| Le indicazioni Raven le ha ricevute nella biblioteca, nella quest precedente. Fintanto che non posso accedere a Hogwarts, svolgo l'apprendimento in un topik a parte. × Off-Game × × LegendaNarrazione°Pensieri°«Dialoghi»Smaterializzatosi dalla bibliotca londinese, dopo aver conosciuto lo strano tipo che rispondeva al nome di Tuco, Raven Shinretsu non perse un attimo. Quella radura situata a 300 chilometri da Londra lo attendeva, del resto. Era proprio quel posto che lui, in mezzo al vento gelido che vi tirava, aveva scelto per potersi eserciti. Per compiere un altro di passi verso la realizzazione della sua Idea, di quell'utopia che spesso, frequentemente, albergava all'interno del suo cuore e che, volente o nolente, egli avrebbe prima o poi realizzato. Tuco lo aveva capito. Forse lo aveva intuito dal modo di fare di Raven: sebben questi fosse sceso a patti con il guardiano, che, bisogna ammetterlo, aveva preparato proprio un terreno fertile per prendere in guardia eventuali entrusi, con gli altri non sarebbe stato lo stesso. Anche a furia di consumarsi, similmente a una candela, anche a furia di diventare nulla; di diventare il vuoto e di entrarci. Non lo spaventava la morte, né le strane leggi ministeriali. Quel che lo spaventava, di certo, era altro: starsene belli e buoni in un angolo osservando il mondo bruciare e i grandi capi danzare sulle fiamme, rallegrandosene. Per un attimo si chiese se ciò che stava facendo fosse giusto; per qualche attimo si chiese, se forse non era lui quello che aveva torto. Al di la di tutto, però, ammise che non vi era un'altra via d'uscita. Qualcuno avrebbe dovuto porre fine alla guerra tra maghi e maghi. Qualcuno avrebbe dovuto fare in modo da sconfiggere entrambe le fazioni, e anche se inizialmente gli sembrava un'idea abbastanza irraggiunbile, l'Akuma, l'ex-Corvo sapeva che prima o poi avrebbe realizzato quell'idea. Egli sapeva, che alla fine dei conti avrebbe raggiunto la sua meta, perché avrebbe impiegato ogni attimo del suo essere, ogni secondo della sua stessa vita per riuscirci. Strinse il pugno, che poi aprì. Si sentì lo scricchiolì delle dita, il cui suono venne leggermente coperto dalle urla del vento che coprivano quella radura in lungo e in largo. Poi andò con la mano verso il mantello, sospinto dallo stesso vento verso la schiena di Raven dove or-ora formava una serie di simil-fiamme nere che bruciavano, arroventavano, si mischiavano le une con le altre. Quelle fiamme nere sì; prima o poi le avrebbe usato. Perché ciò che realmente importava era la vittoria. Sola. La stessa. Sola i vittoriosi erano degni di gloria: coloro che venivano sconfitti non meritavano alcun riconoscimento. E allora, con in mente quella vittoria che Raven voleva raggiungere e per cui avrebbe ucciso e fattosi uccidere, avrebbe fatto tutto ciò che al Ministero si aspettavano. Avrebbe colpito ovunque, nei momenti meno prevedibili. Avrebbe fatto stragi su stragi e violenze su violenze, perché era noto che chi voleva la pace avrebbe dovuto raccogliere tutto sé stesso, tutto il proprio essere per prepararsi alla pace. Non vi era un'altra alternativa: tutte le altre possibilità non potevano che diventare dei lontani miraggi di fronte alla cruda verità. La forza poteva essere sconfitta con la sola forza. Il male poteva essere sconfitto con un male più grande, e il bene... beh, non vi esisteva bene in quel mondo al di fuori di colui, o di coloro, che volevano far finire le guerre e far terminare le ostilità che da troppo tempo ormai falciavano vite magiche. "Devi farlo," - bisbigliò una voce nella mente del Demone, che, perduto nei pensieri sul suo passato e sulla missione che, - non aveva dubbi, - gli era stata affidata dalla Provvidenza per mezzo di quel sibolo che ora portava sul palmo della sua mano destra, si sentì scosso da una forte ventata di vento gelido. Come se preparandosi a una partita di Quidditch l'ex Docente di volo saltellò sul posto scaldandosi i muscoli. Quindi si concentrò, facendo lo stesso con la mente sebbene questa fosse calda già dapprima: aveva eseguito così tanti incantesimi nella biblioteca pubblica di Londra che non avrebbe potuto fare altrimenti. Quel dannato Tuco lo aveva stancato, ma non poteva cadere nelle mani del relax totale proprio lì, in quel momento. Il vero Ideale dava le energie anche nei momenti più bui; il vero Ideale non poteva che fornire energie, continuatamente. La mano tirò fuori dalla tasca entrambi i foglietti che Tuco diede a Raven. Uno di questi, - l'Harmonia Passus, - venne rimesso nella tasca. L'altro, il portus, venne letto grazie a un incanto Lumos e tanto desiderio di Raven che due volte durante la lettura si ritrovò costretto a sbuffare. Due volte. La prima fu sulla nota d'illegalità riguardante la costituzione di passaporte illegali. La seconda volta sbuffò sul fatto che di nuovo fosse richiesta la concentrazione. "Che sorpresa!" - esclamò mentalmente per niente sorpresao Quindi Raven lesse il foglio per un paio di volte. "Serve un oggetto..." - pensò guardandosi intorno con il Lumos alla bacchetta. Non troppo lontano vide un piccolo topo correre in mezzo all'erba gelata. In un attimo lo immobilizzò con un incantesimo preciso. Nell'attimo successivo si avvicinò al topo, ruotò il polso in senso antiorario e dirisse la bacchetta verso il topo pronunciando ad alta voce la formula magica. «Fèravèrto!» – esclamò, senza però toccare l'animale. In un attimo il topo si trasformò in un calice, che l'Akuma avrebbe usato come sua aspirante passaporta. "Passiamo alla pratica ora..."
