Not a Date, Privata

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view post Posted on 5/10/2017, 14:38
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Killian Resween # 24 anni # Auror

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Anche l’uomo più tenace e dal temperamento inflessibile avrebbe vacillato un minimo sotto ad uno sguardo come quello con cui Amber aveva accolto la notizia di mancate novità. E ad amplificare ulteriormente il dolore che Killian provò nel riceverlo fu la sottile speranza che guizzò per un attimo nell’espressione di quel volto delicato che ormai era diventato una costante nei pensieri dell’Auror. Avrebbe tanto voluto avere qualcosa di meglio da dire rispetto all’inconsistente nulla che le aveva proposto, ma la consapevolezza di non poter offrire ancora quello che la giovane strega cercava era un peso che gravava sulla sua coscienza da ben prima che il messaggio per richiedere un incontro fosse stato spedito.
Anche se ogni ruga d’espressione distesa in una glaciale serietà rendeva la reazione di Amber difficile da sopportare, Killian non distolse lo sguardo evitandosi di subire ciò che le sue colpe comportavano. Poteva quasi leggere ogni passaggio di emozione che avveniva all’interno della Tassorosso: la delusione dilagava, evidentissima. Se l’era aspettato, naturalmente. In che altro modo si poteva accogliere una notizia del genere? Un’immagine sonora accompagnò quegli attimi di crudele silenzio: lo scricchiolare impercettibile della fiducia che si era creata tra loro due. Eppure, questo non bastava ancora. Il mago stava aspettando anche una seconda risposta altrettanto naturale e umana, la rabbia. Dov'era? Gli occhi grigi indagarono lo sguardo ancora rivolto altrove e ogni minuscolo dettaglio che potesse aiutare a scorgere la seconda fase di una reazione che più volte si era mentalmente preparato ad affrontare. Aveva messo in conto incredulità, accuse, grida ma solo perché si era rifiutato di fidarsi del suo istinto che sapeva chiaramente che queste realtà non appartenevano alla Amber che aveva conosciuto. Ma la rabbia feroce era qualcosa che avrebbe potuto gestire meglio e per questo si era illuso di risolvere tutto come con un piccolo fuoco rapidamente insorto e altrettanto velocemente domato. La dura conferma di dover affrontare ben di peggio venne infine da una domanda secca accompagnata dallo sguardo che accettò di riallacciarsi a quello dell’uomo, ma che quest’ultimo avvertì distante. Il quesito lo colpì come uno schiantesimo in pieno petto, ma in realtà nulla venne fatto trasparire all’esterno. Mantenne uno stoico atteggiamento deciso, serio e pronto a mettersi in discussione ma niente faceva intravedere quante condanne si fosse già inflitto da solo. Un comportamento che forse poteva apparire freddo ed incurante soprattutto per la mancanza di scuse esplicite: si chiese se non stesse in qualche modo peggiorando la situazione, ma non abbandonò quel modo di fare. Le probabilità che inconsciamente stesse ancora cercando di provocare uno scoppio d'ira erano piuttosto alte.


“L’affidamento del caso è troppo importante per rischiare di non ottenerlo facendomi avanti al momento sbagliato”

Lei aveva cercato una risposta ed ora l’aveva ottenuta anche se sicuramente non sarebbe mai bastata a colmare quel bisogno di spiegazioni che l’aveva spinta a chiedere. C’erano numerosi motivi per cui i progressi si erano fossilizzati, ma quello pronunciato con una semplicità unica dalla voce roca del mago li riassumeva tutti: senza un distintivo con cui farsi strada, le loro possibilità di riuscita si riducevano drasticamente.
Sapeva che non avrebbe potuto sopportare alcuna clemenza, alcun “trattamento speciale” da parte della ragazza in nome di quello che era stato messo in pausa ma che c’era comunque stato. Sapeva anche di dover essere felice e in parte quasi fiero che la questione venisse affrontata maggiormente sotto l’aspetto lavorativo, esattamente come lui aveva imposto quel gelido pomeriggio invernale. Eppure non riusciva del tutto a mantenere quei buoni propositi: c’era una parte di lui (quella che un tempo aveva chiamato estranea ma che ora non riteneva più tale) che sperava che un velo di dolcezza tornasse a rivestire gli sguardi che Amber gli rivolgeva e che si chiedeva, ferito, perchè ci fosse stato bisogno di ulteriori chiarimenti. Perché gli aveva chiesto il motivo del ritardo? Non si fidava abbastanza dell’impegno che lui aveva promesso di mettere nella missione? Ma quelle domande rimasero mute perché in fin dei conti l’ipocrisia non faceva parte di lui: non poteva condannarla in alcun modo per il bisogno di spiegazioni. E non lo fece.

Confidando che la frase sarebbe bastata a fornirgli la difesa di cui Amber era forse la persona più bisognosa di sentire, un moto di buona volontà lo convinse a mostrare subito i frutti delle sue riflessioni. Voleva provare di non essersi semplicemente scordato del loro intento, questo mai.
Allungò la mano destra riccamente ornata dai sottili tatuaggi sbiaditi a raggiungere il gruppo di fogli solcati dalla sua calligrafia stretta e minuscola. Nel farlo, sfiorò la mano aperta della piccola vincolata al suo stesso disegno della maschera dell’assassino. Fu solo un fugace attimo non programmato da parte del ventiquattrenne, ma quando le sentì toccarsi appena questo bastò a generare timore per un eventuale sottrarsi al contatto da parte della ragazza. Cercò di non pensare a quella terribile ipotesi mentre con un rapido gesto estraeva dalla pile di pergamene un ampio foglio che poi sistemò vicino al disegno, perfettamente nel campo visivo della ragazza così che non potesse non prestarvi attenzione. La superficie era intonsa se non per una piccola scritta in alto al centro, come il titolo di un tema pronto ad essere eseguito. O di un piano pronto ad essere architettato a dovere.
Recitava:
“Incursione in Villa Hydra”.

Il significato era chiaro. La reazione che avrebbe scatenato no.


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Come un fabbro, Amber aveva affilato la propria lama nel tempo. Minuziosamente, colpo dopo colpo, aveva modellato quella spada quasi fosse Damocle in persona ad avergliela commissionata. Era stato un processo per lo più inconsapevole che l'aveva condotta ad armarsi fino ai denti per combattere le proprie battaglie interiori. Alcune le aveva perse, altre erano ancora in corso... ma non si aspettava di doverne iniziare una proprio contro l'Auror. Eppure lo sguardo cristallino non lasciava scampo a scuse o invenzioni di sorta. Proprio dietro a quelle iridi penetranti si poteva scorgere il barlume della lama, puntata dritta contro il petto di Killian, colpevole di non aver onorato una promessa. Ma era davvero così? Lui davvero l'aveva delusa? Oppure era lei che avrebbe dovuto ridimensionare le proprie aspettative? Era sicura di essere in grado di affrontare quanto sarebbe accaduto se davvero l'avesse sfidato? Sembrava pronta a trafiggerlo, in quei silenzi carichi di attesa, prima ancora che una risposta venisse formulata. Amber non era mai stata in grado di esplodere in momenti di pura rabbia, così come non lo era mai stato nemmeno John, dal quale aveva imparato fin troppo bene il valore dei silenzi. Il suo punto di forza - benché non si sentisse per nulla "forte" in quel momento - era l'intensità delle proprie emozioni, unita alla capacità di esprimerle attraverso un solo sguardo. Le era capitato solo una volta di poter osservare la sua stessa espressione, riflessa in uno specchio, dopo uno scontro fin troppo serio con John e ciò che vi aveva visto l'aveva colpita più della discussione stessa. Fino a quel giorno non aveva capito quanto potesse risultare crudele un suo giudizio o quanto potere potessero avere quelle pagliuzze dorate se rivolte contro qualcun altro. Forse con Killian stava esagerando. Forse lui non meritava davvero una risposta così dura. Amber aveva ingenuamente creduto che il momento più difficile di tutte quelle "indagini" fosse passato, ancora al lago, ma aveva sottovalutato il fattore umano che in quel caso non dipendeva solo dal ragazzo che aveva davanti a sé. Per quanto emotivamente non fosse stato poi così semplice - oh per niente! - il resto dei processi era apparso quasi troppo facile per essere vero. Gli aveva raccontato tutto quello che sapeva della propria famiglia, si era esposta sbilanciando l'equilibrio, ed ancora non aveva rivisto la bilancia assestarsi a dovere, pendeva sempre in suo sfavore. L'intensità bruciante di quello scambio di sguardi non venne per niente dismessa da una fuga di Killian, che invece sembrava intenzionato a sopportare quella serietà improvvisa, quasi volesse assorbirla in qualche modo. Quella era l'impressione che aveva dato ad Amber che, dal canto suo, non poté non apprezzare il momentaneo avversario, perfettamente all'altezza del compito che mentalmente gli era stato cucito addosso. Con lui non aveva bisogno di mentire, poteva lasciare che ogni espressione venisse percepita ed interpretata, soprattutto in quel momento, quando una sola parola avrebbe potuto rovinare ogni cosa irrimediabilmente. Se lui avesse ceduto di fronte a tutte le colpe - anche troppe - per cui lei lo stava condannando, non sarebbe stato il ragazzo che aveva conosciuto e che avrebbe voluto continuare a conoscere. Con la serietà del ruolo che rivestiva realmente, stavolta in chiara qualità di Auror, rispose alla domanda, spezzando il silenzio e facendo ritrarre Amber di qualche centimetro, liberando la tassorosso dall'oppressione del tavolo contro lo sterno. Accantonando l'emotività, lei comprese infine il motivo di quel primo "nulla di fatto". Accolse la scusa - che scusa non era - con una professionalità degna di un Prefetto che riceve informazioni sul nuovo turno di ronda. Alzò appena il capo ed annuì, ritraendo la lama e liberando Killian dalla morsa di uno sguardo esasperato. L'errore era stato suo, lo sapeva, era lei che aveva idealizzato quel rapporto in modo del tutto errato. Come capitava con i pochi con cui poteva dire di aver legato, lo aveva reso infallibile. Aveva creato un'immagine di lui immortale ed indistruttibile, quasi immutabile. Era spaventoso pensare che chiunque potesse fallire o temporaneamente non riuscire in qualcosa - benché la prima a commettere mille e più errori fosse proprio lei - perché quello avrebbe reso chiunque fin troppo mortale. Ma quei suoi timori non vennero espressi, anzi. La ragazza accordò quella motivazione, ritirando le accuse e normalizzando il proprio sguardo. «Capisco»

Era stata la prima ad ammettere che non avrebbe voluto che lui si compromettesse in modo irrimediabile per lei, ora non poteva ignorare quella sua stessa regola. E fu in quel momento che si chiese se quella sensazione che aveva provato nel momento della rivelazione fosse in qualche modo simile a quella provata per anni da John nei confronti di Mayline. Se così fosse stato, forse avrebbe potuto capire il motivo per cui il padre era diventato così serio negli anni. E Mayline aveva sempre dovuto rispondere come Killian? Per loro due quanto poteva essere frustrante non avere niente da riferire di fondamentale? E perché Amber aveva vestito con tanta facilità gli abiti del carnefice senza pensarci due volte? Si sentì irrimediabilmente sciocca. Nove anni, per nove anni suo padre e sua zia avevano vissuto in tensione, come avevano fatto? A lei erano bastati pochi minuti per capire di non poter sopportare niente di simile, non se dall'altro capo si trovava il ragazzo che le aveva fatto perdere così tanti battiti ed aveva invaso infinite volte i suoi pensieri. No, non poteva trasformare il loro rapporto, qualunque cosa fosse, in un clone di quello tra Ice e John. E mentre ancora quei sensi di colpa per la velocità con cui aveva scelto di accusare Killian, si alternavano nella sua mente, un brivido percorse interamente il suo corpo. Non era dato dal caso, ma dalla mano dello stesso ragazzo che era arrivata a sfiorare quella di Amber. Una scarica si dipanò da quel - probabilmente non volontario - tocco, che andò a spezzare la maschera di serietà ancora indossata dalla bionda, riportando alla luce il barlume di un rossore improvviso. Spostò lo sguardo sui segni sbiaditi, intrecciati ed ancora misteriosi che decoravano la mano dell'Auror, per poi spostarsi sulla propria che sembrava non avere nulla a che vedere con la prima. Strano come tutte quelle differenze potessero annullarsi al solo tocco. Se solo non ci fossero state mille barriere razionali, allora probabilmente perfino Amber avrebbe ricambiato quell'involontario sfiorarsi. Non lo fece, anzi, proprio quei loro dogmi le imposero di ritrarre la mano e l'avrebbe ritratta, ma l'impulso venne soppresso prima ancora di divenire realtà, imprigionandola in quel momentaneo limbo. Uno strano calore si era impossessato di quelle gelide dita che, nonostante la stagione, continuavano a non volersi riscaldare. Avrebbe dovuto nascondere quella strana espressione che ne seguì, piacevolmente stupita, ma la stessa venne interrotta presto dall'immagine della maschera dell'assassino, che non aveva visto di aver monopolizzato. Prima però che l'odio per quell'ignoto individuo montasse in lei, la mano tatuata proseguì sul proprio percorso, attirando la sua attenzione sul foglio bianco dal titolo particolarmente forte:

