| La sera precedente.L'umidità del sottobosco le opprimeva i polmoni. Respirava a fatica, avanzando lentamente su quel denso tappeto di foglie secche e rossastre, all'ombra della fitta foresta di alberi dalle chiome spoglie. Intorno, solo il silenzio. Tutto taceva e la vita sembrava aver abbandonato quei luoghi molto tempo prima. L'unica traccia vivente era lei, una ragazzina solitaria e smarrita. Non sapeva nemmeno che cosa ci facesse immersa nella boscaglia, seguendo quel sentiero battuto, eppure sconosciuto. Dove l'avrebbe condotta? Avrebbe incontrato qualcuno? Mille domande affollavano la sua mente senza trovare risposta. Dove si trovava? Quel luogo non somigliava minimamente ai boschi che circondavano Hogwarts, il suo castello e il piccolo villaggio di Hogsmeade. Non ricordava nemmeno di aver passeggiato in uno scenario simile a Cork, Limerick o Waterford, le tre città irlandesi da cui provenivano i componenti più importanti della sua famiglia. Un vento freddo si sollevò, facendola rabbrividire e costringendola a stringersi nelle spalle. Credeva di indossare un mantello, ne era certa, e invece si trovava vestita diversamente, un abbigliamento non adatto ad un autunno rigido come quello. E ancora un'altra domanda le sorse spontanea: come sapeva che fosse autunno e non già inverno? Non sapeva spiegarlo, se non con quei pochi dettagli che la scena forniva. Le sue gambe continuavano ad incedere, quasi senza controllo. Doveva raggiungere la fine di quel sentiero, quel pensiero la travolgeva. Era la sola cosa certa di quel momento. Un nuovo fruscio, le foglie si rincorrevano lungo il viottolo senza fine e, all'improvviso, il suono di rami spezzati. Si voltò velocemente, guardando il percorso già battuto. Nulla. Solo foglie secche mosse da quel gelido vento. Che cos'era quel posto? Era davvero sola? Oppure no? Un suono roco e stridente attirò la sua attenzione: un corvo, nero come la pece e dallo sguardo vigile, giaceva appollaiato su un ramo quasi del tutto spoglio, eccezion fatta per una decina di foglie, alcune delle quali ancora verdastre o giallognole, altre rossicce e pronte a staccarsi dall'albero che le aveva generate. Non riuscì a staccare gli occhi da quel corvo, osservarlo così come lui osservava lei era l'unico modo per esser certa di non perder di vista l'unica traccia di vita di quella boscaglia senza fine. Pur di non smettere con quel contatto visivo, iniziò a procedere all'indietro, senza poter vedere a che cosa stesse andando incontro. E qualche istante dopo lo percepì: una presenza, alle sue spalle, rifletteva un'ombra scura davanti a sé. Un ringhio lungo e profondo, gutturale. Non poté far altro che fermarsi e voltarsi di scatto, nuovamente, come se avesse realizzato solamente in quel momento il pericolo sopraggiunto all'improvviso. Un lupo, dal manto grigio, più scuro sul dorso e sempre più bianco sulle zampe; occhi gialli, fissi e penetranti. Sentiva che non sarebbe uscita viva da quel bosco. Il suo ultimo gesto sarebbe stato quello di stringere tra le dita il ciondolo regalatole per il suo dodicesimo compleanno, la Stella dell'Eire, come se quel pezzettino di metallo ricurvo potesse davvero salvarla dal Destino già scritto per lei. I tendini delle zampe posteriori dell'animale erano già tesi, così come quelle anteriori. Un congegno perfetto di muscoli e fasci di nervi pronti allo slancio... E fu un attimo. Quell'animale aveva deciso che proprio lei sarebbe stata un pasto ideale: il perfetto coronamento di una giornata di caccia.
