Morning's lights., St. James Park-Privata.

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Daphne Woods
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Gestire un cucciolo di cane si era rivelato più difficile di quanto si pensasse, avere un amico che facesse compagnia poteva essere una cosa meravigliosa, certo, ma quella palla di pelo non faceva altro che combinare guai.
Il risveglio, come tutti i giorni, era stato caratterizzato da un piccola palla di pelo che le saltava addosso pretendendo di essere portato fuori per la quotidiana passeggiata mattutina.
Se non fosse stato poco più tardi dell'alba forse Daphne sarebbe stata un po' più reattiva, invece ora si ritrovava a correre mezza addormentata per le stradine del St. James Park cercando di evitare gli atleti più mattinieri e i cani estremamente giocherelloni che la facevano fermare ogni cinque minuti.
-Chocolaait, vai più piano!- quasi gridò la rossa nel notare che il piccolo pastore tedesco stesse rincorrendo uno scoiattolo che aveva appena tagliato loro la strada.
Fu questione di un attimo, nemmeno il tempo di accorgersene che la piccola peste si era liberata dal guinzaglio e stava seminando il panico tra i pochi passanti che si trovavano nel parco quell'ora.
-Fermate quel cane!- gridava correndo a perdifiato pregando che nessuno si facesse male.


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Aiden Weiss
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S
t. James Park. Non aveva idea del perché avesse scelto proprio quel parco, eppure si era messo su una panchina all’ombra, con un faggio a fargli da ombrellone naturale, mentre leggeva un romanzo di Stephen King, La Torre Nera.
Amava leggere anche i libri di autori Babbani, gli trovava fantasiosi e a volte nemmeno troppo scontati. Era piacevole scoprire che perfino i Babbani possedevano dei talenti che potevano essere forti quanto la magia di cui non erano in possesso.
Voltò pagina e sorrise nel bearsi l’inizio dell’ennesimo capitolo, senza contare che aveva avuto mezza giornata libera. L’avrebbe impiegata tutta nel totale relax, non voleva pensare ai documenti che lo attendevano in ufficio. Ma la quiete durò ben poco…
Udì un cane abbaiare, dai toni capì che doveva trattarsi di un cucciolo alquanto esuberante, anche perché ben presto se lo ritrovò urtargli le gambe con una certa prepotenza, troppo occupato ad inseguire uno scoiattolo. Aiden per poco perse la presa sul libro dal modo in cui venne colto alla sprovvista. «Ma che diav---!!!» Infilò il pollice tra le due pagine per mantenere il segno del punto fin dove era arrivato, per poi cercare con lo sguardo il cane che lo aveva urtato.
Trovò un cucciolo di Pastore Tedesco, molto carino ma alquanto esuberante, troppo preso da quella caccia sfrenata da prestare attenzione a ciò che lo circondava, dei pericoli che poteva correre e che poteva causare. Una voce femminile arrivò alle sue orecchie da oltre le sue spalle e dalla frase che stava urlando con disperazione, dedusse che fosse la proprietaria.
Una richiesta d’aiuto, quindi, che non poteva di certo ignorare. Quel cucciolo doveva essere fermato e così Aiden dovette lasciar perdere il libro - sperò con tutto il cuore che nessuno glielo rubasse nel vederlo incustodito - per poi partire di corsa per raggiungere il cane, che si stava dirigendo verso una zona alberata e piena di cespugli. Se si fosse imboscato in quella zona, sarebbe stato difficile scovarlo e tirarlo fuori.
Aumentò il ritmo della corsa, sentendo i muscoli delle gambe gonfiarsi dallo sforzo. Correva in quel modo solo per motivi lavorativi, quando non era possibile usare la Smaterializzazione, e tutte le volte sembrava dovesse correre per miglia e miglia nel minor tempo possibile. Non poteva nemmeno usare la magia per fermare il cane, c’erano dei Babbani nei paraggi, perciò doveva contare solo sulla sua velocità e forza di gambe.
Il rosso vide il cane infilarsi tra i cespugli e lui non riuscì a fermarsi in tempo che ci cascò dentro in pieno, sentendo i rami graffiargli la faccia.
«Dannato cane! Proprio qui ti dovevi infilare?» sbottò adirato. Annaspò con le braccia nel tentativo di liberarsi da quei rami secchi, duri e anche molti appuntiti, soprattutto dalla parte della punta o nei punti in cui si erano spezzati per il suo peso. Si sentiva in trappola…
«Tanto quello scoiattolo è più veloce di te, piccoletto. Quindi vieni qui perché sono entrato a sufficienza dentro questo intrico di rami e foglie! Dannazione!» ringhiò tra i denti, mentre cercava di puntare i piedi e usare le mani per aprire il cespuglio, sentendo dolore ai polpastrelli che incontravano parti acuminate. Con forza dovette rompere diversi punti per sfilare via la testa e si lasciò cadere sull’erba, stordito.

