Not a Date, Privata

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view post Posted on 4/9/2017, 10:16
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«Wish that I was different
I'd like to let go.»

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Era lì. Un quarto d'ora in anticipo, ma era lì. Rosegarden street non era cambiata di una virgola. Con il cuore a mille ed una serie infinita di pensieri annidati nella mente, Amber rimase immobile davanti alla portone d'ingresso. Da lontano sarebbe sembrata una statua di cera, un manichino abbandonato da un negoziante poco gentile, tanto era immobile. Ma sarebbe bastato avvicinarsi per percepire chiaramente l'agitarsi del suo giovane cuore e l'affannarsi di quel respiro. Di lì a poco l'avrebbe rivisto e stavolta non erano passati troppi mesi, il ricordo del ballo era fresco e vivido, ma in quell'occasione non aveva potuto avvicinarsi più di qualche metro; ora l'avrebbe avuto a pochi centimetri. Si maledì anche solo per aver pensato che con il tempo sarebbe stato più facile, come poteva? Sentiva già le briglie allentarsi e le catene ritrarsi. E lui non era ancora lì, non l'aveva ancora visto! Illusa, si era illusa che la prova di resistenza al Ballo l'avesse temprata almeno un po', ed invece era chiaro come il sole che avrebbe dovuto compiere un nuovo, immane, sforzo quel giorno. Ma il primo intoppo, forse ancora più semplice, si presentò proprio in quel momento, mentre le iridi verdi indugiavano sul campanello d'ingresso: avrebbe dovuto suonarlo? E se la padrona di casa l'avesse accolta prima ancora di Killian? E se lui non fosse stato in casa e lei avesse dovuto attendere con la McCramble il suo arrivo? Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro. Era mai possibile che bastasse così poco a metterla in difficoltà? Credeva di aver superato la parte più difficile di quella giornata, arrivando fin lì, ed invece aveva trovato un altro ostacolo, eppure le sarebbe bastato osservare appena più a lungo ciò che indossava quel giorno, per capire come agire...

Quel pomeriggio aveva nuovamente mentito a John, sull'onda di quella che ormai era divenuta una pessima abitudine. Si era inventata un turno straordinario da Florian. "Elhena è malata, devo sostituirla" aveva spiegato ad un corrucciato padre, sforzandosi di apparire più convincente possibile e nascondere il nodo alla gola in crescendo. Dal canto suo, l'uomo non le aveva posto troppe domande, le aveva solo chiesto se sarebbe tornata per cena. "Io..non lo so, non penso" aveva risposto lei, tentando di apparire il più professionale possibile, sebbene ancora incerta su tutto. Cosa doveva dirle Killian? Un'idea l'aveva, forse aveva capito a cosa si riferiva parlando di quel progetto da organizzare, ma non era riuscita a concentrarsi in quei due giorni, tutti i suoi pensieri erano corsi all'impazzata verso l'idea che il caso potesse avviarsi ad una svolta significativa, una svolta che avrebbe cambiato le carte in tavola. Non aveva certo dimenticato la ragione principale che l'aveva spinta a cercarlo in primis e non passava giorno che non si maledicesse anche per voler quasi porre in secondo piano la "questione Eveline". Non lo credeva possibile ma il suo cuore era spezzato a metà, una frattura precisa, netta, pulita. Una era dedicata interamente alla madre ed alla vendetta contro colui che gliel'aveva sottratta, portando con sé anche la sua infanzia e rimanendo impunito per quasi dieci anni. L'altra invece sembrava fosse stretta tra le mani tatuate di Killian e non c'era bisogno di chiedersi troppo per trovarne i motivi. Oh, ve n'era più di uno, ma farne un elenco non l'avrebbe per nulla aiutata. Amber avrebbe voluto trovare il modo di unire i due pezzi e non privare nessuna delle due parti di quanto spettava loro. Attimi di tristezza si alternavano sempre più velocemente a momenti di felicità quasi esagerata, ma un equilibrio? Quando Fergus era tornato, due giorni prima, ancora più arruffato e stizzito di quando l'aveva spedito via, lei non si era posta domande, ma si era immaginata che, ancora per una volta, l'incontro tra i due "uomini" non fosse stato dei migliori.
«Fergus» Aveva tentato di rimproverarlo, senza successo. Il gufo l'aveva guardata con astio e si era chiuso in un bozzolo per dormire almeno dodici ore di fila. Il messaggio però doveva essere stato consegnato e dunque l'appuntamento era fissato. Quella certezza, come da copione, aveva portato alla luce altri mille dubbi. Come vestirsi? Come raggiungere quel quartiere babbano? Come indossare la solita maschera per non essere troppo esposta? Aveva impiegato due interi giorni per trovare le giuste risposte, anche se a giudicarne la correttezza non sarebbe stata lei, e farsi trovare - quasi - preparata davanti alla porta del civico 9. Quasi.

L' immagine che il portone ancora celava, attualmente chiuso, avrebbe mostrato una ragazza chiaramente giovane. I capelli biondi ed appena mossi, scendevano composti sulle spalle, ammantanti da un profumo floreale debole ma presente. Una camiciola leggera, in jeans, copriva il busto, lasciando però il giusto spazio ad una collana di cui era possibile vedere l'intero percorso della catenella, dal giro attorno al collo, fino al ciondolo in punta. Si trattava di un amuleto, un dono di Niahndra, che raffigurava il profilo di Persefone. Appena più sotto, una gonna bianca delicatamente ricamata le copriva le gambe fino al ginocchio. Quando aveva scelto di indossare quella particolare gonna, una frase le era tornata alla memoria, infame e nel momento peggiore: "Il bianco ti dona, ragazzina". E per un istante era stata sul punto di cambiare totalmente idea e scegliere un colore differente, ma non l'aveva fatto, infine. A concludere il tutto, un paio di scarpe semplici, suola bianca e tessuto simil-jeans, perché tutto combaciasse. Fu proprio ripercorrendo il suo look che si rese conto di conoscere un modo per farsi sentire da Killian ma non dalla padrona di casa, sempre se la sua presenza non avesse già destato la donna: l'anello. Sollevando la mano sinistra, Amber lo vide, incastrato perfettamente nell'anulare. Alla fine aveva deciso di indossarlo in quel modo, almeno lontano da casa. Aprì e richiuse la mano un paio di volte. Proprio lì, sul polso sinistro, celato da una fascetta in cuoio scuro, c'era un altro segreto, qualcosa di cui alternativamente si pentiva, ma che indubbiamente le aveva dato un senso di appartenenza tutto nuovo. Ma come avrebbe reagito Killian se avesse saputo il significato di quei sue simboli tatuati da poco? Si convinse a non preoccuparsene in quel momento, non ci sarebbe stato modo di togliere il bracciale quel giorno, dunque non vi era motivo di farne una tragedia prima del tempo. Fermando sul nascere l'ennesimo fremito, quando ancora la lancetta delle ore non era giunta sul numero "5", Amber portò l'anello alle labbra e, nella speranza che lui non avesse gettato nel lago nero la sua copia, sussurrò:
«Sono qui...»

Avrebbe atteso con il cuore in gola, nel vano tentativo di placare l'agitazione crescente. Forse vederlo avrebbe messo fine a quei piccoli e crudeli tormenti dell'anima o forse non avrebbe fatto altro che buttare benzina sul fuoco. E lei si era perfino convinta che il viaggio in Taxi fosse stato abbastanza imbarazzante, cosa sarebbe successo se ad aprire non fosse stato Killian?

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view post Posted on 5/9/2017, 20:31
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Killian Resween # 24 anni # Auror

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Doveva giusto svoltare l'angolo e poi si sarebbe ritrovato in Rosegarden St, ad un centinaio di metri dal palazzo che ospitava il suo piccolo appartemento nella Londra Babbana. Era abbastanza sicuro che non fossero ancora le 17 anche se non poteva verificare per la mancanza di orologi al suo polso, ma stranamente aveva affrettato il passo quasi fosse in ritardo per quel non-appuntamento che lui stesso aveva fissato. Sapeva che Lei sarebbe arrivata puntuale, ormai avevano collezionato abbastanza incontri affinchè Killian potesse registrare in memoria un dettaglio come la puntualità di Amber. E allora perchè non si era fatto trovare pronto nel suo appartamento?
Ben due motivi, entrambi validissimi (almeno dal suo punto di vista) l'avevano spinto fuori di casa a nemmeno mezz'ora dall'orario dell'incontro. Il primo, il più pratico, era la totale mancanza di cibi e bevande nella sua dispenza: aveva terminato anche i biscotti di pietra che aveva cercato di rifilare a Fergus la settimana prima. E questo spiegava anche il sacchetto della spesa che aveva con sé, contenente qualche succo, qualche gelato preconfezionato (anche se effettivamente non era una cosa adatta da proporre alla ragazza dato che lavorava da Florian... ma ci aveva ragionato troppo tardi, decisamente) e vari pacchetti di stuzzichini, salatini e altra roba poco salutare per cui andava pazzo. Non era un banchetto regale, ma il poco tempo e la ristretta varietà di articoli che offriva il minimarket più vicino avevano dettato legge.

La seconda motivazione per arrischiarsi a lasciare l'appartamento vuoto e risultare in ritardo era il fatto che aveva bisogno di distrarsi. Aveva iniziato a preparare il materiale per l'incontro (il disegno della maschera, gli appunti di Amber, i suoi appunti con le domande da rivolgerle che le ultime volte gli erano sfuggite) sistemandolo ordinatamente sul tavolo della cucina già dalle 16 e l'operazione aveva richiesto estremamente meno tempo del previsto così che Killian dopo aver riordinato un poco era rimasto di nuovo senza nulla da fare. E quando non era occupato in nessuna faccenda, i suoi pensieri correvano troppo veloci. Si era presto stufato di rimuginare su quello che avrebbe dovuto dire, quello che avrebbe voluto confessare e quello di cui invece non poteva parlare. Se era stato troppo rude con la sua semplice lettera e il suo progettare tutto da solo, se avevacausato malumori con la richiesta di incontrarsi a casa sua , se le sue scuse sarebbero state accettate. Se, se, se ed infiniti se. Era schizzato via dalla sua stessa casa, decidendo che ad Amber Hydra si sarebbe dedicato completamente l'ora successiva e che non poteva davvero permettere che diventasse un chiodo fisso...più di quanto non fosse già. Era nervosismo, il suo? Se non si fosse conosciuto così bene, probabilmente avrebbe detto di sì.

Già a diversi metri di distanza la figura esile della ragazza si palesò agli occhi grigi dell'uomo nascosti dalle lenti scure degli occhiali da sole. *Lo sapevo...*, si rimproverò per quel suo ritardo (anche se in realtà era lei ad essere in anticipo) ma senza accelerare ancora. Lei era immobile davanti al portone e si chiese se avesse già suonato il campanello o stesse semplicemente riflettendo sul farlo o sullo scappare. Sorrise a quel pensiero anche se forse non era molto lontano dalla realtà, ma il ghigno di cui si erano ornate le sue labbra scure era dovuto soprattutto alla situazione in cui si ritrovava ancora, come al Ballo: lui che poteva osservala indisturbato, senza essere a sua volta visto. Ne approfittò ancora, fermo all'altro lato della strada, indugiando sulle leggere onde dei capelli biondi (si erano schiariti un poco o sbagliava?) e sulla pelle lasciata nuda dall'abbigliamento babbano, la parte bassa della schiena, le gambe... L'aveva vista avvolta da abiti ben più preziosi e particolari, ma quell'aria fresca, giovane e sbarazzina era senza dubbio quella che preferiva. Da perdere la testa. Ed ancora l'aveva vista solo di schiena!
Deciso più che mai a non concedersi di andare oltre con i pensieri e la fantasia al riguardo, attraversò la strada rapidamente ma una volta sul lato giusto avanzò a passi felpati, sperando che il via vai pomeridiano dei babbani e delle auto celasse il suo arrivo alla strega. Era arrivato esattamente davanti alle scale e lei era qualche gradino più in alto, abbastanza vicina da permettergli di udire anche se flebili le due paroline che sussurrò. Non fu difficile capire che il destinatario non era la porta, né il campanello, né la Signora McCramble che Killian sapeva essere in vacanza con il suo circolo di amiche: doveva aver parlato all'anello gemello di cui lui possedeva una copia, ora nel bauletto della sua stanza da letto. Fortunatamente non era un problema: il messaggio gli era stato recapitato di persona, anche se lei non lo sapeva ancora.

"Anche io", disse semplicemente con un tono di voce forte in contrasto con quello della piccola che si sarebbe perso facilmente in un silenzio.

Il momento che aveva aspettato da una settimana era arrivato e ora si pentiva di essere fuggito dalle riflessioni che volevano programmarlo: a parte quelle due paroline in risposta, per una volta non sapeva che cosa aggiungere. Ed in effetti bastavano ad esprimere tutto quello che per il momento c'era da dire.

