When the lights fade away, Incarico Auror

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view post Posted on 9/3/2017, 22:55
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Atena McLinder
Gli angoli delle due carte si toccarono lentamente, guidati da un movimento preciso e misurato, combaciando alla perfezione. Anche l’ultimo pezzo era stato posizionato sulla cima della piramide di carte, formando una composizione di triangoli speculari in perfetto equilibrio tra loro.
Atena amava costruire castelli di carte, era un’attività che riusciva a distendere la sua mente ed assorbire ogni suo pensiero. Vi si applicava con calma e lentezza, posizionando ogni carta con millimetrica precisione, calcolando esattamente la giusta ampiezza di ogni angolo che andava a formare -
*50° al vertice, 65° alla base* - e posizionando ogni singola carta nel punto esatto in cui le forze avrebbero avuto il punto di massimo equilibrio tra loro – *la linea dell’altezza di ogni triangolo deve corrispondere alla bisettrice del vertice del triangolo rovesciato sottostante* -. L’equilibrio. Era la ricerca dell’equilibrio tra pesi e forze contrapposte che Atena amava, così come le geometrie perfette di quei triangoli posti tutti uno a fianco all’altro. Immergersi in questa attività le liberava la mente, concentrando i pensieri su un unico obiettivo. Ottimo esercizio per mantenere un pensiero lucido e razionale anche nei momenti di maggiore tensione, tipici del suo lavoro.
E quel giorno doveva davvero essere lucida e razionale, si apprestava infatti ad affrontare il suo primo incarico ufficiale da Auror.
Il caso le era stato affidato solo poche ore prima, si trattava di una faccenda delicata, sulla quale non vi erano ancora molti indizi. Tutto ciò che aveva erano i corpi senza vita di due Babbani – probabilmente avvelenati da una pozione mortale – e l’indirizzo della loro abitazione. Era proprio lì che doveva recarsi quella sera, nella speranza di trovare tracce, indizi, o qualunque cosa potesse aiutare a fornire una pista.
Seduta sulla sua poltrona osservava pensierosa e soddisfatta la composizione di carte. Aspettava che la luce del giorno svanisse per lasciare il posto al buio della notte, alleato che avrebbe celato ad occhi indiscreti il suo passaggio. Aveva già stabilito il percorso da seguire per raggiungere la sua meta, evitando le strade principali e troppo affollate e preferendo invece vicoli secondari. Non poteva certo affidarsi alla Materializzazione, sarebbe stato estremamente incauto in una zona abitata da Babbani.
Con un morbido balzo il suo gatto saltò sul tavolo, distraendola dai suoi pensieri, e si mise ad annusare con curiosità e circospezione la strana costruzione. Atena sorrise, accarezzandogli la testa
«E’ tutta tua!» disse lasciando a Gatto tutto il divertimento di sbilanciare gli equilibri e sperimentare la forza di gravità. Sì alzò dalla poltrona e lanciò un’occhiata fuori dalla finestra. Il sole stava ormai tramontando, inondando di una calda luce arancione i tetti dei palazzi londinesi. Non mancava ancora molto al momento stabilito.
Fece quindi una doccia e si vestì. Per l’occasione scelse dei semplici jeans scuri (tra i Babbani erano molto di moda), una maglia grigio chiaro e una giacca in pelle nera a completare il tutto. Suo malgrado, dovette rinunciare al mantello, nonostante amasse indossarlo in ogni occasione: avrebbe destato troppa curiosità e avrebbe limitato i suoi movimenti. Si infilò le scarpe, stringendo con decisione i lacci. Raccolse i capelli sulla testa in un’acconciatura comoda e si guardò allo specchio per valutare il risultato. Si, non aveva nulla di troppo appariscente che potesse attirare l’attenzione o rallentarla nel suo operato.
Diede un’ultima letta agli appunti sul caso e al tragitto stabilito in precedenza, per poi infilare i figli in una tasca interna del giubbotto. Prese con sé il distintivo Auror e la sua fedele bacchetta. Fuori il cielo era ormai nero, punteggiato qua e là da qualche stella. Era il momento di entrare in azione. Aprì la porta di casa e uscì.
Le strade erano semideserte e l’aria della notte era pungente. L’emozione per il nuovo caso aveva lasciato il posto alla determinazione e alla logica. Camminava con passo deciso guardando dritto davanti a sé o abbassando lo sguardo quelle rare volte in cui incrociava qualcuno. Avanzava restando nell’ombra, rasente al muro, evitando i fasci di luce dei lampioni o quelli che uscivano dai locali aperti. Il percorso che aveva ideato si rivelò sicuro, i vicoli erano tranquilli e poco frequentati. Ben presto si ritrovò in prossimità della meta. Si fermò un istante per assicurarsi di essere nel posto giusto e che nessun Babbano la stesse osservando.
«Molto bene, l'abitazione delle vittime dovrebbe essere appena dietro il prossimo angolo. Andiamo Willy, il divertimento inizia ora.» disse incoraggiando il suo fedele amico immaginario, o forse se stessa.
Ancora alcuni passi davanti a sè e infine svoltò l’angolo.


● Auror ● Scheda Outfit


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Punti Corpo: 120 (110 +10 Auror)
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view post Posted on 13/3/2017, 11:03
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Londra ◬ Roupell St.grvxtfd

Londra, una città moderna, testimone di un via vai di culture e razze, ma al contempo anche simbolo di unione tra due mondi. Babbani e Maghi, i primi all'oscuro dell'esistenza dei secondi, vivevano gli uni accanto agli altri, a volte la loro vicinanza era tale da creare legami profondi ed indissolubili, altre volte era invece l'odio a farli scontrare. Quella sera, per le strade di una città avvolta nell'oscurità, una giovane Auror al primo incarico, aveva il compito di comprendere cosa avesse dato luogo ad uno spiacevole incidente. Una coppia di babbani morta di una morte inspiegabile era una faccenda delicata, sarebbe stata in grado di comprendere fino in fondo le possibili sfaccettature di quel caso tanto particolare?
L'indirizzo scritto su un foglio, riportava una via piuttosto vicina al centro di Londra, ma non troppo in vista: Roupell St, numero 24. Ogni casa in quella stradina aveva l'aspetto di quella che l'affiancava, sviluppate in verticale su almeno tre piani, erano principalmente color mattone, tanto che il tetto sembrava far parte del muro esterno. Anche i caminetti erano del tutto identici, alcuni erano spenti e da altri usciva un fumo grigio. Quelle erano le uniche costruzioni della via, un filare molto lungo sia a destra che a sinistra di case identiche, le cui fondamenta si appoggiavano direttamente ai due marciapiedi ai lati della strada, punteggiati di lampioni e bassi alberelli. Facevano eccezione solo le porte che invece avevano un colore differente per ogni civico, alcune erano state recentemente riverniciate, altre mostravano i segni del tempo e dell'incuria. Quella che riportava il numero ventiquattro era rosa salmone, e si trovava tra una porta gialla ed una azzurrina.
A quell'ora per strada non c'era quasi nessuno, solo l'Auror ed un'anziana signora che portava a spasso un batuffolo di pelo dalle vaghe sembianze canine. Avvolta nella sua pelliccia, forse anche troppo calda per la stagione, passò davanti ad Atena senza nemmeno degnarla di uno sguardo, troppo concentrata a seguire le indicazioni che il cagnolino le dava, tirando il guinzaglio nella direzione che più l'aggradava. Ma, oltre a lei, nessun altro sembrava voler scendere in strada. Una volta svoltato l'angolo, Atena non avrebbe fatto troppa difficoltà ad individuare il luogo di partenza delle sue indagini, la porta era a pochi metri di distanza da lei, le sarebbe bastato attraversare la strada per trovarvisi accanto. Alcune auto erano parcheggiate lungo il marciapiede che portava agli usci, erano tutte più o meno simili, fatta eccezione per una che invece era totalmente nera e riportava una targa scura, diversa dalle altre, ma troppo coperta per essere ben leggibile. Dalla finestrella accanto alla porta color salmone, usciva una luce fioca che andava ad unirsi al coro di piccole luci sparse per la via. Il camino però, era spento. Se la donna avesse prestato attenzione, avrebbe potuto notare come l'uscio del civico ventiquattro fosse aperto di qualche centimetro. Era un quartiere silenzioso, poche macchine passavano, e non sembravano provenire troppi rumori dalle abitazioni circostanti, perfino chi passeggiava non sembrava voler emettere suoni. Nulla a che vedere con il centro della City, in cui ogni rumore si perdeva, sovrastato da uno più forte. No, in quel luogo se la ragazza avesse sussurrato qualcosa, probabilmente la sua voce sarebbe comunque giunta dall'altra parte della strada.
Sarebbe stata Atena McLinder ad infrangere quel tetro silenzio? O forse Willy?