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Daphne Woods
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Si allenava ogni mattina ma quel giorno aveva decisamente esagerato, non riusciva a capire come un cucciolo di qualche mese potesse correre a tale velocità. Era piccolo e goffo ma aveva la forza di un animale il doppio di lui, e sicuramente sapeva come usarla per combinare guai.
Intravedeva gli atleti più mattinieri evitare il cane facendosi da parte, attenti a non farsi male, e nel frattempo pregava di riuscire a fermarlo prima che potesse farsi male da solo. Era una strega ma in quei casi non poteva nemmeno usare la magia perché si trovava in un parco babbano.
I suoi polmoni stavano per scoppiare quando si accorse che un uomo aveva smesso di leggere e si era messo a rincorrere Chocolat per il parchetto.
Nel vedere che si era infilato in un ammasso di rovi il rosso non si era fermato e ci si era infilato dentro facendosi male,
molto probabilmente.
«Tanto quello scoiattolo è più veloce di te, piccoletto. Quindi vieni qui perché sono entrato a sufficienza dentro questo intrico di rami e foglie! Dannazione!» disse piuttosto infastidito mentre la rossa giungeva accanto al cespuglio con il fiatone, decisamente imbarazzata.
Si appoggiò con le mani sulle ginocchia per riprendere fiato e infine alzò lo sguardo sull'uomo che non aveva avuto modo di guardare prima. Era pieno di graffi un po' ovunque per via dello spiacevole incidente avuto con Chocolat, graffi che Daphne avrebbe voluto curare con la magia ma non poteva rischiare, i capelli rossi come i suoi. Data la sua posizione non poteva giudicare altro, e non ne ebbe nemmeno il tempo visto che il Pastore Tedesco uscì tranquillissimo dal cespuglio come se non fosse successo nulla.
«Piccola peste, vieni qui!» ordinò autoritaria ma mantenendo il solito tono dolce, avvicinandosi e afferrando il guinzaglio.
«Mi dispiace veramente tanto per ciò che è successo. La ringrazio veramente e se c'e qualcosa che posso fare per ringraziarla me lo dica» si scusò con l'uomo che si trovava a terra, alquanto imbarazzata.