“Incursione in Villa Hydra”

«Vuoi farlo sul serio» Non fu una domanda la sua, ma un'affermazione espressa con un tono cauto ma fiero. Ne avevano parlato dopo l'ultimo incontro utile al caso, ma l'idea le era sembrata tanto assurda quanto irrealizzabile. Per fare entrare Killian in Villa ci sarebbe voluta un'attenta pianificazione e lei aveva creduto che fosse impossibile come impresa, tant'è che l'aveva accantonata... fino a quel momento. Sollevò la mano dalla maschera dipinta e la passò delicatamente sul foglio immacolato, quasi che al suo passaggio questo potesse riempirsi di schemi e disegni, ma non sarebbe stato così semplice. Molte, anzi moltissime, cose potevano andare storte in quel piano ancora non ideato. Le piaceva l'idea e, forse, se lui la riteneva pensabile, poteva diventare qualcosa di serio. Alzò di nuovo lo sguardo verso l'Auror, soppesando di nuovo quello che stava per dire, pur sapendo che non c'era un modo per esprimersi che non richiedesse un certo imbarazzo e non portasse con sé secondi pensieri, pronti a rincorrere secondi fini. «Dovremmo trovare un momento in cui saremo soli, perfino senza domestici, se...» *aiuto* «...se vogliamo che funzioni.» Il pensiero di vagare da sola con lui per gli immensi saloni della Villa, la centrò in pieno petto. Oh, la lama che lei aveva affilato non contrastò minimamente la punta della freccia già scoccata che oltrepassò ogni scudo. Non aveva mai pensato a Villa Hydra in "quel modo" ma l'architettura solida ed elegante la rendeva una location quasi romantica... non fosse stato per il motivo per cui ci volevano andare, che di romantico non aveva proprio nulla. A quello si sarebbe dovuta aggrappare, ma era così difficile guardarlo negli occhi ed impedirsi totalmente di fantasticare. Si aggiustò una ciocca ribelle con la mano, sfiorando morbidamente i propri capelli, quasi a trarne conforto. Non sapeva dire se fosse più preoccupata o emozionata o se ci fossero anche altri sentimenti in ballo. «E' per questo che sono qui?» Chiese, indicando di nuovo il foglio bianco, lo sguardo privo della delusione precedente. Immaginava che la risposta sarebbe stata affermativa, era praticamente ovvio, ma aveva bisogno di distrarsi un attimo dall'idea ancora pulsante di loro due, soli per la villa e di come la semplice possibilità che quel progetto si realizzasse e smettesse di vivere solo nella sua mente, avesse riattivato un battito incalzante. Lui probabilmente non lo immaginava, ma aveva attivato un meccanismo antico come il tempo. E lei... lei non ne aveva che la minima percezione.

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view post Posted on 9/10/2017, 11:45
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Killian Resween # 24 anni # Auror

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Fu solo quando un sottile velo di rossore si adagiò sulle gote della ragazza che Killian capì di averla scampata. Era molto più di un semplice non sottrarsi al suo tocco, specialmente perché accompagnato dallo sgretolarsi dell’espressione seria che fino ad allora lei gli aveva puntato contro. Era stato lui, ancora una volta, a riuscire a buttar giù un muro di cui purtroppo avevano contribuito entrambi alla costruzione, mattone per mattone. Killian e il non fare abbastanza, Amber e le aspettative troppo elevate. L’Auror attendeva il giorno in cui avrebbero trovato l’equilibrio, ma come aveva appena detto per farsi scudo dalla delusione di Amber dovevano essere pazienti: i tempi erano determinanti.
Così come non aveva mostrato tutta la bruciante costernazione per la mancanza di progressi, non emerse dal suo aspetto o comportamento neanche qualcosa che desse segno del profondo sollievo che lo invase quando capì che non era tutto irrimediabilmente compromesso. Le colpe che si era ripromesso di confessare, più o meno gravi, erano state accettate ed ora l’uomo si sentiva pronto ad aprire un nuovo capitolo in quell’indagine con più vigore e determinazione che mai. Il loro rapporto aveva superato una dura prova che aveva assottigliato pericolosamente il filo della fiducia che li aveva legati fin da subito, ma che si era rafforzato ancora avvolgendoli in altre intricate spire dalla quale sarebbe stato difficile liberarsi. Ma Killian non ne aveva alcuna intenzione e dunque poteva solo che essere felice di avere qualcosa a cui aggrapparsi ancora, insieme a lei.

Come previsto, il foglio per lo più vuoto che aveva messo in mostra catturò lo sguardo di Amber e il ventiquattrenne dovette sforzarsi per non concentrarsi troppo su quel rossore che era stato per lui messaggio salvifico e prestare invece più attenzione alla risposta emotiva per la proposta incauta che aveva appena sganciato senza troppi convenevoli. Dapprima fu impossibile capire cosa ne pensasse e il timore che un’altra maschera impenetrabile si erigesse sul bel viso della strega tornò a pulsare sommessamente: avrebbe potuto reggere ancora?
La frase con cui rispose non era una domanda, ma una constatazione alla quale Killian non seppe dare un’interpretazione certa e questo iniziava un po’ ad opprimerlo visto che un tempo vantava grandi capacità intuitive per certe cose. Rimanendo all’oscuro del reale significato di quelle parole, si intromise nei pensieri che dovevano fluire a frotte in quella testolina bionda mentre carezzava la pergamena bianca:


“Se c’è qualcosa che possiamo fare da soli, non vedo perché rimandare”


Non aveva usato un tono sulla difensiva (l’aveva evitato anche quando gli avrebbe fatto effettivamente comodo) ma in dubbio su ciò che ne pensava la ragazza aveva parlato come un Auror che doveva far valere il proprio piano d’attacco. Paradossalmente, sembrava quasi un’incitazione a non perdere tempo, a muoversi, come se la Tassorosso volesse porre dei freni proprio adesso che potevano fare passi avanti. Fortunatamente, non era affatto così: Amber iniziò a parlare in termini concreti di quel piano che fin’ora era rimasto una mera ipotesi, senza nemmeno mostrare qualche titubanza nonostante l’ovvia difficoltà dell’impresa. Finalmente anche l’espressione del mago si rilassò (non era buffo come la serietà che aveva tanto detestato sul viso di Amber e che aveva cercato di far sparire in tutti i modi avesse in realtà soggiornato più a lungo e più cupamente proprio su di lui?) e un sorriso rincuorato ma anche divertito si aprì tra la barba scura. La guardò soddisfatto: la vivida eccitazione che poteva avvertire in lei per la nuova avventura era esattamente ciò che cercava di ottenere ogni volta che rischiava con qualcosa fuori dagli schemi. Ascoltò con il ghigno ancora in bella mostra il primo problema che avrebbero dovuto affrontare, senza riuscire a censurare uno sguardo eloquente quando la voce femminile citò la servitù. Sarebbe stato un ottimo pretesto per punzecchiarla ancora un po’, magari richiamando la storia della Principessa, ma si sarebbe dovuto accontentare di quello che gli occhi grigi riuscivano a comunicare al riguardo. Doveva ammettere che quel primo dettaglio da risolvere non l’aveva considerato: oltre al padre, da mettere fuori gioco c’erano anche i domestici. In fondo, non era così strano dato che la maggior parte delle famiglie purosangue erano benestanti, ma ciò non toglieva che erano per loro e i loro scopi una gran bella seccatura. Finse di non notare quella punta di imbarazzo che la necessità di una casa vuota solo per loro due aveva fatto sorgere nella strega al solo pensiero: aveva già fatto abbastanza al riguardo appena il suo arrivo e ripeterlo l’avrebbe fatto sembrare un po’ troppo ossessionato dalla cosa.

Concentrandosi invece sul reale problema dei domestici, Killian si fece pensieroso e come sempre quando si arrovellava per qualcosa portò distrattamente una mano alla barba. Prima che un’idea valida facesse capolinea, fu ancora Amber a prendere la parola , ma senza aggiungere qualcosa di nuovo. La domanda era strana. Il Resween era più che sicuro che i motivi per cui aveva richiesto un incontro fossero ormai chiari: le scuse, il nuovo piano. Se fosse stato così semplice, l’avrebbe semplicemente guardata storto e avrebbe detto quando ovvia fosse la risposta affermativa. Ma insieme a questi motivi ce n’erano mille altri che l’uomo non aveva portato alla luce nemmeno con se stesso, come avrebbe potuto palesarli ora con lei? Non poteva dirle che a lungo andare l’averla vista da lontano al Ballo aveva scatenato in lui il desiderio imperioso di colmare la distanza. Oppure non poteva rivelare subito il segreto sulla sua nuova abilità anche se il bisogno di renderne partecipe qualcuno che capisse era sempre più impellente. Non poteva dar voce a nulla di tutto ciò anche se la domanda riportò a galla quello che era stato tacitamente sepolto lontano dalla coscienza del mago.


“Esatto: senza di te sarebbe violazione di domicilio. E mi dovrei arrestare da solo”


Decise di salvarsi con una battuta scherzosa anche se di così sciocche non ne faceva spesso uso. In realtà, ciò che aveva espresso era una verità su cui fare forza ma non aveva voluto proseguire con un “anche se ci beccano possiamo rifilare la scusa più ovvia che verrebbe in mente a chiunque ci trovasse lì”. Giocare su quel punto ora non lo divertiva più come prima dato che riguardava una cosa che voleva anche lui, ma che non poteva ottenere. Il sorriso che aveva accompagnato la scherzosa risposta non si spense del tutto, ma l’espressione tornò più professionale quando provò a chiedere una possibile soluzione:

“Credi che sia possibile in qualche modo avere la casa libera solo per noi due?”


Era importante saperlo perché in base alla risposta avrebbero dovuto pianificare due strategie completamente diverse. Una decisamente più rischiosa ma comunque fattibile con le dovute attenzioni del caso. Magari l’essere un Animagus si sarebbe rivelato proprio l’asso nella manica che avrebbe risolto la situazione, ma voleva essere certo che ce ne fosse reale bisogno prima di perdersi nell’annuncio di una notizia del genere.
I suoi occhi nuvolosi si erano fatti più adombrati ma solo per il crescente interesse che il discorso richiedeva: finalmente poteva cercare i gemelli verdi senza il timore di leggervi una condanna dentro. Così sembrava quasi facile ignorare tutti i fraintendimenti che domande e piani del genere potevano far sorgere. Non dovevano pensarci, o non sarebbero mai andati avanti con i loro buoni propositi.