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La tua missione è iniziata, buona fortuna!
In caso di dubbi, non esitare a contattarmi.

 
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view post Posted on 14/3/2017, 22:11
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Atena McLinder
Atena svoltò l’angolo. *Roupell St. 24, Roupell St. 24* ripeteva tra sé, come se volesse fare in modo che l’indirizzo non le fuggisse dalla mente. Non che ne avesse davvero bisogno, ormai lo aveva letto e ripetuto così tante volte che non avrebbe sbagliato nemmeno se lo avesse voluto, ma era tuttavia un ottimo espediente per mantenere i pensieri fissi sul suo obiettivo. Diede un’ampia occhiata alla strada che le si apriva davanti: due schiere di case pressoché uguali, tutte in fila ordinatamente una accanto all’altra come una lunga e lineare fisarmonica. Le abitazioni erano piuttosto piacevoli da vedere, osservò, davano un senso di ordine e allo stesso tempo ogni personalizzazione rivelava qualcosa sulla famiglia che vi abitava. Inoltre avevano i caminetti, e Atena adorava le case con i caminetti. Cercò di immaginare che cosa stessero facendo le persone all’interno di quelle case: coppie che terminavano la cena intorno ad un tavolo –il profumo di the e cannella o di una torta al cioccolato che riempivano la stanza-, anziani che leggevano davanti ad un caldo camino acceso, bambini che ormai dormivano tranquilli tra le braccia di Morfeo. O chi invece, nel suo letto, non riusciva a trovare sonno, ancora turbato dalle due morti avvenute a soli pochi passi dalla sua abitazione.
La ragazza spostò l'attenzione dalle abitazioni al vicolo che divideva le due fila di palazzine. Tutto era deserto e silenzioso. L’occhio le cadde su una delle auto parcheggiate ai lati della strada. Non capì subito il motivo per cui quell’auto avesse attirato la sua attenzione, solo in un secondo momento si rese conto che aveva qualcosa di diverso: completamente nera, si stagliava in netto contrasto con i toni caldi delle case e con l’atmosfera stessa –inglese e quasi antica- di quel vicolo. Non riuscì a vedere se al suo interno vi fosse qualcuno né a scorgere la targa, quasi illeggibile, come se fosse stata oscurata di proposito.
*Forse mi sto solo facendo influenzare dalla notte e quest’auto non ha nulla di insolito* si disse, ma appuntò mentalmente questo particolare, nel caso fosse risultato rilevante in un secondo momento.
Cercò di individuare il numero 24. Non fece fatica a trovarlo, era a soli pochi metri da lei, sul lato opposto della strada. La casa aveva una porta color salmone. La giovane Auror la osservò inclinando lievemente la testa, come faceva sempre quando qualche pensiero le frullava nella mente.
*Non male come colore, anche se piuttosto ordinario, io avrei optato per un bel giallo acceso* pensò tra sé e sé *o un fucsia. Oppure un azzurro cielo! Si, un bel colore acceso che trasmetta allegria!*. Si era da poco trasferita a Londra ed essendo ancora alle prese con l’arredamento del suo nuovo appartamento non perdeva occasione per trovare idee nuove e originali. Ad ogni modo, non era quello il momento di perdersi in frivole fantasticherie, né di pensare ai colori per la porta dell’abitazione di due giovani da poco deceduti. Prima che i suoi pensieri passassero in rassegna il colore delle tende, scosse la testa per tornare a focalizzarsi sulla casa. Notò allora che da una finestra accanto alla porta color salmone usciva una debole luce.
*Per le Lune di Giove!* Che potesse esserci un intruso nell’abitazione? Qualcuno stava forse manomettendo la scena del crimine? Al pensiero sentì qualcosa pungerle lo stomaco, come se l’intruso stesse violando la sua stessa abitazione. Aveva forse a che fare con la strana automobile parcheggiata nel viale? *Potrebbe anche trattarsi di un agente di Scotland Yard che pattuglia la zona* pensò tra sé, mordendosi il labbro inferiore. Il Capo Auror le aveva accennato al fatto che la zona fosse ancora sotto stretta sorveglianza dalla polizia Babbana, era un’ipotesi da non escludere. Vagliò velocemente le possibili linee d’azione. Qualunque fosse la ragione di quella luce fioca, decise che doveva assolutamente entrare al più presto. Poteva essere una mossa ardita, ne era consapevole, ma non poteva tirarsi indietro proprio ora, con il rischio di lasciarsi sfuggire sotto il naso qualcosa di importante. Attraversò la strada a testa bassa, cercando di celare il volto a un eventuale osservatore, camminando lievemente per non rompere il silenzio di quella notte. Quando fu a pochi passi dalla porta si accorse che era aperta di alcuni centimetri. Aggrottò la fronte e con molta circospezione vi si avvicinò. *Il lato positivo è che non devo perdere tempo a scassinare la serratura*. Aprì la porta quel tanto che bastava per scivolare al suo interno con un rapido movimento, socchiudendola poi per riportarla nella posizione in cui l’aveva trovata. Una volta dentro restò immobile per alcuni istanti, per dare il tempo ai suoi occhi di individuare i profili della stanza, illuminati lievemente dalle luci che provenivano dall’esterno. Aveva le orecchie tese per captare ogni eventuale rumore che provenisse dalla casa. La mano sulla bacchetta, pronta ad ogni evenienza.
Si guardò intorno per studiare il luogo in cui si trovava e valutare la prossima mossa.


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view post Posted on 16/3/2017, 16:28
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Il Fato

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Quanto aveva da dichiarare una via così silenziosa? C'era già qualcosa che meritava un'attenzione speciale? All'interno delle mura di quelle palazzine, nessuno sembrò preoccuparsi del mondo esterno. L'omicidio della coppia di giovani aveva probabilmente destato un certo interesse, data l'apparente tranquillità del quartiere, ma allora perché lasciare la porta aperta? Dimenticanza?
Lo spirito di osservazione non impiegò molto a fare la sua comparsa nella giovane Auror, intenta a studiare tutto ciò che in quella via potesse dirle qualcosa di più. Informazioni, era lì per cercarle e forse anche per occultarle a possibili babbani.
Chi altri avrebbe davvero potuto comprendere quanto pericoloso fosse lasciare in bella mostra segni di magia evidente? Ma quella casa non sembrava totalmente disabitata, forse anche quel barlume proveniente dal suo interno era stato una dimenticanza? Senza più la necessità di bussare o di scassinare una serratura, la ragazza fece il suo ingresso scivolando in silenzio dentro la porta color salmone, per poi riportarla al suo stato iniziale. Chiunque si fosse accorto di quell'apertura avrebbe certo notato la differenza se dopo quella non vi fosse più stata. Il buio che l'accolse era privo di stelle, e gli occhi della donna impiegarono alcuni attimi ad abituarsi a quello scarso e quasi nullo livello di visibilità. Quando furono pronti, Atena poté intuire di trovarsi in un corridoio d'ingresso, largo tanto quanto la porta stessa. Alla sua sinistra, a portata di mano, un appendiabiti scuro e semplice si ergeva arrivando quasi a toccare il soffitto, anch'esso non troppo alto. Era spoglio tranne per un ombrello richiuso e poggiato nell'apposito contenitore ai piedi dell'oggetto. La fine del corridoio non era visibile, troppo immersa nell'oscurità. La parete di sinistra, fin dove l'occhio di Atena giungeva a vedere, era spoglia. Lungo la parete di destra, ad un paio di metri di distanza dall'ingresso, c'era un'altra porta.
Era probabile che la luce che illuminava la finestra esterna, venisse da lì, perché benché chiusa era ben visibile che all'interno la luce fosse accesa. Una lama rettangolare illuminava proprio la base della stessa. Dopo alcuni attimi, un movimento dall'interno oscurò proprio quella luce, in concomitanza con il rumore di alcuni passi. Non vi sarebbero stati troppi dubbi, c'era qualcuno al suo interno. Che fosse qualcuno dei buoni? Impossibile capirlo lì su due piedi, nel buio di quel corridoio. I passi, lenti e cadenzati, proseguirono seppur allontanandosi dalla porta.
Ad unirsi a quei pochi rumori, un'improvvisa folata di vento, che s'infiltrò giungendo fino ad Atena e soffiò con un' intensità tale da far chiudere la porta alle sue spalle.
Dopo il tonfo che dichiarò la chiusura definitiva dell'uscio, il rumore di passi cessò.