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view post Posted on 6/9/2017, 11:51
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«Are we digging a hole

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Intricati come filamenti sottili di enormi ragnatele, i "se" ed i "ma" minacciavano di prendere possesso della sua mente. E se avesse aperto la padrona di casa? E se invece Killian non avesse ricevuto la conferma via Fergus? Il gufo era stato così indisponente gli ultimi giorni, da instillare in lei anche quel dubbio. Se avesse annullato l'appuntamento e lei si fosse persa il suo ultimo messaggio? Poteva mai essere con qualcun'altra in quel momento? Domande, dubbi e paranoie, non v'era più differenza. Più si avvicinava a quella porta e meno la sua ragione riusciva a prevalere. Eppure lei si era preparata, aveva passato del tempo in silenzio nella sua stanza a ripensare a cosa fare per non lasciare che la ragazzina in preda ad una forza ancora difficile da domare, prendesse il sopravvento sulla ragazza più matura ed equilibrata che credeva di essere. Quanto era accaduto durante l'ultimo ballo, l'aveva convinta di poter sostenere il peso di quella promessa, per nulla tacita, che si erano fatti, ma le aveva anche fatto capire che il percorso per loro due non sarebbe mai stato in discesa. Il desiderio di avvicinarsi a lui tanto da sfiorarlo, si era fatto così forte quella notte che anche dormire era risultato più complesso di quanto sperato. A ricordo di quel momento così strano e così emozionante, v'era una piccola giunchiglia bianca, racchiusa in un cofanetto sulla sua scrivania. Sapere che solo per lei quel fiore aveva un senso, in qualche modo rendeva il loro rapporto ancora più riservato ed unico. La mano, ferma a mezz'aria, iniziò lentamente a richiudersi. Il messaggio delicato e cristallino era stato recapitato, gli anelli funzionavano in modo perfetto, li aveva messi alla prova non poco tempo prima, sempre sulle rive del Lago Nero. Se Killian avesse avuto con sé la propria copia, non avrebbe potuto non sentire il sussurro rivolto esclusivamente a lui. Lei avrebbe solo dovuto attendere una risposta, motivo per cui non allontanò la mano, seppur chiusa, dalle proprie labbra. Ancora una volta, nella sua mente apparve la scena perfetta: la voce di Killian che la raggiungeva, o direttamente lui che apriva il portone di casa. Oh, non aveva idea di quanto potesse sbagliarsi! Ebbe appena il tempo di immaginare il lento scorrere degli eventi, prima di venire sorpresa ancora una volta. Quando Amber si concentrava su qualcosa - che questa fosse un'idea appena abbozzata o un'intera scena ben figurata nella sua mente - il resto del mondo spariva. Nessun rumore, nessuna figura, nulla la disturbava. Era una caratteristica che sapeva di aver ereditato da Eveline, John gliel'aveva confermato con un certo disappunto. Era utile nel caso in cui dovesse servirsi di un incantesimo di difficile esecuzione, o per recuperare all'interno dei vari scomparti della memoria, appunti di lezioni o materiale di studio, ma nella realtà, nel mondo in cui in un batter d'occhio chiunque si sarebbe potuto materializzare di fronte a lei, non era una gran dote. A maggior ragione se la fonte della sua distrazione era proprio l'Auror dagli occhi grigi, che approfittando del rumore di sottofondo della città, era già scivolato lentamente alle sua spalle.

La voce di Killian la raggiunse, chiara e forte. Fu questione di attimi, come sempre. La mente ed il cuore di Amber vennero letteralmente bombardati da una scarica di adrenalina che la fece sobbalzare e girare di scatto. Per quanto veloce fosse stato il suo movimento, a lei sembrò di muoversi a rallentatore. Capelli e gonna ruotarono in sincrono, la prima si sollevò appena, ma solo per la durata di quel movimento. La voce non veniva dall'anello, lo sapeva, ricordava benissimo la diversità di tono e quella volta era certa di non essere stata ingannata. L'immagine del Lago apparve a fare da paragone. Quella notte aveva creduto di averlo alle spalle ma così non era stato, in quel momento, invece, poteva essere certa di non sbagliarsi: lui era lì, in carne ed ossa. Benché la sua mente avesse infine confermato che la voce apparteneva proprio a Killian, l'istinto di Amber ebbe comunque il sopravvento per i primi secondi. Proprio agendo senza riflettere, si ritrovò a mostrare al ragazzo un'espressione a metà tra stupore e spavento. Le pupille ridotte a fessure lasciavano spazio al verde acqua che inondava il suo sguardo, facendo quasi brillare le piccole pagliuzze dorate che caratterizzavano uno dei due occhi. La mano con l'anello era poggiata sul cuore, aperta, poteva sentire l'alternarsi tra il tessuto della camicia e la sua pelle. L'altra mano, invece, era scattata velocemente - troppo velocemente - lungo un lato della gonna, laddove la Tassa sapeva di avere nascosto la bacchetta. Se si fossero trovati ad Hogwarts, il rametto di Sorbo sarebbe stato puntato direttamente sul ragazzo, ma si trovavano a Londra e lei sapeva che non era saggio estrarre la propria arma a casaccio. Tenerla a portata di mano, però, era sempre utile (almeno secondo Amber).


Le labbra - ammorbidite da un semplice strato di burro di cacao, neutro - , appena dischiuse dallo stupore, si chiusero non appena il riconoscimento venne reso palese anche nella sua mente. Il cuore che, come un vecchio saggio, la sapeva lunga; aveva già preso ad agitarsi, quasi fosse un cucciolo pronto a salutare il suo proprietario. Male, malissimo! «Ehi!...» fu tutto quanto lei riuscì a dire, mentre l'espressione mutava in qualcosa di più neutrale e tranquillo. Il proseguo di quella frase sarebbe stato un : "non si fa così!", ma non riuscì a formulare niente altro. Il riflesso di se stessa che rimandarono gli occhiali neri, la immobilizzò ma a frenare definitivamente la sua lingua fu proprio l'immagine dell'Auror. Anche lui, così come lei, aveva optato per abiti babbani, ma l'attenzione della ragazza venne totalmente rapita dal modo in cui le lenti scure si incastravano divinamente nei i lineamenti perfetti di Killian. Non riuscì a trovare una parola consona per definire l'attrazione che come sempre suscitava in lei, sapeva solo che ritrovarselo così d'improvviso di fronte, aveva assestato un duro colpo al suo labile autocontrollo. Le piccole regoline che aveva sottoscritto, quasi fossero un contratto, con se stessa, prevedevano che non si avvicinasse troppo a lui, ma non aveva considerato il fatto che lui potesse palesarsi in quel modo! "Non guardarlo a lungo negli occhi", era un'altra regola e, fortunatamente, almeno quella poteva essere facile da seguire... almeno fin tanto che non si fosse tolto gli occhiali. Costringendosi a non fissarlo tanto da apparire inquietante, puntò lo sguardo verso la borsa che aveva con sé, incuriosita dal suo contenuto ignoto. La mano che aveva portato al petto, scese di nuovo lungo i fianchi, l'altra indicò invece proprio la borsa di Killian. «E... quella?» Niente "ciao", niente convenevoli, ormai era abitudine. Probabilmente non era affari suoi, anzi: sicuramente non lo erano. Eppure lei chiese ugualmente, in un primo tentativo di appigliarsi a qualcosa che non fosse il volto dell'Auror, o il suo corpo, o lo sguardo celato dietro gli occhiali o il ghigno che tanto apprezzava. Abbozzò un lieve sorriso, ad indicare che la crisi improvvisa si era già risolta, lasciando spazio alla sicurezza che via via le donava la presenza dell'altro. Alla fine, era lì anche lui. Va bene, non era in casa, ma lei era arrivata in anticipo, doveva fargliene una colpa? No. Con un semplice passo laterale, si spostò quel tanto che sarebbe servito a permettere al padrone di casa di fare gli onori. Nel farlo, scese di un gradino.

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Not so funny!



 
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view post Posted on 9/9/2017, 18:00
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Killian Resween # 24 anni # Auror

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Fu un bene che il desiderio di celare la sua presenza fino all'ultimo lo trattenne alla base delle scale che portavano al portone principale del palazzo: se si fosse avventurato fino in cima si sarebbe ritrovato lungo il raggio d'azione delle frustrate di capelli e stoffa dovute alla rapida mezza-giravolta che Amber aveva esibito. Aveva saputo sin da quando l'aveva vista affrontare il portone chiuso che l'avrebbe colta di sorpresa con il suo arrivo alle spalle, ma lo sguardo spaventato che gli rivolse fu un piccolo ed inaspettato colpo al cuore. Gli occhi grigi notarono oltre il vetro scuro degli occhiali anche il movimento repentino della mano che corse laddove sicuramente doveva esserci la bacchetta, un dettaglio che ad un Auror non poteva sfuggire. Quella reazione che aveva provocato solo in parte consapevolmente scindeva i suoi pensieri al riguardo in due opposizioni inconciliabili: da una parte l'approvazione per la prudenza, la circospezione e la sicurezza che non erano mai troppe quando ci si trovava da soli in luoghi non familiari ; dall'altra i lineamenti contratti nello spavento che seppur durato attimi li aveva induriti in un'espressione poco amichevole rivolta proprio verso di lui.
Non aveva riconosciuto la sua voce. Seppur per pochissimo e per un riflesso più che giustificabile, lo aveva considerato una minaccia. Era una sciocchezza. Ma lo era stato anche l'uscire poco prima dell'orario dell'incontro per comprare delle schifezze che probabilmente non avrebbero mai mangiato: chissà perchè e percome, tutto quello che non avrebbe mai pensato di fare o provare si realizzava concretamente quando la situazione riguardava in qualche modo Lei.
Mascherò quell'inspiegabile sconcerto iniziale con una roca risata delle sue, da presa in giro, che poi diventò più sincera quando anche il viso della Tassorosso si rilassò nella sua naturale bellezza. Anche se tentò un mezzo rimprovero senza accennare ad un saluto (ed andava bene così), le labbra morbide che aveva conosciuto sin troppo da vicino si incurvarono in un mezzo sorriso che non voleva essere dolce, ma che lui recepì in questo modo.Vederla così, bagnata dalla luce potente del sole estivo e non dalla flebile aurea di una candelina nel buio, la rendeva molto più vivida, una presenza reale dalla quale era difficile staccare lo sguardo. Fortunatamente gli occhiali da sole rendevano impossibile alla ragazza capire quanto gli occhi grigi la stessero scrutando in ogni minimo dettaglio, avidi dopo una lontananza che non si era protratta a lungo nel tempo ma che lo aveva comunque costretto a ripiegare solo sui pensieri più di quanto potesse sopportare. Ma forse una nota nel ghigno sottile che rimase aperto anche alla fine della risata sotto i baffi avrebbe comunque fatto capire alla piccola quanto fosse contento di rivederla benchè lui non ne fosse consapevole, confidando che la censura dello sguardo lo proteggesse da rivelazioni del genere.

Dal canto suo, anche Amber sembrava guardarlo con interesse (cosa per cui Killian ora aveva maturato una sorta di dipendenza, anche se all'inizio era nato tutto per scherzo) ma anche lei era vincolata da una certa promessa mai più esplicitamente citata ma perennemente presente tra loro due e per questo ben presto spostò l'attenzione su qualcosa che effettivamente poteva far sorgere qualche domanda. L'aspetto del semplice sacchetto marrone della spesa non lasciava dubbi sulla sua natura, ma era evidente che la voce curiosa della ragazza lo interrogava sul contenuto. Cosa c'era di più semplice che dire la verità e snocciolare l'elenco dei prodotti comprati? Nulla. Ma la semplicità non sembrava rientrare nelle corde del mago che scelse di dire comunque il vero, ma per vie traverse.


"L'occorrente per un buon pigiama-party", disse mentre saliva qualche scalino e passava davanti alla giovane per raggiungere il portone d'ingresso del palazzo rifilandole un occhiolino divertito.

Quello che aveva detto non era una bugia: volendo aveva tutte le provviste adeguate necessarie per imbastire un evento del genere ed il suo tono di voce tranquillo e sicuro lasciava intendere proprio che quello fosse il reale programma per la serata, ma ovviamente era una battuta. Non era riuscito a bloccare la frase, ad impedirsi di tirare la corda ancora un pochino e l'unica spiegazione per quel comportamento sconsiderato era che nel profondo non desiderava fermarsi, almeno non finchè non avesse intravisto il limite che non doveva oltrepassare.

Con la mano libera si frugò nella tasca dei jeans in cerca del mazzo di chiavi che uscirono tintinnando (erano tantissime e di sicuro non erano tutte per quell'abitazione babbana) e prontamente inserì quella giusta nella serratura che scattò ben tre volte. Tutta quella sicurezza era una fissazione della proprietaria di casa: nonostante le porte dei due appartamenti fossero blindate voleva che anche il portone esterno fosse "invalicabile", come diceva lei. Forse aveva paura che le piante che adornavano l'ingresso come in una foresta pluviale fossero rubate da mascalzoni senza pietà, questo aveva pensato Killian in un primo momento ma poi si era abituato a quella consuetudine babbana nonostante la casa fosse protetta da incantesimi difensivi castati dalla sua stessa bacchetta: l'anziana signora e le sue piante poteva stare tranquille.
Non appena aprì la porta, il tesoro verde della signora McCramble si rivelò ai loro occhi così come la porta dell'appartamento della donna perfettamente chiusa. Nessun naso adunco che spuntava per farsi gli affari loro: stranissimo. Con un sorriso che svelava l'ennesimo "raggiro" invitò la Tassorosso ad entrare mentre le svelava:


"La mia amabile padrona di casa è in vacanza: non dovrai mentire di nuovo"

E lui questo lo sapeva da molto tempo, da prima di spedirle la lettera tra gli artigli di Amigdala. Citare cose avvenute nei loro incontri precedenti ormai era diventata una specie di rituale a cui Killian non avrebbe facilmente rinunciato: le volte in cui si vedevano erano così sporadiche che c'era bisogno da parte loro di tracciare un filo che ne sancisse la continuità. Per questo aveva fatto riferimento nella lettera alla professione inventata della ragazza per spiegare la sua presenza in casa, anche se sapeva che non ce ne sarebbe stato bisogno. Attese una mossa o una parola mentre continuava a reggere il portone così che non si chiudesse. Forse aveva davvero osato troppo combinando insieme un riferimento ad un pigiama-party e alla casa inabitata se non per loro due soli?

Prima o poi questo suo tirare la corda lo avrebbe cacciato in grossi guai. Anzi, l'aveva già fatto.





