There's a tear every time that I blink, Privata: A.M.

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Charles Koskinen
view post Posted on 1/9/2017, 10:58





Charles Koskinen
C.K. | Disoccupato | 25 years | ♪ed-sheeran.2018-04-27-20-56-14 “There will always be a reason why you meet people”
Un profumo di panni appena lavati e di detersivo all'aroma di rosa circondava l'alone un po' trasandato di Charles Koskinen. Il suo aspetto, infatti, appariva un po' più composto rispetto ai suoi abituali modi di stare e l'uomo pareva essere un filo più umano e presentabile per essere uno che viveva in una cuccia per cani dietro alla pattumiera. A primo impatto, un osservatore esterno avrebbe giurato che l'uomo si stesse preparando per un incontro romantico o per un importante colloquio di lavoro che gli avrebbe stravolto la vita. Che come minimo, quel metro e ottanta di capelli rossi e dilemmi psicologici si fosse dato una tale sistemata per qualcosa di grande portata. La triste e pura verità, però, era che, nonostante fosse maturo e vaccinato, Charlie aveva ancora la stessa dote di catturare guai a più non posso di un tempo.
Quel giorno, per un nefasto caso, si era dovuto confrontare con la proprietaria di una lavanderia londinese. Era poi successo che il gatto parecchio scortese della donna lo aveva colto di sorpresa e il finlandese era finito per inciampare in una delle vasche della lavanderia immergendosi in un mix di acqua, sapone, candeggina e una serie di altre sostanze di cui - a dire il vero - Koskinen non voleva sapere nulla. Di tutta fretta, si era alzato andandosi a scusare con la proprietaria ma finendo per peggiorare la situazione; Louisa Blackway (la donna in questione), a causa della sua miopia, lo aveva scambiato per un ladro - nonostante qualche minuto prima si fossero pure parlati - e lo aveva mandato fuori dal locale a calci nel didietro. Così Charles si era trovato con i vestiti da lavare ancora pregni di sudore, il deretano addolorato e aroma di detersivo talmente forte da lasciare la scia dietro di sé. Le sue condizioni, insomma, non erano delle migliori e non lo furono per le successive ore fino al giungere del tardo pomeriggio.
Al tramontare del sole, infatti, Charlie si aggirava ancora fra i vicoli della capitale. Sulle spalle portava la cesta con i mantelli e gli abiti da passare con l'acqua ma non aveva la più pallida idea di come sarebbe riuscito a compiere quella missione che, da quel che aveva potuto constatare, sembrava impossibile. Anche se, invero, erano molte le cose che, da quando nonna Amanda aveva lasciato quella terra, parevano altrettanto impossibili. Per primo il fatto che un giorno il rosso sarebbe potuto trasferirsi a Londra. Eppure alla fine ci era riuscito. O ancora il fatto che riuscisse a trovarsi un lavoro. Ma alla fine l'uomo era stato accettato per tentare di diventare docente di Astronomia. Insomma, ciò che un tempo era lontano e improbabile, era diventato realtà. La quotidianità di Charles era stata travolta da un'ondata di cose nuove e non. E l'idea di potersi ricostruire una vita non poteva far altro che renderlo immensamete di buon umore - anche se la sua apatia al mondo non riuscisse in alcun modo a scomparire.
Con quei pensieri per la testa, il venticinquenne proseguì il suo vagabondaggio. Non aveva la minima idea di come fare a liberarsi di quei panni ma d'un tratto gli fu tutto più chiaro. Una lampadina si accese nel suo cervello. In lontananza intravide la sagoma di una donna dai capelli color mogano. Non riusciva a decifrarne i lineamenti del viso, siccome era posizionata di profilo ma, in lei, Charlie trovò una soluzione ai suoi problemi. A passi felpati si avvicinò alla fanciulla e con un tono quasi divertito la interpellò.

«Mi perdoni, sa per caso dove posso trovare una lavanderia che non appartenga a Louisa Blackway in questa zona? - il suo volto non mostrava alcun segno di cedimento o insicurezza. Era da tempo che il rosso aveva imparato a mascherare i suoi sentimenti di modo che i suoi interlocutori non potessero cogliere nulla nelle sue espressioni. E sapeva che era giusto così: era la legge di sopravvivenza necessaria in un mondo come quello - pieno di finzioni e malizie. -... o, meglio, lei sa lavare i panni sporchi? Mi servirebbe una mano.-

Non aggiunse nulla né si presentò. Prima di tutto le necessità, poi i convenevoli, no?