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view post Posted on 18/3/2017, 10:44
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Atena McLinder
Non appena i suoi occhi si furono abituati al buio, Atena si guardò intorno per scrutare il nuovo ambiente. Si trovava in uno stretto corridoio, nell’oscurità riusciva solo a distinguere i contorni di un attaccapanni alla sua sinistra. Sulla destra invece individuò subito la stanza dalla quale proveniva la luce che aveva scorto dall’esterno. La porta era chiusa ma la luce filtrava dallo spiraglio in basso.
Anche in quella casa regnava lo stesso silenzio che riempiva la strada. Un silenzio rotto però da un passo. I sensi della ragazza si acuirono. Un’ombra coprì la debole luce che filtrava da sotto la porta. Ora non c’erano più dubbi: nella casa c’era qualcuno. Un altro passo, e la luce tornò a illuminare il pavimento. Chi poteva mai essere? E per quale motivo si trovava lì?
I passi continuarono, lenti, cadenzati, il loro rumore acuito dal silenzio. Atena scrutò il corridoio per riflettere su come procedere, come se una risposta potesse giungerle da qualche elemento che aveva trascurato. Era il caso di intervenire? O sarebbe stato più cauto aspettare ulteriori indizi? Avrebbe potuto nascondersi per osservare meglio le mosse dello sconosciuto, oppure ispezionare il resto della casa all’insaputa dell’intruso. Nascondersi nel buio o andare verso la luce?
I suoi pensieri furono interrotti da una folata d’aria che si insinuò dalla porta socchiusa, facendola rabbrividire. Subito dopo il rumore della porta che si chiudeva la fece quasi sobbalzare. Anche l’intruso doveva aver sentito il rumore, perché i suoi passi cessarono di colpo. Se prima Atena aveva qualche possibilità di mantenere segreta la sua presenza, ora non aveva più molta scelta, come se il vento, il destino o forse uno scherzo di Willy, le avesse dato una spinta in avanti e lei non potesse fare altro che proseguire.
Si chiese a cosa stesse pensando lo sconosciuto al di là della porta, se in quel momento provasse paura o se si stesse preparando ad uno scontro. Se, come lei, stesse vagliando le possibili mosse, riflettendo se fosse più sicuro oltrepassare la porta oppure restare fermi, in attesa della mossa dell’altro.

*Che diamine, andiamo in fondo a questa faccenda!*. Atena non volle aspettare oltre, odiava tentennare, restare in attesa, preferiva agire e sentire di avere il controllo della situazione nelle sue mani. *E luce sia*.
Quella luce sarebbe stata per lei un luogo sicuro? Oppure, ironicamente, avrebbe rappresentato un luogo di insidie? Era il momento di scoprirlo. Fece alcuni passi verso la porta, mise una mano sulla maniglia e aprì.

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Ogni individuo ha una data capacità di sopportazione del silenzio, amore ed odio, ma se il contesto è teso come al civico 24 di Roupell Street, allora nessun calcolo vale. Dopo la chiusura improvvisa della porta, tutto era cessato, tanto che la giovane Auror avrebbe potuto percepire solo il suo respiro. Poteva dire lo stesso anche chiunque si trovasse dentro la stanza con la luce accesa? Un ventaglio, forse limitato, di scelte, si era aperto in quel preciso istante, ma il fato non avrebbe mai avuto l'ardire di predire quella di Atena. Rimase dunque in agguato, osservandola afferrare il toro per le corna ed avvicinarsi alla maniglia e piegarla in basso, spingendo poi quel tanto che bastava per aprirla.Cosa avrebbe visto, dopo?
La prima cosa a colpire gli occhi ormai quasi assuefatti al buio, fu proprio la luce, benché non troppo fredda, che proveniva da un lampadario appeso al soffitto, un classico dell'arredamento vintage, mai pulito a sufficienza. Pochi attimi dopo avrebbe potuto comprendere di trovarsi in un salottino abbastanza ampio. Lungo la parete sinistra c'era una libreria antica in legno scuro, chiusa da tre grandi vetrate che lasciavano intravedere pochi dettagli dal punto in cui si trovava. Sul lato destro, appoggiato al muro, c'era un divano in pelle scura, dall'aspetto molto vecchio. Al centro del pavimento troneggiava un tappeto persiano dai toni rossicci. Impossibile vederne la trama perché proprio al centro vi era un grande telo nero, che copriva qualcosa. Dal telo fuoriusciva un piede femminile, pallido. La ragazza non poteva sapere con certezza cosa vi fosse sotto, ma indubbiamente poteva intuirlo con non troppa difficoltà. Ma, come era stato chiaro fin prima, non era sola in quella stanza.
Ud8NHeZ
A guardarla con intensità, dall'altro capo del tappeto, c'era un uomo. Guanti bianchi a coprire le mani, tenuta sufficientemente elegante, coperta appena da un cappotto grigio scuro. Capelli e barba ben curati di un color marrone molto classico e due occhi grigi dal taglio sottile. Sarebbe stato complesso determinarne a colpo d'occhio l'età, ma difficilmente avrebbe superato i quarant'anni. Lo sguardo che le rivolse fu particolarmente serio, spezzato solo da un sopracciglio alzato che invece denotava anche una buona dose di curiosità.
«E lei sarebbe?» Una domanda posta con semplicità, ma che lasciava trasparire il carattere imperativo della richiesta. Svariate potevano essere le risposte, forse sarebbero dipese dall'impressione che lui poteva aver fatto? Non c'erano molti indizi da valutare, il cappotto grigio lungo fino alle ginocchia, anche se semi aperto, lasciava intravedere solo un completo di un grigio più scuro, ed una camicia bianca, nessuna cravatta. Era abbastanza per comprendere come muoversi? Lentamente l'uomo iniziò a disegnare il perimetro del tappeto con i suoi passi, diretto verso l'unica porta di quella stanza.