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Tre secondi. Quella era stata la durata dell'espressione incerta di Amber, prima spaventata e poi improvvisamente dura. Se solo avesse ragionato di più, non lo avrebbe mai guardato in quel modo. In verità erano davvero poche le persone che potevano dire di aver affrontato quello sguardo, ma nessuno di quelle poteva venire paragonata a lui. Non si era data il tempo di ragionare sull'identità della voce che l'aveva raggiunta. *Stupida*, si ammonì. Sapeva benissimo a cosa era dovuto quel comportamento e non si trattava solo di quell'innocente spavento, c'era molto di più dietro gli occhi chiari della ragazza. Segreti che temeva di rivelare fin dal primo giorno ma di cui sperava di non doversi più preoccupare. Ombre, così aveva deciso di chiamarle, erano loro la causa di tutto. La tormentavano da settimane, invadevano i suoi sogni e li tramutavano in incubi in un battito di ciglia. Lei che correva in una strada buia, lei che si nascondeva da un nemico invisibile ed infine lei che cercava una via in un labirinto di pareti nere. Cosa avrebbe pensato vedendola reagire in quel modo? Purtroppo non fu in grado di capirlo, gli occhiali neri divennero un muro invalicabile, ma la felicità di rivederlo accantonò ogni preoccupazione precedente. Invece, la risata con cui l'accolse fece guizzare ancor di più la fiammella accesa tra i due, invisibile ma sempre presente, e la contagiò al punto che anche sul volto della bionda apparve un sorriso. Lì, fermi davanti al portone, a sorridersi a vicenda mentre l'ilarità lasciava il posto alla felicità dell'incontro, non potevano rendersi conto di quanto perfetto sarebbe stato un fermo immagine in quel momento. Un pittore avrebbe dipinto quel quadro dandogli un titolo romantico, ma non avrebbe visto la macchia scura in lenta espansione dietro la tela. Rivedere Killian così da vicino, così vivido e così reale, le tolse il fiato eppure lui non stava facendo niente, era semplicemente immobile e le sorrideva. Affascinante come pochi. Ma cosa poteva esserci di più bello dopo altre settimane di totale assenza? Per contro anche Amber inizialmente non si mosse, quasi volesse testare il tempo di resistenza di entrambi in quella situazione. Per quanto sarebbero riusciti a rimanere a fissarsi? Era consapevole che non fosse il caso di sottoporsi a quel tipo di test, soprattutto non con lui, ma lo fece ugualmente, infrangendo almeno cinque delle proprie regole in una volta sola. Se si fosse tolto gli occhiali, però, lei avrebbe perso ne era certa. In quel sorriso ormai noto, la biondina lesse qualcosa di diverso, di più intenso, qualcosa che forse avrebbe fatto bene ad ignorare e che non poteva essere confermato da uno sguardo celato così bene. Deviare sulla busta della spesa fu l'unico modo per evitare di pensare ad ogni possibile ed eventuale avvicinamento. Tutte le ore passare a riflettere sull'incontro non erano servite a nulla, alla fine. Non sarebbe mai davvero riuscita a nascondergli nulla, non se avesse dovuto guardarlo negli occhi e forse l'espressione che aveva assunto, interessata oltre il dovuto, sarebbe stata impossibile da ritrattare.

Lo sforzo che dovette impiegare per cambiare argomento, non fu per nulla ripagato con la stessa, gentile, moneta. Oh no, i due non giocavano ad armi pari e lui sembrava sul piede di guerra più del solito, sempre pronto a portare la loro sfida su un gradino più alto. Avrebbe dovuto arrabbiarsi, almeno mentalmente, per il modo in cui lui la spingeva incurante oltre il bordo della propria sicurezza, ma come avrebbe potuto? Senza quel continuo punzecchiarsi con estrema precisione, cosa sarebbe rimasto? Dischiuse le labbra per replicare ma l'idea di ritrovarsi in pigiama con lui per un attimo le colorò le guance di un rosa intenso, ma fu una fortuna che proprio in quell'attimo lui le stesse passando accanto per aprire la porta. Ebbe così modo di ricomporsi il più velocemente possibile, e sperare che l'Auror non potesse bearsi di quel - per nulla innocente - imbarazzo. La sua mente apparve improvvisamente vuota. Come ribattere? Sicuramente nel giro dei futuri minuti le sarebbero venute in mente almeno una decina di battute perfette, ma lì per lì l'unica cosa che riuscì a sussurrare fu un sommesso:
«Ah» . In cuor suo sapeva che quella doveva essere una presa in giro, un classico, non era tanto sciocca da pensare il contrario, ma ancora una volta si fece trovare impreparata davanti a quell'attrazione che andava soffocata il più in fretta possibile. Se quello era solo l'inizio, il resto sarebbe stato tragico anche solo da sopportare. Non poteva credere che Killian non sapesse quello che stava facendo ed allo stesso modo non poteva permettergli di "giocare" senza un'avversaria. Se davvero voleva tirare la corda, allora lei doveva farsi trovare dall'altro capo. Lasciando che quella dolce determinazione colmasse il vuoto, inspirò. Il tintinnio di un pesante mazzo di chiavi attirò, in seguito, il suo sguardo. Erano tante e di ogni genere e forma, ma i portoni di quella bifamiliare non erano solo due? Forse il mazzo di Villa Hydra avrebbe potuto tenere testa a quello, ma quello dell'appartamento di John a Londra era insignificante a confronto. Fu inevitabile per lei porsi altre domande: Killian aveva altre case? C'erano altre porte in quella casa? Erano le chiavi del Quartier Generale? Ma ancora una volta, il campanello d'allarme che mai era riuscita a spegnere, si era acceso: sapeva veramente poco di lui. Lo scambio di informazioni in quell'ultimo anno non li aveva mai portati su un livello paritario. Era un cruccio per lei che ad ogni incontro desiderava sapere sempre qualcosa di più, esattamente come il ragazzo aveva intuito: non era in grado di accontentarsi di poco, non più. Così, prima di compiere un passo ed affiancarlo durante l'apertura della porta, gli riservò uno sguardo quasi preoccupato.*Chi sei, Killian?* Una domanda che, forse, non avrebbe trovato risposta nemmeno quel giorno.

L'innaturale quantità di piante che invadeva il pianerottolo, mise a tacere la sua mente, ancora una volta. Corrugò la fronte in un'espressione quasi concentrata e piegò appena la testa a lato, sfiorando la spalla di Killian. Le stava contando... e sbagliava o ce n'erano di più dell'ultima volta? Fece per indicarne una in particolare, dalla ampie foglie verde scuro, ma si ritrovò ancora una volta a confrontarsi con il volto dell'Auror direzionato verso il suo e quelle labbra aperte in un sorriso sempre meno rassicurante.

"La mia amabile padrona di casa è in vacanza: non dovrai mentire di nuovo"

Irrazionalmente, il suo cuore compì un nuovo tuffo carpiato. Erano soli. Anzi, peggio: sarebbero rimasti soli tutto il giorno.«Oh» sussurrò tornando a puntare le iridi chiare contro il vetro nero degli occhiali da sole. Nel profondo apprezzava infinitamente che la donna non ci fosse, ma non per quello che ogni adolescente avrebbe pensato, ma per la segretezza che le veniva assicurata dalla sua assenza. Sforzandosi non esagerare con i monosillabi, recuperò la determinazione appena accennata e, finalmente, si ricompose al punto di tornare in possesso della propria ironia abbastanza da farne uso. Assunse uno sguardo fintamente altezzoso, memore di quello della sua insegnante di musica e gli passò davanti per accogliere il suo invito ad entrare. «Peccato, oggi avevo in programma proprio un concerto per lei, qui sul pianerottolo. Ti sei esercitato, vero? Non vorrai perdere altre ventisette sterline, lo sai come sono.» "una sanguisuga bionda" erano state le parole che aveva usato tanti mesi prima. Quando il profumo variegato e floreale la avvolse, per lei fu come tornare indietro nel tempo, nel momento esatto in cui lui non era stato in grado di presentarla alla signora McCramble, ed era nata tutta la storia dell'insegnante di musica, esattamente nel primo momento in cui aveva percepito il legame - ora palese - che li avrebbe uniti. Forse il primo momento di empasse, che sembrava non tramontare mai e palesarsi ogni volta che iniziava un qualsiasi incontro con lui, programmato o accidentale che fosse, poteva dirsi concluso. O almeno così sperava.

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Killian Resween # 24 anni # Auror

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Per ben due volte l’aveva messa alla prova con delle semplici battute dal valore misero per altri ma con un certo peso per loro. Anzi: aveva messo alla prova entrambi, il loro impegno, la loro promessa. E per cosa poi? Per quelle piccole esclamazioni di sorpresa ed esitazione? *Si*, decisamente. All’udire la prima minuscola non-risposta sul pigiama-party un impercettibile sorrisetto si fece strada tra la barba scura e rimase tale solamente perché il rossore della ragazza sfuggì al suo sguardo, altrimenti sarebbe diventato un vero e proprio ghigno soddisfatto. Killian si era assuefatto a quelle risposte che Amber gli riservava spesso e che avevano scandito il ritmo della crescita del loro strano rapporto. Non che metterla a disagio gli piaceva per il solo gusto di farlo, ma anche lei sapeva metterlo in difficoltà (spesso senza bisogno di parole) e questa era un po’ la sua dolce vendetta personale che seguiva una giustizia che niente aveva a che fare con la ragione. Ma lui sapeva nascondere meglio quei momenti di debolezza soprattutto perché faceva di tutto per evitarli e nonostante si ostinasse a mantenere un comportamento del genere non riusciva proprio a privarsi di quelle reazioni genuine e sincere di Amber.

Avrebbe dovuto fermarsi e lasciare che l’incontro procedesse su vie più semplici e “formali” dato che gli argomenti da affrontare erano molteplici e uno più complicato dell’altro: le scuse che si sentiva in dovere di porgerle ma che sapeva essere perfettamente inutili, il progetto per un’impresa pericolosa, il grande “SE” che il mago celava sull’eventuale rivelazione del suo essere un Animagus … Invece anche quella che voleva essere una semplice constatazione rassicurante (ma a chi voleva darla a bere?) si rivelò motivo di un altro “oh” appena accennato, meno atteso del precedente. Non rimpianse di aver dato la notizia, in qualche modo doveva pur spiegare l’assenza del naso adunco della signora McCramble che li interrogava all’ingresso, ma stavolta non poteva semplicemente lasciarsi accarezzare dall’esclamazione della piccola con il silenzio che avrebbe potuto far peggiorare precipitosamente le cose. A quel punto un pensiero folle gli balenò in mente: e se Amber fosse scappata seduta stante, interpretando negativamente quella che lui aveva considerato una buona notizia? Possibile che un risvolto del genere (che a pensarci bene era assai improbabile accadesse) lo spaventasse tanto da fargli maledire la leggerezza con cui aveva parlato? Fortunatamente, fu proprio la ragazza a salvare la situazione, almeno all’apparenza per nulla intenzionata a lasciare la casa a gambe levate. Questa certezza insieme alla piccola recita inscenata dalla strega fintamente offesa permisero al ragazzo di abbandonare la tensione accumulata per sua stessa colpa e di sciogliersi in una risata sincera. Anche se per finta, la Amber altezzosa aveva catturato tutta la sua attenzione, soprattutto con l’ultima frase che sembrava quasi essere una minaccia.
Sapeva davvero come Amber era? La domanda mentale che si era rivolto lo portò a riassumere un’espressione più seria che manteneva soltanto un’ombra del sorriso spensierato che lei si era guadagnata poco prima. Gli occhi grigi si tuffarono nei compagni verdi quasi che volessero trovare lì la risposta all’interrogativo che era sorto all’improvviso cogliendolo di sorpresa. Di sicuro la conosceva meglio delle persone con cui aveva intrattenuto minimi rapporti nei sette anni precedenti, ma c’era qualcosa in quel viso delicato che riusciva sempre a sfuggirgli e rendeva estremamente difficile l’opporsi al desiderio di appropiarsene. Non poteva conoscere tutti i dettagli di quella giovane vita, i gusti, le abitudini, i modi di fare… rientrava tutto in quello che era stato arrestato, sospeso. In definitiva, no, non la conosceva affatto se non per ciò che aveva mostrato in situazioni troppo distanti dalla realtà quotidiana per poter ricomporre un quadro unico. E nella sola occasione in cui non avevano interpretato principesse, pirati o eroi avvicinandosi quindi alla normalità di due ragazzi che passano del tempo insieme erano giunti precipitosamente al punto di non ritorno, ad un soffio dall'oltrepassarlo. Andava bene così, dunque.

Riguadagnò un’espressione più serena anche se quei pensieri l’aveva rapito per qualche istante: non voleva che la Amber credesse di aver detto qualcosa di male anche perché la sua idea di improvvisare un concerto di cornamuse nell’ingresso era stato un brillante modo per ristabilire il loro giocare scherzosamente. Si decise finalmente a richiudere il portone principale e a fare strada alla sua ospite su per le scale che conducevano al suo appartamento al piano superiore. Ritrovò le parole per ritornare ad essere il Killian spigliato che le aveva dato il benvenuto e non l’uomo pensieroso che si era perso in riflessioni complicate:


“Non mi sono meritato nemmeno un piccolo sconto?", finse di lamentarsi mentre gli scalini scricchiolavano sotto ai suoi anfibi che cercavano di evitare le piante che avevano preso dimora anche lì.

Aprire il portone del suo appartamento fu molto più rapido dato che il grosso mazzo di chiavi non fu necessario: a Killian bastò poggiare la mano sul pomello che faceva da maniglia e grazie ad un incantesimo di riconoscimento che aveva provato poco tempo prima la serratura scattò aprendosi. Di nuovo spinse la porta e lasciò libero il passaggio ponendosi ad uno dei suoi lati aspettando che la ragazza lo superasse ed entrasse. L’appartamento non era cambiato molto : stesso parquet scuro, stesse pareti color prugna, stesso divano in pelle e disordine sullo scrittoio sotto la finestra. Sembrava che il tempo si fosse fermato in quella stanza da quando lei vi aveva messo piede, ma piccoli dettagli rivelavano quanto in realtà la casa fosse più vissuta. Le foto alle pareti erano cambiate pur rimanendo scenari naturali catturati nei suoi viaggi, vicino alla finestra c’era un grosso trespolo per Amigdala che era praticamente nuovo visto che l’animale sembrava disprezzarlo e, ancora, vicino al camino ora spento c’era una piccola cesta stracolma di coperte sotto alle quali Killian sapeva esserci Senza Nome sicuramente addormentato. Anche la falchetta non si vedeva da nessuna parte ma non perché nascosta come il pulcino: Killian l’aveva spedita di nuovo in viaggio.