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P
ercepiva un fastidioso bruciore in faccia e anche in alcuni punti del collo e delle spalle. Quel cespuglio poteva sembrare un rovo, da quanto era secco e appuntito.
Si grattò la barba, restando seduto sull’erba mentre volse appena lo sguardo nel sentire una presenza accanto a sé. Era la padrona del cucciolo, rossa di capelli e con molte lentiggini, piegata sulle ginocchia per cercare di riprendere fiato.
«Il suo cane è un razzo!» commentò asciutto. Poi tornò a fissare il cespuglio e proprio in quell’istante il cane fece ritorno come se nulla fosse. «Almeno può dirsi fortunata che sia ritornato da solo. Molti non lo fanno.» Fece una smorfia dopo essersi passato la lingua tra i denti, in un gesto meccanico, come per volersi togliere il saporaccio di alcune foglie che per poco non si era mangiato.
Si alzò e si passò svariate volte la mano tra i capelli rossi, per poi spolverarsi i jeans dove avevano toccato l’erba. Lo sguardo, ovviamente, era fisso sulla donna che era intenta a riprendere il guinzaglio.
«Da quanto tempo ce l’ha?» chiese in tono calmo mentre si avvicinava per poi abbassarsi e lasciare che il cane gli annusasse la mano, dopodiché - una volta che il cane poté avere la certezza che non aveva cattive intenzioni - gli accarezzò il muso. «Bravo cane.» Sorrise.
Alzò gli occhi blu sulla donna e sospirò. Non aveva la minima idea di cosa poteva fare per sdebitarsi dell’aiuto e non aveva di che perdonarla se era finito dentro un cespuglio mentre cercava di prendere il cane.
Scrollò le spalle. «Un grazie è sufficiente, miss…?» Poi si rese conto che non sarebbe stato cortese se non si fosse presentato a sua volta, così allungò la mano per iniziare le presentazioni. «Oh, ehm, io sono Aiden. E il piccoletto come si chiama?» aggiunse, nel sentire il cane giocare con le sue scarpe.
Amava gli animali, ne aveva diversi a casa e se avesse potuto ne avrebbe avuti molti altri, come se fosse proprietario di uno zoo privato.

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L'uomo si grattò la barba rimanendo a terra,
volgendo appena lo sguardo verso Daphne, ancora destabilizzato dallo scontro che aveva avuto col cespuglio.
Al commento del rosso alla strega sfuggì una risatina spontanea.
«Sa che sono la sua fonte di cibo, non scapperebbe mai davvero» rispose ridendo mentre il cucciolo si guardava attorno piuttosto curioso, come se durante la corsa non si fosse reso conto di dove si trovasse.
Vederlo in piedi le fece notare più particolari, ad esempio la corporatura piuttosto massiccia e l'altezza non eccessiva, oltre gli occhi azzurri così simili ai suoi. Era come ritrovarsi davanti alla propria versione maschile.
«Da quanto tempo ce l’ha?» Si risvegliò dai suoi pensieri ripensando alla prima volta che aveva visto quella palla di pelo che le aveva dato un buffetto sul naso con la zampa. Sembrava passato un sacco di tempo ma in verità erano state solo due settimane.
«Poco più di due settimane, ma sembra passato un secolo da quante ne ha combinate» disse sorridendo mentre osservava Chocolat annusare la mano del rosso, accettando la carezza adorante.
«Un grazie è sufficiente, miss…? Oh, ehm, io sono Aiden. E il piccoletto come si chiama?» strinse a sua volta la mano di Aiden, mantenendo il sorriso.
«Allora grazie, Aiden. Daphne, comunque... Lui è Chocolat, invece» presentò entrambi.


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L
e dita grattarono le orecchie morbide del cucciolo, facendolo mugolare estasiato, come ogni cane che riceveva le coccole in quel determinato punto. Aiden ridacchiò nel vederlo sdraiarsi a terra e cercare altre coccole. Accontentò le richieste del cucciolo e prese a grattargli la pancia, fancendolo scodinzolare come un movimento di coda circolare da sembrare l’elica di un elicottero pronto al decollo; inoltre, il piccoletto aveva preso ad agitare la zampina posteriore, come se fosse un tic. Doveva essere davvero estasiato per quelle coccole.
«Due settimane?» fece eco, fissando la donna, così simile a lui nell’aspetto, ma con un accento poco britannico. La donna forse veniva da un altro Paese; se la cavava bene ovviamente, ma il suo accento era diverso, cosa che mise Aiden in stato confusionale ma altrettanto curioso di scoprirlo.
«Allora piacere mio, miss Daphne e mr Chocolat.» disse con un sorriso, stringendole la mano, mentre l’altra era nella tasca dei pantaloncini color crema, con dei mocassini del medesimo colore e una maglietta a strisce bianche e azzurro chiaro, facendo risaltare la tipica moda estiva. In più aveva degli occhiali da sole rotondi appesi alla maglietta, miracolosamente scampati al cespuglio e risistemati al loro posto con estrema premura, dopo aver temuto di perderli tra il fogliame.
«Chiedo venia, non vorrei apparire scortese o quantomeno invadente… Ma ho notato il suo accento non molto britannico, così mi chiedevo se si è trasferita da qualche altro Paese. Non per fare l’impiccione, per carità, semplicemente sono curioso e ho sempre avuto un certo orecchio per gli accenti.» disse con una vena d’imbarazzo. «D’altro canto, risponderò alla mia stessa domanda per pareggiare i conti… Io sono irlandese!»

