Make me a Believer, Concorso a Tema: Giugno 2017

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 30/6/2017, 15:21
Avatar

Molti luoghi ha la tua anima, ivi alberga natura magnanima. Di coraggio e lealtà fanne bandiera, di Grifondoro potrai essere fiera!

Group:
Grifondoro
Posts:
2,524
Location:
Verona

Status:


kjaL16b

Make me a believer 8

Un ticchettio sommesso svegliò la piccola undicenne che se ne stava beatamente immersa in un sonno a dir poco ristoratore. La sera prima se ne era andata a letto presto cercando di recuperare quel sonno che le mancava da non so quanto tempo. Ed era riuscita a sfuggire alle mille scartoffie che le mancavano da studiare per gli esami per la fine dell'anno scolastico ormai agli sgoccioli. A dire la verità era così stanca che non si era nemmeno preoccupata di finire di studiare. E lei di solito era quella persona che non rimandava niente al giorno dopo. Ma quella sera fu così -*voglio vedere come ti comporti tu, facendo tanto l'ironico, non andando a letto per tre giorni di fila*-. Se fossi in carne ed ossa queste sarebbero state le parole che mi avrebbe inveito contro la ragazzina che ora si stava svegliando disturbata dal ticchettio sommesso di qualcosa vicino alla finestra. La figlia di Godric aprì gli occhi assonnata e gli volse verso la fonte che aveva provocato il suo risveglio non voluto. Con gli occhi gonfi, pieni di sonno, guardò verso la finestra dove si stava alzando il sole. La luce del mattino le ferì per un attimo le pupille e dovette chiudergli per ben tre volte, facendo sì che si abituassero. Quando fu sicura di non aver riportato danni, permanenti o semipermanenti, alla vista, guardò verso la finestra e vide un gufo reale nero, che con il suo becco stava bussando sul vetro. Juliet Little si alzò e aprì la finestra, con l'intento di mandarlo via, ma questo non ascoltò le invettive sommesse della ragazza e se ne volò nella stanza del dormitorio femminile dei Grifondoro e si appolaiò definitivamente sul letto sfatto della ragazza guardandola con austerità e con un pizzico di arroganza. *Conosco quello sgaurdo* pensò la ragazza cercando inutilmente di farlo sloggiare dal suo letto. Ma fu tutto inutile. Il rapace era lungi dall'ascoltare quella che non era la sua padrona. Sconsolata la piccola di casa Little si sedette anch'essa sul letto guardando il rapace che aveva avuto l'ardire di stropicciare le coperte candide del letto -sciocca erano già stropicciate di loro- e lo guardò attentamente cercando di ricordare di chi fosse quel gufo nero. Non lo aveva mai visto, però lo sguardo e la posa dell'animale le rimembravano solo una persona, un Serpeverde di sua conoscenza. Il rapace, forse conscio di quello che la ragazza pensava, allungò la zampina per farle prendere una pergamena arrotolata. Juliet era un po' guardinga. Era sempre meglio non fidarsi dei Serpeverde e ne aveva avuta la prova durante una partita di Quidditch svolta qualche giorno fa. Grifondoro contro Serpeverde. Leone contro Serpente. Roar contro Sssssh. Lei era sugli spalti -non si era ancora iscritta a Quidditch, ma lo avrebbe fatto- a guardare la partita dei suoi compagni di casata e aveva visto il capitano verde-argento fare una finta al portiere rosso-oro, il signorino Carlson, facendolo mandare da tutta un'altra parte rispetto a dove aveva in mente di far andare quella maledetta pluffa. Ma i Serpeverde sono così, giocano sporco -Gioco duro il Quidditch-. Juliet rimembrando quel fatto allungò piano piano la mano e quando fu sicura che sarebbe rimasta attaccata al suo polso, prese la lettera che le veniva porta. E poi, compiuto quel lavoro, il rapace se ne volò via, rifiutando i dolcetti gufici che Juliet aveva tirato fuori da un sacchettino. *Potevi almeno accettare stronzetto* avrebbe inveito la ragazza se non fosse per il fatto che era curiosa di sapere chi fosse il mittente della missiva. Con mani tremanti aprì la pergamena e con una calligrafia spigolosa e senza sbavature vi erano scritte queste parole:

"Ti aspetto davanti alla stazione di Hogsmeade"

Nient'altro, nemmeno una sigla per farle sapere chi fosse quella persona che si era permessa di scriverle. Juliet però, nel profondo del cuore sapeva di chi fosse quella calligrafia. Quante volte lo aveva visto scrivere, quando si sedeva vicino a lei, con quella calligrafia spigolosa come lo era la sua persona. Isaac Von Laos. Una persona che a poco a poco stava conoscendo. Una persona tutta d'un pezzo. Una persona che aveva una miriade di spasimanti, una persona che si sedeva vicino a lei solo per farle del male. Ma lei, innavertitamente, se ne era invaghita del tipo tenebroso
-*bel tenebroso*-. Lei non sapeva, ma lui, il signorino Von Laos preferiva la sua compagnia rispetto a tutte le altre oche che gli andavano dietro. Lui stava apprezzando quella ragazza che riusciva, con la sua noncuranza, a tenergli testa. Lui aveva bisogno di quel tipo di persona, non di marionette. Ma questo ovviamente lei non lo sapeva e lui di certo non glielo avrebbe mai detto, ne andava del suo orgoglio. E però aveva trovato un modo per starle accanto, di poterla ammirare, sotto ogni punta di vista e l'unico modo plausibile, per uno come lui, una persona fredda e calcolatrice, era quella di prenderla in giro, trattarla male, solo per vedere le mille facce che poteva imbastire. E lui amava le sue espressioni, lui amava tutto di lei. Ma questo di certo non glielo avrebbe mai detto, nemmeno tra cent'anni. -Arriviamo al dunque?- sarebbero state le parole dei nostri cari lettori. Juliet quella mattina in barba a tutti i buoni propositi -anche agli esami che avrebbe avuto tra non qualche giorno- decise che per quella giornata così calda e piacevole avrebbe fatto una pausa -forse perchè una persona misteriosa ti sta aspettando a Hogsmeade, no? *Stai zitta!*- per poter staccare un po' gli occhi e la mente dalle nozioni delle materie che popolavano anche i suoi sogni, facendoli diventare, aimè, incubi. E si svegliava sempre con la consapevolezza di non poter reggere ancora per molto quel fardello che le stava pesando sulle spalle. Decise che quella giornata l'avrebbe passata oziando -in compagnia di un bel tenebroso eh-, scrollandosi di dosso -ma che dico- scappando letteralmente da quel fardello che ormai la inseguiva notte e giorno, facendole dimenticare cosa fosse una vita sociale fuori dalla biblioteca e dalle mura del castello. Tempo fa, parlando con Albert, un suo compagno, aveva definito il castello come una prigione, usando la parola evadere. Sì, lei in quel momento aveva voglia di fuggire dal castello, aveva voglia di evadere da un luogo che emanava un'aura negativa. Ogni parte, ogni luogo, del castello sembrava che le dicesse che aveva gli esami e che non doveva andare a bighellonare in giro, come una nullafacente -ma un certo Von ti sta aspettando-. Si diresse verso l'uscita del castello, che sembrava ripetere come un mantra "Hai gli esami. Hai gli esami" seguendola fino al prato posto davanti al lago. Anche lì la situazione non era diversa, se per un attimo aveva pensato di aver seminato quel ritornello -poiché il vento aveva fatto la sua parte disperdendo il richiamo-, non potè non notare quello che aveva davanti, una moltitudine di studenti -paragonato ad un gregge- che belava, andando avanti e indietro, in modo chiassoso, tutte le materie, c'era chi aveva la sua età e chi era invece più grande. Sbarrò gli occhi e urlando *"bastaaaa"* nella sua testa decise che per quel giorno sarebbe andata a zonzo per Hogsmeade. Almeno lì le persone non avrebbero parlato di Erbologia o Pozioni o Trasfigurazione, ma avrebbero parlato di frivolezze come l'ultimo modello di scopa appena uscito, oppure del nuovo locale appena aperto. Sarebbe