“Ho preparato tutto in cucina, se non ti dispiace. D’estate è la stanza più fresca", le anticipò qualora entrando si fosse chiesta come mai non c’era traccia dei suoi appunti o di altre cose utili al “lavoro” nel salotto.

Ecco, tutto normale. Semplice. Non doveva per forza complicare le cose quando queste tendevano già da sole a non essere proprio facili…


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Oh si, lei avrebbe potuto voltare i tacchi nell'esatto momento in cui aveva capito che sarebbero stati soli in quella casa. E non certo a causa dell'idea in sè - che invece le faceva più che piacere data la riservatezza sperata - ma perché nel tono che Killian aveva usato aveva percepito qualcosa di ben più pericoloso. Forse era solo lei ad aggiungere paranoie a quelle già esistenti, oppure anche le cose più semplici rischiavano davvero di complicarsi una volta accorciate le distanze? Non era la prima volta che si ritrovava sola con lui, ma questo non avrebbe reso le cose più semplici. Anzi, più la certezza che ad animare il suo cuore ci fosse qualcosa di reale, si palesava, più i suoi timori assumevano forme concrete. Se da una parte non avere la padrona di casa alla porta sollevava Amber dal peso di altre menzogne, divertenti ma pur sempre menzogne, dall'altra era impossibile per la ragazza non pensare a tutte le dolci implicazioni normalmente correlate a situazioni simili. E no, non poteva nemmeno permettersi di fantasticare su quello che ogni diciassettenne avrebbe facilmente etichettato come un "sogno": casa libera, niente vicini impiccioni, tutto il tempo del mondo - più o meno - da soli. Ma lui non era il suo ragazzo e lei non era lì per passare solo del tempo in dolce compagnia, per scherzare, per ridere e per sentirsi meno "Hydra" e più "Amber". Era lì per "lavoro" e non ci sarebbe stato nulla di più, doveva solo riuscire ad entrare in quell'ordine di idee. Il loro rapporto era così costellato di paletti che aggirarli non poteva che essere una follia. Lo sapeva, conosceva benissimo le ragioni che li avevano spinti entrambi a posticipare un evento tanto intenso quanto collocato in un punto sbagliato di entrambe le linee temporali. Eppure lui l'aveva fatto (in minima parte) al Ballo, ma questo non faceva che relegare i momenti più veri a singoli attimi fermi nel tempo. Rari e per questo estremamente preziosi. Perché lei non poteva accontentarsi di sapere di non essere l'unica a provare qualcosa? Cosa la spingeva a cercare sempre in quello sguardo una minima conferma? La conferma di non aver immaginato quanto quasi-accaduto in quel laghetto isolato. Quel giorno era uscita da casa con la convinzione di potercela fare, di poter resistere a qualunque cosa agitasse il suo animo, ma lo sguardo vibrante e vivo che le illuminava gli occhi, avrebbe dichiarato tutt'altro. In fondo, però, qualcosa di buono c'era anche nel vederlo con mille e più restrizioni mentali, almeno poteva bearsi di una sguardo più intenso rivolto solo a lei, di quelle iridi color cielo di Londra che sempre più spesso sembravano cercarla, era già più di quanto ricevuto da chiunque prima di lui. Nella mente riviveva ancora il momento in cui, non troppe settimane prima, era stata certa che entrambi fossero riusciti a guardarsi negli occhi. Lei nel bosco e lui sulla spiaggia. Era lì, quel nugolo di pensieri, nascosto in bella vista, celato da una battuta volta esclusivamente a mettere da parte quei dubbi. Nessuno avrebbe potuto darle qualche consiglio ma anche se ci fosse stato qualcuno con cui parlare di Killian, lei probabilmente non lo avrebbe ascoltato. Poteva invece immaginare le parole esatte che John avrebbe usato per riprenderla se avesse saputo tutto quanto stava accadendo, e quello non faceva che pungolare la sua coscienza a momenti alterni.

C'era qualcuno, però, in grado di sollevare il mantello scuro delle sue riflessioni senza nemmeno la necessità di sfiorarla, ed era proprio lì davanti a lei. Oh, probabilmente non ne era consapevole, ma quell'Auror aveva il potere di rendere tutto insipido ed insignificante se paragonato alla sua stessa presenza. Un'altra risata ed anche l'immagine del padre svanì in una nuvola di fumo. Quando però anche quella si spense, la serietà che si appropriò del volto di Killian contagiò anche le sue labbra, i cui angoli tornarono a rivolgersi appena verso il basso. Stava sbagliando qualcosa? Troppo difficile capire attraverso le lenti scure cosa stesse passando per la mente del ragazzo, che però non volle tenerla sulle spine tanto da innescare nuove paranoie. Seguì i suoi movimenti mentre richiudeva la porta e si avviava lungo la scala che li avrebbe portati nel suo appartamento. Ricordava tutto fin troppo bene, compresa la sensazione di smarrimento che aveva provato la prima volta, innescata più che altro dal tremendo racconto della notte dell'omicidio. Col senno di poi si era resa conto di aver rischiato tantissimo fidandosi di un perfetto sconosciuto. Ma lì, nella realtà del momento, non riuscì a far altro che ringraziarsi mentalmente per aver avuto il coraggio di superare una linea invalicabile. Quando finalmente arrivò la controbattuta, Amber non nascose il lieve sbuffo di una nuova risata, breve ma chiara. Si era meritato qualche sconto? Avrebbe voluto dirgli di no, in fondo aveva comunque davanti un ladro di scarpe ed un Re per nulla pronto ad onorare i propri doveri, ma in effetti per quegli stessi motivi, avrebbe meritato anche un si. Senza rendersene conto, si morse delicatamente il labbro, in quel gesto automatico che faceva ogni volta che si ritrovava a pensare a qualcosa di simile.
«Vedremo...» disse, appena prima che la porta venisse aperta e lui potesse spostarsi per lasciarla entrare per prima. Gli rivolse un rapido sguardo, senza nemmeno sapere il perché, poi varcò la soglia dell'appartamento di Killian Resween, per la seconda volta in vita sua.

Avide, le iridi chiare ispezionarono rapidamente ogni superficie. Il camino, il divano, il tavolino... tutto era proprio come lo ricordava. Immagini nitide sostituirono quelle annebbiate dall'anno trascorso senza mettervi piede. Nulla sembrava essere cambiato, nemmeno il disordine che caratterizzava lo scrittoio. Eccolo lì, un altro punto fermo e stabile nel tempo. Qualche modifica però era stata fatta, un trespolo, nuove foto e qualche altro piccolo dettaglio, ma nulla che minasse l'apparente tranquillità che era pronta a prendere possesso della Tassorosso. Lei doveva solo lasciare che la sensazione familiare la pervadesse e dopo tutto sarebbe andato per il meglio... o almeno così credeva. Compì ancora un passo, prima che il padrone di casa la riportasse alla realtà, informandola che per quel giorno il loro "studio" sarebbe stato l'ufficio e non il salottino. Lei annuì delicatamente, non senza rivolgere un ultimo sguardo al divano. Appannate come sottili linee di fumo colorate, apparvero le loro figure. Una biondina nascosta da una chioma liscia ed un Auror la cui mano tatuata era pronta ad allungarsi oltre il muro di capelli, solo per schioccare le dita e ricordare alla ragazzina quanto velocemente un incanto avrebbe potuto ucciderla.
«Si io... credo sia la cosa migliore. Va benissimo la cucina.» Rispose sovrappensiero, ancora intenta a rimuovere i ricordi e tornare alla realtà. Un nuovo passo e si voltò verso Killian. L'espressione più seria, quasi volesse fargli comprendere di esser pronta, in contrasto con uno sguardo ancora assorto e pensoso, furono il massimo che riuscì a produrre. Erano tante le cose che avrebbe voluto chiedergli: perché viveva con una vecchia babbana? Dov'era la sorella di cui le aveva parlato? E il padre? Cosa aprivano tutte le altre chiavi? Ma tenne per sé i quesiti, consapevole che non fosse proprio il momento di porli, avrebbe prima dovuto capire fino in fondo il motivo per cui si trovava in quella casa. Inspirò ed alzò lo sguardo verso l'Auror, tentando in tutti i modi di relegare la sua figura al lavoro che svolgeva - inutilmente -. Sperò di non doversi scontrare di nuovo con le lenti scure, e sperò anche il contrario. «Un falco eh? » chiese infine, indicando il trespolo alle sua spalle con il pollice, incapace di contenere almeno una delle tante domande, mascherandola da affermazione quasi stupita.

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Edited by ˜Serenitÿ - 17/9/2017, 01:28
 
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La luce ancora potente del sole illuminava il salotto ben diversamente rispetto a quella tenue in cui avevano parlato per la prima volta e seriamente della missione che li univa. Ed estremamente diversi erano loro due, il loro modo di vedere le cose e di guardarsi. Killian non si perse nulla dell’ingresso di Amber nel suo appartamento: era estremamente curioso di sapere che emozioni suscitasse in lei quel ritorno dato che personalmente lo trovava quasi “doveroso”. Una base operativa perfetta, senza ghiaccio scivoloso o boschetti intricati o saloni di cristallo… o forse quello era un campo ancora più insidioso per la volontà condivisa di rimanere fedeli al loro proposito? Come se una mano invisibile avesse voluto confermare quel sospetto, gli occhi verdi che ormai erano per lui insieme sollievo e condanna si soffermarono il tempo necessario affinché se ne accorgesse sul divano che li aveva ospitati molto tempo prima. Sapeva che probabilmente erano i ricordi a causare quel particolare indugio nella ragazza ma non era decisamente il momento di lasciarsi trasportare dai “ti ricordi quando?”, né tra loro due, né in solitudine. C’era un lungo e tortuoso cammino davanti a loro: affacciarsi su quello che era stato li avrebbe solo rallentati. Una volta giunti all’unica meta, ovvero la risoluzione del caso e il conseguente scioglimento del loro patto lavorativo, allora sì che avrebbero potuto sorridere al passato considerandolo solo una prova difficile ma che erano riusciti a vincere.

Ecco, se la testolina bionda che gli causava tanti grattacapi si era persa per qualche istante nei ricordi passati, lui era decisamente corso avanti nel tempo alla fine delle cose di cui ora stavano appena costruendo le basi e questo ritardo era unicamente colpa sua, come se non bastasse. Il senso di colpevolezza che gravava sulla sua coscienza tornò a reclamare con urgenza le scuse che si era ripromesso di farle, ma ancora una volta fu la strega a riportare entrambi al presente commentando il trasferimento della sede dell’incontro.*Migliore rispetto a cosa?*, avrebbe voluto chiederle quando presa da pensieri che il mago non poteva leggere aveva dato quel responso. Invece Killian sorrise semplicemente mentre avanzava dalla soglia e si richiudeva il portone alle spalle. Quella frase sovrappensiero e un po’ sconclusionata (non pensava affatto che fosse “meglio” per via del caldo) lo aveva divertito visto che rarissime volte l’aveva scoperta disattenta, l’apprezzamento della cosa si rivelò anche sugli occhi grigi che finalmente vennero liberati dalla barriera scura degli occhiali, posati insieme alle chiavi sul mobiletto dietro la porta.
Giusto in tempo per rivelare la sorpresa quando gli fu chiesto del falco. Irrazionalmente pensò che si riferisse a lui, che in qualche modo sapesse quello che fino ad allora aveva reso noto soltanto ad un’altra persona che non era lei. Rimase per qualche frazione di secondo interdetto ma fortunatamente Amber aveva indicato il trespolo di Amigdala e questo riportò alla luce la sua logica momentaneamente persa. Amigdala. Stava parlando di lei, ovviamente. Ripresa in mano la situazione che aveva rischiato di sfuggirgli, alzò semplicemente le spalle liberando un sorriso estremamente furbo come a volerle riproporre la contro-domanda “che ti aspettavi?”.


“Andiamo d’accordo”,disse invece come per scusarsi allo stesso tempo della sua scelta lontana dai canoni e del caratterino della falchetta che sicuramente aveva disubbidito a qualche suo ordine circa la consegna fatta ad Amber.

Quello che in realtà avrebbe voluto comunicare con quella semplice spiegazione era che per ovvi motivi erano affini e si comprendevano profondamente, ma questo la ragazza non poteva saperlo almeno per ora: se tutto fosse andato secondo i piani, a fine incontro avrebbe potuto accennarle qualcosa e condividere finalmente quella gioia con qualcuno che in parte non ne soffrisse. Le sottili cicatrici sulle braccia potevano comunque smentire quanto appena detto dall’uomo sulla relazione con Amigdala, ma in fondo non era colpa dell’animale ma solo sua visto che si ostinava a reggerla senza guanti protettivi. Prima che quella frase si rendesse palese per la sua insufficienza di spiegazioni, Killian aprì la strada verso la cucina a sinistra del salone, una stanza che Amber non aveva mai visto.

