mani. Sentì lo stomaco accartocciarsi e un enorme timore lo avvolse come un manto ghiacciato. Non era poi così grave la perdita di un libro, tra l'altro neanche troppo raro. Non era un tipo da appuntarsi cose delle lezioni sulle pagine preziose di un testo, e sarebbe bastato tranquillamente comprarlo anche via Gufo. Eppure... c'era qualcosa, fra quelle pagine, che lui davvero non avrebbe dovuto permettersi il lusso di perdere. Il pensiero che quel libro sarebbe potuto capitare fra le mani sbagliate lo faceva raggelare. Cosa avrebbero pensato? Che era un idiota senza dubbio. Poi le voci sarebbero girate, *Quali voci?!* lei l'avrebbe saputo e... addio. Non avrebbe mai potuto guardarla in faccia. Oddio, e se invece l'avesse trovato proprio lei? No, no, no. Lei sembrava essere ancora assente. Ma perché diavolo non se l'era scritto da un'altra parte? Disperato, Horus scosse il capo e fu quasi tentato di ululare come un poveraccio. Diamine, che testa si ritrovava? Non riusciva a concentrarsi su nulla, il suo umore era altalenante e si sentiva quanto mai in ansia ogni volta che pensava di poter incontrare Emily a caso. A volte si arrabbiava con se stesso e con ostinazione si diceva di aver esagerato, quel pomeriggio nell'Ars Arcana, che aveva fatto uno sbaglio. Altre volte si diceva che era solo per suo tornaconto personale, ecco perché si era deciso. Altre ancora, invece, si ritrovava a pensarci con un sorriso, ricordando il viso di lei imbarazzato, quell'amuleto stretto fra le esili dita, e ci rimuginava su, fantasticando su come sarebbe stata la loro uscita, come si sarebbe vestita lei e come sarebbe stato, in generale, vedersi lontani dalla Scuola, dai compiti, dalle spille. Il Tassino sbuffò ancora, poggiando di botto le mani sul banco e tirandosi su. Basta, si rimbrottò: aveva altro da fare e al diavolo il libro e il suo contenuto. Tanto lei sembrava essere ancora assente, altrimenti gli avrebbe scritto. Non aveva detto così? No che non lo ha detto. ... Urgh. Beh, sì ecco... doveva esser lei a contattarlo. Non era mica un veggente!
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E se invece lei aveva detto qualcosa che a lui era sfuggito? Forse gli aveva detto "scrivimi quando mi vedi". Ma che senso avrebbe avuto? Horus lasciò cadere la piuma con la quale stava scrivendo e una grossa macchia d'inchiostro nero si propagò sulla pergamena, insozzando il suo tema. *Mai una gioia.* Prese rapido la bacchetta e, con un paio di colpi e un Tergeo, assorbì tutto il pasticcio e guardò critico il suo scritto. Era in biblioteca da quasi un paio di ore buone e ancora non era a metà. Si distraeva, rileggeva le stesse righe del libro di Scamandro più di tre volte, senza comprenderle, e la sua mappa stellare faceva pena. Era arrivato al limite o forse era solo stanco. Si passò quindi la mano sugli occhi, massaggiandoli e passando poi alle tempie, che pulsavano in modo fastidioso. Sì, aveva bisogno di una dormita altrimenti non avrebbe concluso niente, si disse, cercando di tranquillizzarsi. Quasi a conferma di quel pensiero, Horus sbadigliò e fu così deciso a mollare il compito appena iniziato, sistemare il tutto e andarsene dalla biblioteca. Mentre camminava per i corridoi, tuttavia, venne fermato da un Tassino, alto un metro e uno starnuto, palesemente al primo anno, che gli corse incontro, in lacrime. *Dei del cielo e adesso che c'è? A quanto raccontava il marmocchio, Pix gli aveva rubato la borsa dei libri e lui non riusciva a riprendersela e si chiedeva se il suo Caposcuola potesse aiutarlo, perché lui non sapeva proprio come fare. Il signor Sekhmeth lo avrebbe aiutato? « Perché non chiami Gazza? » Provò a chiedergli, sperando di potersela svignare molto meschinamente. « Ma, Gazza, Pix non se lo fila! E poi lui puzza, sbava e mi sputacchia addosso quando parla... mi fa paura... » Rispose lui, con le guance arrossate dal pianto e la chioma biondo sporco arruffata. *Alla faccia della sincerità.* « Va bene, dai, andiamo. » Fu costretto a cedere, avviandosi verso le scale. Il Tassino, rassicurato, lo tirò per la manica, e i due sfrecciarono davanti l'Ufficio dei Caposcuola, la cui porta si era appena chiusa.