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Guardò il cucciolo di Pastore Tedesco prendersi tutte le coccole provando una specie di adorazione per il rosso, scoppiò a ridere ricevendo un guaito di affermazione dal cane.
«Allora piacere mio, miss Daphne e mr Chocolat.» Ricambiò il sorriso del ragazzo mentre Chacolat si stendeva a pancia su rotolandosi su entrambi i lati nell'erba.
«Chiedo venia, non vorrei apparire scortese o quantomeno invadente… Ma ho notato il suo accento non molto britannico, così mi chiedevo se si è trasferita da qualche altro Paese. Non per fare l’impiccione, per carità, semplicemente sono curioso e ho sempre avuto un certo orecchio per gli accenti. D’altro canto, risponderò alla mia stessa domanda per pareggiare i conti… Io sono irlandese!» L'imbarazzo del rosso la mise a suo agio, sapeva di avere un accento abbastanza marcato, girando il mondo aveva potuto sentire diversi accenti provenienti da ovunque perciò non aveva mai potuto cambiare il suo.
Era stata anche in Irlanda, era stata una delle sue prime tappe, ci era stata per cinque giorni, viaggiando tra Galway, Cork e Limerick ma poi si era quasi beccata un coltellata nello stomaco da parte di un inviato dei vampiri.
«Sono originaria degli Stati Uniti, sebbene non ci viva da anni, ormai. Irlanda, eh... Di dove precisamente?» chiese curiosa, molto tranquilla per una volta.


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A
iden dovette ammettere che trovava la ragazza interessante. Scoprire che era Americana fu come dare una soddisfazione alla sua smisurata curiosità, ma fu il dettaglio che riguardò il non viverci più da anni lo gettò di nuovo nella condizione nel volerne sapere di più. Infondo perfino il lato Auror voleva la sua parte.
«Galway. Ma la famiglia di mia madre è di Limerick.» spiegò brevemente. Si mise gli occhiali quando si mosse per controllare che il libro fosse rimasto sulla panchina e non rubato, ma non lo vide. Sbuffò sonoramente e fece un gesto stizzito. «Grandioso! Mi hanno rubato il libro! Non c'è più rispetto per nessuno...»
Innervosito dalla cosa, estrasse il pacchetto del tabacco e prese a prepararsi una sigaretta. Il sapore del tabacco lo avrebbe reso più ben disposto a non palesare la rabbia.
«Bisogna ammettere che i tuoi capelli mi hanno dato l’impressione che tu fossi una connazionale, all'inizio. Magari hai degli antenati irlandesi...» E sorrise. Un sorriso tra il furbo e il divertito, mentre passò la cartina della sigaretta sulla labbra per poterla sigillare. Poi la accese con il clipper con raffigurato un panda.
«Da quale parte di America vieni? E come mai trasferirsi oltre Oceano? Studi? Ah! Posso darti del tu, vero?»
Il lato Auror non lo abbandonava mai. Era sempre presente e vigile, pronto a cogliere ogni dettaglio e archiviarlo nella sua mente. Ormai gli era impossibile degli interrogatori mascherati da semplici chiacchiere.
Soffiò una nube di fumo, mentre la fissava da dietro le lenti scure.