I mobili erano di un rosso metallizzato che lo rendevano un ambiente fin troppo moderno sia per un mago che per una anziana babbana (ed erano infatti dell’inquilino precedente, ma Killian passava decisamente un tempo irrisorio là dentro e non aveva sentito il bisogno di cambiare l’arredamento). Sul grande frigo straripavano cartoline e foto, alcune statiche ed altre in movimento sorrette da calamite a forma di animali che si arrabattavano per disporsi in modo equo sulla superficie, ma senza riuscirci (quella a forma di cavalluccio marino stava litigando con la tartaruga per il posto sopra alla cartolina di un paesaggio tropicale). Il ripiano della cucina vera e propria contava vicino ai fornelli una vastità di barattoli di tutte le forme e colori ma nessuna etichetta vi era applicata visto che il proprietario sapeva riconoscere il loro contenuto anche senza (ma era solo un vanto, la realtà era ben diversa). Su un ripiano nell’angolo vicino alla finestra, una tv a schermo piatto troneggiava sulla stanza, ma era spenta così come per la maggior parte del tempo. Killian posò la busta della spesa sul tavolo rettangolare circondato da vari sgabelli dove erano raccolte ordinatamente le carte con gli appunti suoi e della giovane sul caso; queste si mossero leggermente quando il ventiquattrenne aprì la finestra sulla parete in fondo facendo entrare la leggera brezza fresca che aveva promesso.

Erano lì. Ora non c’era più nulla ad ostacolare il semi-discorso che aveva preparato. Partì come un fiume in piena perchè la decisione non gli mancava anche quando c'era da ammettere delle mancanze.


“Bene, iniziamo. Scusa numero uno: il Ballo. Me ne sono andato come un vero e proprio fuggitivo ma la situazione… bè non faceva per me”

Sorrise appena contando sul fatto che Amber fosse d’accordo con quel pensiero: lui a ballare con una Reginetta sconosciuta davanti a tutti. No, grazie. Eppure qualcosa di come erano andate le cose quella sera non lo soddisfaceva appieno: aveva deciso di andarsene ben prima dell’annuncio e il fiore donatole lo dimostrava, ma sempre di ritirata si trattava. E poi sua sorella era stata chiarissima al riguardo bacchettandolo per il suo egoismo: e la ragazza rimasta senza cavaliere? Aveva allontanato quel pensiero fino ad allora ritenendolo di piccolissima importanza ma adesso che poteva informarsi voleva appurare se fosse il davvero caso di sentirsi in colpa oppure no.

“La mia assenza ha causato qualche problema? Urla isteriche o rivoluzioni di massa?
”, butto lì mentre iniziava a tirar fuori la spesa rivelando quanto fossero poco salutari le cose che aveva acquistato.

Se proprio doveva prendersi le responsabilità di tutti i suoi errori, non ne doveva tralasciare nemmeno uno.



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How much you wanna risk? »

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Immaginava di essere sotto osservazione. Non poteva esserne certa, nessuno glielo avrebbe garantito, ma la sensazione che le accarezzò la pelle fu proprio quella. Per contro, non smise di osservare i cambiamenti e le certezze di quella stanza accogliente. In altre situazioni si sarebbe sentita a disagio e ben presto avrebbe smesso di fare qualunque cosa, ricorrendo ad un'innaturale immobilità. Ma c'era Killian con lei, lui poteva permettersi ben di peggio. Si rese conto troppo tardi di aver appena compiuto un paragone mentale potenzialmente pericoloso. Se la prima volta su quel divano era stata più triste che preoccupante, di sicuro una seconda avrebbe preso a schiaffi il loro patto. Ammetterlo però era ancora un tabù, a voce alta poi, era perfino un delitto. Amber perdeva sempre la capacità di mentire a se stessa quando il soggetto era l'abitante di quel piano, ed anche quel giorno era certa che avvicinarsi troppo senza porre barriere, sarebbe stato deleterio. Nascosto, forse non proprio in modo magistrale, dietro quel volto delicato, c'era tutto il desiderio di potersi avvicinare il prima possibile a quel "dopo" tanto promesso. *E' troppo presto* Si era detta più volte mentre andava lì. E poi, lui l'avrebbe rifiutata. Doveva farlo per mantenere il patto, ed avendolo già fatto, non vedeva impedimenti a che la cosa potesse accadere due volte. Quindi lei per prima non avrebbe dovuto sottoporsi ad uno strazio simile. Tentò con tutta la forza in corpo di non prolungare quei pensieri che già sapeva come si sarebbero conclusi, rivolgendogli invece una domanda semplice mascherata da esclamazione. Assecondando e negando le sue aspettative, i suoi occhi limpidi incontrarono quelli di Killian per la prima volta da quando si erano salutati. Il tempo finse per qualche istante di fermarsi, così come realmente fece il suo respiro. Le pupille si dilatarono, quelle piccole ed ereditarie pagliuzze dorate brillarono. Le labbra, si schiusero quel tanto che bastava a permetterle di respirare prima di serrarsi dolcemente. Non s'immergeva in quel grigio da troppo. Nemmeno alla festa poteva dire di averlo fatto, quegli occhi erano troppo lontani per essere apprezzati a dovere, eppure probabilmente avrebbero mostrato il loro miglior colore sotto i raggi freddi della Luna. Alzando lo sguardo per raggiungerli, non si accorse di aver fatto mezzo passo verso di lui. Il silenzio venne spezzato dai potenti battiti di un cuore in attesa di gioire da settimane. Lenti, cadenzati e potenti, quei battiti scandirono anche il ritorno del respiro. Fece il possibile per non apparire incantata - ma non ebbe modo di sapere se vi fosse riuscita - e, forse, anche l'espressione del ragazzo l'aiutò nell'impresa. Lo aveva messo in difficoltà chiedendogli della falchetta? Tenne per sé ogni riflessione, finché un sorriso ben più scaltro e familiare trovò il tempo di rassicurarla. «Non lo metto in dubbio.» Rispose di getto, producendo una propria rivisitazione del ghigno che aveva dinanzi, alludendo ad un episodio di cui lui non poteva essere a conoscenza, tentando così di mantenere un certo mistero sulla sua esclamazione. Quando John era entrato in stanza ed Amigdala era volata via, la similitudine con la "fuga" di Killian al ballo era stata inevitabile. Ma, tutto ciò, era fuori dalle conoscenze dell'Auror... per il momento. Nell'esprimersi, Amber incrociò le braccia e sollevò appena un sopracciglio. Sembrava quasi un'allieva intenta a mostrare i risultati di tanta fatica al suo maestro.

Incuriosita, si lasciò guidare in quella nuova stanza. Sapeva dell'esistenza di una cucina anche perché l'infuso della McCramble era spuntato fuori proprio da lì, ma non l'aveva mai vista. Il fatto che poi lui le desse le spalle, anche solo per pochi secondi, le permise di riacciuffare le briglie dell'autocontrollo. Gli era già più vicina di quanto fosse previsto. Era troppo facile pontificare quando la distanza passava da chilometri a decine di metri, ma quando i metri venivano misurati con scale più brevi, le cose cambiavano. Ma era possibile che l'unica a fare fatica in quel momento fosse lei? Oh, era abituata a ragionare anche troppo sulle cose, ma il limite con la paranoia era sempre più sottile. Quando però la stanza apparve in tutta la sua particolarità, la ragazza riprese l'ispezione. La prima cosa che saltò all'occhio furono i mobili, o meglio: il rosso dei mobili. La sua idea di arredamento era differente, non amava il metallizzato o l'ultra moderno, ma questo non le impedì di proseguire con la sua minuziosa ispezione. Al frigorifero erano appese quasi più cartoline di quante potessero rientrare nello spazio che aveva da offrire. Alcune ferme, altre in movimento, sorrette da calamite di svariate forme e colori. Chi le aveva spedite? Erano tutte per lui? In quanti anni era riuscito a riempire l'anta? E se non avesse messo fine alle domande che nuovamente erano tornate a straripare, probabilmente si sarebbe avvicinata al punto da trovare da sé le risposte. Non lo fece. Educatamente rimase al limite del percepibile, lontano dalla privacy di chi l'aveva accolta. Così come per lo scrittorio in salotto, tenne per sé la propria curiosità. Fu poi facile spostare l'attenzione su quanto stava uscendo dalla busta indicata poco prima. Ancora una volta dovette frenare un movimento istintivo. Era abituata ad affiancare John sul bancone quando preparava qualcosa, ma con Killian non lo fece. Il suo istinto le stava quasi suggerendo di dover avere paura di lui e delle sue innate capacità, come quella di poter rimuovere ogni freno inibitore della bionda. Riconobbe un televisore, ben più moderno di quello che c'era in Villa, ma spento allo stesso modo. Ne avevano uno anche a Londra, ma lei non aveva mai capito come funzionassero esattamente. Tra lei e lui, Amber frappose il tavolo, colmo di carte tra le quali c'erano anche le sue. Il disegno della maschera del Mangiamorte, soprattutto. Allungò la mano per sfiorarlo delicatamente, mentre questo prendeva forma sotto i suoi occhi. Prima che potesse stringere i pugni ed odiare con tutta se stessa quell'uomo, Killian la spiazzò scusandosi per una cosa che la lasciò letteralmente senza parole. Alzò la testa nel tentativo di cercare lo sguardo dell'Auror.
«Mmh..» Non riuscì subito a dire qualcosa, anche perché non aveva idea di cosa dire. Non s'immaginava di ricevere scuse simili, non da lui, ma era evidente che dovesse ancora conoscerlo per bene. Lei aveva fatto il possibile per evitare di pensare ad un eventuale ballo di Eloise con Killian, anche perché detestava quella gelosia che impiegava pochi secondi a tornare a galla. E lui, incurante, con due frasi tirò fuori tutto. La mano lasciò il foglio, lo sguardo venne distolto da quello grigio, che nel frattempo sembrava concentrato sulla spesa. L'espressione si fece seria d'improvviso, ma il tono rimase cauto. «Non devi scusarti... non hai fatto nulla di sbagliato, non per me.» C'era forse bisogno di ammettere che non avrebbe sopportato di vederlo ballare con qualcuna che non fosse lei? Era vero, non si era sentita propriamente a posto con la coscienza per aver gioito dell'assenza del Re del ballo, ma tant'è che si era sentita proprio così. Un'idea malsana si fece spazio, per poi essere cacciato in malo modo: si stava scusando perché in realtà avrebbe ballato? No, impossibile. «Eloise ha ripiegato su un cavaliere differente, non penso le mancherai, anche se non passerei dai Tiri Vispi però un po', se fossi in te.» parlò con naturalezza, mantenendo però uno sguardo quasi serio. Tante verità si nascondevano in quella frase. Eloise era sua amica, lei la conosceva, o almeno credeva di conoscerla e se avesse saputo che il motivo per cui la prima volta Amber aveva rischiato di mandare in frantumi la loro amicizia, aveva il nome del Re che l'aveva abbandonata, beh, difficilmente avrebbe predetto una reazione tranquilla. Non le era sfuggito il fatto che Killian avesse alluso alla possibilità di più di una scusa, ma fece di tutto per non focalizzarsi su quel dettaglio e pazientare ancora un po'. «E poi...» Alzò lo sguardo verso la finestra aperta.*Non avrei voluto vederti ballare con nessuno.*«... non avrei potuto permettere che un pessimo ballerino di valzer azzoppasse un altro Prefetto Tassorosso.» Lo sguardo, sempre serio e pensoso, rimase rivolto al panorama esterno. Scherzava, ma nemmeno troppo. Nulla di eccezionale. Quella mezza non-ammissione avrebbe messo fine al discorso?In caso contrario lei avrebbe dovuto inventarsi qualcosa di nuovo per deviare l'argomento. Ma la speranza che Killian capisse la realtà dietro una battuta, per altro falsa, non sarebbe morta tanto presto. Oh no, lui il valzer lo ballava bene e difficilmente lei se ne sarebbe dimenticata, i suoi piedi erano usciti intatti dal ballo russo, il suo cuore non avrebbe potuto dire altrettanto. A lungo aveva sognato una replica sulla passerella al chiaro di Luna. Sull'onda dell'inevitabile, un domanda seguì. Più cauta, più sottile, ma al tempo stesso quasi retorica.«Se non ti avessero chiamato, saresti andato via comunque, no?» Le iridi ancora a scrutare l'orizzonte, non era arrabbiata, non era delusa, forse cercava solo conferme. Un ultimo: "si, Amber, perché deve essere così". Forse.

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Killian Resween # 24 anni # Auror

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Anche quando cercava di dare il meglio di sé, commetteva qualche errore. Era così concentrato su quello che doveva dire, su quello per cui doveva scusarsi, da perdersi dei dettagli che in altre occasioni avrebbe notato e fatto propri. L’espressione della giovane in merito alla nuova stanza, le domande che aveva scaturito che forse trasparivano nei suoi occhi, l’attenzione per il disegno dell’assassino vergato dalla sua stessa mano.
Anche il voler rendere palese i suoi sbagli e cercare di porvi rimedio era in qualche modo una forma di egoismo, come se l’unica cosa che contasse fosse il ripulirsi la coscienza. E questo almeno inconsapevolmente era in parte vero, ma non per LE scuse che insieme lo mortificavano e gli facevano provare rabbia contro la sua stessa persona. Le altre erano sciocchezze al confronto. Eppure, mentre continuava a tirar fuori i prodotti dal sacchetto che aveva davanti, non poteva far altro che tendere l’orecchio per le parole della ragazza all’altro lato del tavolo. Lei si riprese dall’iniziale distrazione che di nuovo lo fece sorridere dolcemente ma proprio mentre si voltava per riporre i biscotti sulla mensola più in alto così che rimanesse nascosto. E poi parlò, rendendo evidente quanto Killian per certi versi fosse “superficiale”. Inizialmente lo rassicurò sulla sua opinione dicendo che non aveva fatto nulla di male ma l’espressione seria che si era dipinta su quel viso delicato gli fece sospettare che in realtà la questione la impensierisse molto. Ed infatti ecco che iniziò a snocciolare brevi ma importanti notizie sulla ragazza che aveva abbandonato in pista ma senza cattiveria.

Eloise, Tiri Vispi Weasley, Prefetto Tassorosso.