PS: 160 | PC: 110 | PM: 110 | PE: 23
Giuls || © harrypotter.it



Edited by Charles Koskinen - 5/8/2018, 14:36
 
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Astaroth Morgenstern
view post Posted on 28/9/2017, 10:37




tAjAdvt
There's a tear every time that I blink
La giornata non era stata delle migliori fino a quel momento. Dopo essersi risvegliata con il mal di testa e una bottiglia di rum vuota per metà in mano, aveva arrancato verso la dispensa delle pozioni, nella speranza di aver avanzato una boccetta di Pozione Dopo-Sbornia; spostando sgraziatamente alcune ampolle e barattoli, aveva finito per rovesciare addosso alla vecchia camicia di Charles il contenuto di una fiala piena fino all’orlo di essenza di dittamo. Si era arresa ed era tornata a dormire, prima ancora di ripulire quel disastro.
Il secondo risveglio di quella giornata andò un po’ meglio: il mal di testa era passato, ma il dittamo aveva macchiato anche le lenzuola su cui si era gettata qualche ora prima. Con la mano andò in cerca della bacchetta sul comodino, senza nemmeno voltarsi, e, dopo aver sbuffato con rassegnazione, la puntò dapprima verso di sé, poi verso le lenzuola pronunciando un Gratta e Netta. Guardò fuori dalla finestra, scostando appena le tapparelle: dalla luce valutò che dovevano essere ormai le prime ore del pomeriggio. Il sole di quella giornata di fine estate le fece sbattere le palpebre un paio di volte; si diresse verso la modesta cucina per cercare qualcosa da mangiare: lo stomaco protestò per il lungo digiuno. Astaroth recuperò qualche biscotto che sapeva di stantio dalla dispensa e mandò giù il tutto con un abbondante bicchiere d’acqua.
«Forse dovrei uscire a fare la spesa» commentò tra sé e sé; seduta al tavolino tripode, osservava la dispensa vuota. Sospirò, prima di stropicciarsi gli occhi con le mani emettendo un grugnito gutturale di protesta, poi gettò rassegnata la testa indietro.

Maledisse il momento in cui aveva deciso che una passeggiata sarebbe stata una buona idea. Ad un certo momento, nell’arco del pomeriggio, aveva realizzato che le sarebbe piaciuto fare qualche passo e godere – parasole alla mano – degli ultimi raggi di sole estivo; perciò, dopo aver depositato a casa la parca spesa – fatta principalmente di dolcetti e prodotti confezionati – era nuovamente uscita, con meta finale il parco.
Due ore dopo, stava ascoltando i discorsi tediosi di un giovane con due pargoli appresso. Era finalmente riuscita a trovare una panchina libera e isolata rispetto alle zone più frequentate del parco, perciò aveva tirato fuori un romanzo e aveva iniziato a perdersi nella lettura, protetta dall’ombra di una quercia rigogliosa; dopo nemmeno due pagine, un uomo che dimostrava ben più dell’età che poi, di sua spontanea volontà, le aveva rivelato, le si sedette vicino. Allora Astaroth dovette sorbirsi tutta una serie di convenevoli e fingersi interessata alla coppia di marmocchi - «sono gemelli!» - in carrozzina, che nel frattempo avevano avuto modo di dare il meglio di sé in fatto di pianti e strilli. Nonostante i suoi silenzi e i suoi tentativi di concentrarsi sulla lettura, il giovane padre non smetteva di rivolgersi a lei, cercando rassicurazioni su quanto i due bambini fossero deliziosi. Ad un certo punto, l’uomo aveva preso uno dei frutti dei suoi lembi in braccio per cercare di calmarlo, senza smettere per un attimo di raccontarle dettagli della sua vita come genitore.
«Sono proprio due piccole adorabili pesti» commentò l’uomo con una risatina, mentre il bambino gli rigurgitava addosso il pranzo. Astaroth non riusciva a distogliere lo sguardo dalla macchia di liquido lattiginoso che stava pian piano colando giù lungo la spalla dell’orgoglioso padre. Era una fortuna che lei stessa fosse a digiuno.
Quella fu l’ultima goccia. Chiuse di scatto il romanzo, senza riuscire a distogliere lo sguardo dalla macchia, e si alzò in piedi, facendo cadere l’ombrellino di pizzo nero. Mentre si chinava a raccoglierlo, finse di guardare l’ora, avvicinando il polso – nudo – agli occhi. «Caspita, sono in ritardo. È stata una chiacchierata deliziosa, ma devo proprio scappare. Adieu!»
Senza voltarsi indietro, aprì l’ombrellino e iniziò a muoversi a passo svelto quanto più lontano possibile da quella panchina, diretta verso casa.
Ormai il sole stava tramontando, e Astaroth sospirò. Un’altra giornata buttata. Aveva davvero voglia di un bicchiere di vino e di una fetta di foie gras. Avrebbe trovato il primo in dispensa; quanto alla seconda, visto lo stato attuale delle sue finanze, la cucina francese era ben al di fuori della sua portata. Era immersa in queste riflessioni quando si accorse che qualcuno le stava parlando. Si voltò con una certa perplessità verso l’uomo dai capelli rossi che le aveva rivolto la parola. Lo squadrò da capo a piedi rapidamente e non poté esimersi dall'aggrottare la fronte per un istante prima di ricomporsi.
«Una… cosa?» sussurrò. Sollevò le sopracciglia e schiuse le labbra perplessa. Lanciò un’occhiata alla cesta che l’uomo portava in spalla e riuscì a individuare un mantello: un capo d’abbigliamento insolito per un Babbano. Quando l’uomo le chiese di aiutarlo a lavare i panni Astaroth trasalì. Non era abituata ad essere scambiata per una sguattera, ma seppe immediatamente che la novità non le andava molto a genio. La sua espressione si fece severa, le sopracciglia sollevate con sdegno, le spalle dritte e il mento sollevato. Sbatté le palpebre un paio di volte, prima di osservare tagliente:
«Credo che lei mi abbia scambiata per qualcun altro». Sorrise melliflua, poi aggiunse: «Dal momento che sembra essersi dimenticato dell’esistenza dell’incanto Casalegnis, immagino che non sia azzardato da parte mia supporre che lei sia stato Confuso». Chinò la testa di lato e si dipinse sul volto un’espressione volutamente condiscendente. «Non si preoccupi. Capita anche ai migliori di sbagliare».