TENTATIVO N°1 In primis e come molte altre volte prima il mago cercò di concentrarsi. Mise il calice di metallo sull'erba gelata e cercò d'immaginarsi il luogo di destinazione. Cos'era? Un luogo che conosceva bene: Diagon Alley, di nuovo Londra, a 300 chilometri più a Sud rispetto alla sua posizione. Come dicevano anche le istruzioni, - che presto finirono nella sua tasca, - bisognava immaginare in modo chiaro e nitido il luogo di destinazione. E allora perché non farlo? Raven chiuse gli occhi e iniziò ricordarsi la Diagon Alley, il luogo dove aveva ucciso il suo primo auror: notte fonda, non vi era nessuno per le strade della Diagon Alley. Con l'inverno alle porte la pietra di cui era costituita la strada centrale della Diagon Alley si era, probabilmente, gelata. Per un attimo pensò di poter vedere addirittura il colore leggermente trasparente del sottile strato di ghiaccio che veniva apposto sulle pietre levigate. S'immaginò il suo stesso volto, riflesso nella lucidità di quei sassi che formavano la strada principale del luogo meglio conosciuto come la Diagon Alley. Immaginò le vetrine dei negozi, le strade vuote, il vicolo cieco della Nocturn Alley, ove l'ombra regnava sovrana su di ogni altra cosa. Questo doveva essere lasciato sulla sua sinistra, mentre sulla sua destra vi sarebbe dovuta essere la porta di uno dei negozi, - una porta in legno massiccio, antico e levigato. Per un attimo gli sembrò di toccarla, di poterne vedere le decorazioni lignee, come se a fuoco impresse sulla struttura verticale. Cerchi, decorazioni, sulla pietra scivolosa tipica della Diagon Alley, ma anche il manto stella sopra la testa, con alcune delle stelle che, pur sembrando immensamente lontane davano un'incredibile sensazione di vicinanza. Quasi come se fossero lì ora, in quella strada illuminata da poche finestre e alcune fiammelle, nel fondo della notte. Il tutto circondato da un'atmosfera di mistica magica, con quel freddo tipicamente invernale che creava delle strane decorazioni sulle finestre della Diagon Alley. Immaginatosi tutto questo, quasi come se fosse un'opera superiore, un'opera intrinseca della sua mente che desiderasse realizzare più di ogni altra cosa. Egli volle con tutto sé stesso trasmettere quella visione nel piano reale, facendola diventare reale. Con la mente ben fissata sull'immagine prima realizzata e decorata, egli aprì gli occhi ed eseguì due rotazioni con il solo polso in senso antiorario facendo sì che la seconda arrivasse a inglobare l'oggetto in questione. Infine, come descritto dalla descrizione dell'incantesimo, Raven sfiorò l'oggetto con la punta della sua bacchetta pronunciando, in contempo, la formula magica. «Portus!» – esclamò egli, deciso come non mai nella buona riuscita del suo tentativo. Sfortunatamente, però, non successe nulla. Ma anche nulla di speciale doveva succedere. Pertanto l'ex Docente ritirò la bacchetta e con la mancina provò a toccare il calice. Subito sentì il freddo metallo e volle ritirare la mano: il freddo era da congelare. Tuttavia non lo fece e aspettò qualche attimo prima di capire di aver fallito. Ma non se ne deluse. Tutt'altro. Subito fece un respiro e tornò a esercitarsi, similmente a come aveva già fatto molte volte prima di allora. "La pratica," - sapeva lui, - "e lo sforzo erano le prime chiavi verso il successo". E lui quelle chiavi le avrebbe afferrato.
TENTATIVO N°2 Per il successivo tentativo Raven decise di non cambiare luogo, anche se all'inizio quell'idea lo alliettò alquanto. Per un attimo si chiese anche se fosse possibile arrivare in mezzo alla Diagon Alley di notte grazie al semplice utilizzo di una passaporta. Del resto quella zona doveva essere meglio difesa, per evitare di trovare corpi di auror a caso sfracellati in mezzo alla strada principale. Quello, però, non era un affar suo e dopo aver staccato la sua mano dal calice incantato, Raven Shinretsu provò di nuovo a concentrarsi immaginandosi la stessa Diagon Alley situata sotto il manto stellato in una buia notte invernale. Amava immagine; del resto l'immaginazione era quel fattore che faceva di un buon mago un mago ottimo. La lasciò fluire. Lasciò che agisse in pieno disegnando stelle sul cielo sopra alle canne fumanti dei negozi disposti lungo la Diagon Alley. Come prima s'immagino la strada principale in tutta la sua bellezza: la ista pietra che formava il suolo e che leggermente rifletteva le stelle di sopra e quelle poche luci che gettavano poche ombre sulla Diagon Alley in mezzo a un'ocurità quasi completa, specifica. Immaginò il silenzio che si sarebbe dovuto regnare a quell'ora di notte. Era impensabile che vi fosse qualcuno. Impensabile che le persone potessero ritrovarsi lì, in mezzo alla neve che lentamente cadeva dal cielo a Londra. S'immaginò che quel silenzio lo penetrasse, quasi come se fosse una sua parte interiore, come se lo potesse sentire, magari riflesso dalle vetrine dei negozi, - alcune danntamente impolverate e oscure, - come suo. Come prima cercò di focalizzarmi meglio anche sui negozi stessi, delineando nella propria mente la pietra di cui erano composti. Idealizzando, forse, ma sicuramente creando nella propria mente, sospinto dal silenzio della radura in cui egli si trovava, il materiale di cui erano composti gli stessi negozi. Oltre le finestre, alcune delle quali chiuse dall'esterno grazie a delle piccole tavole legnose con sopra molte decorazioni e altrettanti ornamenti, egli cercò di vedere il modo in cui il gelo influisse sulle stesse creano armonie dicordanti e tanto di decorazioni specifiche. Cercò di vedere il modo in cui quel gelo, quel sottile strato di freddo si posasse su tutta la Diagon Alley che si era immaginato sin da prima cercando d'includerlo in una visione d'insieme di genere superiore. Non in ultimo luogo s'immaginò anche la polvere, ma non sui vetri delle finestre, bensì sulla parte bassa delle finestre, con l'aggiunta di qualche piccola ragnatela in alcuni negozi (che si ricordava come tali per esserci stato più volte sia da studente, che da adulto). E infine, verso il termine della grande strada principale di Diagon Alley vide niente di meno che il maestoso Gringott. La grande banca, costruita con chissà quanti mattoni bianchi, ora scintillava sotto il cielo stellato, coperta da quella neve che leggermente continuava a cadere su Londra dintorni. Cercò d'immaginare (e di vedere) quelle pietre levigate, situate le une su di altre in maniera pefetta, ma pur lasciando dello spazio di costruzione interno. Seppur da lontano, immaginò anche il cancello della banca e la sua porta, oltre la quale, però, la sua immaginazione non arrivò a giungere, fermandosi invece alle scalinate, anch'esse ben levigate, situate immediatamente prima. Oltre alle case principali e ai tanti vicoli, Shinretsu Raven arrivò a immaginare anche quei passaggi bui e stretti, situati vicino alle vecchie (e massicce) porte di alcuni negozi e tante botteghe che contraddistinguevano quel posto in mezzo agli altri. Vi regnava sempre un buio oscuro da quelle parti; un buio nel quale ci si poteva nascondere, oppure percorrere. Diverse strade viste nella mente dell'ex Corvonero portavano lì, anch'esse costruite con pietra levigata e lucida, che, come nessun'altra, lasciava intendere che bisognava camminarci su sì svelti, ma non per niente frettolosi, altrimenti si rischiava di mettere un piede in modo sbagliato e cadere. Tra tutti gli elementi, Raven cercò d'individuare al meglio anche la parete posteriore, quella dalla quale si accedeva alla lunga Diagon Alley. Era composta di pietra grezza quella, come se fosse un monito, oppure rappresentasse una netta differenza con la Gringott, - la perfezione magica, - che veniva contrapposta alla primordialità babbana. Solo dopo, focalizzando l'intera immagine (o scena), l'Akuma Shinretsu eseguì due rotazioni con il polso in senso antorario, facendo sì che la seconda rotazione fosse più ampia di quella precedente e inglobasse il calice al proprio interno. Alla fine diede una stocca determinata con la bacchetta sfiorando delicatamente il calice con la sua punta. «Portus!» – esclamò alla fine quasi come se fosse un ordine. E subito toccò il calice, ma come prima non accadde nulla.