Quell’insieme di notizie lo travolse arrestando i suoi movimenti e finalmente si concesse il tempo di indugiare sulle pozze cristalline della ragazza. All’Auror sarebbe bastato un “se l’è presa” o un “non se l’è presa”, giusto per comprendere l’entità del danno, ma quelle informazioni lo riportarono alla realtà ricordandogli una cosa ovvia: Amber andava ad Hogwarts, aveva una vita lì. Non si sarebbe dovuto stupire all'eventualità che conoscesse davvero quella ragazza, per di più collega Prefetto. Ricordava dai tempi della scuola che gli studenti con tali cariche spesso trascorrevano del tempo insieme, anche solo per svolgere i loro compiti. Era lecito pensare che Amber non conoscesse solo il nome e l’occupazione di quella ragazza…ma doveva insistere?
Infine, decise di no. Avevano costruito una barriera tra di loro che allo stesso tempo era di sicurezza e di ostacolo a quel “di più” che non potevano permettersi ancora. Intromettersi nella sua vita privata per ragioni che non avevano nulla a che fare con l’omicidio della madre era esattamente l’opposto dei suoi buoni propositi. Che l’avesse conosciuta bene o meno, non avrebbe fatto alcuna differenza: lui se ne era andato e l’avrebbe fatto altre mille volte se rimesso nelle stesse condizioni. Affidava ad Amber la gestione della situazione, se mai ce ne fosse stata una. E poi magari erano delle perfette estranee e ciò che la ragazza aveva condiviso con lui erano le solite cose che la convivenza al Castello rendeva impossibili non sapere.
.
Una battuta ristabilì finalmente il loro equilibrio o così volle credere il ragazzo dato che non era stata pronunciata come tutte le altre anche se ne aveva la pretesa. Lui sì che provò a punzecchiarla sul serio, ma centrando in pieno il motivo di quell’aria strana.


“Non avresti potuto permettere che un pessimo ballerino di valzer azzoppasse un’altra ragazza oltre te, vorrai dire”

Corresse la frase che lei aveva appena detto con l’intento di farle capire di aver compreso il riferimento al loro primo ed unico ballo insieme, l’Inverno scorso. Il sorriso era disteso in puro divertimento e quel pizzico di malizia non voleva essere nulla di serio. Non poteva sapere anche se avrebbe potuto immaginare, però aveva difficoltà a riconoscere quel tratto acuto persino nella sua personalità, individuare la gelosia negli altri gli era praticamente impossibile, se non per scherzo. Ed ecco che a quell’insinuazione seguì una sua fantasia: se fosse stata la situazione inversa? Se nella pista ci fosse stato un giovanotto con tanto di corona pronto a stringerla tra la sue braccia? Si ricordava perfettamente l’Amber di quella sera e gli era parsa bellissima anche a molta distanza. La prima cosa che gli venne in mente figurandosi quell’ipotesi fu una certezza: si sarebbe reso rapitore oltre che ladro pur di impedire quel ballo.

Tutte le cose erano state riposte eccetto due sacchetti di patatine (uno alle erbe e l’altro al peperoncino) e uno di biscotti che già dalla confezione lasciavano intendere quanto fossero golosi. Finalmente si fermò sul serio e non soltanto per gettare una rapida occhiata alla sua ospite che meritava ben di più. E giunse la domanda. Se prima era stato lui ad essere sfuggente con il suo indaffararsi con la spesa, ora la piccola rivolgeva il suo sguardo lontano da lui, negandogli la possibilità di interpretare la frase enigmatica aiutandosi con gli occhi profondi in cui qualcosa avrebbe certamente trovato. Non era una domanda difficile per via della risposta che era lì sulle sue labbra e che non sarebbe potuta cambiare, ma per il modo in cui era stata posta. Il pensiero che il suo modo di fare la potesse far star male lo colpiva a tradimento spesso come una lancia conficcata nell’addome, eppure non poteva farci nulla. Era così. E lo faceva per entrambi.


“Sì, in genere riconosco quando è il momento di andarmene…o di fare un passo indietro”

Tutte le risposte in una semplice frase. Il riassunto di quanto era successo in un anno nascosto lì tra quelle parole pronunciate con calma e tono basso, un bisbiglio. Rimase lì, appoggiato all’estremità del tavolo, pronto ad accogliere qualsiasi sguardo lei avesse voluto concedergli.



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Edited by Killian Resween - 21/9/2017, 12:00
 
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Ricordava sempre molto bene le assurde fantasie che la sua mente le proponeva nei momenti di noia o di pausa dallo studio. Tra le ultime c'era proprio il fantomatico ballo tra il Re e la Reginetta al chiaro di luna. Killian che, sorridente, accoglieva tra le sue braccia Eloise, altrettanto felice. Il vuoto attorno a loro, i presenti in religioso silenzio e lei, Amber, ancora nascosta dietro un tronco in una zona invisibile dalla pista da ballo, che però le permetteva di vedere ogni cosa. Si era vista in terza persona, e l'espressione che la sua fantasia le aveva cucito addosso non le era piaciuta per niente. Quella era un'altra sensazione che non avrebbe voluto provare: gelosia. Pungente, invitante e fin troppo evidente. Si era convinta che fosse tutto dovuto ai mesi che intercorrevano tra un incontro e l'altro con l'Auror, a volte tanti, a volte pochi, ma sempre presenti, tenuti a bada da un patto infrangibile. Nessuno poteva assicurarle che lui rimanesse fedele alla parola data, eppure ogni qualvolta la parte più insidiosa di sé lo metteva in dubbio, il suo cuore correva in soccorso, ricordandole che Killian aveva guadagnato una certa fiducia e che lei avrebbe dovuto concedergliela. D'altro canto, probabilmente per lui la situazione era la stessa. Alla fine non le era servito molto per comprendere come fosse sbagliato focalizzarsi su un momento mai vissuto, fantasticare al punto da confondere realtà ed immaginazione. Era stato già abbastanza difficile scegliere di non scegliere da che parte stare quella sera, ed ancora il suo animo non aveva preso una netta decisione. Avrebbe lasciato quell'argomento in sospeso finché non fosse stato tanto distante nel tempo da apparire solo un ricordo sfocato. Ma fu proprio lui a riportarlo a galla, con tutte le conseguenze del caso. Amber non rispose alla corretta modifica della propria frase da parte del ragazzo, si limitò ad incurvare le labbra in un sorriso strano, complice. Non poteva nascondergli nulla, eppure ancora non si era abituata a quell'innata empatia. Con lui anche parlare a volte sembrava superfluo, ma abituarsi a quel trattamento era sempre deleterio, perché il ritorno alla realtà la vedeva chiudersi ancora di più a riccio alla prima incomprensione con altri. Le sembrava di vivere in due mondi differenti, a volte complementari, altre volte in lotta tra loro.

Trovarsi finalmente con qualcuno in grado di capirla, di condividere alcuni momenti o anche solo di ascoltarla, fu per lei un sollievo ed una condanna. Erano tante le cose che avrebbe voluto dirgli, così come erano tanti i momenti di cui non avrebbe mai discusso, ma sapeva anche di dover reprimere quel desiderio, perché raccontare quegli episodi di vita avrebbe voluto dire superare la linea tracciata da entrambi. Nonostante tutto, però, non si pentì di aver fornito tutte quelle informazioni su Eloise. Il messaggio doveva in parte essere chiaro: lei la conosceva. Non era importante sapere quanto profondo fosse il loro legame, ma il fatto che esistesse sarebbe bastato. Per cosa? Beh, non trovò le giuste parole per ammetterlo a se stessa, faceva tutto parte di quella nuova e fastidiosa sensazione. In cuor suo avrebbe voluto mettervi fine il prima possibile, ma già sospettava di aver soltanto sfiorato la punta di un Iceberg. A conferma di quanto immaginato, arrivò il sussurro di Killian, una lama a doppio taglio diretta esattamente dove un foro la stava attendendo. Accusò il colpo mentre ancora la brezza carezzava i suoi capelli. "Riconosco quando è il momento di andarmene", le disse, evidenziando invece come lei non fosse capace di fare altrettanto. No lei non lo era affatto. Non aveva avuto una sola esitazione quella volta al lago, non era nemmeno riuscita a pensare ad Eveline mentre lui si avvicinava con quei chiari e dolci intenti. Allo stesso modo, al ballo, aveva tentato di sovvertire l'ordine, riuscendoci solo in parte. Forse Killian non ne aveva idea, ma sapere di essere la più debole in quel campo, tra i due, non la rendeva per nulla serena. Era anche vero che la Vulcanomenta aveva tenuto le redini per qualche ora, impedendo alle naturali barriere della tassorosso di palesarsi a dovere, forse non doveva incolparsi così tanto per la sua debolezza. Colpevole o meno, la risposta centrò il bersaglio. Lentamente, immaginando di essere osservata, (Killian aveva smesso di far rumore con il sacchetto ed il suo contenuto) spostò l'attenzione verso di lui. Non c'era tristezza, non c'era accusa e non era presente nemmeno delusione nel suo sguardo limpido. In qualche modo tra quelle iridi chiare, Lui avrebbe potuto leggere una sorta di ringraziamento.
«Me ne sono accorta.» Non spense il mezzo sorriso complice di poco prima. Avrebbe voluto dire altro, ma si rese conto di aver forse iniziato già con il piede sbagliato. Si, era fantastico poter rimanere un po' da sola con lui, ma no, non erano lì per divagare tanto a lungo. Erano tante le cose che, anche quel giorno, non avrebbe potuto dirgli. Sperò solo che nessuna di queste finisse col prendere il sopravvento nella sua mente. Tentò di considerare "chiusa" la faccenda del ballo, concentrandosi invece sul verso soggetto di quel pomeriggio, o almeno quello che credeva lo fosse: Eveline. Aveva anche portato con sé una cosa, ma se prima poteva dirsi certa di mostrarla anche a lui, spinta dall'onda emotiva e dalla libertà assaporata all'idea di parlargli ancora, dopo non ne era più tanto sicura. Senza prestarvi troppa attenzione, con l'indice seguì il filo d'argento della collanina, mentre il suo sguardo si posava alternativamente su patatine e biscotti. Questi ultimi ben più invitanti delle prime. Riuscì perfino a reprimere una battuta sul pigiama party, certa che non sarebbe riuscita a darle il giusto tono. Un passo indietro era esattamente quello che doveva fare anche lei. Quando si trattava di se stessa, doveva ricordare di pensare prima di parlare, ma se con il resto del mondo l'operazione risultava estremamente facilitata, quando si trovava con Killian le cose cambiavano drasticamente. Con una mano lungo il tavolo, Amber si incamminò appena verso la finestra, ma non si sedette, immaginava di doverlo fare ad un certo punto, ma il ragazzo aveva anche accennato ad altre scuse. Fece appena un paio di passi, fermandosi verso la metà del lato lungo del tavolo. Una posizione ancora sicura. «Dopo la numero uno, c'è una numero due?» Chiese con tono calmo, riportando il suo sguardo su di lui, curiosa e forse un po' preoccupata. Non riusciva ad attribuirgli spontaneamente alcuna colpa. Ma, se con la scusa numero uno era attivata ad un soffio dall'esprimere qualcosa di potenzialmente pericoloso, cosa sarebbe accaduto con quella successiva?

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Killian Resween # 24 anni # Auror

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La finestra aperta alle sue spalle continuava a far entrare una fresca brezza estiva, covata dall’ombra di cui il pomeriggio quel lato del palazzo si beava. In quel modo il suo corpo faceva da scudo alle carte sul tavolo evitando che volassero via distruggendo l’ordine preciso in cui l’uomo l’aveva sistemate, eppure continuavano a vibrare sommessamente per via degli spifferi che vi arrivavano comunque. Quel movimento rendeva i fogli vivi, scalpitanti… quasi volessero attirare l’attenzione su di loro visto che stavano di nuovo venendo ignorati. Ancora per poco, comunque. Killian doveva soltanto sbarazzarsi di qualche altro piccolo sassolino nelle scarpe e poi avrebbero potuto finalmente dedicarsi al reale motivo per cui quegli incontri venivano fissati. Ma non era così semplice prevedere cosa fare o dire, anche a distanza di pochi secondi. Soprattutto dopo che gli occhi limpidi della ragazza tornarono ad incatenarsi in quelli più scuri dell’Auror, trasmettendo molto più di qualsiasi discorso. Il sorrisetto che accompagnò la risposta fu per lui l’”assoluzione” totale dai reati che finora aveva confessato senza mostrare il minimo segno di pentimento, ma solo la volontà di assumersene le responsabilità e le conseguenze. Di riflesso, anche il volto del ventiquattrenne si rischiarò in un’espressione complice, felice che lei riconoscesse quell’abilità come una cosa positiva. Col senno di poi, li aveva salvati entrambi: dubitava fortemente che se quel non-bacio si fosse infine realizzato ora sarebbero stati lì a parlarsi -più o meno- tranquillamente, capaci di resistere o almeno convinti di poterlo fare.

La ragazza avanzò dalla sua posizione costeggiando il lato lungo del tavolo e l’infrangersi dell’immobilità riportò il Resween nei panni del padrone di casa: sfilò la bacchetta dalla profonda tasca posteriore del jeans e dopo un breve svolazzo in aria due ciotole coloratissime uscirono dagli sportelli in basso andandosi a posare davanti a lui. Il colore del contenitore più grande era un bel fucsia accesso mentre il secondo brillava di un verde acido abbagliante, entrambi erano ornati da ampi e coloratissimi disegni di fiori il che non lasciava alcun dubbio sulla loro provenienza. Nonostante l’ “attrezzatura” ben poco mascolina, Killian rivolse uno sguardo divertito e provocatorio all’indirizzo della biondina, sfidandola a prendersi gioco di lui.


“Come vedi le tisane e gli infusi non sono gli unici doni della Signora McCramble”, la informò poi incapace di togliersi quel ghigno storto dalle labbra scure.