Chiedo scusa per il ritardo ;_; D'ora in poi sarò molto più rapida, prometto :fru:

Also, edit by me. Le singole immagini non mi appartengono.
 
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Charles Koskinen
view post Posted on 5/8/2018, 21:42





Charles Koskinen
C.K. | Disoccupato | 25 years | ♪ed-sheeran.2018-04-27-20-56-14 “Is it so far from madness to wisdom?”
Il pomeriggio londinese era da sempre stato uno spettacolo da vivere, per il vecchio Charles, soprattutto quando la città non era soggetta a ondate di pioggia. Durante alcune vacanze estive della sua gioventù, quando talvolta decideva di non trascorrere quei mesi di pausa in Finlandia, amava passare il tempo contemplando il paesaggio della Capitale. E ogni volta constatava la medesima situazione: Londra era sempre un luogo di benessere, splendore e magia. Dopo anni, non era cambiato nulla. Anche dalla prospettiva di un venticinquenne fresco di lavanderia e con una vita poco soddisfacente, quel posto non aveva perso il suo fascino. Sarebbe stato a contemplarlo più a lungo se non fosse stato occupato in quella esilarante situazione. Il viso che rispose alla sua chiamata era quello di una giovane donna, che - a occhio e croce - il Koskinen avrebbe giurato avesse la sua stessa età. Gli occhi marini del nordico si spostarono all’istante su quelli verdi di lei. Lo sguardo agghiacciante e le parole della donna lo penetrarono, quasi ad avvertirlo che era appena entrato nella tana della leonessa. Dalle sue frasi, Charlie comprese che - a malincuore - stava parlando con una strega, dotata dei suoi stessi poteri. In quel frangente l'idea di chiedere aiuto proprio a quella sconosciuta gli si palesò come la peggiore che gli fosse mai venuta in mente. Ma ormai aveva già fatto il primo passo e avrebbe dovuto tentare di uscire da quella situazione senza essere schiantato con uno Stupeficium nel bel mezzo della Londra babbana.

«Mi creda, non sono Confuso.» sentenziò quasi con tono di sfida, senza mai spostare le pupille da quelle di lei. La donna gli si era rivolta con un atteggiamento di superiorità e il finlandese non si seppe dire se fosse a causa della richiesta fuori luogo che le aveva avanzato o per un suo modo di fare personale. Ad ogni modo non era di certo quello il comportamento da tenere nei confronti di un pover’uomo in balia dello sconforto. «Vede, io non uso la magia da anni. Da tanti anni. Anzi, penso di non aver mai provato l'incantesimo di cui ha parlato - se non ai tempi di Hogwarts.»

Fece scivolare la cesta degli abiti lungo la spalla e la appoggiò a terra, osservandola. I suoi anni in Finlandia gli avevano insegnato che i babbani vivevano piuttosto bene anche senza magia. Che, con un po’ di impegno, si poteva contare soltanto sulle proprie forze. Ma a Londra tutto ciò cambiava e quella situazione dimostrava proprio che - se non si fosse riadattato alla vita da mago - non avrebbe potuto campare per molto. Dunque alzò di nuovo lo sguardo verso la giovane e questa volta le sorrise furbescamente.

«Be’, Signorina AncheIMiglioriPossonoSbagliare, temo che dovrà aiutarmi, non trova? Perché a quanto pare sbaglio spesso. Riesce a castare questo presunto incantesimo su questi panni? Se mi fa vedere come si fa, sono sicuro che in futuro non importunerò più donzelle come lei.» Sul suo volto si dipinse un’espressione da finto angelo, sostenuta da uno sguardo di altrettanta finta impotenza. «Ah, e se le va, può darmi del tu. La terza persona non fa per me.»

Ancora una volta le sorrise, quasi sfidandola a provare a contraddirlo.

PS: 160 | PC: 110 | PM: 110 | PE: 23
Giuls || © harrypotter.it

 
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