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Non sapeva nemmeno se il ragazzo che aveva di fronte fosse un mago o un babbano ma le stava tirando fuori informazioni che aveva evitato di dire a chiunque avesse incontrato fino a quel momento, e la cosa le provocò una fastidiosa sensazione di debolezza che si stava espandendo lungo tutta la spina dorsale, non poteva esporsi in quel modo.
«Galway. Ma la famiglia di mia madre è di Limerick.» La spiegazione fu accompagnata poi da uno sbuffo a seguito di un piccolo spostamento del ragazzo «Grandioso! Mi hanno rubato il libro! Non c'è più rispetto per nessuno...»
Ed ecco i sensi di colpa che venivano fuori, lui si era allontanato solo perché Chocolat si era messo a correre come un forsennato per il parco.
«Sono veramente dispiaciuta per il libro, non sarebbe successo se questa piccola pesta non avesse un passione dichiarata per gli scoiattoli. Se posso farmi perdonare in qualche modo dimmelo» si scusò decisamente imbarazzata mentre osservava il rosso farsi una sigaretta.
*Sicuramente è un babbano, i maghi non fumano quella robaccia*
«Bisogna ammettere che i tuoi capelli mi hanno dato l’impressione che tu fossi una connazionale, all'inizio. Magari hai degli antenati irlandesi...»

Sorrise per poi scoppiare a ridere nel vedere il tenero animale raffigurato sull'accendino del rosso.
«Bel panda! No, sono abbastanza sicura di non avere sangue irlandese nelle vene» esclamò divertita.
«Da quale parte di America vieni? E come mai trasferirsi oltre Oceano? Studi? Ah! Posso darti del tu, vero?» la domanda le fece spuntare sulla fronte un cipiglio pensieroso. Poteva fidarsi o poteva trattarsi di una spia? Dubitava che i vampiri avessero corrotto un babbano per seguirla.
«New Orleans, ma sono nata a Seattle. Diciamo che l'America non era un posto per me. Avremo la stessa età, non vedo perché non dovresti darmi del tu» disse calma mentre cercava di fare il suo miglior sorriso.

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Aiden Weiss
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R
ipensandoci bene, il libro non era poi così importante rispetto dal perdere un cane. Un cane era più prezioso di un libro, era difficile rimpiazzarlo, l’affetto tra padrone e animale non poteva essere rimpiazzato facilmente con qualcosa di nuovo.
Scrollò le spalle alle parole della ragazza. «Non fa niente, posso ricomprarlo.» disse con semplicità. Poi sorrise per il commento rivolto al clipper con il panda. Era stato un regalo del Mago italiano che aveva incontrato a London Bridge e sperò di rivederlo presto, scoprire se era riuscito a diventare Auror, perché con il poco tempo che aveva a disposizione poteva non averlo ancora incrociato per i corridoi del Quartier Generale o ancora non aveva sostenuto il colloquio.
Assimilò ogni informazione da lei pronunciata. Non era certa di avere antenati irlandesi e veniva da New Orleans, ma era nata a Seattle. Non era mai stato in America, non gli interessava più di tanto, Aiden era più affascinato dall’Europa e dall’Oceania.
«E’ possibile...» mormorò, annuendo quando Daphne parlò della loro possibilità di essere coetanei. Ma la guardò con occhi attenti, scrupolosi, a cui non sfuggivano i dettagli. «Però non hai detto come mai ha scelto il Regno Unito. Io sono a Londra per lavoro, ma è probabile che tra non molto mi sposterò in Scozia. Londra non mi piace, troppo caotica e puzza di smog.»
Usò quella tattica per spingerla a farsi dire ciò che voleva. Era furbo il rosso, molto furbo, e ritrovarsi ad usare i suoi talenti per fare semplice conversazione fu strano.
Si domandò se fosse una Strega o una Babbana. Decise di tentare un trucchetto per vedere se sarebbe riuscito a capire la verità. Sapeva che in America vi era una Scuola di Magia chiamata Ilvermorny. Se era una Strega, avrebbe abboccato e si sarebbe rivelata con poco.
«Io non so molto dell’America, perdona la mia quasi totale ignoranza a riguardo, ma come sono le scuole da voi? Conosco Harvard, la Trinity e poi c’è… oddio, aiutami, credo sia Ilver-qualcosa… O forse sbaglio io. Quante ce ne sono?» Assunse una faccia confusa, concentrata nel volersi ricordare i nomi e cercando di non dire completamente il nome intero di Ilvermorny; se lo avesse detto probabilmente lei avrebbe detto che non esisteva se non si fosse rivelata una Strega e passare per pazzo o idiota, ma dirlo per metà, fingendosi ignorante in fatto di istituzione americana, forse aveva una chance per farsi comprendere da lei e non passare totalmente da sprovveduto.
Era una prova.