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Era fradicio. F r a d i c i o. E se esisteva un termine ancor più bagnato di fradicio, beh Horus l'avrebbe dovuto inventare. Mentre lanciava la divisa, malamente asciugata con la bacchetta, nel cesto della lavanderia che gli Elfi avrebbero preso la sera stessa, Horus sbuffò infastidito, fiondandosi nella doccia calda e trovando in essa una panacea formidabile. C'era voluto molto più del previsto per convincere Pix a mollare la borsa del Tassino. Inizialmente Horus ci aveva provato con le buone, provando a parlargli e minacciandolo di chiamare il Barone Sanguinario se non fosse stato ragionevole. Lì per lì sembrò funzionare e il dispettoso poltergeist stava quasi per consegnargli la borsa di malavoglia quando, improvvisamente, il ragazzino si era lasciato scappare un: "Era ora!". Non l'avesse mai detto: Pix si era imbufalito e aveva cominciato a mulinare la borsa sopra la testa, lanciando i libri come fossero razzi. Horus aveva evocato un Protego, salvando lui e il Tassorosso da numerosi bernoccoli, ma ben presto fu chiaro che la situazione sarebbe degenerata. Pix, infatti, era schizzato fuori dall'aula vuota dove si era nascosto e aveva cominciato a svolazzare rapido per tutti i corridoi, mentre lui, irritato, gli lanciava fatture una dietro l'altra. In una differente situazione, probabilmente, Horus non l'avrebbe mai fatto, più per una questione di furbizia, che per bontà, ma in quel momento era così nervoso che non riusciva più a ragionare. Alla fine, dopo più di quaranta minuti di corsa e i polmoni a tracolla per le mille rampe di scale che aveva dovuto fare, Horus era riuscito a individuare Pix ficcarsi in un bagno e lì aveva lanciato la borsa. Lieto che almeno la maratona fosse terminata (con tanti ringraziamenti da parte della milza), Horus entrò senza neanche accorgersi che quello era il famigerato bagno delle femmine: ci pensò Mirtilla Malcontenta a ricordarglielo, mandando in tilt una tubatura e puntandogliela addosso, bagnandolo da capo a piedi. "VIA DI QUI, MAIALE!" aveva urlato isterica e nevrotica mentre lui imprecava sonoramente e scappava via dal bagno con la borsa sotto braccio. Il Tassino era arrivato in quel momento e tutto riconoscente per aver riavuto ciò che gli era stato sottratto gli era saltellato intorno profondendosi in ringraziamenti. Alla fine, Horus, decisamente di malumore, era riuscito a svignarsela con il pensiero di un ulteriore ritardo dei propri compiti, una dormita sfumata e un probabile raffreddore per l'indomani.
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Non era tardi, di più. Si era trascinato fin nella Sala Grande, dopo la doccia, per mangiare giusto qualcosa al volo per poi fiondarsi nell'ufficio dei Caposcuola non appena finito. Ormai il libro perduto era relegato in un piccolo angolo della sua stanca mente e poteva dire di averlo quasi dimenticato. Aprì la porta dell'ufficio trovandolo vuoto, illuminato a malapena da alcune candele consumate. Si lasciò cadere sulla poltrona della sua scrivania, chiudendo gli occhi e sospirando sonoramente. Avrebbe fatto tardissimo, se lo sentiva. Se non altro, convenne, era riuscito a distogliere un po' la testa da altri pensieri. Pensieri che, quando riaprì gli occhi, gli si presentarono davanti sotto forma di libro: quello che aveva perso e che ora era poggiato proprio innanzi a sé. Lo prese fra le mani, rigirandoselo fra le dita, incredulo. E quello quando lo aveva piazzato lì? Forse qualcuno lo aveva trovato? Curioso, e con un pizzico di timore, Horus aprì il volume, ritrovando un biglietto che prese fra le mani. Quando lesse il mittente, il cuore gli schizzò in gola ed il Tassino spalancò gli occhi, rileggendo quelle poche righe una decina di volte circa. Panico. Posò il biglietto sulla scrivania e poi, prendendo il libro per la copertina, lo scrollò, mentre le pagine sbatacchiavano a destra e sinistra. *Occacchiooccacchiooccacchio!