TENTATIVO N°3 Nel momento del tocco della sua mano con il calce Raven sentì soltanto una piccola energia per un momento pervadegli la mano. Sentì anche come se quell'energia lo tirasse verso il calice, verso di lì, ma poi questa svanì nello stesso istante lasciando al corvonero il dubbio se quell'energia egli l'aveva percepita realmente o se si fosse trattato soltanto di un miraggio. Ci pensò su per qualche attimo, poi pensò di non doverci pensare più. Era un miraggio o no, che importava? La cosa che aveva davvero importanza era divera: riuscire a farì che quell'energia diventasse maggiormente vivida e e precisa. Bisognava aumentarla, far sì che diventasse di un'intensità più alta. "Riprova," - ordinò una voce nella sua mente e all'Ex Corvo non rimase che obbedire. Come prima di nuovo chiuse gli occhi cercando d'immaginare nella propria mente tutta la Diagon Alley in lungo e in largo. Vide lo stesso che vide prima, cercando di dare all'intero quadro, - se così lo si vuole chiamare, - ancor più dettagli. Quella volta partì a disegnare l'intera Diagon Alley a partire dalla banca dei maghi, Gringott. O meglio iniziò dalla sua porta, immaginandola come una grande, massicia porta in legno nero, leggermente illuminata da un lampione vicino. Quasi persa nel buio quella porta non era che l'entrata in quel mondo particolare e magico che era la Gringott. Raven cercò d'intravedere le decorazioni sulla stessa: dei piccoli lineamenti che, partendo dal basso e dirigendosi verso l'alto, formavano i diversi rilievi sulla struttura stessa della porta. Tali ornamenti la facevano meno monocolore, deliziando l'occhio di uno spettatore come lo era Raven Shinretsu. Dalla porta la sua immaginazione si diffuse a destra e a sinistra andando a creare i maestosi muri bianchi della grande banca, fino a immaginarne i singoli mattoni che, gli uni sopra gli altri, ne erano l'ossatura centrale. Immaginò anche dei piccoli, insignificanti rilievi sui mattoni salvo poi passare a immaginare anche lo spazio tra gli stessi in quel che sarebbe continuato fino a disegnare le 4 muro di Gringott. Poco prima immaginò anche gli scalini della banca stessa, ora leggermente coperti da un sottile strato di neve bianca. A seguire venne la barriera metallica a qualche metro dalla porta, con il cancello ormai chiuso. Le finestre della Gringott si affacciavano sulla Diagon Alley, ma al loro interno non regnava che il buio supremo. Non vi era nessuna fiamma e nessuna candela in grado di segnalare se nell'enorme atrio della Gringott vi era della vita. Poco dopo venne il turno del resto di quel che si poteva vedere dalla strada principale della Diagon Alley. I negozi in cui durante il giorno infuriava la vita, di notte erano morti. Anche all'interno di quelle vetrine, per lo meno della maggior parte delle stesse, non vi era che il buio. Dinnanzi ad alcune finestre, poi, si poteva vedere un sottile stano di ghiaccio depositarsi sulla finestra stessa. In alcune parti questo strano, e la neve cadente, veniva a mischiari con la ragnatela presente negli angoli superiori delle porte dei negozi meno famosi e meno popolari. Il vento leggermente scuoteva quelle finestre provocando rumore, mentre dalle canne fumarie di alcuni edifici si alzava in alto un sottile strato di fumo. Dopo aver guardato in avanti e averci visto la Gringott, Raven guardò a propro lato e ci vide una vecchia porta con degli ornamenti in rilievo. La maniglia della stessa era vecchia e consumata, e la porta distava alcuni centrimenti dal terreno. Per questo, quando tirava il forte vento essa veniva leggermente sbalzata creando quel tipico rumore di porta tremante che si verifica quando tutt'intorno vi è un forte vento. Per un attio l'Akuma si chiese quale fosse la sua utilità, se essa non difendeva dal freddo il necessario. Poi però capì che probabilmente era solo per non far entrare pioggia e neve dentro all'edificio, che la mattina dopo si sarebbe rianimato grazie alle tante visite. Quindi spostò la testa verso l'altro lato, dove vide un negozio ben disposto e ben messo. La porta che vedeva, - e che si ricordava così fosse, - copriva il foro dell'entrata in tutto e per tutto. Non vi erano spazi lasciati dal muro e la porta stessa era liscia, senza decorazioni di nessun genere, monocromatico ed elegante. La maniglia della stessa, nera come la pece, rifletteva il lento cadere della neve dal cielo e anche la luna. Infine, l'Akuma immaginò tuttò ciò che sarebbe dietro di lui una volta che sarebbe arrivato sulal Diagon Alley: altri negozi disposti in file parallele e un muro retrostante fatto di mattoni grezzi, irregolari, disposti secondo un schema, ma sicuramente non così ordinati come lo erano per la Gringott. Cercò d'immaginarsi la loro freddezza; il modo in cui quei mattoni assorbivano l'assenza di calore e venivano coperti da un sottile strato di brina. Infine, concentratosi e focalizzato quell'immagine nella sua testa, con l'aggiunta di vento e neve, egli immaginò anche il cielo stellato sopra di sé e le pietre levigate sotto di sé, a cui aggiunse anche subito una sensazione di scivolosità. Non molto lontano da dove egli sarebbe dovuto arrivare, l'Akuma vide anche piccoli vicoli bui che portavano verso destinazioni a lui ben note. Solo dopo il signor Rave eseguì due rotazioni con il polso in senso antiorario, facendo sì che la seconda fosse più ampia della prima e inglobasse il calice dinnanzi a Raven. Poco dopo eseguì una stoccata decisa verso il calice sfiorandolo con la punta della propria bacchetta. In contempo pronunciò la formula magica, a voce alta, similmente a un comando che volle dare al calice. «Portus!» – scandì precisamente con un tono perentorio. Quindi attese un solo attimo e allungò la sua verso il calice. Sentì subito il freddo metallo, che però poco dopo si mosse. Gli sembrò di venir attratto da qualche parte, - al suo interno, - ma dopo un istante la sua mano venne rigettata. "Dannazione," - pensò Raven ritirando la bacchetta.