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Quel ragazzo aveva qualcosa di strano, non avrebbe saputo dire cosa, però. La incuriosiva...
«Però non hai detto come mai ha scelto il Regno Unito. Io sono a Londra per lavoro, ma è probabile che tra non molto mi sposterò in Scozia. Londra non mi piace, troppo caotica e puzza di smog.» Stava cercando di tirarle fuori una marea di informazioni, probabilmente per curiosità personale. Che si trattasse di un poliziotto?
«E' un posto tranquillo, non c'è un vero motivo che mi abbia spinta a scegliere di restare qui. La Scozia... interessante» commentò piuttosto incerta, non aveva idea di come potesse essere.
«Io non so molto dell’America, perdona la mia quasi totale ignoranza a riguardo, ma come sono le scuole da voi? Conosco Harvard, la Trinity e poi c’è… oddio, aiutami, credo sia Ilver-qualcosa… O forse sbaglio io. Quante ce ne sono?» sorrise furba nel constatare di essersi sbagliata completamente, sapeva esattamente che voleva sentirsi dire Ilvermorny, e solo un mago poteva conoscerne l'esistenza, e la sua chiaramente era una tattica per capire se anche lei possedeva poteri magici.
*Ora sì che è divertente.*
«Non capisco cosa c'entri la scuola in questo momento» esclamò ridendo. «Harvard e Trinity sono college, in America ce ne sono moltissimi, sforzandomi non riuscirei a ricordarne i nomi visto che non ho frequentato l'università» disse sorridendo facendogli capire che lo stava un po' prendendo in giro, stava a lui capire la sua natura.

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li occhi dell’irlandese emanarono una strana luce, misteriosa, ma anche venata di curiosità e determinazione a volerne sapere di più su quella donna che pareva quasi la sua copia al femminile. Peccato che fosse impossibile notare ciò che i suoi occhi stavano comunicando, le lenti che aveva indosso erano molto scure e impenetrabili.
Londra un posto tranquillo? Ma quando mai? Non con Voldemort e i suoi Mangiamorte in circolazione. Sicuramente l’Europa era il posto meno tranquillo e sicuro al momento, la donna avrebbe fatto meglio a tornarsene in America e non rischiare di rimanerci secca.
«Lo è per ora. Immagino tu abbia sentito parlare dell’alto tasso di morti in circostanze misteriose qui in suolo britannico.» mormorò piano, quasi con discrezione e circospezione. La prudenza non era mai troppa.
Il sorriso furbo della donna non gli sfuggì e a sua volta sorrise nel medesimo modo, se non con più evidenza. Era chiaro che avesse capito il suo trucco, il suo test, e che cercava di sviarlo prendendosi gioco di lui.
La cosa divertì ed eccitò Aiden in un modo sorprendente, come se avesse trovato qualcuno finalmente degno di giocare al suo stesso gioco.
«Ma ne esiste solo una fondata da una donna di origini irlandesi. O sbaglio?» Mosse un passo verso di lei, trovandosi faccia a faccia. Presto quel gioco sarebbe stato più interessante, Aiden lo sapeva. «Hai detto che se avessi voluto qualcosa in cambio dell’aiuto che ti ho appena dato avrei dovuto semplicemente chiedere. Dunque… Riflettendoci bene, mi accontenterò della verità.» Le regalò un sorriso sia cortese che divertito. Il gioco delle Verità e delle Menzogne era sempre stato il suo preferito. «Sai già a cosa mi riferisco, giusto, miss Daphne? La risposta è semplice, ma a volte un’ammissione è meglio di una constatazione.»
Si tolse gli occhiali e inarcò un sopracciglio, come per spronarla ad ammettere che era una Strega, perché sorridergli in quel modo furbo e deviare il discorso significava una cosa sola: lei era una Strega e cercava di farlo passare per scemo.
«Sembra che i rossi non possano fregarsi tra loro. Interessante teoria su cui sviluppare una tesi, non trovi?» ridacchiò divertito. «Posso chiedere l’onore di offrirti un caffè?» buttò lì, senza pensarci troppo su.
Si morse un labbro con aria pensierosa.