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Poteva quasi vedere le proprie dita intrecciarsi con quelle di Killian, ingaggiando una dolce lotta al predominio che, docilmente, avrebbe lasciato vincere all'altro. Poteva facilmente pensare a tutte le domande che gli avrebbe posto su ogni singolo tatuaggio, sfiorandone i confini singolarmente e delicatamente. Poteva anche soffermarsi ore a riflettere su come e quando tutto ciò sarebbe potuto divenire reale, perché se un tocco distratto del ragazzo un anno prima assumeva un senso, da qualche mese ne assumeva uno totalmente differente. Poteva si, ma non doveva. "Guardare ma non toccare", sembrava il mantra della sua mente. Fin troppo facile da enunciare, ma totalmente complesso da mettere in atto. Oh era semplice, semplicissimo, tenere a freno ogni pensiero quando a dividerli c'erano chilometri su chilometri. Ma in quel momento tra loro non c'era che un tavolo, ed in quel fugace tocco, nemmeno quello. Guardare era diventato pericoloso ed il "non toccare" per un attimo era già stato infranto. Quel turbinio di pensieri totalmente fuorilegge, non fu che la prova di quanto già credeva di aver compreso sul loro rapporto. Poteva crearsi mille buoni propositi, ma sarebbe bastato pochissimo all'Auror per demolirli uno ad uno. L'attimo prima aveva una lama puntata dritta contro un improvviso nemico e l'attimo dopo si trovava paralizzata in un limbo di incertezze, in cui i suoi desideri erano rinchiusi in solide gabbie dorate. Impossibile non chiedersi se fossi così anche per l'altro o se invece lui dividesse con più praticità i due ambiti in cui erano coinvolti. Giocava contro qualcuno di ben più esperto di lei, lo leggeva nello sguardo di Killian, sicuro ben più di quanto potesse credere, almeno inizialmente. Per quanto appropriarsi dell'ironia concessa e spesso sfruttata al massimo da lui, l'aiutasse, non poteva trattarsi di un combattimento ad armi pari. Hogwarts sembrava così lontana se paragonata alla cucina in cui stava vivendo quel momento. Tra le mura del Castello non aveva alcuna remora a mostrarsi fredda e priva di qualsivoglia sentimento ed a casa l'impresa risultava solo appena più difficile, ma con Killian si tramutava in una delle fatiche di Ercole. Ogni maschera cedeva ed ogni muro tremava al suo cospetto. Non aveva rafforzato abbastanza le proprie difese perché queste fosse effettivamente incrollabili e non si limitassero solo ad apparire tali. Sull'onda di quel pensiero accolse vacillando l'affermazione del ragazzo. Perché, in effetti, rimandare quanto potevano fare senza l'aiuto di altri? Oh lei lo sapeva. Il motivo era scritto a caratteri cubatali nel profondo di quel cuore pulsante: potrei non farcela. Che però andava contro l'adulta che credeva di essere diventata e che invece la spronava a mantenersi ancora più professionale, eliminando dall'equazione ogni altra possibile complicazione. Entrambi erano modi sbagliati di analizzare una situazione. Nel primo caso non vi erano barriere, ed agire privandosi dei paletti faticosamente piantati al suolo, avrebbe distrutto ogni progresso, ogni intenzione, ogni cosa. (Amber avrebbe impedito che accadesse). Nel secondo caso, non mettere in conto i possibili colpi al cuore che sicuramente quell'impresa le avrebbe riservato, alla lunga sarebbe stato più d'intralcio che di utilità. Come trovare il giusto mezzo?

Dopo aver ritrovato il naturale colorito, si sforzò di tornare ad assumere un'espressione meno sognante e svagata, pur sapendo che sarebbe sempre stata messa alla prova da chi aveva di fronte. Annuì appena, percependo il tono più sicuro di Killian, al quale di certo non avrebbe fatto cambiare idea tanto in fretta. Ma lei per prima non avrebbe scartato mai più quel piano perché, benché sempre più controproducente, stava già iniziando ad immaginare quell'incursione ad un livello più concreto. Non appena anche l'espressione del ragazzo si rilassò, Amber si concesse di accompagnare quel momento con un lieve sorriso. Non passò inosservato lo sguardo eloquente che le rivolse dopo il discorso sui domestici. Avrebbe potuto prevederlo, ma quando si era espressa ancora non era riuscita a tenere ben salde le redini del proprio entusiasmo. Fin da bambina non si era mai preoccupata di quanto lo sfarzo, la villa e la ricchezza che ne derivavano potessero creare disagio - o invidia? - nel prossimo. A scuola non veniva data così tanta importanza al patrimonio familiare ed a casa, a Londra, non si concentrava su quanto "principesca" potesse sembrare la sua vita all'esterno, perché viveva in una casina modesta e normale. In parte doveva ringraziare John per la scelta saggia di non farla vivere in villa, così facendo aveva preservato una semplicità che facilmente sarebbe andata persa se Cordelia avesse iniziato a viziare la nipote. Non si era mai preoccupata di non poter acquistare qualcosa, ma allo stesso tempo non aveva mai ostentato il proprio conto in banca. Era una cosa a cui dare importanza? Aveva già intimamente stabilito che Killian fosse un purosangue, ma quel ragazzo viveva pur sempre con una vecchina babbana in un quartiere quasi anonimo, cosa poteva pensare di lei in quel momento? L'avrebbe trattata diversamente dopo aver messo piede in villa? Lo vide pensare, lo vide compiere quei piccoli ma ormai noti - a lei - gesti che indicavano un'elaborazione in corso. Non volle sorprendersi per il solo fatto di conoscere quelle minuscole abitudini, non erano che frutto della sua capacità di osservazione - o almeno così si disse per non gioire nel riconoscerle.
«Oppure ci penserebbe Ice.. » Sussurrò in risposta alla battuta sulla violazione di domicilio. Tentò di reggere il gioco in maniera volutamente più cupa, quasi che il sorriso storto sul suo volto divenisse la dimostrazione di come davvero avrebbe voluto assistere alla scena. La verità era che l'incubo che Mayline Snow - prima o poi - li scoprisse era quasi una costante nei giorni peggiori. Qualsiasi idea scherzosa svanì l'istante successivo, quando nuove parole sostituirono le prime e nuovi battiti si persero nella moltitudine.

“Credi che sia possibile in qualche modo avere la casa libera solo per noi due?”

Le iridi tremarono appena ed il contatto con lo sguardo di Killian venne stabilito con più intensità, acceso ben più di prima. Spostò la sua attenzione alternativamente su entrambi gli occhi dell'Auror, quasi cercasse da sé un qualcosa di "non detto" dietro quella domanda. A pensarci bene non era niente di così assurdo, una domanda praticamente istigata da un'affermazione precedente. Ma era possibile che solo lei percepisse di nuovo quell'elettrizzante avvertimento di pericolo? La risposta era nota nella mente della tassorosso, ma tra pensarla ed esprimerla passava un intero abisso grigio fumo. Il tempo le fece la clemenza di fermarsi un istante, ma solo per il necessario a farle capire che avrebbe dovuto dismettere rapidamente la faccia di chi era stato visibilmente punto sul vivo. *SI* «N-non..lo so.» fu la prima, soffocata, risposta. Dopo, accantonando l’imbarazzo in crescendo, la sua mente riusci ad elaborare un piano ed una nuova risposta prese il posto della prima.«.. forse.» Fece il possibile per svuotare la propria mente e per evitare che di nuovo tutto il castello di carte crollasse miseramente di fronte al Re che non avrebbe più abdicato. Lei aveva dato il via al doppio senso, ma lui sapeva esattamente dove colpire. Ritrasse la mano, lasciando il foglio libero da qualsiasi influenza e poco dopo ritrasse anche il suo sguardo che venne prontamente direzionato su altri vaghi appunti.«Forse c'è un modo, ma prima devi sapere che...»*Un passo alla volta* Sospese la frase, incerta se proseguire ed esporre ancora qualcosa di intimo. Lei temeva le stanze troppo ampie della villa e gli infiniti corridoi bui e se l'avesse costretta a percorrerli da sola, probabilmente lo avrebbe scoperto a sue spese. Era sul punto di ammetterlo quando l'idea di aumentare a dismisura lo svantaggio nei confronti dell'altro spense ogni buon proposito. Attese ancora un paio di istanti, come un maestro d'orchestra che si prepara a dirigere i propri musicisti e, quando si sentì abbastanza pronta a sostituire l'immagine di loro due negli immensi saloni con quella degli scatoloni in soffitta e delle stanze spoglie della Villa, introdusse un primo dettaglio, ignorando la confessione quasi espressa. «La villa non è una sola unità. Lo era, in passato, ma quando gli Snow si sono trasferiti dagli Hydra, hanno portato con loro ben più di una foto di Eveline e qualche lenzuolo.» Come sempre, si tenne fuori da quel racconto, quasi stesse parlando di sconosciuti. Era il modo collaudato per non ricadere in intoppi inutili. Non stava ancora rispondendo chiaramente a Killian, ma prima di trovare un modo era giusto - a detta sua - collocare il tutto su un piano più stabile. L’espressione si era fatta anche troppo seria e distaccata, ma quella breve maschera durò poco.«Hanno portato la casa per intero. Quindi dietro la villa, prima del parco c'è anche la casa in cui Eveline è cresciuta. I nonni non amano che i domestici vi entrino, preferiscono mantenere la loro identità.» Lo sguardo serio si addolcì e sorrise senza rendersene conto, amava quella caratteristica dei nonni materni. La loro casetta era talmente fuori luogo accanto all'imponente villone che l'aveva sempre adorata. L'edera che rivestiva una parete la rendeva quasi parte del parco stesso e quando entrava c'era sempre un buon profumo di biscotti, un ricordo che non avrebbe mai cancellato dalla memoria. Dustin ed Elise continuavano a passare la maggior parte del tempo a casa, nonostante i momenti di comunione con Constantine e Cordelia, ed era quello a renderli speciali. In una sola realtà convivevano due mondi diametralmente opposti. Se Eveline non fosse morta, probabilmente Amber avrebbe passato un tempo irrisorio in Villa... ma la realtà l’aveva portata a crescere come un’Hydra e tutta la genuinità e la semplicità degli Snow era andata - quasi - persa nei rigidi anni successivi. In cuor suo gioì all’idea di potergli mostrare le proprie origini, pur sapendo che ancora una volta lei sarebbe apparsa in netto svantaggio e quella piccola gioia venne offuscata da un nuovo sciame di dubbi. Ma il più pericoloso era solo uno, pronto a riproporsi ciclicamente: era possibile che lui non si fidasse di lei al punto di aprirsi a sua volta? Certo Amber quelle informazioni le snocciolava per dovere, per “il caso” ma comunque il fatto che non le tenesse per sé doveva indicare il livello di fiducia raggiunto. Possibile che per lui non fosse reciproco? Peccato che non fosse il momento giusto per un cambio di argomento, altrimenti probabilmente avrebbe osato testare quella fiducia ancora di più. Tentò di non perdersi in altri pensieri, e decise infine di abbozzare quella che poteva essere la soluzione, una risposta più completa alla vera domanda iniziale. Su Eveline c'erano informazioni in entrambi i posti, in uno si poteva anche trovare il passato di quei parenti serpenti e nell’altro c’era la sua infanzia.«E' difficile che sia vuota, sono rari i momenti in cui i nonni si assentano per più di qualche ora ed i domestici hanno i loro turni di riposo. Ma certamente la dimora Snow è più accessibile. In effetti... forse potremmo sfruttare i week end dell'Opera.» Proseguì con sicurezza, tornando a guardare il ragazzo negli occhi. Solo dopo realizzò quanto appena assurdamente proposto. Ed allora fu un'altra l'immagine che dovette respingere ai confini della mente, bloccandola prima che offuscasse la ragione come le precedenti. Si aspettava che Killian chiedesse ulteriori informazioni a riguardo, era logico, ma non riuscì a non pentirsi di quanto appena detto. Lui non aveva dato tempistiche, ma probabilmente avrebbe contato quell'incursione come un qualcosa da fare "in giornata", mentre lei aveva già introdotto il concetto di “week end”. Era ancora tutto molto confuso, avrebbero dovuto indirizzare le informazioni e probabilmente lei avrebbe anche dovuto disegnare una piantina abbastanza verosimile delle due abitazioni su quel foglio, ma rimase ferma in una strana immobilità. Lentamente stava realizzando che non v'era più alcuna possibilità di ritornare sui propri passi. E ne fu felice.