partita alla volta del villaggio, a piedi, insieme al suo caposcuola Oliver Brior. Gli dette l'ordine esplicito di non parlarle di esami, di compiti. Con lui, visto che lei non poteva andarci da sola a Hogsmeade, lasciò dietro di sé, tutti i problemi che affliggevano il castello in quei giorni. Appena superò i cancelli si sentì più libera, liberata di quel carico che si era scrollata di dosso, finalmente. Con passo più spedito, voleva mettere più distanza possibile da quell'aura negativa che impregnava l'atmosfera di Hogwarts, si diresse verso il villaggio, abitato da soli maghi. Appena entrarono nel paesino, Oliver si diresse verso Mielandia, lasciandola da sola -finalmente- e le si aprì un sorriso, segno che non si sentiva oppressa. La lettera era solo una scusa. Lei aveva già in mente di prendere una bella pausa dal troppo studio. La sua testa era ormai libera in quel momento. Libertà era la parola che più cercava di raggiungere e forse ce l'aveva fatta. Si stava avvicinando con passo spedito alla stazione di Hogsmeade per conoscere finalmente chi avesse mandato quella lettera che aveva l'aria di essere quasi un ordine. Sospirò con un lungo sospiro e il suo braccio fu ghermito con forza inaudita e lei sfoderò la sua bacchetta per fronteggiare quella persona che si era permesso di toccarla, di farle del male. Il suo sguardo si scontrò con uno sguardo a lei noto. Ma il viso, soprattutto i capelli biondi, le era sconosciuta. Si specchiò in uno sguardo azzurro limpido, come un cielo privo di qualsiasi nuvola, bianca o grigia che fosse, e beh per vederlo bene in viso dovette alzare la testa per quanto fosse alto e sbattè un paio di volte le palpebre, da quanto fosse brillante quello sguardo, e abbassò il suo di sguardo, uno sguardo normale privo di significato, non perché fosse rimasta, come si dice, scottata da quello sguardo, ma perché doveva nascondere la sua debolezza, ovvero le sue guance rosse bordeaux. In quel frangente aveva capito chi fosse il ragazzo, il fratello maggiore di Isaac Von Laos, Fenix Von Laos, ricordandolo come il ragazzo più bravo della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, e per via dei suoi interventi, ben articolati, alle assemblee di istituto. Se non si ricordava male era anche uno dei prefetti di Corvonero. Sentiva su di sé lo sguardo del ragazzo, poiché le sue orecchie, i suoi punti deboli, nascoste dai lunghi capelli castani, erano infuocate. Per fortuna, abbassando subito la testa aveva nascosto, alla vista, le sue guance infuocate. Si attorcigliò nervosamente un capello con il dito indice della mano sinistra e alzò lo sguardo, quando fu sicura che il suo viso fosse tornato del colore naturale, come per fargli capire che lei, bene o male, non sarebbe capitombolata o peggio arrossita a quello sguardo spavaldo, indagatore -oh non mentire, non ne sei capace. *Ma questo lui non lo sa, giusto?*-. Anche lei avrebbe guardato il ragazzo, cercando di capire, da quello che si trovava dinanzi, che tipo fosse. Esternamente non era male -non mentire!-, <i>ok era un figo della paura -*contenta ora?*-. Lo guardava e lo guardava, e per non risultare maleducata gli sorrise. E stava per presentarsi quando la precedette lui. "Sei Juliet giusto? Sono il fratello maggiore di Isaac, sono felice di fare la tua conoscenza" disse lui presentandosi e il sorriso che ne seguì le fece infuocare di più le orecchie che stavano già bollendo -*speriamo che non arrivi il vento e mi scompigli i capelli, se no capisce che non ne sono rimasta indifferente*- pensò l'undicenne annuendo: "Sì sono io e io lo so chi sei, ho avuto modo di apprezzare il tuo operato" disse e da brava ragazza com'era, educata e gentile allargò il suo sorriso e allungò la mano destra, piccola e pulita, fresca di manicure, -*grazie mamma per i tuoi piccoli suggerimenti*-, verso il ragazzo, in modo che la stringesse. Se non l'avesse stretta a lei non sarebbe importato più di tanto -*o, no?