* Si svegliò all'improvviso, la fronte madida di sudore freddo. Le dita della mano destra dolevano, strette attorno al ciondolo dal quale mai si separava. Il respiro affannoso, pesante. Si mise seduta, osservando il dormitorio buio e silenzioso. Le sue compagne dormivano beate, senza che alcuna preoccupazione turbasse i loro sogni. Passò una mano sul viso, chiudendo gli occhi e cercando di ritrovare la calma. Non appena le palpebre si chiusero, tornò a vedere quegli occhi maligni, gialli e penetranti. Riaprì subito i suoi, di un tenue colore azzurro, simile al ghiaccio.*Devo smetterla di mangiare troppo a cena...* Per la terza notte era tornata in quel bosco autunnale, con quel corvo e quel lupo, presagi di qualcosa a lei incomprensibile. Presagi, forse era prematuro definirli in quel modo. Che ne poteva sapere una sprovveduta studentessa del secondo anno di presagi e futuro? Non credeva nemmeno in quelle sciocchezze. Era solo un sogno, o meglio un incubo, e come tale sarebbe stato trattato. Credeva di sapere perché, ogni notte, tornasse in quel luogo: la curiosità di sapere che cosa ci fosse alla fine del sentiero. Scoprire la ragione per cui sentiva l'incessante bisogno di procedere in quel cammino. E poi il corvo e il lupo, ogni volta, le impedivano di proseguire. E più costringeva la sua mente a cercare strade alternative per giungere alla fine di quell'assurdo viaggio, più le sue gambe restavano sul viottolo ricoperto di foglie rosso sangue.OggiLa giornata era iniziata male: quell'incubo le aveva impedito di chiudere occhio e chissà quanti punti avrebbe fatto perdere alla sua Casa con la distrazione e la sonnolenza non più latente. Per tutta la mattinata aveva provato a prendere appunti, così come nel primo pomeriggio. Nulla poteva scacciare dalla sua mente l'immagine vivida di quel sogno, che sogno non sembrava affatto. Era tutto troppo reale, troppo cangiante per essere solo frutto della sua immaginazione. Quel bosco esisteva, in cuor suo ne era certa. Che si trattasse della Foresta Proibita? Se così fosse stato, cercare quel particolare sentiero non sarebbe stato facile. E se non fosse stato lì, ma a Cork? Come poteva saperlo? Il pensiero del lupo, poi, la terrorizzava. Non ne vedeva uno simile dall'esercitazione del primo anno con il Molliccio, di fronte all'intera classe di Difesa Contro le Arti Oscure. La sua peggior paura era tornata ad affacciarsi a tinte sempre più evidenti. La nota stonata era quel corvo: le incuteva una sensazione di disagio, come se si sentisse osservata da occhi sconosciuti. Eppure, nel profondo, sembravano occhi famigliari, già visti in qualche altra occasione che, in quel momento, non ricordava.*Sta diventando un'ossessione...* Sì, lo era. Inutile negare ciò che così chiaramente si stagliava di fronte ai suoi occhi. Doveva riflettere, doveva sapere. Con la borsa a tracolla in spalla, si diresse a passo deciso verso la Guferia. Doveva scrivere a sua madre, o forse a suo nonno. Non aveva ancora deciso a chi avrebbe rivolto le sue domande. Non era nemmeno certa che sarebbero giunte delle risposte. Tra tutte le discipline affrontate dai diversi membri della famiglia Moran, nessuno, nemmeno Shyneid, aveva familiarità con la Divinazione e l'interpretazione dei sogni. Forse sarebbe stato tempo sprecato, pensò, salendo velocemente i gradini che aveva percorso così tante volte per incontrare l'amica Danielle. I corridoi vuoti, il silenzio ed il tramonto le trasmettevano una certa ansia e trepidazione, mano a mano che si avvicinava alla meta stabilita. Doveva scrivere quell'immagine onirica immediatamente, prima che i dettagli svanissero, così che chiunque potesse aiutarla avesse un quadro chiaro della situazione.
Un altro passo e sarebbe giunta a destinazione. Di lì a poco sarebbe passata davanti ad un arco, uno come tanti altri nel castello, imponente e perfetto nella sua struttura centenaria. Varcandolo si sarebbe giunti ad una zona circolare, aperta grazie alla presenza di bifore senza alcun tipo di infisso. Ci era andata spesso, da quando conosceva Danielle e quel luogo era stato teatro di un incontro quasi sfociato in una lite, solamente sei o sette mesi prima.«Bifronte, bifronte... eccoti»Un sussurro, un briciolo di voce nota. Avrebbe riconosciuto quella voce ovunque, tra mille altre. Complice il silenzio, rimase in penombra, senza oltrepassare l'arco in pietra. Era certa che al di là del muro vi fosse Oliver Brior, l'amico irlandese con cui condivideva svariate passioni e altrettanti sogni nel cassetto. Che cosa facesse in quel luogo, piuttosto, restava un mistero. Origliare non era cosa da lei, eppure lo sentiva muoversi in quello spazio aperto, sfogliando libri e scrivendo su pergamena. Lo scricchiolio della piuma sul foglio era inconfondibile. A giudicare da quelle poche parole udite, Oliver cercava qualcosa, probabilmente all'interno di un libro. Si affacciò appena, scorgendo il Caposcuola Grifondoro nel centro esatto di un cerchio composto da libri, pergamene e svariati oggetti, tra cui un tamburo.*Che se ne fa di un tamburo?* La curiosità, quella maledetta mania che l'avrebbe condotta alla rovina, le fece muovere un passo in avanti, cercando di farsi notare, ma senza imporsi con presunzione sulla scena. Probabilmente, concentrato com'era, non si sarebbe accorto di lei e, se una conversazione fosse dovuta iniziare, sarebbe stato compito suo darvi inizio.*Sempre che per lo spavento non mi stenda con qualche incantesimo...* pensò, prima di procedere con un altro passo. A quel punto sarebbe stato impossibile non vederla.
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