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Killian Resween # 24 anni # Auror

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Quello che si erano proposti di fare non era mai stato semplice. Risolvere un omicidio avvenuto molti anni prima e su cui avevano lavorato diversi colleghi inutilmente richiedeva ben più di qualche chiacchiera sul passato della vittima anche se di questo si erano occupati fino ad allora. Un punto di partenza imprescindibile e certamente necessario, ma nemmeno minimamente sufficiente. Dovevano alzare la posta in gioco e immergersi nella vita di Eveline in senso materiale, questo era il passo successivo che Killian aveva prefissato come obiettivo per lo strano team. Sapeva per inferenze proprie ma anche e soprattutto dai discorsi di Amber che di informazioni concrete sulla madre ne aveva assai poche: il comportamento del padre e della zia le avevano praticamente imposto di affidarsi completamente alla propria memoria per ricostruire l’immagine della figura più cara per qualunque bambino che all’improvviso le era venuta a mancare. Di cose nuove su Eveline Snow probabilmente ne avrebbe scoperte anche Amber stessa, Killian doveva essere solo quella lente che permetteva una visione più approfondita e, possibilmente, più neutra possibile. Sì, l’Auror era fermamente convinto che quell’ “incursione” avrebbe maturato i suoi frutti ed era ben lontana dall’essere una mera occupazione di tempo perché altro non poteva essere fatto. Era importante che anche la ragazza la vedesse in questo modo e fortunatamente l’uomo non aveva nemmeno avuto il tempo di temere che lei la ritenesse una “scusa” per tenersi indaffarati che Amber aveva dimostrato di prendere sul serio quel progetto ( e di conseguenza i suoi rischi e pericoli).

L’ostacolo numero uno si era subito imposto alla loro attenzione, tirato in ballo dalla giovane come prima preoccupazione. La domanda di Killian era stata posta con tono pratico, esattamente come un Auror si informerebbe sui dettagli prima di assaltare un covo nemico. La fronte lievemente aggrottata sotto ai capelli folti ma corti per via del taglio estivo e gli occhi in modalità “azione” lasciavano intendere tutta la buona volontà di tralasciare gli altri significati che parole così accostate avrebbero potuto assumere: il Killian che aveva fatto conoscere ad Amber sarebbe stato il primo a giocare con le provocazioni, ma era una cosa che non si poteva concedere più. Rimanere imperturbabili come se questo aspetto non esistesse fu comunque difficile dato che la sua compagna in quell’impresa mostrava maggiori difficoltà a gestire la situazione: la prima risposta fu un allarmato “non lo so” e Killian si chiese se non avesse osato chiedere troppo alla sopportazione della piccola. Nonostante l’intenzione, quel piano era per lei davvero infattibile… e non per la presenza o meno dei domestici o della famiglia. Poteva biasimarla se il vero problema fosse stata proprio la sua intrusione nella Casa che nascondeva dolci ed amari ricordi? Di sicuro sarebbe affondato ancora di più nella sfera privata e personale della ragazza e, nonostante tutto, quella licenza poteva non essergli stata ancora concessa. La risposta era no: l’avrebbe infine compresa anche se metteva un freno a tutto. Il Resween non si era mai fatto problemi ad aprirle il portone del suo appartamento nella Londra Babbana, ma era profondamente diverso dato che ben poco della sua vita aveva permeato quegli spazi. Tutt’altra storia sarebbe stata portarla alla Tenuta dove le più grandi gioie si erano intorpidite dei più oscuri dolori in un passato che il mago stesso stentava a reggere. Per un momento tornarono alla mente le spoglie e fredde stanze che lo avevano accolto ad ogni ritorno da Hogwarts dopo che suo zio era diventato il padrone della casa e fu certo che non sarebbe stato affatto facile condividere quelle memorie con qualcun altro.

Se Amber non avesse continuato palesando una minima chance di riuscita, probabilmente Killian appena riemerso dalle proprie riflessioni avrebbe anticipato quello che credeva la ragazza avrebbe fatto, ovvero decretare una rinuncia. Non era affatto da lui lasciar perdere così rapidamente ma pensare alla situazione inversa gli aveva fatto capire sul serio l’entità della sua richiesta e i validi motivi per cui avrebbe potuto ricevere un “no”. E invece Amber si dimostrò ancora una volta più forte di lui, anche se in un modo meno evidente: era davvero disposta a condividere con lui aspetti della proprio vita che ad altri erano stati certamente preclusi. Ne avrebbe apprezzato tutto l’enorme valore d’ora in poi, soprattutto perché non era certo di poter fare altrettanto.
Così si ritrovo a guardarla intensamente più del dovuto senza che lei potesse saperne il motivo, ovvero la gratitudine e la stima per la dimostrazione di forza che inconsapevolmente stava dando. Quando capì che la fissità dello sguardo grigio sul viso sottile si era fatta troppo insistente, distolse lo sguardo per acciuffare rapidamente la piuma sul tavolo poggiata vicino all’inchiostro come se fosse intenzionato ad annotarsi il modo con cui avrebbero potuto evitare le persone in villa, ma poi lei esitò ancora e non poté che tornare a scrutare gli occhi verdi con fare interrogativo. Cosa l’aveva interrotta? Un’altra difficoltà che prima non le era venuta in mente? Oppure un’altra idea migliore? Killian sperò vivamente nella seconda ma capì che a bloccarla era qualcosa di diverso dai problemi pratici. In riposta inclinò appena il capo mantenendo l’aria incuriosita, ma rinunciò ad incalzarla con delle domande. Se era qualcosa che lui doveva sapere, come aveva appena detto, ne sarebbe certo venuto a conoscenza senza forzare i tempi di cui Amber aveva bisogno e per questo si limitò a sorriderle con un ghigno storto appena accennato che doveva servire da incoraggiamento. Non dovette aspettare troppo che Amber riprese la parola, superando l’esitazione che l’aveva costretta al silenzio per qualche attimo. Killian lasciò perdere la piuma presa in precedenza annotando tutto in mente: ciò che Amber gli aveva appena raccontato era strano anche per dei maghi e lui non aveva mai sentito una cosa del genere ma come sempre decise di non giudicare affari che non lo riguardavano.
Annuì dando segno di aver compreso anche se in realtà non aveva ben capito dove la piccola volesse arrivare… finchè non fu lei a spiegarsi proponendo un nuovo obiettivo. Assorbire la mole di informazioni che aveva ricevuto gli richiese qualche momento ma poi il suo silenzio si trasformò in una marea di dubbi e domande che forse gli fecero assumere un’aria un po’ confusa e scettica.

Per prima cosa volle accertarsi che la “visita” alla dimora Snow non fosse dettata solo dalla relativa maggiore accessibilità. Non avendo indizi di sorta sul movente, non potevano escludere che si trattasse della risoluzione di un conto in sospeso proveniente dalla vita pre-matrimoniale di Eveline, dunque non era affatto folle rivolgervi l'attenzione.


“Se credi che ci possa essere qualcosa di utile possiamo fare un tentativo anche lì…”, disse infine rendendosi conto che il piano avrebbe necessitato di un foglio ben più grande e di molto più tempo di quanto aveva ottimisticamente pensato.

A quel proposito, si agganciò all’ultima frase della ragazza che sorprendendolo aveva parlato di “week-end”. Era molto più di quanto si aspettasse quando aveva deciso di proporle quell’avventura: perché continuava a sottovalutarla? Anche su questo punto non diede subito a vedere cosa realmente ne pensasse, ma lo sguardo si fece enigmatico mentre la scrutava attentamente. Chi aveva parlato, la ragazza disposta a rischiare tutto pur scoprire la verità sull’omicidio della madre o quella che era arrossita per l’idea del pigiama-party e della casa vuota? Seguì ogni lineamento del dolce viso che aveva davanti quasi che potessero condurlo ad una risposta certa su quella dicotomia che li caratterizzava entrambi.


“Un week-end intero, dici? Non pensavo di poter sperare di essere così fortunati”


Fiducia. Doveva credere in lei e sulla capacità di entrambi di mantenere fede al patto tacitamente siglato.




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«We were strangers,
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"Omicidio", non "Incidente". "Incursione" non "visita". Era strano come quel paragone avesse assorbito parte dei suoi successivi pensieri, ma l'aveva fatto. Apparentemente quella connessione non aveva ragione di esistere, perché concatenare quei termini? Il motivo fu presto chiaro anche nel groviglio di pensieri che attorcigliava la sua mente: era colpa di Killian, e delle sue correzioni. Nel momento esatto in cui, per giustificare un'attività così invasiva, aveva sminuito internamente la missione in villa come una "visita", la voce del ragazzo di un anno prima, tornò a redarguirla. Perché con Killian era proprio così: ogni termine aveva un valore. Era inutile nascondersi dietro parole sbagliate, termini incorretti, solo per potersi sentire in pace con se stessi. Certamente avrebbe avuto meno rimorsi se la carta che aveva davanti a sé avesse recato un titolo più blando, qualcosa di simile a : "passeggiatina di piacere in Villa Hydra". Ma sarebbe anche stata una menzogna. La verità era che ogni cosa aveva un nome, tutto il resto era irrilevante. Niente abbellimenti, niente sconti per nessuno. Eveline non era morta per sbaglio, non c'era stato alcun incidente, era stata uccisa... ed Amber non poteva non ricordare il momento in cui, fuori dal Pub un anno prima, Killian l'aveva corretta.

«Ok, allora.. mi hai detto che la verità va cercata, e quindi ho pensato che fosse logico iniziare dal.. » Le parole tentarono di morirle in gola, ma lei le riprese in tempo, mostrando solo una lievissima titubanza, che difficilmente sarebbe passata inosservata.«... luogo dell'incidente»

«Dell’omicidio, Amber. Il luogo dell’omicidio. E’ su questo che stiamo indagando»

Non lo avrebbe mai ammesso, men che meno con lui, ma da quel giorno aveva iniziato a soppesare ancora di più le proprie parole, a rendere i propri termini più precisi e le proprie intenzioni più chiare. Implacabile, aveva sfruttato quella nozione a suo vantaggio, ma non poteva sperare di battere il maestro. In situazioni "normali" aveva sempre - o quasi - il tempo per riflettere prima di agire, di pensare prima di parlare, ma quando doveva confrontarsi con gli occhi grigi di quel particolare Auror, ogni cosa cambiava. Avrebbe potuto affilare tutte le lame del mondo, ma la sua mano non avrebbe mai posseduto abbastanza forza per compiere un affondo letale, non con lui. Nell'incorrere nuovamente nello sguardo profondo di Killian, Amber faticò a non chiedersi: "e adesso perché mi guarda così?" e non esprimere quella domanda a voce alta. Poteva ancora temere un rifiuto della ragazza di aprire le porte di un luogo tanto intimo? Una scarica attraversò la sua mente, fu proprio questione di un attimo, ma in quell'attimo lei impallidì. Erano mesi che non si manifestava quella straordinaria e tremenda capacità. Non seppe spiegarsi il perché avesse scelto quel momento, ma accadde. Non fu come sentire la voce di Leeslie chiara e forte nella propria mente, ma fu come udire un lieve sussurro privo di parole e carico di intenzioni. Si fece carico di una sensazione spiacevole che non le apparteneva, collegata più a lui che a lei, ma legata a doppio filo con l'idea di una grande casa spoglia. Confusa da quell'accenno di informazione, cercò di non darvi peso e soprattutto di non aggravare la propria situazione mostrando i segni di quel piccolo spaesamento. Non sapeva come definirlo se non una "sensazione avanzata", un qualcosa di più di una supposizione ma nulla di chiaro come una conferma. C'era qualcosa da qualche parte in Killian che le faceva credere che lui sapesse benissimo di cosa parlava lei quando descriveva Villa Hydra. Possibile che lui non vivesse solo in quel mezzo appartamento che le aveva mostrato? Le parve quasi di percepire una barriera, un flusso di pensieri interrotto all'improvviso, ma fu tutto talmente vago da non convincerla del tutto. *No, qualunque cosa sia sono affari suoi.* Provò a convincersi, mentre il timore di essere scoperta aumentava.