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view post Posted on 25/3/2017, 16:45
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Atena McLinder
Doveva ammetterlo, una parte di lei sperava che si trattasse solo di un’avventata vecchietta o di un incauto giovinetto.
Invece lo scenario al di là della porta era ben lungi dal prevedere la presenza di un qualunque babbano sprovveduto.
Le ci vollero alcuni istanti – millesimi di secondi che dilatarono il tempo - per mettere a fuoco la stanza: un’antica libreria, un divano consunto e, al centro, un grande tappeto con quello che a prima vista sembrava essere un corpo senza vita coperto da un telo nero. Ma ciò che maggiormente catturò la sua attenzione non furono i mobili, né il pallido piede che fuoriusciva dal telo, ma Lui.
Atena era una persona curiosa. La possibilità di poter afferrare una nuova conoscenza esercitava su di lei una sorta di attrazione fatale. Fu proprio questo – più di tutto il resto – ad averla spinta ad aprire quella porta, la possibilità di poter allungare una mano e afferrare il velo che le celava una nuova verità. Ma, come ben sapeva, una volta svelato un mistero, un altro velo le si parava davanti, facendo sorgere nuovi interrogativi. E così all’infinito, in un’infinita – seducente - sfida. Questo fu ciò che provò nel momento in cui il suo sguardo si posò sull’uomo.
Lo sconosciuto aveva un aspetto curato, indossava abiti eleganti e sembrava essere molto sicuro di sé. Notò che alle mani portava dei guanti bianchi. Non sembrava mostrare il minimo turbamento per essere stato scoperto in quel luogo, al contrario, dava l’impressione di avere la situazione pienamente sotto controllo. Lo sguardo che rivolse alla ragazza fu serio e penetrante.
*Curioso* pensò Atena, notando che l’uomo le provocava la stessa sensazione che aveva provato poco prima quando, fuori dall’abitazione, aveva osservato l’auto scura parcheggiata lungo la strada. Entrambi avevano un aspetto serio e distinto, in netto contrasto con l’ambiente che li circondava.
*Dimmi, chi sei?* pensò interrogando il mistero che aveva di fronte, come era solita fare quando nei suoi studi si trovava ad affrontare un nuovo problema. *Da quale mondo vieni? Che intenzioni hai? Sei forse un nemico o…* Il filo dei pensieri si interruppe, una nuova ipotesi lampeggiò irruenta nella sua mente. Un’ipotesi che quasi la spaventava più del pensiero di trovarsi davanti un nemico: Scotland Yard. Poteva forse aver di fronte niente meno che un agente della polizia babbana? A giudicare dall’aspetto, non doveva essere una persona qualunque.
La domanda dell’uomo arrivò diretta, ora era lui a interrogare lei.
Lo osservò mentre, lento e disinvolto, accorciava la distanza che li separava, passando accanto al telo nero. Il telo nero. La sua concentrazione era stata talmente assorbita dall’uomo che per qualche istante aveva dimenticato il resto della stanza. Si chiese se il piede che usciva dal telo appartenesse ad uno dei due giovani assassinati o se potesse trattarsi di una terza persona. Ma decise che avrebbe pensato a ciò che era celato sotto il telo più tardi. Ora doveva occuparsi dell’uomo che si stava avvicinando. Su di lui sapeva ancora troppo poco e ciò che sapeva non erano altro che sensazioni e fantasie. Doveva scegliere con cura le parole da pronunciare, non voleva rischiare di risultare ostile - avrebbe potuto aver bisogno di collaborare con lui - né sprovveduta, per non dare l'impressione di essere un semplice e innocuo ostacolo di cui potersi sbarazzare facilmente.

«Mi stavo chiedendo la stessa cosa di lei dal momento in cui ho visto la luce accesa nella stanza. E’ un’ora insolita per introdursi in un’abitazione» disse, restando ferma sulla porta. Il tono era tranquillo, sicuro ma non ostile. Gli rivolse uno sguardo serio e determinato, acceso da un bagliore di curiosità. La curiosità che si prova di fronte ad una nuova sfida.

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L'uomo smise di camminare non appena la voce di Atena lo raggiunse, portando con sé parole evidentemente inattese. Si fermò ad appena un paio di passi da lei, mentre un sorriso divertito prendeva il posto dell'espressione seriosa appena mostrata. Probabilmente non era pronto a ricevere una contro affermazione simile, e non si premurò di nascondere un certo stupore, sollevando appena un sopracciglio. La differenza di statura divenne evidente in pochi attimi, c'erano quasi trenta centimetri di differenza tra lui e lei, eppure non c'era superiorità nella postura di quell'uomo. Si tolse lentamente entrambi i guanti, fermando così a metà il gesto che stava per compiere quando aveva iniziato a portarsi la mano dietro la schiena. Non c'erano né fretta, né ansia nei suoi pensieri e nei suoi movimenti, ogni cosa veniva ben soppesata nella sua mente. Entrambi si stavano ponendo le stesse domande, forse. Chi avevano d'innanzi? Erano amici o nemici? Ma soprattutto: cosa ci facevano al civico ventiquattro a quell'ora? Un'altra domanda avrebbe poi fatto capolino nella mente della giovane ragazza: a che mondo appartenevano? Ella sapeva che quell'incarico le era stato affidato anche grazie alla sua conoscenza del mondo babbano, ed alla sensibilità che avrebbe potuto avere nei confronti degli individui non magici. C'era quindi da chiedersi a quale categoria appartenesse quell'uomo tanto distinto e sicuro. Con un gesto lento, senza distogliere lo sguardo dalla giovane, l'uomo estrasse un distintivo dalla tasca interna della sua giacca, e lo mostrò tenendolo ben saldo in mano, in modo che lei potesse vederlo ma non raggiungerlo. Accanto alla foto inequivocabile dell'uomo, vi era un bollino nero, con al suo interno una stella ad otto punte, sulla cui principale faceva bella mostra una corona reale. La scritta che percorreva le linee curve del distintivo, in bianco su sfondo nero, era ben leggibile e chiara. «Detective Huges, New Scotland Yard.» Affermò l'uomo, rivelando nome e generalità senza batter ciglio, ripiegando rapidamente il distintivo una volta conclusa la presentazione. L'accenno di divertimento che aveva mutato l'espressione dell'uomo, svanì con naturalezza, mentre nuovamente la domanda veniva posta, in maniera appena differente, quasi senza via di scampo. «Lei si trova sulla mia scena del crimine, in un luogo che difficilmente le consiglierei di frequentare. Non mi risulta che le vittime avessero parenti, quindi a meno che non sia una ladra, e dubito sia così, potrebbe dirmi chi ho davanti?» Esattamente come lei stessa aveva immaginato, l'uomo si presentò in quanto agente di Scotland Yard, la stessa unità con la quale lei avrebbe dovuto collaborare, se fosse riuscita a trovare una scusa plausibile per la sua presenza in quella casa. Il Detective era parso comunque gentile, ma sempre perentorio, forse non avrebbe accettato una nuova risposta dubbiosa o sconclusionata. Ad uno sguardo più attento, Atena avrebbe potuto notare che sotto il telo nero ci sarebbe stato posto per un solo corpo. Chi avrebbe potuto fare il suo ingresso in un luogo del genere senza insospettire troppo un Detective? «Non mi dica che è uno sciacallo dei giornalisti, c'è stato fin troppo accanimento mediatico.» Quella frase, seguita da uno sguardo ancor più indagatore, avrebbe poi concluso quel primo momento di studio tra i due, aprendone un secondo, più complesso.
Che fosse uno spiraglio? Una scia da seguire? C'era bisogno di un'identità valida.



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Atena McLinder
Tutti i pezzi sembrarono andare al loro posto: l’auto, la scena del crimine, il portamento e la disinvoltura dell’uomo. Riflettendoci ora le sembrava naturale che la persona che aveva di fronte non potesse che essere un Agente di Scotland Yard e si stupì nel constatare che questa rivelazione le fece provare un certo senso di sollievo. Tuttavia il sollievo si dileguò presto, per riportare la concentrazione fissa sugli obiettivi successivi. Atena aveva osservato con attenzione i gesti del Detective - lenti e ponderati - mentre si avvicinava a lei, si toglieva i guanti e le mostrava il distintivo. Aveva soppesato con cura le sue parole ed aveva osservato il suo atteggiamento. Nonostante il tono deciso, l’uomo non sembrava autoritario, ma piuttosto autorevole.
Il momento in cui il Detective terminò di parlare segnò l’inizio di un nuovo atto: se fino a qualche minuto prima la sua era una missione in solitaria, ora si rendeva necessario – essenziale - cercare la collaborazione dell’uomo. Sapeva che non poteva più tentennare o eludere la domanda, non solo perché difficilmente avrebbe avuto una via di fuga se lo avesse fatto, ma perché la sua missione dipendeva strettamente dall’esito di quella conversazione. Doveva offrire delle risposte sicure, per permettere al suo interlocutore di valutarla e metterlo nella posizione di poter scegliere se fidarsi di lei. Offrirgli la scelta. Una scelta delicata - nonostante lui fosse allo scuro della vera portata della posta in gioco - che avrebbe segnato il percorso della missione stessa. Una scelta necessaria, perché Atena riteneva fondamentale che lui si sentisse in potere di decidere.
Restò un istante in silenzio, per raccogliere e riordinare i pensieri. Poi, come se quel secondo le fosse bastato per decidere come proseguire, diede inizio al nuovo atto. Esordì dunque, mantenendo un tono sicuro, ma tranquillo.