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Edited by Aiden Wëiss» - 17/8/2017, 12:02
 
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Qegli occhiali da sole le davano estremamente fastidio,
non riusciva a capire cosa il rosso stesse pensando nascosto dietro le lenti scure.
«Lo è per ora. Immagino tu abbia sentito parlare dell’alto tasso di morti in circostanze misteriose qui in suolo britannico.»
Quella frase mormorata la fece incupire terribilmente, sapeva perfettamente di tutte le morti che Voldemort aveva provocato ma non pensava che potesse essere peggio che essere direttamente braccata da un gruppo di vampiri pronti a ucciderla o, peggio, trasformarla.
«Preferisco non pensarci» disse cercando di abbozzare un sorriso.
«Ma ne esiste solo una fondata da una donna di origini irlandesi. O sbaglio?» Ritrovarselo faccia a faccia la fece ridacchiare, era abbastanza alta da non dover alzare lo sguardo per guardarlo.
«Ma se sai così tante cose sulle scuole americane come fai a non ricordarti il nome? Aspetta, com'era... Ilver-che?» chiese provocatoria sorridendo innocentemente.
«Hai detto che se avessi voluto qualcosa in cambio dell’aiuto che ti ho appena dato avrei dovuto semplicemente chiedere. Dunque… Riflettendoci bene, mi accontenterò della verità. Sai già a cosa mi riferisco, giusto, miss Daphne? La risposta è semplice, ma a volte un’ammissione è meglio di una constatazione.»
Rifletté un attimo e alzò il sopracciglio «Va bene, Ilvermorny. Ora sei felice?» chiese ridendo mentre Chocolat la guardò in cerca di coccole, ricevendo un grattatina sulla pancia.
«Evidentemente hai ragione, i rossi non possono fregarsi tra di loro. Potrei valutarlo come prossimo argomento di studi in un momento di noia.»
La domanda dell'uomo la sorprese a dir poco, facendola sorridere, però. «Accetto volentieri se posso prendere del cioccolato, ho una dipendenza da dolci» accettò regalandogli un sorriso scherzoso. *Che cosa bizzarra.*