Doveva averlo confuso con quel sovraccarico di informazioni, era chiaro dal modo in cui l'espressione era cambiata, non meno intensa di prima... ma più scettica. Per lei quelle informazioni erano "normali", era cresciuta sapendo quanto più possibile di quegli strani accordi tra i capostipiti della sua famiglia, ma poteva immaginare come non fosse facile comprenderli per altri. Aveva scombinato i piani di Killian? Forse non si aspettava che ci fosse una seconda abitazione da valutare... in effetti era un dettaglio che non aveva mai specificato prima, ma forse era anche il più importante.«Si io penso sia meglio iniziare da lì, c'è il passato... potremmo andare con ordine e...» Parlò con più calma, con un tono che sembrava chiedere intrinsecamente se anche lui fosse d'accordo con quell'idea. Non aveva capito se la confusione che aveva visto nello sguardo grigio era data dal non accettare la presenza della seconda casetta oppure da qualcos'altro di ignoto. Non ebbe nemmeno il tempo di preoccuparsene troppo che un nuovo affondo avversario la centrò in pieno. Prima che lui potesse ritenersi "fortunato" all'idea di avere un intero week-end per la loro incursione, lei aveva allungato la mano per rubargli la piuma, ma il gesto era rimasto sospeso nel tempo. Non riuscì a non sentirsi sollevata per quella strana accettazione. Oh sapeva di non dover gioire troppo, si sarebbe comunque trattato di ore dedicate solo ed esclusivamente ad Eveline Snow - ed era ciò che doveva ripetersi per non lasciare spazio a qualunque altro pensiero divergente - ma le avrebbe passate con lui, poteva non esserne felice? Sorrise, trattenendo un sospiro che non avrebbe superato le rigide barriere imposte da quei due. Sorrise ed i suoi occhi s'illuminarono di nuovo, ma riuscì a frenare il proprio entusiasmo, trasformando quella dolce curva delle labbra in qualcosa di più adulto ed ironico. «Dovrai ringraziare un'intera famiglia di musicisti per questa concessione.» E mai nulla fu più vero, certo la nonna non lo avrebbe mai saputo - o almeno così sperava - ma era solo grazie alla passione per la musica e per l'Opera che i nonni lasciavano la villa per alcuni fine settimana ogni anno. «Ma questo non ci libererà totalmente dei domestici.» Concluse il gesto ed afferrò la piuma d'oca abbandonata dal precedente proprietario. Fece particolare attenzione a non avvicinare la propria mano a quella di Killian, memore di quei battiti persi poco prima, ma fu la piuma stessa a sfiorare il dorso di una mano tatuata. «Sei mai stato in una villa, o qualcosa di simile?» Pose quella domanda con noncuranza, benché vi fosse alla base il desiderio di scoprire di più su quella sensazione fulminea avuta poco prima. La mano delicatamente andò a vergare sul foglio candido due rettangoli. Uno grande a rappresentare la villa ed uno decisamente più piccolo per identificare Casa Snow. Solo dopo, alzò lo sguardo ancora verso l'Auror, nell'attesa di recepire qualunque informazione volesse darle, giocando così quella partita a scacchi, ma dimenticandosi di avere un subdolo potere. E, si sa, nascondere le cose a Killian non era il suo forte...

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Killian Resween # 24 anni # Auror

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IIniziare dall’inizio. Per quanto concetto semplice e banale, non sempre veniva rispettato: avvolte andare a ritroso sembrava la via più semplice e conveniente ma forse rischiava di far perdere più dettagli. La linearità di una storia – della storia di Eveline in quel caso – sarebbe stata ricostruita nella sua interezza a partire dall’infanzia e dalla giovinezza, così era la volontà di Amber e così sarebbe stato fatto. Killian non ebbe difficoltà ad accettare quella deviazione dal piano precario che si era costruito in mente, soprattutto perché l’aver scoperto di possedere più tempo a disposizione ampliava di molto le loro prospettive. Annuì sinceramente convinto in risposta alla decisione della ragazza per sancire il proprio accordo, senza minimamente accorgersi di quel qualcosa che i brevi pensieri sulla Tenuta Resween avevano tacitamente comunicato ad Amber.

“E’ deciso allora, inizieremo da lì. Però il nome dell’operazione resta lo stesso: ne vado piuttosto fiero”


Scherzò strizzando l’occhio destro in direzione del volto sorridente incorniciato da una cascata di lava dorata. La trovava magnifica ed ogni volta che vi posava lo sguardo doveva fare molta fatica per non rendere evidente ciò che il passare del tempo con Lei cambiava nel suo animo. Il week-end speso insieme sarebbe stato certo incentrato sulla missione, ma non poteva negare che sarebbe stato un bel traguardo per loro arrivare a vedersi due giorni di seguito quando di solito passavano interi mesi senza che l’uno avesse notizie dell’altro (ed anche se era un silenzio volontario, non significava che fosse meno difficoltoso). La luminosità negli occhi verdi forse era dovuto allo stesso pensiero e se in altre occasioni l’avrebbe recepito come un segnale pericoloso di allerta immediata, non riuscì a non farsi un poco contagiare.
La spiegazione di tanta fortuna per i loro piani venne presto svelata, ma il suo cervello registrò l’informazione e la accantonò per concentrarsi invece sul problema ancora in gioco dei domestici. L’espressione pensierosa tornò ad impossessarsi dei tratti giovani dell’uomo mentre iniziava a far compiere piccole oscillazioni allo sgabello su cui era seduto. Alla fine, decise che qualche asso nella manica doveva pur giocarlo anche se il Jolly dell’ Animagus non era qualcosa da sbandierare così, senza reale motivo e necessità.

“Ho un Mantello della Disillusione", rivelò poi semplicemente ripiegando su ciò che al momento gli sembrava più utile.

Andava molto fiero di quell’acquisto anche se non aveva mai avuto modo di utilizzarlo in situazioni in cui c’era davvero bisogno di sparire. Credeva che Amber non andasse in contro a sospetti se passava qualche tempo nella casa dei nonni e lui poteva semplicemente diventare invisibile e seguirla ovunque la loro indagine li avrebbe condotti. Sembrava un piano tanto semplice e Killian sperava che si mantenesse così anche se per deformazione professionale sapeva che sarebbero occorsi tanti altri accorgimenti per far andare tutto liscio. Ma era un punto di partenza notevole. La guardò soddisfatto come se avesse appena posto un rimedio a tutti i mali del mondo: era fin troppo bravo a fingere quel tipo di strafottenza e pienezza di sé. Ma la maschera crollò non appena la piuma gli solleticò la mano tatuata o piuttosto quella della ragazza si avvicinò di nuovo rischiando un secondo contatto. Come incantato da quel gesto semplice, seguì con lo sguardo i movimenti della giovane che iniziò a tracciare sulla pergamena che le aveva dato la piantina delle due case, senza che lui le avesse detto nulla. Ovviamente era una cosa che prima o poi le avrebbe chiesto di fare, magari continuando a giocare sulla faccenda dei compiti per casa, ma l’iniziativa di Amber lo lasciò piacevolmente sorpreso. Non c’era bisogno di chiedere e questo era segno di grande intesa. Distratto da quei pensieri e dal lieve grattare della piuma sulla carta, fu difficile tornare ad un presente in cui gli era stata appena posta una domanda piuttosto bizzarra e innocente…almeno in apparenza. Gli occhi carichi di nubi la guardarono divertiti per l’insolita richiesta ma non aveva nulla da rimproverare a quella che credeva ancora essere sana e naturale curiosità.


“Sì, sono cresciuto in una grande tenuta di campagna”, rispose infine sminuendo quel periodo della sua vita con una tranquillità che aveva imparato a simulare negli anni.

Niente di più e niente di meno. Questo Amber doveva aspettarselo avendo appreso la stringatezza di Killian su certi argomenti sin dal primo giorno che si erano incontrati in un’assolata Diagon Alley. Ed era un comportamento estremamente ingiusto se si pensava a quante cose lui sapeva su di lei, ma il mago non pareva accorgersene, desiderando sempre più una maggiore conoscenza della ragazza. Infatti trovò quello il momento perfetto per ripagarla con la stessa moneta e fare una domanda su di un’informazione che non aveva affatto trascurato:


‘Intera famiglia di musicisti’, hai detto? Significa che anche tu suoni qualche strumento?”

La sua mente aveva già deciso che il portamento posato e leggiadro che tante volte aveva notato in Amber dovesse per forza spiegarsi così: sua madre e sua sorella erano musiciste e sapeva quanto la disciplina influenzasse il comportamento al di fuori del suonare lo strumento stesso.

Avrebbe voluto appoggiarsi al tavolo e tornare a fissare i lenti movimenti del disegno che sortivano su di lui effetti come ipnotici, ma i suoi sensi lo allarmarono e si irrigidì di colpo. Uno scatto repentino portò la sua mano alla schiena della ragazza, costringendola a chinarsi e ad abbassare il capo mentre anche lui si appiattiva sul tavolo. Un attimo dopo un’ombra scura planò sopra le loro teste schizzando come un fulmine nel salotto dove virò con maestria senza rischiare la caduta di nessun soprammobile. Amigdala tornò in cucina e lasciò cadere sul tavolo la busta da lettere che aveva nel becco, con la stessa rapidità con ci era venuta imboccò la finestra alle spalle di Killian non prima di essersi beccata uno sguardo furente da quest’ultimo ma non sembrava importarle granché.


“Scusa, di solito non rischia di decapitare gli ospiti…”, disse non appena sentì il falco allontanarsi abbastanza da non ritenerla più in pericolo.

Si rese conto di avere ancora la mano posata sulla schiena della strega e la ritrasse immediatamente preoccupandosi di averla spinta troppo bruscamente. Di solito i suoi salvataggi erano più… dolci. Controllò che stesse bene con l’apprensione di chi si sente responsabile di ciò che è avvenuto e in parte era così: oltre ad essere un volatile dalle dimensioni ormai non troppo modeste, la sua falchetta possedeva un becco e degli artigli micidiali che potevano facilmente recare grossi danni alla cute…. e lui lo sapeva bene. Non appena sarebbe rientrata, avrebbe ricevuto una lunghissima lavata di capo, ma ora doveva concentrarsi su Amber e del suo possibile cambio di idea sui falchi pellegrini.

Anche la lettera recapitata dal rapace sparì dai pensieri del ventiquattrenne e rimase dimenticata all’angolo del tavolo mischiata agli altri fogli che le possenti ali di Amigdala avevano fatto sparpagliare.


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«All the promises we made...»

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Possibile che bastassero semplicemente un occhiolino ed un sorriso ben piazzato per far agitare Amber al punto da annebbiarle la mente? Situazione momentanea, si, ma presente e... pericolosa. Killian poteva portarle via quel che rimaneva della sua compostezza in un battito di ciglia. La spaventava e l'affascinava ogni volta di più, trascinandola così in un inevitabile mulinello e poi giù fino all'abisso più profondo. Avrebbe dovuto aggrapparsi a tutte le liane possibili, alle corde ancorate a riva, perché tutta quella situazione non le sfuggisse realmente di mano. Se però lei per prima non legava saldamente le sue convinzioni e non ancorava il suo animo ad un terreno stabile, allora aveva tutto il diritto di incolpare se stessa per quelle fondamentali mancanze. Senza però prestare attenzione a quei piccoli avvertimenti, la ragazza si beò di quell'espressione tipica che seguì l'annuncio che quel progetto d'incursione, nonostante avesse subito una variazione, non avrebbe cambiato nome. Ricambiò lo sguardo grigio dell'Auror, riflettendone le sfumature, evidenziando anche involontariamente quanto potessero avere in comune. Ignorò perfino la sua coscienza che, allarmata, sembrava volerle imporre di rimanere seria, di non sorridere di rimando e di non sfidare eccessivamente la sorte mostrandosi felice di quegli attimi appena più semplici e sereni. *Non dureranno* si diceva, *Non è questa la normalità per noi* eppure continuava al contempo ad ignorare i suoi stessi pensieri e proseguire su quei sentieri impervi. «Mi sta bene, ormai mi sono già abituata al nome.» Accordò quella decisione annuendo, fingendo al meglio di aver appena concesso un onore più grande della villa stessa. Non riuscì però a non chiedersi come potesse essere lavorare davvero con Killian, al Quartier Generale. Inventava dei nomi anche per le missioni che gli assegnavano? Era così volenteroso di impegnarsi in ognuno dei casi che affrontava? Com'era entrare davvero in azione con lui ed affiancarlo su un piano più... reale? Se l'era chiesto cos' tante volte da aver perso il conto. Ma se le prime domande si limitavano ad indagare un tema generale in maniera quasi innocente, quelle che seguivano diventavano più tenebrose ed in qualche modo anche sbagliate: Killian stringeva rapporti simili anche con le altre vittime? Trattava gli altri come aveva trattato lei fino ad allora? E le altre? Era affiatato con i colleghi o... con le colleghe? Erano queste ultime, più adulte e più "alla portata", ogni tanto, ad impensierirla, ma riusciva sempre a spingere quelle strane preoccupazioni in angoli remoti della propria mente, etichettandole come "premature" benché in parte sentisse di soffrire l'assenza di risposte in tal senso. Ma se, in qualche modo, venivano a galla di tanto in tanto, una base dovevano averla anche loro, che a lei piacesse o meno ammetterlo. Era gelosa?