TENTATIVO N°4 "Ancora," - il pensiero dell'Ex Docente si riflesse nella sua mente, ancora lucida, ancora volenterosa di provare a imparare quell'incanto a qualsiasi costo. Ritirò la bacchetta; ritirò anche la mente. All'interno della sua anima bruciava il fuoco, tutt'intorno – la neve. - "O la va o la spacca," - pensò di nuovo l'Ex Docente, quasi come se ribadisse ancora una volta che quel motto che aveva contraddistinto lui e la sua esistenza. Un'esistenza non certamente facile, ma pieni di bei momenti e di momenti molto dolorosi. Respirò. Prese aria. Si concentrò di nuovo sulla Diagon Alley. Avrebbe dovuto farla apparire intensamente perfetta: tutti i dettagli, i vicoli, i granelli di polvere sul pavimento, ma anche il gelo e la neve che lentamente scendeva, illuminata dai lampioni locali e dalle fiammelle situate sulle finestre. Cercò di veicolare tutte quelle informazioni all'interno della propria mente. Cercò di renderle lucide, vivive, piene di tutti i dettagli. Quasi come se si trattasse della realtà, della Diagon Alley in cui ci è stato più di una volta e che si ricordava. Delineò il pietruscolo per terra, il pavimento levigato, si vide all'interno di quell'ampia strada, da solo, con la notte che cirocndava tutt'intorno e le stelle sopra. Vide anche la banca, quella che già aveva immaginato prima, con le sue mura bianche, con quel cancello metallico dinnanzi. Si concentrò sulle sue finestre particolari, ampie, grandi, larghe, ma spente. La porta era chiusa, il massiccio cancello anche. Non vi era vita a quel punto del giorno della banca dei maghi, così come nella grande Dyagon Alley. S'immaginò il silenzio, che vi regnava sovrano, nonostante i pochi e piccoli ululati di vento. Quello era il quadro che s'immaginava di trovare, e affondò i suoi ricordi, e la sua immaginazione, in un misto di sensazioni e di dettagli che, - e ne era completamente sicuro, - gli avrebbero aiutato a risolvere l'intera faccenda. In quei secondi era molto simile a un bravo pittore che creava i propri quadri in modo preciso e dettagliato, osservando qua e osservando la. Dettagli, strisce, pavimento e quant'altro assumevano nella sua mente un significato molto preciso, diverso dal solito. Tanto che arrivava a definire persino i più piccoli dettagli di tutto. Arrivava persino a immagnare i piccoli rilievi sul pietruscolo sotto i piedi e il freddo dell'aria, il freddo tagliante, che arrivava a depositarsi sui vetri delle finestre formandoci degli ornamenti curiosi. All'interno dei negozi situati sulla grande strada non si vedeva niente e meno che niente. Solo le prote che di tanto intanto sbattevano violentemente, spinte dall'aria, dal vento, che s'infiltrava comunque all'interno delle vecchie abitazioni. Era gli unici suoni che lì, nella propria immaginazione, riusciva a percepire. Percepì anche la terra sotto i piedi e il freddo sulla pelle. Con gli occhi cercò di veder etutto ciò che lo circondava e che aveva già visto precedentemente: la banca dei maghi più in avanti, il muro di pietre rozze alle sue spalle; due file parallele di negozi, case varie ai suoi fianchi. Alcuni dei negozi gli apparivano come belli e puliti, come se nuovi. Altri invece erano vecchi,d isastrati, con le ragnatele negli angoli delle porte e dei spessi strati di polvere vicino alle finestre. Dietro ad alcuni vetri si fedevano ancora delle candele in punto di morte: la fiammella si stava per spegnere e lasciare il resto della stanza nelle braccia della notte fonda, che ora era arrivata. L'Akuma, nel suo processo di fervida immaginazione, cercò di delineare bene anche i piccoli vicoli situati in mezzo alle due file di negozi. Quelle strade erano illuminate ancora peggio della strada principale: vi regnava il buio completo e il silenzio completo. Solo Raven sapeva, che inoltrandosi in quelle vie egli avrebbe sicuramente trovato una certa vita. Perché lì, nel buio, c'era sempre qualcuno che tramava qualcosa. C'erano sempre desideri e volontà a combattersi tra di loro, imperterriti, come sempre. Veloci, difficili. Immaginò anche la stada portava in quei vicoli e muri circostanti. E quando ebbe di nuovo creato la Diagon Alley all'interno della sua mente, mosse la bacchetta. Il calice era di nuovo l'unico obietivo. Lo guardò, poi esegì due rotazioni con il polso in senso antiorario, la seconda rotazione era di nuovo più grande della prima. In questo modo alla seconda rotazione arrivò a inglobare completamente l'oggetto, e una volta eseguiti i movimenti compì la solita stoccata, in modo determinato e deciso, verso il calice. «Portus!» – esclamò egli cercando di metterci tutta la propria forza di volontà, tutta la sua determinazione. Subito toccò il calice. Come prima sentì una violenta scarica d'energia nel palmo della sua mano. Si sentì attratto, quasi, come se or-ora fosse stato spedito altrove. Poi però non successe nulla e il calice tornò a essere un semplice calico sull'erba rigida e fredda di quel posto.
