| Niahndra non aveva più voglia di scherzare benché niente in quella storia avesse senso e potesse definirsi serio. Forse era questo a infastidirla, per quanto si sforzasse di ragionare niente di tutto ciò seguiva un filo logico e lei aveva bisogno di logica e razionalità, ne aveva bisogno come dell'ossigeno. Più di ogni altra cosa odiava essere manipolata e invece la sensazione di essere un mero burattino le si era ormai appiccicata addosso e non voleva saperne di lasciarla andare; per tutta la sera qualcuno aveva giocato con le sue emozioni, con Sam, con qualcosa di intimo e segreto che apparteneva a lei e a lei soltanto. Basta. Il nervosismo che le percorreva le membra aumentò e lei dovette mordersi la lingua per ricordarsi che non fosse il ragazzo il nemico, no, il nemico – se così lo si voleva definire – era chiunque avesse tirato i fili da dietro le quinte, l'architetto, il burattinaio. E lei c'era cascata, si era lasciata condurre docilmente e senza opporre resistenza, attratta forse da quel richiamo arcano che era rimasto sopito in lei per troppo tempo. Aveva tentato di reprimerlo in ogni maniera e alla fine c'era riuscita anche se di tanto in tanto qualche nota del canto sfuggiva alla sua presa e lei si ritrovava a rincorrere questo o quel significato, nel disperato bisogno di andare più in profondità. Così in profondità da rischiare di non poter più risalire. Quella, invece, era solo una bugia: avevano usato un'esca per farle percorrere mezzo villaggio e per cosa, poi? Piantò gli occhi nei pozzi scuri del ragazzo e aggrottò un poco la fronte, indecisa sul come interpretare il suo tono; ad una prima occhiata giudicò che il ragazzo non dovesse essere troppo più grande di lei, forse condivideva l'età di Sam, ma qualcosa nei modi – fin troppo posati – lo faceva apparire più vecchio e stranamente fuori luogo in quella casa che più che un'umile dimora pareva un cantiere. Inarcò un sopracciglio quando l'altro addirittura si inchinò mentre lo strano appellativo ancora le risuonava nelle orecchie.
« Nessuno vive nella Stamberga. Fantasmi a parte, se si crede alle storie.» Si trovò ad asserire con semplicità ma senza incertezze, non sapeva se il suo intento fosse screditare l'altra persona o se traesse solamente un certo piacere dal contraddirlo, come a fargli intendere che non gli avrebbe più permesso di prenderla in giro. Allo stesso tempo però, nonostante quella punta di ironia, dubitava che Ylian Morton... Il suo cuore mancò un battito, e poi un altro. La mente si svuotò del tutto, bianco accecante, sei lettere stampate a caratteri cubitali mentre una fitta al petto la privava del respiro; sbatté un paio di volte le palpebre prima di riposare lo sguardo di lui, cercando di guardare oltre lo sguardo beffardo e gli intricati capelli corvini, ma i suoi lineamenti non avevano niente di familiare, a dispetto del cognome. « Morton.» Si lasciò sfuggire. Benché avesse fatto di tutto per scacciare via quel ricordo, il volto gentile e pieno di Amara le pervase la mente: il suo sorriso caldo, la voce dolce; il disperato desiderio di chiamarla "mamma". Accanto a lei comparve anche la figura del marito, Dwight, un tipo eccentrico ma dallo sguardo benevolo che in pochi brevissimi incontri l'aveva conquistata. Ma loro se ne erano andati senza di lei. Gli occhi le pizzicarono terribilmente e la Alistine deglutì per ricacciare in giù quel groppo, non si sarebbe messa a piagnucolare lì davanti per niente al mondo; la ferita però era ancora aperta, specie perché il giorno dopo anche Sam l'aveva lasciata e lei era rimasta sola all'orfanotrofio a rimettere insieme i pezzi del suo ego frantumato. L'ultima cosa che si sarebbe aspettata era di sentire nuovamente quel cognome poco meno di dieci anni più tardi. Si chiese se Sam ricordasse, ma non ebbe il coraggio di guardarlo per non rischiare che lui la vedesse con gli occhi lucidi e le labbra serrate. Credeva fosse una questione conclusa, ma evidentemente non era così; si era sforzata di credere che fosse andata per il meglio, si era ripetuta che se i signori Morton l'avessero adottata, allora lei avrebbe rischiato di non rivedere mai più Sam e di certo non sarebbe andata a vivere con lui. Ma non bastava a lenire le ferite.
« Non è divertente.» Il coro di voci femminili proveniente dal piano superiore raggiunse un volume ragguardevole sebbene la Tassina fosse concentrata nel mantenere il contatto visivo con Ylian nella speranza di vedere la sua maschera crollare, nella speranza di scoprire le sue carte e svelare il suo bluff, ma così non fu. I secondi passavano e le probabilità che quello fosse uno scherzo di pessimo gusto calavano rapidamente e drasticamente. Ciliegina finale, avrebbero dovuto seguire il tipo allampanato su per le scale a incontrare l'allegra famigliola. « Ci sono anche loro?» Provava forse rancore? Non ne era sicura; certo, in cuor suo l'animo fanciullesco sperava di poter etichettare i signori Morton come dei mostri, ma crescendo aveva capito che in fondo non erano che umani e sotto sotto comprendeva la loro scelta. In un certo senso forse avrebbe dovuto ringraziarli perché almeno per un attimo l'avevano fatta sentire importante. PS 165 | PC 109 | PM 118 | Exp 32 Bacchetta magica, tasca della felpa. Avversaspecchio, lo specchio rifletterà delle ombre che si faranno sempre più distinte man a mano che eventuali pericoli e/o nemici si avvicinano al proprietario dello specchio, tasca dei pantaloni. Anello "a miglior vita", con un leggero movimento della mano "dall'ospite" dell'anello, si libera uno spettro; questo ultimo effetto può essere ottimo per spaventare amici e non; anulare destro. Collana fading in the dark, permette all’individuo di diventare momentaneamente inconsistente e sfuggire così agli attacchi diretti ad infliggere danni fisici. Utilizzabile un turno per quest.
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