«Agente McLinder. E’ un piacere conoscerla, Detective Huges.» allungò il braccio per stringergli la mano, reggendo il suo sguardo. Rivelare il suo nome poteva essere una scelta azzardata, ma era profondamente convinta che se voleva avere qualche possibilità di guadagnarsi la sua fiducia e collaborazione, doveva essere disposta a rinunciare ad una parte della sua copertura. Solo chi è pronto a rinunciare ad una parte di se stesso, a scendere in campo e giocare, può essere in grado di cambiare le cose. «Mi perdoni per essermi introdotta sulla scena del crimine, non era mia intenzione interrompere il suo lavoro.» cercò di mostrarsi inoffensiva. «E, no, non si preoccupi, non ho nulla a che fare con la stampa, grazie al cielo» l’ultima affermazione del Detective le aveva strappato un sorriso. La stampa, seccatura comune tanto per gli Auror quanto per Scotland Yard, due facce della stessa eguale medaglia, seppure mai comunicanti tra loro. Continuò, il tono sicuro, calmo, determinato.
«Mi può definire come un'esperta in veleni e sostanze…fuori dal comune.» Fece ricorso alle sue conoscenze sul caso per cercare le parole che meglio esprimessero il suo lavoro, in un modo che suonasse accettabile e plausibile ad un Babbano. Non voleva discostarsi troppo dalla verità, nei limiti che le imponeva lo Statuto di Segretezza e il senso del dovere nel confronti del Dipartimento Auror. Era una situazione troppo delicata per mentire. Una menzogna avrebbe potuto innalzare muri in grado di mettere a repentaglio la reciproca fiducia. Così come l’assoluta verità avrebbe determinato la sua fine.
Lasciò una breve pausa per permettergli di assimilare le informazioni, riprese subito dopo.
«Posso aiutarla a risolvere questo caso, Detective. Vede, se le mie ipotesi sono esatte nessuno della sua squadra è riuscito a identificare la causa della morte dei due giovani – e se così non fosse la prego di dirmelo e io stessa me ne andrò in questo momento, perché la mia presenza qui non avrebbe più alcuna ragione d’essere.» Uno sguardo penetrante, per osservare la sua reazione. Non vi era tuttavia alcuna traccia di saccenza o superiorità. Sapeva per certo che Scotland Yard non era riuscita ad arrivare a nessuna conclusione sul caso – come avrebbe potuto? – sperava di suscitare l’interesse del Detective nei suoi confronti e persuaderlo, se non a fidarsi, almeno ad approfondire e prolungare la conversazione. «Ho le competenze necessarie per portare le indagini ad un punto di svolta, se lei me lo permetterà. Non sono qui per intralciare il vostro lavoro. Il mio obiettivo è trovare il farabutto che si nasconde dietro queste morti e consegnarlo alla giustizia, prima che vi siano altre vittime innocenti.» Una breve pausa prima della domanda finale «Detective Huges, mi permette di collaborare con lei?». Tenne lo sguardo fisso nei suoi occhi grigi, cercando di scrutare i pensieri e le emozioni che si celavano al loro interno e allo stesso tempo permettere che lo sguardo dell'uomo la potesse soppesare e valutare a sua volta.

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Si stavano reciprocamente studiando, i due in quella stanza. Il Detective attendeva di capire con chi realmente avesse a che fare, e la giovane Auror che tanto rapidamente aveva aperto quella porta, ora doveva trovare una spiegazione plausibile per giustificare la sua presenza. Pensarci troppo l'avrebbe resa sospetta, ma anche fingersi qualcosa di troppo assurdo avrebbe comportato un bel po' di problemi. Con la prontezza con cui si era messa in quella situazione di fragile equilibrio, Atena proseguì individuando quella che per lei poteva essere la giusta copertura. Lo Statuto di Segretezza era stato creato per impedire ai Babbani di riconoscere il mondo magico, ed era suo dovere assicurarsi che questo non venisse scavalcato da un qualsiasi mago megalomane, ma al contempo il suo stesso muoversi con quell'identità la portava a camminare su un filo davvero sottile. Smettendo di fare qualunque altra cosa stesse facendo, Huges portò lo sguardo verso la ragazza, pronto ad assistere allo spettacolo. Le tende rosse del pesante sipario vennero infine aperte, e l'Agente McLinder fece la sua comparsa con il primo monologo. La mano grande ed un po' ruvida dell'uomo, strinse per pochi istanti quella più minuta dell'Auror, fu una stretta solida ma breve, esattamente come era giusto che fosse. Ma non bastò quella a tranquillizzare l'uomo. Se Atena non avesse proseguito con il suo discorso, probabilmente il Detective avrebbe posto ulteriori domande nell'immediato, e cosa avrebbe fatto se le avesse chiesto un distintivo? Lo sguardo dell'uomo si aprì appena, in seguito alla specifica sulla mansione presunta della ragazza. Era stata astuta, complice l'aver studiato con minuzia il caso, aveva trovato una buona combinazione di informazioni. «Una specialista...» disse l'uomo, continuando a studiare Atena.
Non era ancora chiaro se fosse convinto o meno, se le credesse oppure no, ma indubbiamente il discorso aveva colpito nel segno, e quando si trattò di evidenziare le mancanze dei possibili colleghi dell'uomo, un piccolo fremito nervoso scosse il suo volto marmoreo. Venne però presto sostituito da un lieve accenno di un sorriso rassegnato. In seguito alla richiesta di partecipare alle indagini, cadde nuovamente il silenzio. Sarebbe stato difficile definire con certezza cosa passasse per la mente del Detective Huges.
«Non sono stato avvisato del suo arrivo, e deve sapere che non amo le intromissioni.» l'inizio di quel discorso non fu dei più rassicuranti. Ancora immobile nella sua eleganza, Huges si spostò, lasciando ad Atena più spazio per muoversi, ed indietreggiò di qualche passo, spostando il suo sguardo verso il telo nero che copriva il tappeto, e poi di nuovo verso la ragazza. L'ombra di una sorta di accettazione passò attraverso gli occhi grigi, e l'espressione si addolcì appena, che fosse uno spiraglio, quello ?
«Però è vero, i ragazzi non hanno capito quale strana miscela abbia ucciso la coppia che viveva in questa casa. Io ed i laboratori non andiamo troppo d'accordo, quindi se lei crede invece di poter risolvere il dilemma, allora non posso che accordarle questa possibilità. Lei è giovane, ma se l'hanno ritenuta idonea, evidentemente è anche sufficientemente capace. Questo però lo dovremo valutare. Ma la prossima volta si assicuri che chi ha il caso in carico sappia del suo arrivo.» Quell'avvertimento arrivò, infine, forse atteso o forse no. Ad ogni modo, sembrava che l'uomo avesse accettato la proposta di collaborazione. «... anche bussare è una buona abitudine, avrebbe potuto trovarsi in manette, o peggio, prima di avere il tempo di dichiarare il suo nome.» Non c'era cattiveria in quel tono, il tutto era stato espresso con la tranquillità di chi sa di spiegare ovvietà ma al contempo pretende che queste non vengano sottovalutate. Però non si scherzava con Huges, quel messaggio sarebbe giunto più in sordina. Il Detective non sembrava una persona abituata allo scontro fisico, ma il suo grado sottendeva la sua capacità di reagire prontamente alle possibili minacce e certamente il divario tra Agente e Detective avrebbe svolto il resto del lavoro. «Mi dica quello che sa, copriremo poi le sue lacune. I corpi della coppia non sono più qui, ma ho il sospetto che chiunque li abbia attaccati, abbia lasciato qualche traccia. Tutti lo fanno, nessuno escluso.»
E se i corpi dei giovani erano già stati spostati altrove, di chi era il piede cadaverico che spuntava dal telo? C'erano state altre vittime in quella casa? Il Detective sembrava abbastanza disposto a fugare qualche dubbio, ma non era certo che fosse del tutto convinto dell'identità di Atena. Quella strana tregua poteva essere l'inizio di qualcosa di produttivo per entrambi. Era compito dell'Auror, però, farla durare.