TENTATIVO N°5 Fintanto che i primi tentativi avevano permesso di spostare il confine della riuscita dell'incantesimo soltanto pochi passi più in la, Raven Shinretsu pensò bene di farsi qualche domanda. Del resto quell'incantesimo gli serviva, e gli serviva tanto. Era la sua chiave, ma anche la sua via di fuga. Laddove lo Stato non arrivava a controllare i suoi cittadini, erano i cittadini stessi a spingersi in avanti, con fantasia e coraggio, per toccare frontiere sempre nuove. "Non un passo indietro," - pensò nuovamente Raven, capendo come indietreggiare significasse anche... perdersi. Non poteva restare indietro. Non poteva abbandonare i suoi sogni. Quelli, all'orizzonte, prima o poi li avrebbe raggiunti. Indipendentemente dalla loro lontananza; dalla grandezza degli ostacoli situati tra di lui e la sua utopia di quel mondo migliore. Per questo, ritirata la mano, la strinse in un pugno. Era fredda; il tempo non aiutava. Ma non ci badò: la strinse così forte che le unghie, cresciute, andarono a conficcarsi nella sua carne e dei sottili rivoli di sangue bagnarono la rigida erba del posto. Era troppo? Era troppo poco. Il dolore, quello sì che aiutava a ritrovar ela concentrazione. La spinta, l'allenamento... Non erano forse questi i fattori che permettevano alle persone di sperare in qualcosa d'immensamente più grande e migliore. Deciso a non mollare, prese un bel respiro. L'aria, quasi congelata essa stessa, gli riempì i polmoni dandogli un senso di freschezza. Si chiarì i pensieri, la mente, rilesse di nuovo le indicazioni dell'incantesimo e decise di riprovare. L'energie magica ce l'aveva eccome. Quello che gli mancava erano dettagli. Dettagli di quella Diagon Alley che vedeva e che voleva raggiungere. E che prima o poi avrebbe raggiunto. In un attimo quella Diagon Alley che tanto voleva raggiungere in cuor suo comparve di nuovo nella sua mente. Un grande viale, fiancheggiato da numerosi nuegozi e da vicoli oscuri. La Nocturn Alley, lì vicino, non lasciava presagire niente di buono: dalle sue strade Raven poteva sentire solo molta oscuritì e un silenzio che molti avrebbero definito come assordante, sebbene, - e lo sapevano tutti, - lì, da qualche parte, la vita inuocava, bramava. In quel posto, anche nell'oscurità, vi era il tutto e il contrario di tutto. Ma non era quello il post in cui voleva comparire Raven Shinretsu. Egli voleva comparire proprio lì, al centro dell'immensa Diagon Alley, non troppo lontano dalla banca dei maghi e non troppo lontano dal muro grezzo dal quale si entrava sulla Diagon Alley. L'intero quadro, come se fosse disegnato grazie agli sforzi di un artista realista, prese luogo nella sua mente. Porte, nere e marroni, le ultime candele che pian-piano si spegnevano nelle grandi case. Le stesse case, al più costruite con mattoni pesanti. Alcune ordinate e pulite, altre invece rozze e grezze, che formavano l'ossatura di quel mercatino per maghi. Al tutto aggiunse altri dettagli: polvere, ragnatele, nelle, stelle su un cielo oscuro. Come prima ancora si concentrò sulla Gringott, che visualizzò in tutto e per tutto. Partendo dalla porta in legno massiccio e con varie decorazioni affisse sulla stessa, fino ai mattoni con cui era costruita la Gringott stessa. Senza dimenticarsi della maniglia della porta e delle finestre, evidentemente chiuse a quell'ora. Dal legno della porta della banca dei maghi si diffuse anche altrove: relievi sulle pietre levigate con cui era stata costruita la Gringott, gli spazi tra i mattoni stessi, le piccole decorazioni, il pavimento scivoloso e delle flebili luci che illuminavano quel posto a quell'ora della notte. Persosi per un attimo nel buio di quella porta del tutto particolare, il nostro eroe iniziò anche a divampare con la sua fantasia muovendola altrove. Il tutto partendo dal basso e dirigendosi verso l'alto. Ai lineamenti della porta, alla sua struttura si aggiunsero altri dettagli e altri segni. Alla fin dei conti perse un po' di tempo solo per ricordare la Gringott per come era davvero, in tutte le sue faccettature, in tutti i suoi dettagli. Il bianco della banca si univa al nero della notte. Da lì Raven spostò lo sguardo altrove, sui piccoli vicoli che circondavano la banca sui due lati. Poco illuminati essi si perdevano nel buio, un buio inattaccabile e completo. Cosa nascondevano quelle strade era difficile dirlo e di sicuro Raven non avrebbe lasciato che la sua immaginazione vagasse fino a raggiungere quelle stradine. Immaginò il pavimento, gelato, di quei vicoli e poi vide anche gli scalini che potavano alla banca, poco dopo un grande cancello nero che di notte, ovviamente, era chiuso. Sullo stesso cancello Raven immaginò vari ornamenti e altrettante decorazioni, quasi come se servissero ad abbellire il grande cancello stesso. Puntando lo sguardo sulel finestre della Gringott Raven vide il buio al suo interno. Nessuna voce, solo silenzio, di tanto in tanto ferito dagli ululati di vento. Dopo i vicoli, le scale e il cancello Shinretsu Raven immaginò i negozi. Vuoti. Laddove di giorno regnava vita, felicità e allegria, dove i maghi e altri maghi si scambiavano oggetti e galeoni, di notte regnava la morte. Un silenzio perfetto, unico. Solo in alcune delle vetrine esposte alla strada principale si potevano vedere i resti di candele. Ma anche quelle stavano, pian-piano, venendo nascoste, celate dalla neve che non fermava la propria caduta e che copriva ogni cosa, passi soprattutto, con il proprio lento cadere. Sul lato destro di Raven questi vide diverse porte, alcune più grandi e belle, altre più piccole e brutte, alcune nuove, altre vecchie. Le porte indicavano, bene o male, lo stato di salute finanziario dei negozi. Il vento che si portava appresso la neve scuoteva quelle porte in avanti e indietro, quasi come se volesse portarsele con sé in un posto sconosciuto, non meglio indicato. Le maniglie delle porte erano come le porte stesse: alcune molto vecchie, con la pittura nera che ormai si distaccava, con pezzi di legno persi, con graffi. Altre, invece, erano molto belle, quasi particolari. Alcune maniglie erano persino decorate con dei particolari simboli, che a prima vista potevano essere scambiati per rune, ma che a una vista più profonda si sarebbero potuti scoprire come dei semplici loghi di quei negozi: bacchette incrociate, scope, calderoni indicavano dove si doveva andare a comprare cosa. In tutta quella scena pensò quasi di poter avvicinarsi a una porta e aprira, ma quindi spostò il suo sguardo verso l'alto, guardando un piccolo filo di fumo uscire da un lungo tubo. Erano, probabilmente, i resti di una legna che, nel camino, si consumava giungendo a termine della sua piccola vita. La brina sui vetri e sulle porte gli fece anche ricordare quanto quel posto dovesse essere freddo gelato. Si scosse sia nei pensieri che nella mente. Poi si guardò indietro, vedendoci lo stesso muro rozzo che aveva già creato diverse volte prime. Le pietre erano disposte a casaccio, quasi senza un ordine preciso. Non una sorpresa: i babbani costruivano sempre tutto senza precisione alcuna, e così ecco che ci si ritrovava dinnanzi alle pietre levigate male, con alcuni angoli appunti, dalla forma geometrica non meglio definita, ma freddi al tetto. Vide i loro rilievi, notò la distanza tra le varie pietre. Anche su di esse si depositava la neve; anch'esse venivano avvolte da un sottile strato di neve. Infine, non gli rimase che osservare il pavimento di tutta la Diagon Alley: pietra levigata, scivolosa, qua e il pietruscolo. Illuminata male, quasi nascosto, la terra del posto, caplestata di giorno, di notte era morta come tutto il resto di quel posto. Fredda, fra poco vi si sarebbe potuto formare del ghiaccio se solo qualcuno avesse aggiunto dell'acqua all'intera scena. Quasi volle essere lo stesso Raven il tipo, ma poi capì che anche se nei pensieri era già in tutto e per tutto in mezzo alla Diaogn Alley, fisicamente era ancora a 300 chilometri da Londra. E allora si concentrò di più, vide l'immagine vivida più che mai. Credette che fosse reale e lasciò che fluisse verso la sua bacchetta. Vento, neve e silenzio: era quella la sintesi. Poco volle. Semplice volle. Con tutto sé stesso. Volle arrivare in quel posto. E allora eseguì le due solite rotazioni con il polso facendo sì che la seconda fosse più ampia della prima e inglobasse il calice. Quindi diede una stoccara decisa verso il calice stesso e proonunciò, con determinazione, la formula magica. - «Portus!» – esclamò concentrato, ma volenteroso. Un raggio partì, il calice si mosse. Ottimista, Raven lo toccò. Un'immensa energia si disperse e gli parve di staccare i piedi per terra. Anzi, li staccò, ma poco dopo caddé come un imbranato sul calice stesso. L'effetto dell'incantesimo era giunto a termine.