Ripose il catalizzatore e si apprestò a svuotare il contenuto dei sacchetti rimasti sul tavolo all’interno delle deliziosissime ciotole, incurante di quanto quella scena potesse risultare strana: un ragazzo completamente tatuato e traforato di piercing che “cucinava” (quello era, senza esagerare, il massimo che riusciva a fare senza combinare danni irreparabili alla mobilia o alla sua salute) con dei materiali usciti direttamente dalla wishlist delle Casalinghe Modaiole. Stava quasi per parlare di quella setta di arzille anziane alla ragazza quando lei lo incalzò sull’argomento scuse. Gli occhi grigi si sollevarono dall’ultima cascata di biscotti con un’espressione indecifrabile ai più, ma forse accessibile propria a lei a cui era stata rivolta. La prima reazione che vi poteva leggere era sorpresa, ma durò soltanto qualche attimo: giusto il tempo di ricordarsi che era davanti ad una ragazza che già altre volte aveva scombinato tutti i suoi piani. Poi un mix di rimprovero, che si tradusse con un leggero corrucciarsi della fronte, e un lieve sentore di compiacimento espresso dall’incurvarsi più accentuato della bocca. No, non era affatto semplice da comprendere. Soprattutto perché ad accompagnare ci fu un brevissimo e poco esauriente
: “Già”.

In effetti la sua idea era stata quella di porgere le scuse in ordine di gravità, ma la questione del Ballo aveva sollevato molti argomenti finora rimasti sepolti e in confronto ciò che aveva da dire adesso sembrava una nullità. Avrebbe potuto semplicemente ometterlo e passare subito al sodo (le carte sul tavolo vibrarono ancora più forte per mano del venticello, pronte ad essere finalmente prese in considerazione), ma passare dalle ciotole fiorite della Signora McCramble al caso di omicidio di sua madre parve al giovane un po’ troppo precipitoso. Aveva aspettato tanto, poteva farlo ancora per qualche minuto.

“Hai avuto difficoltà nell’arrivare qui?”, domandò poi con tranquillità disarmante mentre appallottolava le cartacce residue.

Dal momento che Amber le aveva chiamate “scuse” lui non era più stato in grado di fare altrettanto e così aggirò in quel modo il dire direttamente quanto fosse infastidito dal fatto che di non aver potuto escogitare qualcosa di diverso per portarla a casa sua. Il piano originario di quando aveva iniziato a progettare la cosa era darsi appuntamento vicino al negozietto dove si era fatta lasciare l’ultima volta che l’appartamento era stata la loro base operativa. Abbastanza vicino a casa di Amber, ma non troppo per essere un luogo poco sicuro. Eppure un episodio recente aveva portato Killian ad escludere categoricamente la materializzazione congiunta con la ragazza. Complice la stanchezza per gli “allenamenti” da Animagus e una mente particolarmente disattenta a causa dei troppi pensieri, una sera di qualche tempo prima si era spaccato durante una smaterializzazione per tornare a casa. Si trattava solo della punta del mignolo sinistro, nulla a cui non aveva potuto far fronte da solo, ma il pensiero di poter causare questo ad Amber l’aveva convinto a rinunciare all’idea anche se da solo aveva riprovato altre volte ed era andata sempre bene.

Non sapeva nemmeno perché si fosse interessato così tanto alle peripezie che forse la strega aveva dovuto affrontare per arrivare al luogo del non-appuntamento. Un tempo non gliene sarebbe importato nulla, a maggior ragione dopo averla vista sana e salva alla meta. Eppure il modo attento di guardarla nascondeva delle domande non implicitamente espresse in quella a cui aveva dato voce. Non le stava chiedendo solo i problemi con i trasporti, ma anche di quelli con suo padre, con la sua coscienza o qualsiasi altra cosa negativa il suo messaggio poteva aver provocare.

Ma perché la scuse per delle cose che considerava sciocchezze poi non si rivelavano mai semplicemente tali? Possibile che sbagliasse così tanto senza nemmeno accorgersene?




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«Even when the waves get rough»

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Forse chiedere quella conferma non era stato un male, le aveva garantito di nuovo uno di quei sorrisi che s'illudeva Killian rivolgesse solo a lei. Sondare il terreno era ormai la prassi, doveva ristabilire la connessione perduta nel tempo o almeno capire se la memoria di quella promessa fosse ancora valida. Anche a costo di mancare qualche altro battito. Si era fidata di lui, ma non al cento per cento e la lontananza per lei difficilmente aiutava ad allungare la corda della fiducia. Una corda che l'Auror amava tendere al massimo. Nessun giudizio oltrepassò la barriera che quelle espressioni complici avevano eretto, la ragazza non avrebbe mai potuto accusarlo sul serio per averla abbandonata due volte, sapeva che quello era parte di lui e parte dei loro doveri. La memoria di Eveline non si era estinta, e parlare di lei avrebbe certamente rimosso quel senso di colpa che in fondo non smetteva di tormentarla. Lui poteva avere le sue valide ragioni per non superare il confine, ma anche Amber aveva le proprie. Dimenticarsi o peggio, accantonare, il motivo per cui aveva cercato un alleato all'infuori della famiglia avrebbero fatto di lei una persona che con difficoltà si sarebbe guardata allo specchio in futuro. Dovevano proseguire in quel modo, non c'era scampo. Un foglio parve quasi volersi ribellare alla sua presa, mosso dalla brezza fresca che agitava appena anche i suoi capelli. Amber non stava imprimendo chissà quale forza, eppure il sottile strato di carta era desideroso di avere vita propria. Prima che potesse concentrarsi su quello che doveva essere il motivo della sua presenza e quindi su tutti quegli appunti sparsi per il tavolo - alcuni non vergati dalla sua mano - gli occhi del Prefetto risalirono gli intricati intrecci floreali delle ciotole appena poggiate sul tavolo. Un rapido agitar di bacchetta e queste erano comparse, tanto strane quanto femminili e degne di un servizio da tè di Nonna Elise. Le osservò trattenendo a stento una risata, bloccata quasi subito dallo sguardo sfidante di Killian, che sembrava chiederle proprio se avesse il coraggio di prenderlo in giro per quei "fantastici" doni della Signora McCramble. «Deliziose.. » affermò, soffocando ancora più a stento una risata e poggiando appena le dita sulle labbra per rafforzare il gesto. Non le trovava per niente deliziose, era evidente. «E' un sollievo sapere che non le hai acquistate tu» proseguì, tornando a darsi un tono appena più serio, ma senza esitare a lanciare quella piccola frecciatina, molto simile ad un "ti sfido a comprarle così di tua spontanea iniziativa". La domanda che poco prima l'aveva assalita all'ingresso, tornò a farsi sentire, scostando per un attimo il velo di ilarità ritrovato: perché Killian viveva con quella signora? Da quanti anni abitava lì con l'anziana? Ma, ancora una volta, contenne la curiosità e scelse di rimandare il tutto ad un momento più consono. Se lui però avesse osservato con attenzione, avrebbe potuto notare l'intensità con cui Amber le aveva fissate poco prima, quasi le stesse interrogando. Non poteva spegnere del tutto la propria curiosità, se non avesse tenuto viva alcuna fiammella probabilmente con il tempo lo avrebbe escluso a tal punto da rendergli impossibile l'avvicinarsi di nuovo. E quella era un'altra delle sue paure. Ormai sapeva di avere l'innata capacità di tagliare fuori tutto e tutti, almeno apparentemente, in modo tanto sbrigativo quanto efficace. Se davvero avesse relegato il ragazzo al semplice ruolo di Auror, probabilmente tornare a vederlo solo come Killian non sarebbe stato possibile con altrettanta immediatezza. Non voleva accadesse. Quei pensieri rimasero sigillati nella sua mente, mentre l'attesa di quella seconda scusa si faceva evidente.

Accolse con attenzione lo sguardo che le rivolse, era forse sorpreso dalla domanda? Ma contrariamente a quanto immaginato, lui non parve intenzionato a svelare quel piccolo mistero. La scusa di prima probabilmente era la più semplice, forse anche la più inutile - dal punto di vista di Amber - e quel sospirato "Già" che sostituì la seconda non promise nulla di buono. Non era il caso di iniziare già a pensare al peggio, ma per lei era un processo tanto immediato quanto naturale. Impossibile però che lui l'avesse chiamata solo per dirle che non aveva più intenzione di seguire quel caso, che senso avrebbe avuto chiamarla lì? No, quell'opzione venne scartata subito, ma la successiva non fu migliore della precedente, ed il circolo di pessime ragioni per chiederle scusa venne interrotto solo da una nuova domanda a bruciapelo. Replicando l'espressione inizialmente stupita di Killian, Amber alzò lo sguardo verso di lui - non avrebbe potuto fissare i biscotti ancora a lungo-.
«Oh, ehm.. non è stato semplicissimo.» ed avrebbe tranquillamente potuto chiudere lì il discorso, esattamente come avrebbe fatto con chiunque altro, preferendo un "passiamo ai fatti adesso", ma non lo fece. A convincerla a proseguire ed approfondire quella risposta fu il modo in cui lui la guardò: interessato. Voleva davvero sapere che per poco John non li aveva scoperti? O che l'autista aveva sbagliato strada almeno tre volte e per un secondo aveva temuto di aver perso la bacchetta lungo la via? Evidentemente si, o almeno in quel modo lei interpretò quello sguardo. Forse non era poi così sbagliato rivelare qualcosa di più su di sé, soprattutto se interessava lui. Ma centellinò anche quelle informazioni. «Avevi ragione, non abiti troppo distante da me, ma i mezzi babbani non sono il mio forte e le macchine... ecco quelle proprio non mi piacciono.» parve quasi scusarsi alzando appena le spalle dopo quel commento.«Ho dovuto prendere un taxi e quell'uomo non la smetteva di parlare. Mi ha raccontato la sua vita in meno di venti minuti! » il che l'aveva realmente infastidita, poteva vedersi da una sottile ruga d'espressione che raramente solcava la sua fronte e dalla mano aperta in gesto di incomprensione verso l'indole del vecchio alla guida, mente lo sguardo rivolto lentamente ai fogli, si assottigliava. Sembrava dovesse ricordare momenti avvenuti chissà quanti anni prima.«Si può finire ad Azkaban per aver silenziato un babbano?» la domanda venne posta in modo ironico, quasi fosse normale per lei conversare con lui in quel modo e mettere in evidenzia - benché minima - ciò che amava o detestava di quel mondo. Era così pericolosamente facile. Accennò anche un vago ghigno all'idea di far tacere quel logorroico autista, ben sapendo in verità quali fossero le pene per crimini simili. In ultima, risollevato lo sguardo sull'Auror, riprese un tono appena più serio ma per nulla severo. «Comunque l'alba non è il periodo migliore per consegnare la posta a casa mia, John ci è andato molto vicino stavolta.» ammise, dimenticandosi di non avergli mai raccontato del terza grado subito al ritorno dal loro primo incontro a Londra. «Però Amigdala mi piace. » aggiunse infine, con un tono appena più dolce, ricordando i lineamenti della falchetta, così come la velocità con cui era volata via. Senza smettere di osservare tranquillamente l'Auror, cercando a modo suo di capire se lui potesse dirsi soddisfatto della risposta ricevuta, ben più articolata di quelle di un tempo. Non credeva davvero che a lui servisse la sua approvazione, ma le parve quasi naturale concederla ugualmente. Era incredibile come lei stessa alternasse silenzi spezzati solo da parole monosillabiche, a veri e propri discorsi. Parlare per una volta di qualcosa di più superficiale la faceva quasi sembrare una ragazza normale, lontana dal dolore che in realtà viveva in lei e che il più delle volte la costringeva a prendere tutto fin troppo sul serio. Ma quella non era che la giusta metafora della sua vita, per lei che era rimasta per due anni in totale ed assoluto silenzio. Un'altra cosa di cui Killian era all'oscuro.

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Not so easy


 
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view post Posted on 27/9/2017, 18:16
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Killian Resween # 24 anni # Auror

« Not a Date »


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Ibellissimi e coloratissimi arnesi da cucina della Signora McCramble divennero rapidamente il divertente centro della loro attenzione, in un fuoco incrociato di battute e sfide reciproche. Notò di sottecchi il fugace gesto della biondina, apprezzando quella mano leggera che coprì il sorriso dolce della ragazza e di rimando non poté che sorridere anch’egli mantenendolo un ghigno di risposta all’ennesima provocazione. Poi Amber tornò un poco più seria ma senza allontanare lo sguardo dalle ciotole sul tavolo riccamente riempite dei recenti acquisti e lì Killian interpretò male, malissimo, quell’attenzione dato che anche lui non era affatto infallibile.

“Serviti pure”, la incoraggiò avvicinandole il contenitore dei cioccolatosi biscotti, credendo che gli occhi verdi vi ci fossero soffermati per golosità e non per altro.

Non poteva certo immaginare che semplici e ridicoli oggetti avessero scatenato nella Tassorosso domande ben precise a cui avrebbe fatto fatica a rispondere se interrogato a bruciapelo. Ignorava anche questo: l’enorme vantaggio che aveva nel poter indagare nella sua vita privata e familiare, nella sua storia. Era per uno scopo comune, ma costituiva senza dubbio una disparità tra loro due di cui Killian, nel bene o nel male, godeva i privilegi. Ancora per un po’, almeno.

