| Aveva avuto diverse occasioni per redimersi da quell'episodio che lo aveva condotto all'inevitabile perdita della spilla da Prefetto, invero uno dei suoi rimorsi più grandi, forse il peggiore. Dopo la scazzottata di quel pomeriggio, Blay Harmstrong dovette subirsi una dopo l'altra le ramanzine dei suoi insegnanti, lasciando per ultima quella del Preside. Blay, ai tempi solo un quindicenne, credeva di aver timore che l'uomo gli urlasse contro, strappandogli la spilla attentamente appuntata sul petto e insultandolo come in realtà sarebbe stato difficile fare. Così, quando il ragazzo entrò nello studio ovale e attese ciò che temeva, si disse sorpreso nel notare un'espressione ferma e cauta, forse un tantino più tesa del solito, illuminata da uno sguardo carico di disapprovazione che non trovò sfogo in parole. L'uomo allungò la mano in direzione di Blay, il quale poggiò su di essa la spilla e lasciò lo studio senza dire una parola. Col trascorrere degli anni, l'irlandese si era reso conto del perché quell'episodio lo avesse lasciato con tanto amaro in bocca: alle parole si può controbattere, ma il silenzio era un nemico contro cui non si aveva scampo. Dall'accaduto molte cose cambiarono, lo stesso Blay dovette accettare la realtà dei fatti: il Preside non lo aveva certo privato del ruolo di Prefetto solo perché il ragazzo aveva preso a pugni un compagno con il solo intento di difendersi. La verità era che, da un po' di tempo, Blay aveva iniziato a isolarsi dai compagni, a chiudersi sempre più in se stesso e a palesare un atteggiamento aggressivo, a tratti addirittura violento, cosa di cui il Responsabile della Casa di Serpeverde si era reso conto, informandone il Preside. Che Blay Harmstrong non fosse un ragazzo cattivo era un fatto risaputo da tutti, ma c'era da dire che i suoi cambiamenti d'umore mettevano a disagio chi non lo conosceva e destabilizzavano i suoi amici.
Nel ripensare a quei momenti, il ventiquattrenne non potè fare a meno di provare una certa nostalgia per quegli anni. Ricordava precisamente ciò che aveva provato nel ricevere la spilla da Prefetto, un moto di soddisfazione personale e orgoglio che nessun altro, ad eccezione del corpo insegnanti, aveva mai palesato nei suoi confronti. Non mirava a quella spilla, in realtà non aveva mai ricercato la gloria o il successo, in fondo i suoi genitori non gli avrebbero di certo fatto le congratulazioni per i traguardi ottenuti in ambito scolastico, dunque perché preoccuparsi? Eppure, essere riuscito in qualcosa solo con le sue forze ricevendo l'approvazione di qualcuno pur senza averla chiesta, fu un'esperienza memorabile, forse la migliore della sua breve vita. Sovrappensiero afferrò un pacchetto rettangolare che emergeva dalla tasca destra dei jeans, lo aprì e ne estrasse una sigaretta con le labbra, riponendolo poi al suo posto; con la stessa mano cercò nella tasca di dietro l'accendino, costringendosi a piegare il ginocchio destro e a sollevare leggermente il bacino, in modo da arrivare a destinazione senza problemi. Si accese la sigaretta e lasciò l'accendino sul materasso, mettendosi comodo con la mano sinistra dietro la nuca a mo di appoggio, la gamba sinistra a penzoloni dal materasso e quella destra piegata per sorreggerlo. Nonostante amasse la magia e la considerasse essenziale nella sua quotidianità, vi erano alcune cose che preferiva fare alla "vecchia maniera". Il vizio di fumare era comparso all'età di sedici anni, quando i quattro ragazzi con cui condivideva il dormitorio erano riusciti a sgraffignare da Arnold Burton un pacchetto di sigarette. Blay le conosceva, ovviamente, avendo trascorso i suoi primi undici anni di vita nel mondo dei Babbani, ma gli altri ne apparivano incuriositi oltre il livello consentito. Era stato il passatempo di una sera, ma Blay sapeva che iniziare a fumare sarebbe stata l'ennesimo fattore nella sua vita che i genitori non avrebbero approvato. Quindi lo fece. Tralasciò il fatto che anche suo padre fumava. I sigari, però, e di tanto in tanto la pipa, quando intendeva dedicare una serata a se stesso e al relax, leggendo il suo amato giornale e indossando ridicole pantofole rosa che gli aveva regalato la figlia per Natale. Il signor Harmstrong amava qualsiasi cosa i suoi bambini facessero per lui, purché i gemelli aprissero e chiudessero tale categoria. Blay fece un tiro, aspirò e dopo pochi attimi si divertì a creare piccoli cerchi di fumo sopra la sua testa, sentendosi più a casa in quella dimora diroccata che non nell'appartamento che aveva a Londra. A breve avrebbe cambiato domicilio, o per lo meno lo sperava considerando che nel giro di pochi giorni sarebbe andato a tenere un colloquio per un prestito alla Gringott. Aveva un progetto, un'aspirazione, ma l'immaginazione e la voglia di fare non erano sufficienti a sopravvivere: servivano i soldi, cosa che i suoi genitori avevano in quantità ma che non si erano mai offerti di dargli. Non che lui glene avesse mai chiesti. Fu un rumore al piano di sotto a fargli smettere di pensare al presente e al passato, costringendolo a sporgersi leggermente in avanti, come se ciò potesse bastare a scorgere la presenza di qualcuno al piano terra. Non sentendo o vedendo alcunché, tornò nella posizione precedente facendo scricchiolare le assi del pavimento e rischiando di sedersi su una molla del materasso, quando una voce lo fece sobbalzare appena, portandolo a pungersi proprio contro l'estremità appuntita di quella molla. Porca troia! La sigaretta gli scivolò via dalle labbra, cadendo sul materasso e bruciacchiane il punto di contatto, mentre con la mano destra si massaggiava il fianco dolorante. Dopo un attimo di esitazione afferrò la sigaretta e se la riportò alle labbra, mentre, rialzandosi, cercava con lo sguardo l'intruso. Si avviò verso la porta, con un timore che in futuro avrebbe negato di aver nutrito. Non aveva paura dei fantasmi, certo che no, ma perché rischiare di incontrarne uno? Con cautela si portò contro la balaustra del primo piano della catapecchia, sporgendosi con un senso di inquietudine che tendeva ad aumentare di secondo in secondo, fino a notare un ragazzino dai capelli scuri che appariva timoroso quanto lui. Tirò un sospiro di sollievo abbassando le palpebre per un momento, passandosi una mano sul volto e tenendo in bilico la sigaretta tra le labbra; poi riaprì gli occhi e si rivolse al giovane. Ehi, ragazzo, tutto bene? Non dovresti essere a scuola? Non che gli importasse davvero di quel moccioso, ma ci teneva a farlo sloggiare il prima possibile. Poi la fronte si aggrottò, lo sguardo si fece più sottile e le dita della mano destra andarono ad agguantare in un gesto ormai consolidato la sigaretta per allontanarla dalla bocca. E' sangue quello? Grandioso, ci mancava solo che qualcuno gli desse la colpa di non aver soccorso un ragazzino ferito. Maledizione.
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