*- e non gli avrebbe tenuto il broncio, se no sarebbe risultata una ragazza frivola e in cerca di attenzioni. Ma lei non era quel tipo di ragazza, no, decisamente non lo era. Lui, imbastendo una faccia da calcolatore nato, come suo fratello d'altronde, pensò se dovesse anche lui stringerla o meno. Era dubbioso. Lei non lo sapeva: ma era stato lui a mandarle la lettera. Voleva incontrarla e questo perchè stava vedendo dei miglioramenti nel fratello a lui caro. "Ti ho notato per tuoi interventi alle lezioni. Sei molto, come si dice, sicuro di te mentre esponi le tue idee. E in un certo senso ti invidio. Sembra che tu abbia, a parere mio, tutto sotto controllo. Al contrario di te, non che io non mi impegni, mi sembra di essere una persona caotica" gli avrebbe detto la ragazza con garbo mentre se ne stavano fermi davanti alla stazione. Anche lui fu colpito da quella ragazza che parlava con garbo e con maestria, dicendo la sua opinione senza dirla con l'arroganza e la timidezza, tipica delle ragazze. Lui l'ascoltò e disse queste parole che avrebbero avuto un effetto non da poco sulla piccola Juliet: "Hai indovinato. Sono una persona che ha tante certezze e che non alcun dubbio riguardo a quello che sarà il futuro. Certo, gli imprevisti possono sempre capitare, ma io cerco di adattarmi con flessibilità a tutto ciò che mi viene posto sul percorso che sto affrontando. Per ora nulla è andato storto e spero che possa proseguire così ancora a lungo. Questo è perchè sono sicuro di ciò che faccio e di ciò che voglio fare. Sicurezza è la parola che è bene stamparsi in testa... Purtroppo posso dirti poco, ma sono certo che con il passare del tempo sicuramente avrai modo di migliorare questo lato della tua personalità" avrebbe detto lui cercando di infonderle il coraggio nel provare ad avere più fiducia in se stessa. "Per esempio non devi mai abbatterti se non riesci a fare una cosa che gli altri sanno fare. Forse lo sanno fare perchè ce lo hanno nel sangue. Alcuni lo riescono a fare perché trovano il coraggio di provare e di riprovare, anche se sanno che al primo, ma forse anche al secondo tentativo, sbaglieranno. Sai, da come me ne ha parlato Isaac, credo che tu non credi nelle tue capacità, però una cosa positiva c'è. Sei uan ragazza che è abituata al confronto con il prossimo, dico bene?". Juliet si meravigliò da quel tanto parlare, sembrava che l'avesse capitata con uno solo sguardo. "Non è del tutto falso. Mi piace confrontarmi con gli altri. Anche se a volte le opinioni possono discordare" disse Juliet diventando rossa. "Sai perché te lo sto dicendo? Sai perchè ti ho voluta incontrare? Perchè mio fratello, e l'ho potuto vedere con i miei occhi, sta diventando quel ragazzo che io avrei voluto che fosse. Una persona con i propri principi, non una marionetta. E questo perché ha incontrato te. Però un fatto negativo c'è. Sei una persona che ad una difficoltà, per esempio disegnare e dipingere, scappi via. Di certo non ho voglia di cambiarti questo è sicuro, ma ciò che voglio farti vedere è che tu hai del potenziale. Ho qui delle bozzette che gli avevi fatto a matita, ma sai cosa ci starebbe bene? I colori. Lui mi ha detto che te non ne sei capace, di dipingere intendo....Ma perchè non ne sei capace o perchè hai paura di fallire?" chiese lui tirando fuori dei fogli di pergamena su cui, Juliet, aveva fatto un disegno con il castello di Hogwarts. Lei era bravina a disegnare, ma erano disegni di una mano infantile, non come quella di Isaac