* Niente. Il suo foglio non c'era. Lanciò il libro sul tavolo, nascondendo il viso tra le mani. Di tutte le centinaia di studenti di Hogwarts, proprio Emily doveva trovarlo? Era stata assente e doveva trovarlo proprio in quel momento? Aveva riso di lui, leggendo quanto aveva scritto? Lo avrebbe preso in giro? Riprese rapido il biglietto da lei scritto e lo rilesse ancora, girandolo poi per controllare che non ci fosse scritto altro sul retro. Forse, si disse, cercando di calmarsi, lei non aveva trovato nulla, altrimenti non avrebbe perso l'occasione di farci una battuta. O magari l'aveva trovato e l'aveva trovato un idiota, accartocciandolo o buttandolo. ... O forse il biglietto era ancora lì. Gli occhi gli caddero proprio sul volume che giaceva riverso sopra una pila di scartoffie e solo in quel momento si rese conto di un angolo di pergamena che spuntava da sotto la copertina del libro. Lo sfilò e sentendosi enormemente sollevato, si accasciò sulla sedia, senza forze. Era lì. Lei non poteva averlo letto perché ora ricordava: lo aveva ficcato rapido in quel punto proprio perché temeva gli potesse scivolare. Horus sospirò, cominciando a ridere come uno scemo, passandosi la mano fra i capelli e rileggendo quanto aveva appuntato: una serie di luoghi, molti di essi sbarrati, in cui gli sarebbe piaciuto andare con lei. Aveva appuntato le passaporte disponibili, i vari parchi, sala da tè e giardini in cui avrebbe potuto portarla e alla fine si era ritrovato a cancellarli quasi tutti, timoroso di sbagliare o che fossero inadatti. Non aveva mai avuto, del resto, un appuntamento del genere e si sentiva sotto pressione: come ci si comportava? Dove si andava? Rigirò il foglietto e lì rilesse quello che aveva aggiunto: una lettera abbozzata che avrebbe voluto spedirle se lei non si fosse fatta viva. Aveva scritto molto e, alla fine, aveva scarabocchiato il tutto, rendendolo praticamente illeggibile fatta eccezione per qualche parola sconnessa e il termine "Rose". In fin dei conti non era assolutamente nulla di eccessivo o imbarazzante, ma la sua paranoia era talmente grande da far diventare quel misero pezzo di carta confuso, come l'onta più grande che il suo orgoglio avesse mai potuto subire. Ora che la paura era stata scacciata, Horus poté davvero assaporare cosa voleva dire il biglietto che Emily gli aveva scritto: era tornata. Avrebbe potuto semplicemente lasciargli il libro e tanti saluti, eppure, seppur in modo irriverente, gli aveva lasciato una prova tangibile del suo ritorno. Si ritrovò a sorridere mentre, per l'ennesima volta, rileggeva quel piccolo scritto. Decise che in fondo Emily quel tanto atteso primo passo l'aveva fatto ed ora toccava a lui. Così, dal cassetto della scrivania, prese dei fogli di pergamena, calamaio e piuma e cominciò a buttar giù qualcosa. Ci vollero ben cinque fogli —accartocciati qui e là—, prima che Horus riuscisse a decidere cosa scrivere. Alla fine lo ripiegò con cura, si alzò dalla scrivania e si diresse verso quella della sua collega, dove poggiò il suo biglietto in bella vista.
Lo guardò per un istante e sentì lo sciocco e irrefrenabile desiderio di prenderlo, strapparlo e riscriverlo ancora, ma si costrinse a girar sui tacchi, afferrare libro e messaggio e filarsela in Sala Comune. L'indomani avrebbe imprecato contro se stesso per non aver fatto ciò che doveva e aver rimandato le questioni che doveva sbrigare, ma sentiva già la mente galoppare verso altri pensieri e rinnovate paure: il dado era stato tratto e tutte le conseguenze gli sarebbero rovinate addosso, presto o tardi, così come la valanga di timori, dubbi e prospettive che già da quella sera lo avrebbero assillato, facendolo sprofondare in uno stato di ansia pre-attesa insopportabile... ma in fondo estremamente dolce. *Stupida Claire.
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