Sapeva che le informazioni che di getto aveva riversato sul tavolo erano state abbastanza confusionarie e mancavano del giusto approfondimento. A convincerla poi fu proprio il ragazzo, che propose una soluzione al problema dei domestici ma che in realtà non sapeva quanto il tutto potesse venire ulteriormente semplificato. Amber non aveva un grande rapporto con Constantine Hydra, il nonno paterno, ma se c'era una cosa che apprezzava era il suo ideale sulla "servitù" - anche se ormai solo lui li chiamava così -. Anche lei possedeva un mantello della disillusione, recuperato di recente da Sinister, ma probabilmente a nessuno dei due sarebbe servito.
«Veramente... potrebbe non servire. Anzi, sono sicura che basti un Seocculto.» Riportò il proprio sguardo su Killian, quasi dispiacendosi di doverlo contraddire, sebbene realmente non lo stesse facendo. A quel capo d'abbigliamento era legato anche un pensiero per nulla positivo che l'aveva colta ancora quando si trovava in Messico con gli Ateniesi... ma lui non poteva saperlo e, forse, non lo avrebbe mai saputo. Era colpa sua, lei non aveva fornito ancora tutte le risposte alle domande che - s'immaginava - vagavano libere per la mente dell'Auror. «Da noi i domestici sono tutti Magonò.» Spiegò infine, rivelando con una certa noncuranza un'altra piccola parte di quello che era stato il suo passato in quella grande casa. Evitò di esprimere il disagio che il nonno provava in presenza degli Elfi Domestici ed il motivo per cui aveva scelto uomini con quella particolare natura, restia alla magia, per servire in villa. Sarebbe apparsa una stranezza? L'informazione di base era deducibile: nessuno li avrebbe visti se avessero usato un incantesimo d'illusione simile. Avrebbero però dovuto fare estrema attenzione a come muoversi, per non produrre alcun rumore, anche un solo mobile spostato avrebbe rivelato la loro presenza. Forse era ancora presto per pensare a quei dettagli, o forse no, ma si trattava di qualcosa di importante, che la convinse a mantenere il proprio sguardo sul suo interlocutore. E lui? Lui poteva saperne qualcosa di domestici e servitù e ville e quant'altro? La sensazione nota e fastidiosa di conoscere quella risposta, la portò ad attendere quasi con ansia di udire le parole di Killian proprio su quell'argomento... e sperare che lui non mentisse. Avrebbe percepito una menzogna? Forse no, forse si, non lo sapeva, quella sua abilità segreta la confondeva prima ancora di aiutarla, ma in cuor suo Amber sapeva che anche solo il suo sesto senso poteva esserle d'aiuto. Sapeva leggere i segnali, ma lui era un campione nel nascondere i propri. Quando, tracciando l'ultimo segmento, finì di disegnare i due rettangoli, la risposta giunse in tutta la sua sincerità, fortunatamente. Un altro immaginario segno venne apposto in una casellina di un altrettanto immaginario elenco di cose in comune: si, anche Killian aveva passato del tempo in luoghi simili a Villa Hydra, o almeno della stessa grandezza. D'improvviso ricordò la particolare sensazione che aveva provato al ballo di un anno prima - non quello passato da poche settimane e che l'aveva vista prigioniera del loro patto -, in quell'occasione non era riuscita a non immaginarsi un Killian più giovane intento a prendere lezioni di valzer da chissà quale parente. Qualcosa in lei esultò alla sola idea che vi fosse una nuova cosa ad accomunarli, nonostante per lui non fosse sembrato un granché. Nelle notti più solitarie, nelle ronde più silenziose, spesso si chiedeva se il fato non ci avesse messo lo zampino nel loro incontro a Diagon Alley, spingendola quasi tra le braccia di qualcuno abbastanza vicino alla sua esperienza da capirla più di altri.

Convinta che la breve informazione sulla famiglia di musicisti fosse passata indenne tra le grinfie dell'Auror, dovette piacevolmente constatare l'esatto contrario. Poggiò la penna a lato del foglio ed abbassò appena lo sguardo sui disegni che si erano fatti più complessi man mano che proseguiva, e si ritrovò a sorridere alla domanda che - finalmente - lui le pose. Doveva ammettere di essersela aspettava quasi un anno prima, quando aveva dovuto imbastire la sua copertura con la Signora McCramble, ma era ragionevole pensare che quel giorno i loro problemi fossero stati altri. Amber non si era mai vantata delle proprie conoscenze, né prima di entrare ad Hogwarts, né dopo, ma era orgogliosa dei risultati raggiunti con nonna Cordelia e della velocità con cui, ora, poteva apprendere uno spartito e farlo proprio. Le dita magre e svelte pattinavano sui tasti compiendo evoluzioni complesse e lo facevano con una naturalezza invidiabile. La rigidità imposta dallo studio che, per anni, non sembrava potesse essere utile, d'improvviso era diventata la perfetta base per quel talento. Un'altra cosa che lei non faceva, era suonare davanti ad altri, ed era l'altro motivo per cui non divulgava in giro quell'informazione o non sfruttava la possibilità di renderla nota. Ma lui era così vicino alla soluzione, che tanto valeva rivelare in parte un altro tassello della sua vita. Ammaliata dalla possibilità di mantenere ancora un po' di mistero, rispose alla domanda ripagando Killian con la sua stessa moneta.
«Si » Niente più e niente meno, nessuna specifica su quale fosse lo strumento in questione, solo il sorriso scaltro di chi sapeva di essere rimasta volutamente vaga. Non mostrò indignazione per la domanda e nemmeno impose uno sguardo rigido o che non permettesse replica, fu semplicemente sincera al punto da sperare di richiamare su di sé ancora un po' di mistero. «... se escludiamo la cornamusa, ovviam-» Tentò di sfruttare ancora una volta un po' di sana ironia, ma non ebbe modo di concludere la frase che, invece, le morì in gola. Attimi. Il loro rapporto era sempre scandito da singoli attimi, che avevano il potere di rimanere indelebili nel cuore di Amber, e forse non solo nel suo. La mano dell'Auror era corsa rapida fino a posarsi sulla schiena della ragazza. L'intento era quello di salvaguardarla dagli artigli tremendi di Amigdala, ma lei non lo capì nell'immediato, impossibilitata a vedere subito la falchetta. Se il casuale sfiorarsi di poco prima aveva smosso la fiammella che sobbalzava per ogni pensiero che riguardava Killian, quel tocco più sicuro e forte fece di peggio. Per la ragazza fu semplice - anche troppo - fare il paragone con il salvataggio in extremis di qualche mese prima, che li aveva portati per vie traverse a rischiare il crollo. Una scarica elettrica le attraversò la schiena ma, nonostante non riuscì ad impedirsi di rivolgere un'occhiata stranita al ragazzo, non si oppose e, docilmente, seguì il movimento imposto, percependo solo dopo il battito d'ali del volatile. Durò un attimo, si, ma in quell'attimo altri battiti andarono persi, e lei trattenne il respiro. Sentì il volto bruciare al contatto della mano con la sua schiena, e l'idea che quella mossa potesse in qualche modo ripetersi in occasioni differenti, fu devastante. Non vide la busta portata da Amigdala, la sentì solo cadere su un fruscio di fogli sollevati dalla spinta della postina d'eccezione, prima che questa potesse sparire di nuovo. «N-non fa nulla, non ti preoccupare...» farfugliò risollevandosi. Tornando con lo sguardo limpido su Killian, si rese conto di essere ancora involontariamente in contatto con lui che, forse per un assurdo gioco della sua mente, le sembrò perfino più vicino. Se solo quell'aggancio l'avesse avvicinata ancora un po', se solo la presa non avesse ceduto al controllo della ragione. Quanto poteva apparire semplice dimenticarsi dell'angolo di quel tavolo ed avvicinarsi ancora di più? Troppo. Sapeva di non doverci pensare ma era più forte di lei. Abbassò lo sguardo sui fogli quando lui ritrasse la mano definitivamente, e per poco non parve perfino incolparsi per quei pensieri che mai avrebbe espresso. Ispezionò a vuoto il proprio disegno per sfuggire allo sguardo di Killian, e per paura di non poter celare tanto a lungo quegli assurdi pensieri. Un amaro sorriso fece la sua comparsa poco dopo. «Spero che Fergus ti tratti meglio, non riesco a capire se ha un debole per te... o se ti odia.» Disse, infine, dopo aver indugiato un secondo sulla busta immersa in altra carta. Le iridi acquamarina tornarono in cerca delle loro compagne.

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Not again


 
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view post Posted on 26/10/2017, 18:59
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Killian Resween # 24 anni # Auror

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La velocità dell’avvicendarsi di parole e fatti fu impressionante e in quegli attimi concitati l’Auror si ritrovò impossibilitato anche solo a formulare un pensiero lineare e compiuto.

La grande mano tatuata sulla schiena di Lei, l’arrivo di Amigdala, la cornamusa, la tenuta.

Il seocculto.

I domestici magonò.



La sua coscienza ripercorse a ritroso gli argomenti affrontati prima che i battiti potenti d’ala della falchetta spazzassero via ogni forma di riflessione, quasi a voler ritrovare un filo conduttore che sarebbe stato meglio perdere. Risalì alla nuova informazione ottenuta da Amber che non si aggiunse semplicemente all’elenco delle stranezze che stava scoprendo sulla sua famiglia e sulle abitazioni da perlustrare, benchè lo fosse. Quello che forse la giovane aveva considerato solo un dettaglio che facilitava loro il compito di aggirare i domestici fu come un sassolino buttato nel crepaccio profondo che il dolore aveva lentamente scavato per anni nell’uomo. Dapprima l’interruzione del silenzio che concedeva un minimo sollievo, poi i roboanti echi di frane inarrestabili.
Killian aveva sempre saputo e tuttora sapeva controllare le proprie reazioni e mantenere uno stato di imperturbabilità pressoché totale soprattutto per gli argomenti che lo riguardavano da vicino, quasi che lo toccassero meno delle faccende altrui e per questo lo sconvolgimento interiore non si tradusse in segnali fisici altrettanto forti, ma certamente evidenti per la ragazza che aveva imparato a conoscerlo fin troppo bene. La mano che inizialmente aveva ritratto dalla sua schiena per paura di averla urtata con il gesto scattoso di salvataggio sparì sotto al tavolo dove si chiuse a pugno, gli occhi grigi abbandonarono i compagni verdi ancora illuminati da barlumi di sorriso cercando con insistenza qualcosa sul tavolo ma non era certo per questo che le nubi al loro interno si erano addensate promettendo una tempesta imminente. Anche il viso risentì dell’improvviso passo indietro che il ventiquattrenne stava mettendo in atto, contraendosi in un’espressione fin troppo seria a mandibola contratta e fronte corrugata. Che qualcosa fosse radicalmente cambiato in lui era visibilmente chiaro, ma cosa avesse fatto scattare quel comportamento era più ostico da inferire…almeno finchè non riprese parola, sempre mantenendo lo sguardo altrove sui fogli di carta che smuoveva per cercare la lettera anche se invece di rimetterli apposto ne aumentava il disordine.