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Atena McLinder
Non sapeva con certezza quale reazione aspettarsi in risposta dal Detective. Le parole della ragazza avevano lasciato nell’ombra molte questioni, ed aperto ad altrettante possibili domande. Tuttavia, nonostante la situazione restasse molto delicata, l’uomo le aveva concesso una possibilità, e questo era tutto ciò di cui al momento aveva bisogno. *Devo procedere a piccoli passi*. Era consapevole che non poteva permettersi un passo falso, doveva muoversi con una accortezza quasi acrobatica.
Accolse gli avvertimenti del Detective senza controbattere né approfondire ulteriormente, limitandosi ad un cenno del capo, un gesto che lasciava intendere che gli concedeva di aver ragione.
«Lo terrò a mente». Dal punto di vista babbano erano osservazioni più che mai fondate. Dal suo punto di vista, invece, l’ipotesi di trovarsi in quella situazione era lontana da come aveva immaginato il corso di quella serata, questioni ben diverse avevano popolato la sua mente. Il suo pensiero andò per un attimo alla bacchetta che portava con sé, fedele armatura, sua sicurezza e protezione. Provò il desiderio di toccarla per avere la rassicurazione di una leale compagna, ma farlo era fuori discussione.
L’uomo si era scostato di alcuni passi da lei, dando più spazio al suo campo visivo. Atena avanzò quindi all’interno della stanza, per fermarsi alla stessa altezza del Detective. Era pur sempre la
sua scena del crimine e non voleva mostrare troppa fretta di invadere quello spazio senza averne ottenuto il consenso. Approfittò della nuova prospettiva per osservare con più attenzione il locale. Da quando era entrata non aveva avuto la possibilità di dare più di un’occhiata generale.
«Quello che so non è molto» si massaggiò le tempie con le dita. Le informazioni a sua disposizioni erano davvero poche, molte delle quali non sarebbe stato saggio rivelare al Detective. «Due giovani trovati senza vita nella loro abitazione. La causa della morte l’ingestione di una sostanza apparentemente non identificabile». Ripensò alla polvere verde che il Capo Auror le aveva mostrato: scaglie di Petardo Cinese, con ogni probabilità uno degli ingredienti della Pozione mortale. «Non conosco altri dettagli rilevanti.» disse con un leggero sospiro. «Ma ciò che è certo è che se davvero si tratta di una sostanza così rara come sembra, qualcuno deve essersela procurata - in modi poco leciti, oserei ipotizzare - e deve averla portata qui. La persona che sta a monte di tutta questa vicenda non è da sottovalutare.» Dicendo questo riportò lo sguardo sul Detective, un’espressione seria accompagnò le ultime parole. Ma non indugiò oltre, si volse di nuovo verso la stanza, i lineamenti tornarono ad essere più distesi, come il suo tono. «Si, tutti lasciano qualche traccia, questo è certo. Così come tutti i casi hanno una soluzione» disse con sicurezza, una parte di lei fremeva dalla voglia di mettersi al lavoro e iniziare a dipanare il mistero «anche se talvolta questa può andare oltre ogni nostra comprensione» aggiunse, quasi più a se stessa. Tacque per un istante, seguendo il filo dei suoi pensieri. Poi, come se si fosse resa conto all’improvviso della possibilità di sfruttare quel momento per ottenere una risposta, azzardò una domanda. «Detective, lei ha detto che i corpi dei due giovani sono stati portati altrove. Se non sono troppo indiscreta, a chi appartiene allora il corpo che abbiamo davanti?». Pose la domanda con discrezione, consapevole che la valutazione del Detective su di lei non si poteva ancora dire conclusa e che nelle sue mani gravava una grande responsabilità.

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Stabilita una debole connessione tra i due, il Detective parve dismettere l'aria sospettosa a favore di quella più curiosa ed affine alla sua indole. Probabilmente qualcuno a Scotland Yard avrebbe pagato per quella mancanza, almeno questo era il messaggio sottinteso in tutto il discorso precedente. Huges seguì con lo sguardo i movimenti di Atena, rimanendo immobile anche quando lei lo affiancò.
Non avrebbe mai smesso di studiarla, era un uomo curioso, e la persona che l'aveva interrotto sapeva come attirare la sua attenzione, doveva concederglielo.
«Bene» Puntualizzò, chiudendo il discorso sui modi peggiori e migliori per introdursi in un luogo d'indagine. A quell'uomo piace avere l'ultima parola, o almeno quella era l'impressione che dava. In fin dei conti avrebbe avuto il potere di cacciarla dall'appartamento senza troppi rimorsi, lei stessa gli aveva concesso di credere di poter avere quell'ascendente. Così come aveva promesso, il Detective attese di capire quanto la ragazza sapesse di quel caso, ma fu ben presto chiaro che avrebbe dovuto svolgere lui il più del lavoro. Quando i loro sguardi si incontrarono, ancora per poco, Huges mantenne la sua sicurezza cercando forse di condividerla anche con Atena. «Nel suo dipartimento hanno uno strano senso dell'umorismo.» Commentò senza celare il sarcasmo che stava alla base di quella frase. Poteva esserci qualche screzio tra le varie aree di competenza degli Agenti di Scotland Yard? Quelle parole facevano trasparire la risposta in modo chiaro. Un sorriso sarcastico accompagnò il tutto, mentre la curiosità dell'Auror la spingeva a porre ulteriori domande. Solo quando anche l'ultima venne posta, Huges si decise a rompere il silenzio, dirigendosi verso una borsa, finora celata dietro il bracciolo del divano, per riporre i guanti bianchi al suo interno. «Carlyle e Dharma, vivevano qui da due anni, erano sposati da altrettanto tempo, nessun animale, nessun figlio ed apparentemente nessun hobby.» Centellinate con uno strano contagocce, le informazioni iniziarono a giungere, rivelate dalla voce bassa e meno tesa del Detective, ancora intento ad armeggiare nella borsa, in cerca di qualcosa, probabilmente. Ne estrasse in seguito una piccola busta trasparente con una chiusura ermetica, con un oggetto al suo interno. Chiuse poi la borsa e si avviò nuovamente verso Atena, tenendo la busta saldamente in mano. «Li abbiamo trovati al piano di sopra, in camera da letto. Morti per avvelenamento ma, come lei sa, a parte un paio di veleni comuni, i ragazzi del laboratorio d'analisi hanno rilevato la presenza di alcuni altri ingredienti ignoti.» Giunto di nuovo nei pressi della ragazza, l'uomo la squadrò ancora, prima di rivolgerle l'ennesimo sbuffo sarcastico. «Tutti i casi hanno una soluzione? Agente McLinder, da quanto fa questo lavoro?» la domanda poteva apparire come retorica, ma Huges avrebbe preteso comunque una risposta sincera. «Mi creda, voglio chiudere questo caso tanto quanto lei, ma abbiamo a che fare con un fantasma. Di sopra non ci sono indizi, oltre ai cadaveri in obitorio, ed un paio di bicchieri, non c'è altro fuori posto. Questi ragazzi non avevano screzi con il vicinato, nel loro breve passato non c'erano macchie.» Tenendo la busta saldamente in mano, la mostrò ad Atena, così come aveva fatto prima con il distintivo, rivelando il ciondolo arrugginito che conteneva. Era aperto e dentro c'erano una foto ed una scritta. La foto ritraeva una donna dai tratti comuni, molto somigliante alla Dharma che Atena aveva visto nella foto mostratale dal Capo Auror. E la scritta era totalmente illeggibile. «Questo l'ho trovato poco fa, sotto il letto, apparteneva a Carlyle, e questo esclude la prima ipotesi di omicidio suicidio.» Huges nuovamente ritirò la prova, forse ancora non si fidava del tutto di Atena o non credeva nelle capacità di un agente di quel dipartimento. «Vuole andare di sopra?» chiese con tono più affabile e basso, indicando con l'indice il soffitto sopra le loro teste. Atena poteva essere in grado di trovare indizi laddove i comuni babbani non vedevano nulla. Lei non aveva dubbi sul fatto che il colpevole fosse un abile pozionista, ma Scotland Yard non poteva giungere a quella conclusione? Le indagini per entrambe le parti non erano che all'inizio, tutto si poneva su un piano puramente ipotetico. Ma c'era ancora un'incognita a fare da sfondo, coperta da un telo nero. «La domestica, ha avuto un infarto, stanno venendo a prenderla, l'ho scoperta appena sono arrivato.» Una risposta più sbrigativa, l'uomo non dava troppo peso a quel cadavere, non quanto ne dava alla coppia che era oggetto della loro investigazione. Atena, ad ogni modo, era ancora sotto osservazione, tra sguardi sfuggenti ed altri ben ponderati e cercati.