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veva vinto, alla fine.
L’Auror sorrise con soddisfazione, come a volersi complimentare con sé stesso per quella vittoria. Aveva giocato le carte giuste.
Infilò le mani in tasca. «Non è stato difficile, visto? Bastava ammetterlo.» Il sorriso divenne uno di quelli a trentadue denti, da vero e proprio monello. In quel momento, Aiden era tornato ad essere il ragazzo che era stato: combina guai, monello ma anche giocherellone.
«E cioccolato sia!» esclamò, togliendo una mano dalla tasca e offrendole gentilmente il braccio, con fare galante. Era una cosa tipica di lui, essere cavalleresco, e proprio per questa ragione che era stato un Grifondoro.
Guardò il cucciolo. Una rapida occhiata, prima di guardare lei. «Forse dovrei mostrarti un trucco per tenere il guinzaglio in maniera più salda. Se dovesse scappare di nuovo, non sono sicuro che ci sarà qualcun altro disposto ad infilarsi dentro un cespuglio per recuperarlo.» E ridacchiò divertito, poi le prese gentilmente il guinzaglio e le mostrò un modo sicuro per evitare che il cane si liberasse dal suo controllo. Passò il guinzaglio attorno al polso e poi lo tenne fermo con il pollice. «In questo modo non perderai la presa e lui non scapperà più. Piuttosto ti trascinerà con lui.» spiegò brevemente.
Si avviarono lungo le stradine del parco, passeggiando tranquillamente, diretti ad un bar poco fuori dal parco, il Crumpets.
Aiden fece un respiro profondo, godendosi l’aria estiva. «Sei nel Regno Unito per lavoro dunque?» domandò nuovamente. Lei aveva deviato molte domande ma Aiden era uno che non si lasciava sfuggire simili dettagli e nemmeno lasciava perdere.

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view post Posted on 17/8/2017, 17:22
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Daphne Woods
Ilvermorny-Wampus | Mago adulto | 24 anni | Outfit | Chocolat "Difficult roads often lead to beautiful destinations"
Aggrottò le sopracciglia, infastidita, nel vedere il sorrisino compiaciuto stampato sul volto dell'uomo. *Ora ti crucio*
Era risaputo che si arrendeva difficilmente alle sfide che le venivano lanciate, fin da piccola non le era mai importato di sbucciarsi un ginocchio o di rompersi un braccio se ciò sarebbe servito a farla uscire vittoriosa, non sapeva nemmeno perché l'avesse fatto in quel momento, era forse troppo distratta, o forse voleva chiudere la questione in fretta.
«Non è stato difficile, visto? Bastava ammetterlo.» Se il commento non fosse stato accompagnato dal sorriso sincero del rosso probabilmente il malcapitato si sarebbe ritrovato schiantato da qualche parte, fortunatamente sembrava una bella giornata per entrambi.
Accettò gentilmente il braccio di Aiden, ridacchiando per la galanteria, lasciandosi guidare verso il bar che più gli andava, anche se immaginava che non fosse troppo lontano, era pieno di locali in giro per Londra.
«Forse dovrei mostrarti un trucco per tenere il guinzaglio in maniera più salda. Se dovesse scappare di nuovo, non sono sicuro che ci sarà qualcun altro disposto ad infilarsi dentro un cespuglio per recuperarlo.» Gli lasciò prendere il guinzaglio, con immensa gioia di Chocolat. «In questo modo non perderai la presa e lui non scapperà più. Piuttosto ti trascinerà con lui.»
Annuì alla spiegazione «Se scappa so chi chiamare te, sembra avere un'adorazione per te, questa piccola peste» disse ridendo mentre osservava quella piccola palla di pelo camminare a testa alta come se fosse il più regale dei re.
«Sei nel Regno Unito per lavoro dunque?» *Non molli proprio, tu, eh?*
Non era lì per un vero e proprio motivo, avrebbe potuto scegliere qualsiasi paese in giro per il mondo ma l'Inghilterra l'aveva attirata,
forse perché la lingua più parlata era la sua, forse perché era il luogo dove era potuta rimanere più a lungo senza cercare di beccarsi un'arma in mezzo agli occhi.
«Il lavoro non è una delle mie priorità qui, è semplicemente un bel paese, non ho nemmeno una vera spiegazione» spiegò sorridendo rassicurante.
*Smettila di farmi domande.* Si sentiva un po' a disagio, stava cercando di capire un sacco di cose di lei, e non le piaceva che qualcuno fosse così interessato alla sua vita.
*Però già che ci sono ho intenzione di diventare un Auror.*

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