“Domestici Magonò. Che scelta curiosa, mormorò mantenendo un tono calmo ma senza riuscire a dare all’ultima parola un’inflessione neutrale anziché ostile.

“Cos’è? Un atto di pietà? O è proprio perché così si possono raggirare meglio?” continuò incalzando le risposte che probabilmente non voleva nemmeno ascoltare.

Trovò ciò che stava cercando: la busta da lettere piegata ad un angolo a causa dell’insolito trasporto nel becco di Amigdala (per questo forse l’animale era così infastidito, ma Killian non aveva più la testa per pensarci ormai) mostrava la calligrafia rotondeggiante di sua sorella e questo lo infervorò ancora di più in quella silente e pericolosa reazione. La prese e velocemente la ripose nella tasca posteriore dei jeans come se potesse sparire da un momento all’altro o essere contaminata dalle altre pergamene in cui era finita e che riguardavano indirettamente una famiglia che considerava la mittente persona adatta alla servitù e nient’altro.

Forse stava interpretando male tutto, in fondo anche i Resween avevano da tempi immemorabili dei babbani come domestici in seguito ad un patto stabilito prima dello Statuto di Segretezza senza per questo mai considerarli gente inferiore o sottomessa: Killian vi aveva addirittura trovato le persone più care della sua esistenza. Eppure non riuscì a trovare la forza di volontà di accettare scuse razionali per quella realtà appena rivelata, né per Amber e la sua affermazione che lasciava intendere quanto facile fosse aggirare con incantesimi quelle persone ingiustamente private della loro essenza magica.

Aveva dovuto sempre combattere con l’ignoranza della gente benpensante che nascondeva la pietà e il disprezzo per persone come Persephone dietro ad un velo di ipocrita comprensione. Ed era stanco delle mille sconfitte. Credere che anche Amber potesse far parte di quella parte di società magica che tanto lo disgustava gli era parso dapprima impossibile, poi un pericolo sempre più vicino.

Quando finì di mettere al sicuro la missiva e idealmente la persona amata che l’aveva scritta per lui, rivolse uno sguardo indagatore
alla povera ragazza finita in torbide acque senza nemmeno accorgersene.
Se c’era un momento cruciale per dar fondo alle spiegazioni più convincenti, era proprio quello.


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view post Posted on 27/10/2017, 23:54
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Quando ti convinci di avere tutto sotto controllo, ti dimentichi che tra le mani non stringi niente.

Quel giorno Amber avrebbe imparato una nuova lezione che sarebbe rimasta impressa, marchiata a fuoco sulla sua pelle candida. Se avesse saputo di scatenare un simile tumulto con una sola frase, avrebbe pensato più volte prima di esprimerla, ma ritrattare era ormai impossibile. Se avesse saputo cosa giaceva sopito dietro l'espressione ironica di Killian, avrebbe evitato direttamente l'argomento, ferirlo non rientrava nei suoi programmi. E nemmeno apparire insensibile. Ma la verità era che tutto quanto stava per accadere si basava sul mistero che l'Auror ancora rappresentava. Le incomprensioni che dal niente sarebbero apparse vivide come fiamme in una grotta scura, erano state alimentata dall'enorme punto di domanda che sostituiva la vita del ragazzo per lei, il suo passato come il suo presente. Alla stregua di un equilibrista, Amber si era convinta di aver controllato tutto prima della propria esibizione. I fili da tendere, la direzione da prendere, i possibili imprevisti - sebbene più volte lui l'avesse messa alla prova evidenziando piccoli ma significativi errori di calcolo - , alla fine negli ultimi minuti le era sembrato di poter riprendere l'equilibrio e proseguire quasi spedita verso la sua meta. Ma fu costretta ad arrestarsi.

Non aveva dato alcun peso al discorso dei domestici, se non quello derivato dal problema che avrebbero potuto rappresentare se li avessero scoperti. Nulla che un Seocculto o un Mantello adatto non potessero risolvere, in ogni caso.
«Io non-...» L'impellente bisogno di dire qualcosa venne immediatamente represso dal terrore di aver compiuto il peggior passo falso di tutti. Era sul punto di dire che non riteneva così tanto strano l'assumere della servitù Magonò, ma la reazione di Killian in quel crescendo di malcelato fastidio la raggelò. Senza darle uno straccio di spiegazione, spezzò con forza il nastro che aveva legato i loro sguardi, preferendo vagare sul tavolo alla ricerca di quanto riportato da Amigdala, ed Amber seguì silenziosamente ogni mutamento, sentendo il respiro farsi sempre più difficile. Le nubi di Londra si oscurarono, lanciando l'ennesimo segnale di pericolo imminente. Cosa stava accadendo? Dove aveva sbagliato? Preoccupata da quel repentino cambiamento, la ragazza allunga lentamente la propria mano nel tentativo di raggiungere quella di Killian, incapace di comprendere cosa davvero avesse scatenato quella reazione. Le sue dita però non raggiunsero mai le linee sbiadite di quei tatuaggi, bloccate a metà strada da un'espressione tanto dura e severa da toglierle il fiato e, per una volta, non in senso positivo. Il mutamento fisico evidente venne seguito da un tono che mai aveva udito, almeno non rivolto a lei. Era ostile, incalzante e... ce l'aveva con lei, ma non la guardava neppure negli occhi. Pietà, raggiro, era quello che credeva avesse convinto il nonno ad assumere quel genere di domestici? Ed a Killian cosa poteva interessare? Perché si era impuntato tanto su quel discorso quando c'era ben altro di cui parlare? Incapace di comprendere in un primo istante, lo guardò quasi stranita, non aveva mai assistito ad una reazione simile da parte sua, doveva per forza esserci qualcosa di estremamente importante alla base di quel mutamento, non si poteva spiegare altrimenti. Il respiro si bloccò ancora mentre la mente annaspava alla ricerca di qualcosa da dire che potesse frenare il meccanismo che era stato già messo in moto. *Fermati Killian..* Implorò all'interno delle mura della propria gabbia, mentre l'altro recuperava in fretta e furia la lettera arrivata poco prima, ritrovandola e senza preoccuparsi di aver messo in disordine altre carte, con l'urgenza - forse - di celare ad Amber la busta stessa. Quel gesto, aggravato dalla fretta con cui venne eseguito, la ferì. Si era illusa di poter vantare una certa intimità con lui, certo non tanto da potersi liberamente fare gli affari suoi, ma abbastanza da evitare di assistere ad una scena simile. Incapace, ancora una volta, di esprimersi, abbassò lo sguardo verso le proprie mani. Tra le dita aveva ancora la piuma d'oca. Tolse ogni maschera e lasciò che preoccupazione e tristezza si fondessero in un qualcosa che in pochi altri avevano potuto vedere. Le iridi spente vennero sollevate solo quando capì di essere sotto esame di nuovo, incatenata da uno sguardo che non lasciava scampo. Non sapeva il perché, ma dovette reprimere l'impulso spontaneo che la spingeva a chiedergli scusa per qualcosa che ancora non aveva compreso, per un errore che non aveva commesso.

Tremò nell'accorgersi quanto serio era diventato Killian e non impiegò molto a capire che non c'era più nulla su cui stare in equilibrio. Arretrò il più possibile, senza spostare la sedia, solo allontanando il busto dal tavolo e ritraendo le proprie mani fino a portarle sotto il tavolo. La piuma d'oca rimase sola, inconsapevole di trovarsi nell'occhio del ciclone. I Magonò erano spesso considerati indegni di appartenere alla categoria dei maghi, lo sapeva bene... ma come poteva un discorso simile toccare il ragazzo da vicino? Erano talmente tante le cose che non sapeva su di lui, che nessuna delle opzioni fornite dalla propria mente era da escludere. Un amico? un vecchio amore? un parente? Qualcuno doveva esserci. La strana sensazione di essere sulla giusta strada venne bruscamente repressa, cancellata dal desiderio di trovare le parole giuste per affrontare un argomento improvvisamente divenuto importante, se non cruciale. Mai si era ritrovata a fronteggiarlo in quel modo, e l'intensità con cui la stava guardando non aveva niente a che vedere con un dolce struggimento, per nulla. Lui credeva che lei fosse ingiusta con i Magonò? Una snob senza scrupoli? Poteva davvero pensare questo di lei? Dal tono piccato con cui l'aveva incalzata la risposta era sembrata tanto palese quanto terrificante e dolorosa. Era spaventata dalla velocità con cui la situazione era precipitata in suo sfavore, ed il tono quasi sussurrato l'avrebbe reso facilmente intuibile. Fece del suo meglio per nascondere, invece, quanto quell'ingiusto trattamento l'avesse ferita, Killian aveva affondato una lama esattamente nel punto meno protetto e non sembrava intenzionato a tornare sui sui passi, tanto che lei temette quasi di dover attendere la sua estrazione ed il conseguente dissanguamento. Raccolse però quel che restava dei suoi pensieri, e tentò di resistere alla pressione che sentiva gravare sulle sue spalle, riproducendo uno sguardo abbastanza serio, quasi piccato a sua volta per la facilità con cui era stata ovviamente fraintesa. Fino a quel momento non si era resa conto di quanto il pregiudizio sugli abitanti della Villa potesse pesarle. Ed ancora meno realizzò la velocità con cui anche lei riuscì a distorcere la realtà.
«No, Killian.» Il tono con cui pronunciò quel nome fu il meno gentile mai utilizzato fino ad allora. Lo sguardo si indurì appena di più. Forse stava esagerando. Nonostante lui si fosse dimostrato ostile, lei non poteva interpretare quelle poche parole al punto dal distorcerne il senso. Però lo fece, e si ritrovò a non sentirsi dalla parte del torto, non del tutto almeno. «Non c'è pietà nelle azioni di mio nonno. Ha sempre preferito i Magonò ai Babbani o agli Elfi perché crede siano superiori ad entrambe le categorie. E' sempre stato convinto di poter dar loro una seconda possibilità per integrarsi in qualche modo nel mondo magico e non essere costretti a vivere nel segreto, tra i Babbani. Non li raggiriamo, non ci imponiamo su di loro solo perché potremmo esserne capaci. E sono liberi di andarsene e licenziarsi come in ogni lavoro. Non sono le nostre cavie. E noi non siamo dittatori senza scrupoli.» Non si accorse di aver trasformato rapidamente il "mio nonno" in "noi", quasi nominandosi il difensore di quella categoria di maghi. Anche lei poteva dirsi spesso stanca di venire considerata sulla base di soliti stereotipi, ma se in altri casi sorvolava sul pensiero altrui, lì non poté farlo. Il pensiero di Killian valeva più di mille altri, e se lui la credeva una sadica matratta-magonò, lei doveva saperlo. La ferì perfino la sola idea di dover dare quella spiegazione ed essere messa sulla graticola in quel modo. Le mani aperte sulla gonna ne strinsero la stoffa leggera. Il tono serio cedette il posto a quello più preoccupato e, incapace di reggere ancora il gioco, fu Amber a distogliere lo sguardo per puntarlo altrove ed evitare che il velo umido che si era formato in quegli occhi color del mare potesse peggiorare le cose. Era possibile che anche lei avesse frainteso ed avesse letto in quelle domande delle accuse più dure? L'empatia che provava quando si trovava in una stanza con lui, sembrava essersi trasformata in un'arma a doppio taglio. L'idea che lui potesse credere che l'assunzione dei Magonò avesse senso solo per il sadico desiderio di supremazia di maghi come suo nonno, aveva innescato una reazione altrettanto potente. Aveva il terrore che quello che aveva ritenuto insignificante finisse per diventare il punto focale della questione. Inspirò cercando conforto in quell'azione fin troppo naturale e poi tornò a rivolgere il suo sguardo verso di lui, forse osando anche troppo. La voce drasticamente addolcita ma per nulla pietosa. Lo sguardo che vagava in cerca di una soluzione nascosta chissà dove. «Cosa sta succedendo?»