TENTATIVO N°6 Probabilmente, tutto sarebbe finito lì. Raven avrebbe buttato quel calice nella neve, avrebbe spezzato la sua bacchetta e sarebbe tornato a casa a rimpiangere di non essere abbastanza abile per poter apprendere quell'incantesimo. Se lo avesse fatto, però, non sarebbe stato Shinretsu Raven. Sarebbe stato solo un debole, che meritava di morire alla prima occasione. Lui, invece, non si arrese, e strinse soltanto i denti con più vigore e più forza. Non vi era strada indietro; non si poteva tornare all'altro lato della sponda una volta passato lo Stige. C'era solo (e soltanto) la strada in avanti, verso un particolare buio. Solo il Destino, solo quello sapeva cosa avrebbe trovato il Demone in avanti. Come aveva fatto già diverse volte prima, Shinretsu Raven si ricompose. Calmò l'anima, tranquillizzò gli istinti. La notte era fredda, il vento era gelido e la vita sarebbe stata piena di pericoli. Pericoli, ostacoli, che Raven avrebbe superato, o sarebbe morto finalmente riposando. "Devo farlo," - pensò, segnandolo come un imperativo, un leitmotiv della sua vita che risuonava sempre più spesso. E allora chiuse gli occhi e di nuovo cercò d'immaginare quello che aveva già visto in più occasioni e più di una volta. Diagon Alley, in tutto il suo splendore. La brezza notturna di una notte che da lì a poco sarebbe giunta a termine, e una nuova aurora si sarebbe posizionata sul telo notturno, magari predicendo a tutti che da lì a poco una stella sarebbe nata, una canzone avrebbe fatto il suo, e tante vite sarebbero state perdute. Ma poco importava! L'unica cosa che importava per davvero era camminare, studiare, imparare, combattere. S'immedesimò in quelal veduta dela Diagon Alley. La vide come se fosse sua: di nuovo la banca in fondo al grande viale. Di nuovo l'oscuro tutt'intorno, le stelle sopra il suo capo e la pietra liscia sotto ai suoi piedi. "Che visione soddisfacente!" - pensò un attimo aprendo gli occhi e quasi ritrovandosi in quel posto pieno di miracoli. Le vetrine erano ancora chiuse, lungo la strada principale non regnava che il silenzio e l'ombra. Il vento faceva ancora tremolare le porte, infiltrandosi nei fori sotto agli stessi, muovendole. E più lontano vide di nuovo la pietra levigata, bianca, della Gringott. Anche la banca dei maghi sembrava ormai morta, di notte, quando non vi era anima viva. Guardandola prese in conto anche i piccoli fori tra le varie pietre, nonché i minimali rilievi delle pietre stesse. Davanti lo stesso cancello, mentre la porta principale, di legno massiccio e con varie decorazioni sopra rimaneva pacificamente chiusa, come a voler aspettare visitatori provenienti da tutto il Regno Unito magico. Quello era il cuore della via magica, nel pieno cuore della vita babbana. Che bellezza che era! E chi poteva biasimarla? Vicino alla banca immaginò anche la terra e il pavimento, sebbe si concentrò più sulla strada principale, laddove sulla pietra levigata (e scivolosa) si stava depositando della neve. I fiochi, in realtà, coprivano l'intero viale quasi completamente, dall'inizio alla fine, come a voler scandire un ritmo particolare, creare un quadro unico dentro a quella notte. Ai lati Raven vide gli stessi vicoli oscuri ciechi in cui anche di notte si nascondevano mille pericoli e tante difficoltà. Sentì l'aria gelida sulla propria pelle provenire da lì, e cercò di muovere, mentalmente, un passo in quella direzione, quasi scivolando nel mentre. Si fermò si abbassò e mise la mano a terrà: era fredda. Nella luce della luna vide il suo flebile riflesso; lungo il viale vi erano altre, flebili, fonti di luce. Ma non li considerò. Si rialzò, e quindi si girò indietro, dove non vi era altro che un muro di pietre rozze. Anche in quelle vide molto. Erano costruite per sbarrare l'accesso alla Diagon Alley e quella notte sembravano essere particolarmente silenziose. Anche sui loro rilievi, sulle loro pareti si depositava, in modo lento e misurato, la neve. Fredde a tocco, senza particolari riflessi o forme, non erano che la simbiosi perfetta del mondo babbano. Irregolari, alcune pietre con la punta acuta, altre piatte, disposte le une su di altre quasi come se la loro disposizione non avesse un significato preciso... Raven sbuffò. E fece nascere in sé quel strano, profondo desiderio di essere lì per davvero, di camminare su quella strada, di toccare quelle pietra, di osservare quelle porte. Lo volle con ogni fibra, con ogni neurone, con ogni cellula. Lo volle finché non sentì il suo Desiderio vibrare e trasformarsi. E quindi eseguì le due rotazioni con il polso badando bene a fare della seconda rotazione un cerchio più ampio rispetto al primo, in modo che inglobasse il calice. E quando finì con il preciso movimento eseguito con concentrazione e senza fretta, eseguì anche una rapida stoccata verso il calice pronunciando la formula magica con forza e determinazione degni di un mago come Raven. «Portus!» – esclamò energico puntando il calice sfiorandolo con la punta della propria bacchetta. Un raggio si liberò dalla bacchetta e raggiunse il calice. Questi tremolò per un attimo e senza pensarci due volte, Shinretsu Raven lo toccò. Immediatamente sentì u forte calore sotto il palmo della mancina e pensò di esserci riuscito: le gambe si staccarono dal suolo. L'effetto, però, durò poco e svanì quando Raven era già a 2 metri dal terreno. Non poté quindi che cadere a terra con tanto dolore e molte maledizioni che uscivano dalle sue labbra.