Finalmente le iridi cristalline di Amber si mossero dal cibo che le aveva catturate fino ad allora, pronte a rispondere alla domanda che l’uomo aveva posto. Anche qui, sarebbe bastato un “sì” o un “no” poiché il non averle risparmiato un viaggio da sola sarebbe rimasto comunque un cruccio per il mago, ma contro ogni aspettativa ottenne ben di più. Amber lasciò le parole fluire liberamente mentre faceva un rapido riassunto del suo piccolo grande viaggio: non gli era mai capitato di vederla così presa dai futili problemi di vita quotidiana e questo rese la Amber dei suoi pensieri ancora più reale, più concreta. Si lamentò del tassista ciarlone così come avrebbe potuto fare qualsiasi altra diciassettenne e il Resween sperò che quel piccolo dettaglio di normalità fosse davvero una boccata d’aria fresca anche per la piccola. L’ombra del sorriso tra la barba scura non scemò mentre si sedeva come a volersi godere al massimo quel racconto, ma anzi si intensificò per la battuta sulla terribile prigione magica. *Si può finire ad Azkaban per averti lasciato prendere da sola un taxi?*, si domandò Killian invece di rispondere all’interrogativo della giovane che sicuramente era retorico. Forse avrebbe anche potuto farci una battuta al riguardo visto che iniziò a scuotere la testa con un’aria incredula come se il piano della bionda fosse il più malvagio della storia e lui fosse costretto ad ingabbiarla sul serio.
Ma Amber non si fermò ancora, approdando sull’argomento a cui Killian si era indirettamente interessato, ma senza esporsi apertamente. Apprese così che la sua era stata una mossa azzardata (come d'altronde risultavano esserlo molte altre) e non era certo una sorpresa, ma era stato costretto dal caratterino di Amigdala ad agire in quel modo: se avesse fatto passare troppo tempo dal momento del “pagamento” in ore passate insieme sotto forma di Falco, lei avrebbe anche potuto fingere di dimenticarsi l’accordo. La notizia non lo preoccupò più di tanto e non l’avrebbe impensierito affatto se non fosse stato per la decisione di Amber di mantenere il più totale segreto sul loro affare. Non aveva paura di John Hydra né della collega Auror perché profondamente convinto di fare la cosa giusta aiutando la ragazza, ma rispettava e credeva alla necessità di tenerli all’oscuro di tutto, se non altro per non mettere nei guai Amber stessa.


“Scommetto che non c’è un momento migliore per le mie lettere”, disse semplicemente alzando le spalle e dando voce ad un’altra grande verità.

Era una figura scomoda per la maschera da figlia ubbidiente e se ne era fatto una ragione da tempo. Evitò accuratamente di pensare che anche senza tutta la storia della risoluzione del caso-Eveline la loro relazione avrebbe comunque interferito con quella da “brava ragazza” della Tassorosso agli occhi di chiunque.

Afferrò un patatina piccante e se la portò alla bocca facendola sparire in un attimo tra i rumori che testimoniavano la sua croccantezza: giusto in tempo per mascherare sapientemente l’autentico tuffo al cuore che seguì l’ultima affermazione della strega su Amigdala. Le piaceva, ma in che senso? Come carattere o come animale? Sarebbe stato felice di entrambe le cose ma nel secondo caso la sua rivelazione di essere un Animagus sembrava avvicinarsi sempre più. Magari quello sarebbe stato davvero il giorno della verità, perché no? Ringraziò mentalmente Amigdala per non aver assalito nessuno e per aver incassato un punto a favore del Resween. Terminato il boccone e di conseguenza la copertura di un sorriso che avrebbe fatto intendere più del dovuto, Killian rimase qualche attimo in silenzio per fare il punto della situazione. Depennò dalla sua lista immaginaria delle scuse da fare quelle per il Ballo e quella per il viaggio; ne restava una. La più importante.


“Non c’è due senza tre”, cominciò ad introdurre la parte più sostanziosa dell’incontro tornando lentamente ad essere serio e confidando che la giovane capisse benissimo a cosa si stesse riferendo.

“Riguarda questo”, continuò poi stendendo il braccio destro ad indicare con un ampio gesto oltre le ciotole della Signora McCramble, sulle numerose carte sistemate sopra la superficie legnosa del tavolo.

Gli occhi grigi abbracciarono ciò che aveva appena portato alla loro attenzione per poi rivolgersi di nuovo ai compagni di tante avventure, ma con una luce totalmente diversa di cui forse non si erano mai adombrati.


“E’ ancora tutto quello che ho”, disse con voce ferma poiché quella era la realtà, anche se affatto piacevole.

Avrebbe potuto dire qualcosa di più per esprimere la sua desolazione, il dispiacere e la frustrazione verso se stesso per avere in mano ancora niente benchè fosse passato un’infinità di tempo da quando se ne era preso carico. Aveva delle spiegazioni anche ragionevoli, ma trovava ancora più disonorevole rendersi insieme imputato e avvocato difensore.
Eppure, contrariamente a come uno sguardo intenso rivolto al Giudice veniva solitamente interpretato, il suo non ricercava un perdono o un’assoluzione. Chiedeva soltanto che non gli venissero fatti sconti per il suo essere il Killian del laghetto di ghiaccio oltre all’Auror Resween che si occupava dell’omicidio di sua madre.



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view post Posted on 29/9/2017, 10:31
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Rushing through mountain dew»

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Non riusciva a comprendere fino a che punto l'idea di parlare con lui come una ragazza "normale", le piacesse. Era una cosa nuova, volava al di sopra dei soliti sguardi, delle parole appena sussurrate per non farsi scoprire da chissà chi, di quegli ammalianti sorrisi riservati con largo anticipo o di un ballo rubato. Ma in quanto nuova, era anche strana e questo non la definiva totalmente positiva. Mentre raccontava le piccole peripezie affrontate per arrivare fin lì, aveva sentito un borbottio laddove il cuore pareva essersi placato. Un avvertimento? Un'esultanza? Era più propensa a pensare che si trattasse della prima delle due ipotesi, ma nonostante l'improvviso muro interno, proseguì comunque con la spiegazione. La verità, benché oscura per lei, era semplice: non voleva esporsi. Amber raramente concedeva a qualcuno di comprendere qualcosa in più su di lei, e solitamente a frenarla era proprio la paura di non essere compresa. Era un serpente che si mordeva la coda in continuazione. Chi avrebbe avuto la possibilità di fermare quel moto perpetuo? Inconsapevole di quanto la sua mente stesse elaborando, si rese conto di aver fissato troppo a lungo le scodelle floreali, guadagnandosi così un invito che non aveva nulla a che vedere con le domande mute che agitavano i suoi pensieri. Lo vide avvicinarle i biscotti e, distrattamente, annuì appena in ringraziamento. Un gesto cortese, un gesto automatico, nulla più. Erano invitanti in realtà, ma li degnò davvero di considerazione solo dopo aver concluso la storia del tassista logorroico. Indugiò sul sorriso che le riservò durante il racconto, pur cercando di non trasformarlo in una distrazione, cosa particolarmente complessa! Quanto potevano essere sciocche le sue considerazioni? Killian viveva in un quartiere babbano, era quindi pratico delle loro usanze? Ancora una volta dovette ammettere di sapere ben poco di lui. Certo il mistero che alimentava quei segreti o quelle risposte mai chieste, era parte integrante del fascino che lui indubbiamente esercitava su di lei, ma scoprire qualcosa in più - a detta di Amber - non avrebbe reso quello strano rapporto meno intenso. *Ed è questo il problema* si disse, giungendo alla conclusione più logica. Si, il problema era che anche il solo desiderio di essere messa al corrente di quanto accadeva nella vita di Killian, rappresentava un passo ben più lungo della gamba, oltre la linea sicura.

Sorrise a sua volta all'idea di poter davvero essere presa in considerazione come "silenziatore di babbani", soprattutto dopo l'espressione quasi convinta dell'Auror. In una frazione di secondo ricordò proprio un dialogo analogo, uno dei primi, quando per scherzo lui si era chiesto se Amber in realtà non fosse una Mangiamorte sotto mentite spoglie e le aveva concesso trenta minuti di prova per dimostrare che non lo fosse. Quel tempo sembrava così lontano, quasi irreale. Poteva sfiorarlo, ma non poteva riviverlo. Era però certa che, più di un anno dopo, se si fosse ritrovata tanto vicina al ragazzo come in quel vicolo, le cose sarebbero andate diversamente. Dal momento in cui aveva affidato il bigliettino con il primo appuntamento a Killian, molte cose erano cambiate, ed ora si trovavano lì davanti al frutto del loro lavoro, qualcosa che la tassorosso aveva solo sognato negli anni, ma che più si faceva concreta e più la terrorizzava. Finché tutto era rimasto racchiuso in assurde fantasie di vendetta, dettate da quel dolore ancora difficile da elaborare, niente era mai divenuto una vera preoccupazione. Ma ora che sentiva di essere davvero uscita da quella famosa e claustrofobica campana di vetro in cui sapeva di aver vissuto da quando aveva 8 anni, sentiva anche l'incertezza di quei passi, i primi dopo anni passati a muoversi come un automa. Era un po' come camminare scalzi sulla sabbia dopo aver indossato per secoli solo scarponcini pesanti. Libertà e paura, era legate indissolubilmente in quello sguardo verde acqua e forse sarebbe sempre stato così. Un po' come quando era stata ad un soffio da farsi scoprire in camera propria con la lettera che l'aveva condotta lì. Era stata una fortuna che John fosse più assonnato di lei, perché altrimenti avrebbe notato quella mano adagiata appena sotto il cuscino e quello sguardo ancora a metà tra la maschera di naturalezza che voleva indossare ed il timore di essere stata scoperta a fare qualcosa di "proibito". Oh, Amber sapeva che Killian aveva ragione, probabilmente non ci sarebbe mai stato un giusto momento per ricevere una sua lettera. Ad Hogwarts temeva sempre che qualcuno la prendesse per sbaglio alla consegna della posta ed a casa c'era un padre apprensivo che di certo non avrebbe approvato nemmeno un singolo aspetto di quel ragazzo che, con abilità, aveva stretto il cuore di sua figlia in una terribile e dolce morsa. Abbassò lo sguardo, quasi colpevole di quei pensieri in fondo condivisi.
«E' una scommessa vinta in partenza» disse, frenando il lieve rossore che s'impossessò per un istante delle guance rosee. *Ma non smettere di inviarle* parve comunicare lo sguardo successivo, aiutato da un sorriso quasi fiero. Non apprezzava l'idea di nascondere qualcosa a John, ma ormai era andata talmente oltre che rivelare anche solo un briciolo di quanto stava accadendo l'avrebbe messa in guai seri. Forse, quando la faccenda si fosse conclusa, avrebbe potuto farsi scudo con il risultato raggiunto. O almeno questo era quello che amava raccontarsi.

Seguendo l'esempio del "padrone di casa", afferrò finalmente un biscotto. Era interessante notare come lei avesse di gran lunga preferito il dolce al salato, esattamente l'opposto di quello che aveva fatto Killian. Era diversi e questo non la preoccupava minimamente, anzi, l'attraeva forse di più. Era stanca di aggirarsi in mezzo a persone all'apparenza perfette, pronte sempre e solo a fare la cosa giusta e mai pronte ad agire d'istinto. Non si sentiva come loro, anche se l'apparenza poteva portare a credere che s'intendesse bene con gente di quel calibro. Assorbì l'informazione tacita di quei gesti, chiedendosi se effettivamente quelle fossero le sue preferenze. Prima che il biscotto potesse anche solo sfiorare le sue labbra, la voce del ragazzo catturò tutta la sua attenzione, così come lo sguardo serio che ne seguì. Di rimando, la bionda rifletté la stessa espressione. Non si rese nemmeno conto di aver iniziato a trattenere il fiato, o che la cassa toracica era nuovamente stata presa d'assalto dai battiti del suo cuore. Stava arrivando la rivelazione del momento? Che informazioni aveva per lei? Era possibile che il caso fisse già stato risolto? Si erano lasciati al punto in cui lui aveva ammesso di volersi far affidare il caso di Eveline, ci era riuscito? Detestò profondamente il momento in cui lui la privò della conferma di quegli occhi grigi, rivolgendoli invece agli appunti, ormai noti, che riempivano lo spazio tra loro. Allontanò definitivamente il biscotto quando la pessima sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato nello sguardo troppo scuro che infine le rivolse, la colpì. Una nuova ruga d'espressione attraversò la sua fronte. Era preoccupata e curiosa, ma trasparì più la prima realtà della seconda.
*Cos'hai scoperto Killian? Cosa?* ebbe modo di chiedersi in quei due secondi prima che la notizia che niente di nuovo avrebbe condito quel commento, venisse elaborata dal suo cervello. Quando capì il senso delle parole di Killian, quando comprese la risposta reale a quelle domande inespresse, la sua espressione si indurì. Abbassò lo sguardo verso i fogli, in cui la sua calligrafia si incrociava ad un'altra. Non lo guardò negli occhi per un tempo indefinito e, forse, anche troppo lungo. Ma in quell'arco temporale, più espressioni si diedero il cambio. Incredulità, sconforto, forse un accenno di accusa verso chi per la prima volta non aveva mantenuto la parola data. Ci dovevano essere delle valide ragioni, non poteva pensare che lui si fosse dimenticato di quel contratto verbale. Dischiuse le labbra più volte nel tentativo di dire qualcosa, ma tutto sembrava fin troppo duro per essere espresso. Niente. Per lei quel giorno non aveva niente. Ma allora perché l'aveva chiamata lì? Solo dopo un ragionamento inespresso alzò lo sguardo, condannando Killian con l'espressione di chi non può accontentarsi di una frase. Non c'era cattiveria in quelle iridi verdi, ma una serietà mai mostrata fino ad allora. Non voleva cedere alle infinite possibilità che la sua mente sembrava proporle (ed una di queste vedeva Killian privato del proprio distintivo a causa di una richiesta non approvata o non capita). Lui avrebbe potuto vederla soppesare appena ciò che stava per dire. «Perché?» L'intensità del suo sguardo non avrebbe lasciato scampo a nessuno, forse anche troppo intenso, quasi cercasse una risposta prima anche che Killian potesse pensarla. Si maledì solo dopo, per il tono incredibilmente serio che aveva usato. In fondo lui non era tenuto nemmeno ad ascoltarla, o ad assecondare quella follia. Non era pronta a giudicarlo, non prima di aver capito cosa fosse successo, se dovesse preoccuparsi per lui, per lei, per loro o per niente. Attese in quello stato, senza nemmeno accorgersi di avere lo sterno quasi premuto sul bordo del tavolo, ed una mano aperta sopra la maschera dell'assassino.*Perché?*

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Not guilty


 
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