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Atena McLinder
Il commento sul suo presunto Dipartimento di provenienza le strappò un sorriso divertito. «Non immagina quanto, Detective Huges. Sono personaggi alquanto bizzarri» rispose con un tono leggero, pensando ai suoi colleghi. A giudicare dal sarcasmo che aveva usato, vi dovevano essere alcune divergenze tra le diverse Sezioni di Scotland Yard, rifletté, ed evidentemente il Detective doveva pensare che lei appartenesse ad una di queste. Atena aveva intenzionalmente celato qualunque informazione riguardante l’Ufficio per il quale lavorava e l’uomo doveva aver riempito gli spazi vuoti con le conoscenze a sua disposizione. Tale inaspettata circostanza poteva giocare a suo favore, facendo collimare alcune incongruenze ed evitando, nell’immediato, ulteriori domande da parte del Detective. Ma poteva anche rendere più difficile dimostrare le sue capacità o fornire una spiegazione. Ci avrebbe pensato a tempo debito.
Atena seguì con curiosità i movimenti dell’uomo mentre si avvicinava alla borsa e ne estraeva una busta trasparente. Ascoltò con attenzione e serietà ogni rivelazione sui dettagli mancanti, imprimendo le nuove informazioni nella mente e cercando di integrarle con quanto era già di sua conoscenza.
«Nessun animale, nessun hobby, nessuna macchia, sembra tutto fin troppo pulito per una coppia così giovane. Stranamente anonimo, come trovarsi di fronte ad una parete bianca, nel posto in cui avrebbe dovuto esserci un dipinto» rifletté a voce alta.
La domanda la colse di sorpresa. Doveva ammettere - con un pizzico di apprezzamento - che l’uomo non si lasciava sfuggire nulla. Atena amava cogliere la sfida che ogni problema le offriva, un enigma per lei non era altro che un invito provocante a cercare la sua soluzione e difficilmente ammetteva di lasciare una questione irrisolta. Tuttavia, era ancora a tutti gli effetti una novellina, nulla in confronto ad un professionista con anni di esperienza alle spalle. Rivolse lo sguardo alla stanza per alcuni istanti, soppesando la risposta da dare. Ormai aveva capito che il Detective non era una persona da sottovalutare e non voleva incrinare quella fragile connessione che era riuscita ad ottenere. Con un breve cenno rassegnato della testa, riportò lo sguardo sull’uomo
. «Questo è il mio primo incarico ufficiale, Detective. Non è un granché come premessa» ammise «ma a quanto pare si dovrà accontentare di me» concluse con l’accenno di un sorriso, il tono affabile. Se fino a quel momento l’opinione del Detective sul Dipartimento di provenienza della ragazza non era positivo, con ogni probabilità questa rivelazione non aveva contribuito a migliorarla, pensò ironicamente tra sé.
Huges si era avvicinato tenendo tra le mani la busta di plastica estratta dalla borsa, di cui ora si poteva scorgere il contenuto. Atena osservò il ciondolo con attenzione. Non fece alcun movimento per avvicinarsi o per osservarlo più da vicino, ma il suo sguardo cercò di memorizzarne ogni particolare. Annuì con la testa mentre le veniva spiegata la provenienza del referto.
L’uomo aveva concluso rispondendo alla sua domanda. Non sembrava dare molta importanza a ciò che nascondeva quel telo nero, ma il cuore di lei ebbe un lieve sussulto quando le disse che la causa del decesso era da attribuirsi ad un infarto. Si chiese se la poveretta avesse davvero avuto un malore o se… Poteva forse trattarsi di una terza vittima? Un mago non avrebbe avuto difficoltà ad usare una maledizione per uccidere.
«Capisco». Si limitò a dire, indugiando con lo sguardo sul telo. In fondo, qualunque fosse la causa della morte della domestica, era meglio che credessero che si trattasse solo un infarto. Chissà, forse era davvero così. Ma se per l’uomo quel cadavere non rappresentava alcuna incognita, Atena appuntò mentalmente quell'informazione.
Le sarebbe piaciuto poter dare un’occhiata al corpo prima che fosse portato altrove, ma la proposta di salire al piano di sopra era troppo allettante. Era ciò che desiderava sin dal momento in cui aveva avuto il fascicolo del caso tra le mani la prima volta. Inoltre, probabilmente lassù era più facile trovare delle risposte, tracce lasciate dal pozionista. Se davvero si trattava di un pozionista. Se davvero era stato lì. Era ora di iniziare a sgrovigliare il filo della matassa.

«Andiamo» rispose affabile alla proposta.
Aspettò che il Detective le facesse strada, mentre una frase le rimbalzò nei pensieri. “Stanno venendo a prenderla”. Quando sarebbero arrivati?