TENTATIVO N°7 "Non possa arrendermi!" - pensò l'Akuma e strinse il pugno. Sentì come le unghe gli penetrarono nella carne. Non era forse una sensazione incredibilmente gioisa, quella? Non era forse una sensazione simile all'estasi? La neve per terra venne presta mischiata al suo sangue, mentre sulle sue labbra si disegnava un ampio, largo sorriso. Amava le difficoltà. Amava gli ostacoli. Adorava le prove. Cosa vi poteva esserci di più bello del mettersi in gioco? Anche dinnanzi a un avversario apparentemente difficile da superare come quell'incantesimo. E poi, superare i propri limiti, spingersi oltre, era una specie di letmotiv che Raven Shinretsu da tempo perseguiva con gioia e una foga agonistica; una passione che non lo abbandonava da tempo; un qualcosa che lo faceva sentire vivo. Vivo per davvero. Non poteva abbandonare la strada intrapresa, quindi. Non poteva mollare; non poteva retrocedere. "O la va o la spacca", - non era soltanto un motto come un altro. Era ben di più: era il motivo della sua vita, il motivo ultimo della sua esistenza. Era il motivo per cui Raven Shinretsu non amava perdere, non amava retrocedere, non amava ritornare sui suoi passi. Dopo essere caduto, si rialzò. Come aveva fatto molte volte prima, e decine di volte ancor prima. Mise il calice là, dov'era prima. Il suo posto nella notte oscura sarebbe stato chiaro a tutti, quando il canto del Demone si fosse levato tutt'intorno. "Non ti resta che riprovare," - sbuffò, quasi annoiata, una voce nella sua testa. Come avrebbe mai potuto ignorarla? Ancora e ancora: quella era la strada giusta per giungere al termine dell'apprendimento e del primo, beve tragitto della sua lunga strada. Con la bacchetta in mano cercò di nuovo immaginare tutta la Diagon Alley così, come la vedeva per davvero: oscura e sileziosa. La banca dei maghi dinnanzi, le case, i negozi intorno. Il cielo stellato sopra, il scivoloso pavimento sotto. Senza dimenticare del grande, rozzo muro alle sue spalle. Come prima, cercò di vedere ogni cosa con lucidità, in maniera nitida e perfetta. La concentrazione, mista all'attenzione per i dettagli, avrebbe dato i suoi frutti. E allora ecco la sua mente divagare, di nuovo osservando, concentrandosi sulla grande banca dei maghi che l'Akuma vedeva dinnanzi. Le pietre lisce, bianche, il marco, el finestre chiuse, il grande cancello metallico e quant'altro ancora fecero comparsa nella sua mente come ben 6 volte prima. Cercò d'immaginare i rilievi, la piccola ruggine sul cancello metallico, la grande porta di legno, con sopra le decorazioni di vario genere. La banca dei maghi venne realizzata nella sua mente più gigante e impetuosa che mai. Un vero gioiello d'architettura e di costruzione... Bianca, in quella notte essa era appena visibile, che accoglieva i piccoli fiocchi di neve sulle sue giganti superfici. Dentro non vi era anima viva; la luce restava spenta; il silenzio regnava ancora. Intorno Raven immaginò vicoli secondari, più piccoli, più misteriosi. Anche quelli nascondevano molti segreti; dal loro interno - non una voce. Il pavimento che ormai stava diventano innevato conduceva gli spettatori ai lati della grande banca, ma Raven non proseguì. Si limitò a fermare la sua vista, la sua immaginazione là, nel buio. Oltre non riusciva a vedere, e fors etanto bastava. Perché poi si concentrò sulle file di case tutt'intorno a lui. Sui due lati. Laddove già prima aveva visto finestre vecchie e finestre nuove, le porte ben decorate e quelle decorate di meno; le vetrine, in cui di gioro si rispecchiavano i riflessi dei curiosi maghi che camminavano sù e giù per la Diagon Alley... Immaginò quei negozi uno a uno, con le relative devorazioni, le porte, e quant'altro. Lo aveva già fatto prima, e quella volta il tutto gli venne più naturale. Riuscì a creare quanto voleva con maggiore facilità, come se ormai quelle immagini fossero diventare una parte di lui stesso. Alzò lo sguardo; vide il cielo. Quindi guardò alle spalle lo stesso muro rozzo che segnava l'entrata nella Diagon Alley. Le pietre erano disposte le une sopra le altre, fredde al tatto. Non gli piacquero, eppure cercò di tenerle bene a mente prima di apssare alla fase pratica dell'incantesimo. Incanalò l'immagine e l'energia, mosse la bacchetta in due cerchi di grandezza non uguale disegnati in senso antiorario, in modo che il secondo risultasse più grande del primo, in modo che inglobasse il calice al proprio interno. Quindi eseguì una decisa stoccata verso il calice, non toccandolo, ma sfiorandolo con la punta. «Portus!» – ordinò con voce ferma e decisa. La sua voce risuonò; un raggiò partì verso il calice che per un attimo tremolò. "E fatta!" - pensò l'Akuma toccando subito il calice con la mancina. Questi tremolò insieme all'oggetto e per un attimo Raven percepì come se una sensazione di svanimento lo riempisse dai piedi fino alla testa. Sentì i piedi staccare da terra, e la testa roteare a mille. Poco dopo, però, il tutto svanì e il mago ritornò con i piedi per terra, caduto. Ancora una volta.