che riusciva a sfornare capolavori degni di nota. Juliet con un sospiro si sedette accanto a lui. "Hai capito tutto di me....Sì ho paura di fallire, di essere imbranata davanti agli occhi di tuo fratello" disse la ragazza guardando le scarpe. Sentì una mano alzarle il viso "No, no, ti stai sbagliando di grosso. A mio fratello piaci, anche se non lo ammetterà mai, perché sei te stessa" disse il ragazzo con garbo. "Vieni ti porto in un posto, dove il fallimento è di casa, ma chi fallisce ci prova e ci riprova con insistenza" La ragazza venne portata in una casa adiacente al locale Madama Piediburro e venne introdotta in un locale dove regnava un caos fatto di colori. I colori erano sulle pareti della stanza e sulle persone stesse che si affaccendavano a far diventare la loro passione qualcosa per cui vivere. "Vedi tutta questa gente? Sono qui perché hanno trovato la loro strada. Molti di loro, come te, avendo paura di fallire, non si sono spinti in là, ma grazie alla loro cocciutaggine, che mi pare di capire che a te non manca, sono riusciti a migliorarsi a far diventare la loro passione un'arte. Ok, c'è sempre qualcuno che non eccelle, ma qui non viene giudicato nessuno" disse il ragazzo bronzo-blu poggiando il foglio su un tavolo. "Prova ad usare questo pennello. Cerca di rendere questo paesaggio un po' più naturale" le avrebbe detto consegnandole un pennello e una tavolozza di colori. Juliet si mise al lavoro e dimenticando dove fosse e con chi, iniziò a dipingere partendo dal cielo. Usò anche la spugna per rendere un distacco meno visivo tra il cielo più in alto e il cielo che si vedeva all'orizzonte. "Vedi? Hai già preso la mano" <i>disse poggiando la sua testa bionda sulla spalla della ragazzina e guardando il piccolo cielo che stava via via prendendo colore. Juliet sgusciò da quel contatto un po' troppo intimo per i suoi gusti e disse: "Grazie a te, ai tuoi discorsi e forse grazie a questo pennello. Oserei dire che è magico, sembrava che facesse tutto lui. Ma non credo che possa essere così, vero?. Ero sicura di ciò che facevo e di ciò che volevo fare" disse la ragazza rimirando qusll'oggettino tanto piccolo, ma che poteva portare lontano. "Fallo diventare la tua arma di rinascita. Vedi i tuoi disegni ora stanno respirando" ed era vero. Il cielo, prima insignificante, ora era diventato vivo. Juliet guardò il pennello che le è stato dato e pensando ad esso, come ad uno strumento di rinascita, disse: "Puoi contarci" e con esso, e con le parole del giovane se ne ritornò al castello, insieme al Caposcuola Brior recuperato chissà dove, con qualcosa di nuovo, qualcosa che le aveva mostrato un'abilità che poteva essere coltivata appieno, solo tenendo fede ai propri pregi e ai difetti che potevano essere migliorati. Nel frattempo a Hogsmeade, nella stanza appena lasciata dalla ragazza, un giovane biondo se ne stava seduto su una sedia. Aveva gli occhi lucidi ed era visibilmente felice di aver potuto un poco aiutare quella ragazza. Un caldo tremendo si riversò nella stanza e il giovane si tolse la parrucca che aveva in testa. -come una parrucca?!- avrebbero esclamato i nostri lettori. Lui altri non era che Isaac Von Laos, il famigerato arrogante che poco a poco stava cambiando grazie a quella ragazza che aveva avuto tra le mani poco fa. Se io posso migliorare perché lei no, fautrice di tale miglioramento? Avrebbe pensato il giovane con gli occhi lucidi. Ora doveva mettere una maschera e ritornare quello che è di solito. Non lo avrebbe mai ammesso davanti a tutti, ma forse con il tempo sarebbe riuscito a dire a Juliet quello che stava diventando grazie a lei. Per ora tutti zitti.

kjaL16b
 
Contacts  Top
0 replies since 30/6/2017, 15:21   142 views
  Share