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Il caso stava assumendo connotati ancor più strani di quanto ci si aspettasse. La coppia di giovani presa di mira dal mago, non aveva apparentemente alcun scheletro nell'armadio, e dunque perché proprio loro? Da quanto il Detective aveva rivelato, anche Scotland Yard non sembrava essere riuscita a cavare un ragno dal buco, non ancora almeno. Huges non aveva l'aria austera degli altri suoi colleghi, e forse la mancanza di quella caratteristica aveva incentivato Atena a farsi avanti, azzardando ipotesi, anche se a piccoli passi. La metafora della tela bianca, le fece guadagnare l'ennesimo sguardo curioso da parte dell'uomo, prima che entrambi potessero considerare l'opzione di tornare al piano di sopra. L'uomo però si soffermò anche sulla rivelazione che vedeva Atena al suo primo incarico, alzò appena gli occhi al cielo assumendo un'espressione quasi rassegnata, ma senza schernirla eccessivamente. «Il suo primo incarico?» si massaggiò lentamente le tempie, prima di tornare a guardarla. «Vorrà dire che mi accontenterò, considerando che non sono stato io a richiederla, non posso nemmeno lamentarmi eccessivamente. Spero che almeno sia stata addestrata a dovere.» Concludendo con un pensiero appositamente espresso a voce alta, Huges diede un'ultima occhiata al telo nero, abbassandosi appena per coprire con un lembo ripiegato il piede che fuoriusciva. Andò poi ad affiancare Atena, poggiandole lievemente una mano sulla schiena, per invitarla a proseguire in quella direzione, convalidando ulteriormente la scelta comune. Fu un gesto rapido che durò davvero pochi istanti, prima che l'altra mano potesse raggiungere un interruttore. Un lieve "click" ed il corridoio buio dal quale l'Auror era entrata, s'illuminò. Mettendo un piede in quella direzione, Atena avrebbe potuto individuare l'appendiabiti che aveva appena intravisto poco prima, e l'ombrello alla base, guardando poi a destra, avrebbe visto l'altra età del corridoio, spoglia come la precedente, eccezion fatta per un segno strano in presenza di una parete, uno strano vuoto, pulito e privo del normale ingiallimento della vernice, mostrava la presenza di un quadro. Un quadro mancante di piccole dimensioni. Più avanti ancora, sempre sulla destra, una scala chiudeva il corridoio, palesandosi come l'unica via d'accesso al piano superiore. Superando appena la ragazza, Huges inaugura il primo scalino con un suo passo, voltandosi poi verso Atena, invitandola con un gesto della mano a seguirlo. «Mi segua.» aggiunse poi con tranquillità, prima di voltarle le spalle con la convinzione che lei lo stesse effettivamente seguendo, e raggiungere la fine delle stesse, trovando la moquette grigia che rivestiva il primo piano. «Le scale sono un po' scomode, ma l'intera casa è orientata più in verticale che in orizzontale.» Ed in effetti le scale erano talmente strette da consentire di salirle solo in fila indiana, non vi era spazio per percorrerle affiancati. Un secondo "click" permise al Detective di illuminare il piano superiore, mostrando un pianerottolo angusto su cui davano un paio di porte chiuse a destra, una seconda rampa di scale che saliva ancora ma dal lato opposto, ed una porta scorrevole, a sinistra, aperta solo a metà. Dalla porta si sarebbe potuta intravedere la stanza da letto. Ma prima di entrarvi, Huges si voltò ancora in cerca di Atena, se si fosse trovata al suo fianco, avrebbe proseguito il "tour" verso il vero luogo del delitto.

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Atena McLinder
Che idea si era fatta finora del Detective Huges? Era un uomo distinto, senza dubbio. Ponderato, misurato, molto sicuro di sé. Tuttavia, non sembrava mostrare alcuna traccia di arroganza, e questa era forse la caratteristica che Atena apprezzava di più in lui. Doveva essere un bravo Detective, si disse. Sembrava amare avere il controllo della situazione e, immaginava, sarebbe stato pronto ad esercitare questo controllo qualora lo avesse ritenuto necessario. Pensò che questo caso così sconclusionato dovesse renderlo piuttosto nervoso, il non riuscire ad avanzare nelle indagini doveva essere frustrante per un uomo come lui.
Non poté fare a meno di trattenere un breve sorriso divertito quando Huges commentò la sua scarsa esperienza.
«Eppure, stando all’oggettività dei fatti, è la sua Squadra ad essere giunta ad un punto di stallo, Detective» un mezzo sorriso ad alzarle leggermente un angolo della bocca, il tono tranquillo, a metà tra il sarcastico che lui stesso aveva usato e il divertito, con una punta di curiosità nel mezzo. Non vi era traccia di presunzione o arroganza, lo disse senza accusa, quasi con complicità. Voleva sottolineare che un osservatore esterno poteva dubitare della loro capacità tanto quanto lui avesse il diritto di dubitare della sua. Oltretutto, non voleva passare per la novellina della situazione, qualcuno a cui spiegare cose ovvie e da guardare con commiserazione. Nonostante fosse pienamente consapevole della difficoltà del caso e nonostante lei stessa non avesse alcuna certezza di riuscire a risolverlo, era del tutto determinata a farlo. Non poteva concepire di metterlo in dubbio. Se solo dentro di lei avesse concesso un piccolo spiraglio al dubbio, questo l’avrebbe travolta. Preferiva tenere lo sguardo fisso sull’obiettivo: forse, se non si fosse distratta, lo avrebbe raggiunto davvero. Inoltre, doveva ammetterlo, era curiosa di osservare la reazione del Detective, pungolato in quello che lei riteneva essere il suo punto debole.
Il tocco della mano sulla schiena la colse di sorpresa. Rispose ad esso con un cenno del capo, facendo alcuni passi in direzione del corridoio, ora illuminato – l’elettricità, una delle più curiose invenzioni Babbane! -. Le ombre degli oggetti che aveva intravisto al suo ingresso erano perfettamente visibili e identificabili. In realtà, constatò, non era il buio ad averle celato i particolari della stanza, ma era la stanza ad essere effettivamente priva di qualunque oggetto da osservare. Ad eccezione dell’appendiabiti con l’ombrello, non vi erano altri arredamenti e le pareti stesse erano del tutto spoglie. Huges la superò, facendole strada sulla scala che portava al piano di sopra. Fu allora che notò un riquadro più chiaro sulla parete, come se quel punto fosse rimasto coperto per molto tempo ed ora avesse rivelato la sua nudità, come il resto della superficie. Aggrottò le sopracciglia avvicinandosi, toccando lievemente la parete con la punta delle dita, pensierosa. Era strano che, fino a quel momento, in quella casa non avesse ancora scorto alcuna fotografia ed alcun oggetto che potesse rivelare qualcosa sugli interessi o sulla vita della giovane coppia. Il solo ritratto in cui si era imbattuta finora era quello presente all’interno del ciondolo. Rinvenuto sotto il letto. Non esattamente il posto in cui ci si aspetta di trovare un oggetto del genere. Come era potuto finire lì sotto? C’era forse stata una colluttazione prima dell’omicidio? Quella che doveva essere una coppia del tutto normale si stava rivelando più enigmatica di quanto credesse. Chi erano davvero quelle persone? E quella casa, aveva un aspetto così vecchio e anonimo. Fu sul punto di chiedere qualcosa al Detective, ma lui aveva già iniziato a salire la scala e si affrettò a raggiungerlo. Si trovava ad un passo dal luogo dell’omicidio e, ora più mai, fremeva dalla voglia di entrare in quella stanza. Approfittando del fatto di non avere lo sguardo dell’uomo su di sé, fece un paio di gradini con un saltello, incapace di trattenere l’eccitazione e la curiosità, mentre un sorriso le si dipingeva sul viso. Avrebbe fatto anche una piroetta, se solo la scala fosse stata più larga. O meglio, se solo non si fosse trovata su una scala. Avrebbe anche fatto uno svolazzo con il mantello, se solo lo avesse avuto con sé. Ma si trovava in territorio babbano, e il mantello non era contemplato in quello scenario. Non appena giunse sul pianerottolo riacquistò l’espressione composta che si confaceva a quella situazione, e del sorriso di poco prima non era rimasto che un luccichio negli occhi.
Non appena l’uomo ebbe acceso la luce sul corridoio si guardò intorno. Due porte sulla destra, una scala che saliva al piano di sopra, a sinistra la porta che dava sulla camera da letto. Cercò di crearsi una mappa mentale della struttura della casa. Si chiese cosa avrebbe trovato all’interno della camera da letto. Se avrebbe trovato qualcosa. “Tu sei una Strega. Troverai sicuramente qualcosa che è rimasto celato ai loro occhi” le aveva detto il Capo Auror. Si, avrebbe trovato qualcosa. Del resto, lo aveva promesso.

«E’ un’abitazione piuttosto bizzarra» commentò a bruciapelo, con leggerezza, come se quell’affermazione fosse la coda di un lungo pensiero, o la scintilla di un pensiero che ancora si stava formando in lei. Si fermò accanto al Detective, aspettando con discrezione che continuasse a farle strada.

● Auror ● Scheda Outfit


STATISTICHE:
Punti Salute: 174 (160 +10 Auror + 4 Votazioni)
Punti Corpo: 120 (110 +10 Auror)
Punti Mana: 120 (110 + 10 Auror)
Punti Esperienza: 26,5 (23 + 3 Auror + 0.5 Votazioni)

ATTIVO:
Bacchetta
Distintivo da Auror
Indirizzo e fascicolo del caso
 
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55 replies since 9/3/2017, 22:55   1132 views
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