TENTATIVO N°8 Ogni fallimento era una motivazione per vincere; ogni vincita – un passo verso la realizzazione del suo Ideale. Con quei pensieri in anima e corpo l'Akuma si alzò dal terreno ancora dolorante. La caduta era stata brusca e ripida. Altrettanto lo era stato il dolore nel suo corpo. I lividi gli sarebbero rimasti per qualche giorno, ma li avrebbe portati come un valido segno dei suoi sforzi. Se ne sarebbe ricordato. E si sarebbe ricordato di quel dolore, che prima o poi lo avrebbe portato a superare i suoi limiti. Per aiutarsi respirò l'aria gelata di quel mattino: il sole ormai stava per alzarsi dall'orizzonte. Una nuova aura staa per nascere. Sentì l'aria gelata nei polmoni e sorrise. Dio! Se gli piacevano le sfide! Gli ostacoli! Di nuovo si chiarì i pensieri, cercò di calmare l'animo. Non vi era altro pensiero o altra preoccupazione in quegli istanti. Vi era solo lui e quell'incantesimo che con non poche difficoltà era riuscito a recuperare dalla biblioteca di Londra. Si sentì immediatamente fresco, seppure era stanco dopo tutto quel tempo passato lì a esercitarsi. Ripassò in mente le indicazioni giuste per imparare l'incantesimo e sena ripensarci poi molto, si concentrò sulle stesse immagini di prima. Ora doveva farle più dettagliate, precise, nitide e lucide. Doveva fare in modo da trovarsi realmente in quel posto, da respirare per davvero quell'aria, da sentire quel vento, da vedere quella neve. Era difficile? Forse! Ma chi avrebbe mai potuto dire che sarebbe stato facile? Come mai prima si cercò di concentrare sulle sottigliezze, sulle particolarità E chiudendo gli occhi, si vide di nuovo lì. Questa volta in maniera ancora più forte e chiara di quella di prima; questa volta doveva riuscirci. Si vide lì, sul largo viale della Diagon Alley in tutta la sua bellezza: bacchetta e mantello su di lui, gli occhi puntati verso l'alto, a osservare il lungo manto stellato. Il lungo e largo viale si disegnò nella sua mente in tutto e per tutto, colmo di dettagli vari. Sul viale Raven vide i tanti e negozi i piccoli vicoli laterali, colmi d'oscurità e silenzio. Sulla sinistra vide un lungo viale più ampio e grosso: la Nocturn Alley, che nell'eterna dualitò tra bene e male serviva soltanto a rivestire il ruolo della controparte del viale più largo, primario, quello "buono". Shinretsu Raven sbuffò nel vedere la piccola strada che portava all'interno della Nocturn Alley. Da lì solo un silenzio assordante, particolare. Al primo aspetto dentro non vi era anima viva, eppure ben si sapeva che soltanto muovendo un solo, piccolo passo in quella direzione avrebbe visto altro. Addentrandosi nell'oscurità di quel posto avrebbe sentito voci e sussurri, perché anche di notte la vita in quel posto era energica come non mai. La vita li infuocava come sempre. Le trattative venivano svolte e concluse. Il tutto e il contrario di tutto si mischiava in un unico aspetto, in un'unica pietanza. Quello però era solo un lato della Diagon Alley, e non sicuramente il posto principale in cui Shinretsu Raven voleva comparire. Perciò distolse le sue attenzione, facendole ritornare al punto di partenza: lui, al centro del grande, immenso viale. Come prima immaginò la grande banca dei maghi in fono alla strada. Grande, immensa come non mai, essa si levava su tutto il territorio circostante come una bianco edificio di considerevoli dimensioni. Come prima Raven cercò di disegnare quella banca in tutto e per tutto, come se fosse un frutto della sua fantasia, della sua immaginazione. Ma anche come se esistesse realmente in quel posto. Come se fosse del tutto reale. Le bianche, granitiche pietre disposte le une sopra le altre. I rilievi delle pietre accuratamente disposte fino a formare file parallele che andano allìinsuù costituivano lo scheletro fondante della banca dei maghi, i piccoli fori tra di esse, riempiti con del materiale edile. Le grandi mura continuava sia all'insù che lateralmente, fino a formare la costruzione. Ai lati della stessa Raven immaginò una lunga barriera metallica che circondava la costruzione frontalmente e lateralmente. Vicino alla grossa, massiccia porta in legno notò il pavimento scivoloso. Anche su di esso si stava depositando la neve, seppure tra i vari fiocchi si poteva vedre il riflesso della luna, che ormai stava scomparendo per lasciare spazio al sole. Cercò di rendere l'area della banca il più possibile dettagliata, immaginando anche le piastrelle sul pavimento dinnanzi alla porta e tutto il resto. Ci mise qualche secondo per avere ben chiara quell'immagine nella sua mente, quindi passò al resto. I viali laterali vicino alla grande banca, anch'essi oscuri e apparentemente silenziosi. Il pavimento scivoloso vi portava senza sosta, mentre i fiocchi di neve continuavano a raccogliersi qua e la. Non era forse una sensazione spettacolare quella? Con lo sguardo accompagnò entrambi i viali fino a farli confluire nella grossa Diagon Alley centrale. Quindi si concentrò su quest'ultima. Dapprima il pavimento: le piastrelle scivolose del viale disposte lungo tutta la strada su cui di giorno si ammassavano decine e decine di corpi di maghi. Le piastrelle erano irregolari: alcune più grandi, altre più piccole. Erano però disposte secondo uno schema precisa; un'ordine sul quale ora stavano cadendo i fiocchi di neve. Osservò quel pavimento in tutto e per tutto, in lungo e in largo, cercando di coglierne le sottigliezze più piccole. Lo immaginò a partire dalla banca, immaginò le strade secondarie, - la Nocturn compresa, - confluirci, e fece giungere il pavimento del viale fino al rozzo muro alle sue spalle. Una volta terminato d'immaginare il terreno, spostò la prorpia attenzione sui negozi laterali. Li vide come li aveva già visti prima: alcuni grandi, altri piccoli, alcuni nuovi e altri più vecchi. Osservò le loro finestre e le loro porte: la brezza mattutina sulle superficie, ragnatele negli angoli e la polvere sparsa un po' qua e un po' là vicino alle porte dei negozi meno visitati. Dapprima osservò tutte le case alla prorpia destra, cercando d'immagazzinare nella propria mente i dettagli più piccoli. Quindi passò alle casa sulla sinistra: anche qui, per ognuna delle stesse, cercò di cogliere quante più informazioni possibili dettagliazzando il tutto. Una volta terminato, poi, guardò indietro, ove vi era lo stesso muro di pietre rozze di prima. Come prima aveva già fatto, cercò d'immaginarlo in tutto e per tutto: la dimensione delle pietre, la loro disposizione. La sua immaginazione traeva spunto dai suoi ricordi, per come aveva visto quelle pietre per davvero quando vi era stato nella Diagon Alley di persona. Tutti i sassi nella sua mente assunsero una forma precisa, fino a che non pensò di essere pronto, di aver realizzato la Diagon Alley in tutto e per tutto. Al termine fissò per bene quell'immagine nela sua testa e fece confluire l'energia magica verso il braccio. Non restava altro da fare ora che eseguire con la bacchetta due cerchi in senso antiorario ricordandosi di far sì che il secondo fosse più ampio del primo e inglobasse il calice. Non appena terminò con il movimento fluido, eseguì una rapida steccata verso il calice, senza però toccarlo. In contempo pronunciò a voce alta la formula magica. «Portus!» – esclamò volenteroso, con il forte desiderio di riuscire nell'interno dentro al suo cuore. Un raggio partì dalla bacchetta, il calice si mosse. Vibrò. Per un attimo Raven pensò di non toccare: e se fosse caduto di nuovo? "Poco male!" - si rispose quindi allungando la mano sinistra fino al calice.
| Richiesto Intervento QM~ Punti Salute: 318 ~ Punti Corpo: 345 ~ Punti Mana: 498 ~ Punti Esperienza: 70,5
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