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view post Posted on 30/10/2017, 16:01
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Killian Resween # 24 anni # Auror

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Un passo falso. Una piccola frase detta a cuor leggero e a cui poca importanza era stata data da parte della ragazza. Questo era bastato a scatenare in Killian una delle reazioni più dure con la persona alla quale mai avrebbe pensato di mostrarsi così. Fare finta di nulla era stato impossibile perché il ragazzo poteva farsi scivolare addosso qualsiasi cosa ma non avrebbe mai permesso che il mondo ferisse Persephone più di quanto non avesse già crudelmente fatto.

Vedeva lo sconcerto di Amber, forse persino il timore che aveva suscitato in lei, ma non era facile bloccare la rabbia che aveva sempre mantenuto repressa e che ora aveva trovato una via d’uscita alla quale difficilmente avrebbe rinunciato. Una parte di lui sapeva che era non era del tutto giusto prendersela con la ragazza per qualcosa che probabilmente la riguardava da lontano e sicuramente avrebbe potuto cercare di regolarsi meglio di come faceva con il suo tono fintamente calmo ed estremamente minaccioso. Ma la ragione si era praticamente persa nel polverone sollevato dalla faccenda che rendeva l’Auror un uomo accecato dal dolore e per nulla incline alla comprensione. Perché mai una famiglia Purosangue dovrebbe avere l’intera servitù magonò se non ritenesse quelle persone una razza inferiore? Il furore cieco che l’aveva infiammato non vedeva altre alternative se non quella terribile spiegazione, eppure concedeva ad Amber il beneficio del dubbio: quanto condivideva la posizione che i suoi familiari sembravano aver preso?

Lo sguardo torbido che le aveva rivolto con gli occhi grigi addensati di nubi rendeva evidente quanto dovesse pesar bene le parole nella risposta che Killian aspettava di valutare prima di procedere in qualsiasi altra direzione. Se non avesse fatto luce sulla questione e smentito i terribili pensieri che erano sorti in seguito alla rivelazione non sarebbe più stato in grado di rapportarsi con Amber come prima. Tutti i “dopo” che si erano ripromessi si sarebbero infranti esattamente come il loro presente ora incerto più che mai. Già quando la ragazza aveva cercato di intercettare la mano tatuata con la propria, era stata una fortuna che si fosse interrotta in seguito alle parole dure che lui le aveva rivolto: Killian avrebbe ritratto certamente la mano al contatto. Era capace di questo e di molte altre azioni che forse avrebbe rimpianto in seguito, ma che ora non era più in grado di impedirsi nonostante una debole e fioca coscienza lo supplicasse di smetterla.

La osservava, in silenzio, come un giudice severo assetato di giustizia ma troppo alterato per poter svolgere il suo compito con imparzialità: in gioco c’era davvero troppo. Era evidente quanto la strega fosse sconvolta per quel repentino cambio di atmosfera, ma nonostante questo le sue ragioni vennero espresse con quella fierezza tipica di chi crede di essere stato accusato ingiustamente. Poteva anche essere un punto in suo favore, ma quello che disse non piacque comunque troppo all’uomo che al sentir pronunciare il termine “superiori” lasciò dilagare un’espressione contrariata sul suo viso già serio. Non importava se l’aveva usato per connotare positivamente i magonò rispetto ai babbani o agli elfi domestici, il solo fatto che ci fossero categorie di persone migliori o peggiori per servire i maghi urtava gli ideali del ragazzo. Venne a conoscenza che la singolare scelta era opera del nonno, ma da come parlava era evidente che Amber fino ad allora era stata quantomeno indifferente all’identità di chi la serviva. Forse il pensiero radicato in una società gerarchica si era insinuato in lei senza che questo costituisse una sua colpa. Se Persephone avesse ereditato i poteri come tutti i bambini purosangue, Killian sarebbe stato ugualmente così sensibile a questo tema? Con tutta probabilità no. Quel pensiero che stava emergendo come una certezza riuscì a sgonfiarlo della rabbia che aveva dettato i suoi comportamenti fino ad allora, ma l’amarezza e la frustrazione rimasero:

“Non hanno bisogno delle nostre seconde possibilità”
, disse concludendo quello che era stato un ragionamento ben più lungo ma imperscrutabile alla ragazza.

Aveva parlato con tono cupo perché quella era una triste verità che spesso si ripeteva quando la mancanza di sua sorella diventava troppo forte e il desiderio di tornare a vivere insieme si rendeva quasi palpabile. L’accusa era caduta, la condanna evitata, ma Killian non poteva tornare come quando quell’argomento non si era ancora frapposto tra i due. Anche se le intenzioni erano buone, lui sapeva quanto era assurda e dannosa una collaborazione del genere. Era importante che anche lei lo capisse o lo avrebbe semplicemente considerato un folle per le sue azioni.


“Non trovi crudele costringerli ad essere ogni giorno spettatori impotenti della vita che avrebbero potuto avere ma che non avranno mai?”

Aveva usato il termine costringere anche se una delle principali difese che Amber si era costruita come scudo era proprio quella di non obbligare nessuno a servire la sua famiglia. Ma lei non poteva capire: non era affatto così semplice. Anche Persephone, cresciuta tra i babbani sin da quando né Mortimer né Violante Resween avevano mostrato segno di volerla considerare una figlia, provava una ineliminabile attrazione per ciò che gli era sempre stato negato: la magia. Killian notava il malcelato desiderio con cui la sorella lo osservava castare un incantesimo (e per questo limitava le magie al minimo quando erano insieme) e assecondava spesso la volontà di visitare Diagon Alley, Hogsmeade o qualsiasi altro posto permeato di magia per poi vedere sempre il viso della ragazza appassire in un’inesorabile tristezza. Anche se lo ricercavano e volevano farne parte, il mondo magico faceva più male che bene alla gente che ne era stata ingiustamente esclusa. Per questo non aveva difficoltà a credere che i domestici di Villa Hydra svolgessero il loro lavoro volontariamente senza che nessuno li costringesse, ma allo stesso tempo era convinto che non fosse affatto una buona idea.

Il modo in cui l’Auror ora guardava la ragazza non era più ostile e minaccioso, ma la serietà non abbandonava i suoi tratti induriti. Si aspettava da lei qualcosa di più, ora. Almeno una riflessione sulla condizione di quella povera gente che di tutto aveva bisogno tranne che della compassione dei maghi. Possibile che lei non avesse mai ragionato sul dolore impresso in quelle vite? Chissà se si era mai immaginata la faccia delusa di un undicenne al quale nessun gufo aveva portato una lettera da Hogwarts… Lui aveva visto e vissuto l’espressione di sconforto sul viso rigato di lacrime di sua sorella e quello era il motivo principale per cui non avrebbe potuto reagire altrimenti in quell’occasione e a quelle parole.
Gli occhi verdi, umidi e feriti svicolarono via dalla morsa del giovane. Anche la più piccola fiamma di ostilità venne soppressa nell’animo del giovane quando infine realizzò i danni subiti da entrambi. Se lui aveva mosso innumerevoli passi indietro nella loro relazione, Amber si era proprio allontanata fisicamente il più possibile da lui. Il pensiero di averla spaventata l’avrebbe perseguitato a lungo, ma nonostante questo non riuscì a mostrare un segno di rimorso o pentimento, né la volontà di rimediare. Sarebbe semplicemente rimasto immobile a logorarsi l’anima sullo scontro appena avvenuto se lei non avesse ripreso la parola con una dolcezza infinita che dapprima bruciò ancora di più sulle ferite del giovane ma che poi riuscì quasi a placarle.
Trascorse un silenzio infinito. Cosa avrebbe potuto dirle se non la verità? Ma Killian non era pronto a riversare su di lei un’altra delle numerose tragedie che costellavano il suo passato. Non sarebbe mai stato pronto a compiere questo passo. Amber avrebbe potuto aggiungere quella notizia alla lista immaginaria di cose che sapeva su di lui, insieme alla morte della madre quando era giovane. E poi? La lista si sarebbe allungata con la morte del padre, con gli anni di soprusi da parte di suo zio, dell’addio alla Tenuta e alle persone care… Amber gli stava chiedendo ciò che mai avrebbe voluto rivelare di sé. Ciò che lo rendeva debole.


“Mia sorella è una Magonò”

Senza tanti giri di parole, come sempre. La dura e cruda verità, che lei capisse o meno. Lo mormorò piano, quasi che stesse ammettendo una propria colpa. In fondo l’assurda idea che lui potesse esserne realmente responsabile non l’aveva mai abbandonato da quando quel timore si era concretizzato uscendo da un armadio sgangherato di una bettola di periferia, in un molliccio con le sembianze di Persephone che gli rinfacciava proprio questo. E gli incubi glielo ricordavano quasi ogni notte.


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view post Posted on 1/11/2017, 13:13
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Your own true sense of worth»

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Mortificata da un trattamento che non pensava di meritare, Amber arretrò fino a sentire la propria spina dorsale premere contro lo schienale della sedia. Era in trappola? Doveva sentirsi con le spalle al muro come un animale braccato da un cacciatore già pronto ad uccidere? Oh, lo sguardo del ragazzo diceva tutto sul predatore che era. Spietato e inarrestabile. Non si sarebbe però mai aspettata di vederlo rivolto verso di sé e non verso un avversario comune. La sensazione di claustrofobia che seguì quel breve inseguimento, le fece credere che la stanza si stesse rimpicciolendo secondo dopo secondo, con lei dentro, incatenata alla sedia ed incapace di compiere anche una sola mossa. Non c'era nulla che le importasse di più che estinguere le fredde fiamme che agitavano lo sguardo dell'Auror, ingiuste ed ingiustificate, ma pericolose. Tra un battito di ciglia ed uno cardiaco, sentì il nodo alla gola stringersi, impedendole di dire qualsiasi cosa, o di fermare l'invettiva in qualunque modo. Non era pronta a lasciare la presa su quel sentimento che l'aveva spinta a fidarsi di lui anche più del dovuto. Se solo fosse stata meno coinvolta o meno intenzionata a capire cosa avesse innescato una reazione così forte, avrebbe saputo con esattezza cosa fare. Si sarebbe alzata senza dire una parola, avrebbe reciso anche l'ultimo dei legami che la teneva vicina all'Auror, avrebbe staccato la spina del suo coinvolgimento sulla faccenda di Eveline e se ne sarebbe andata con la chiara intenzione di non far più ritorno in quell'appartamento della Londra babbana. Quella però non era un'opzione valida, ed anche solo pensarla le provocò una dolorosa fitta al cuore. La tristezza che quelle accuse portavano con sé, non tardò a palesarsi oltre lo sconforto e l'iniziale timore. Ancora non riusciva a credere che lui la paragonasse ad uno spietato schiavista. Non le importava cosa pensasse di suo nonno o del resto della sua famiglia, era l'opinione che si era fatto su di lei a contare sopra tutte le altre. E mentre l'ennesimo sguardo accusatorio la trafiggeva, seppe con precisione di non poter reggere ancora a lungo. Era ingiusto, perché lei aveva dovuto svelare così tanto di sé e di lui invece non si sapeva praticamente nulla?

I pugni chiusi sulle ginocchia si strinsero fino a ché Amber non si ricordò di loro. Si era costruita un bel castello di carte e questo stava miseramente crollando davanti ai suoi occhi, raso al suolo da Killian. Allora forse i suoi incubi non sbagliavano più di tanto, forse l'idea che quello strano percorso potesse finire in uno scontro figurativo all'ultimo sangue tra i due non era poi tanto campata in aria. Se lui avesse deciso sul serio di condannarla per le colpe - presunte - della sua famiglia, non sarebbe stato così diverso da molti altri. Se avesse scelto di seguire i pregiudizi sui Purosangue di discendenza nobile, come lei, allora quell'ultimo anno sarebbe stato gettato alle ortiche in un attimo. La delusione era lì, bussava alle porte del suo cuore con insistenza esasperante, ma Amber continuava a non volerle permettere di entrare in gioco, perché se l'avesse fatto allora davvero non ci sarebbe stato più nulla di cui parlare. Per un attimo, prima che lui rompesse il primo silenzio, si aspettò quasi di venire cacciata dall'appartamento, tanto serio le era sembrato Killian. I Magonò rappresentavano un punto nodale dell'esistenza dell'Auror, non poteva essere altrimenti. Pronta a subire un nuovo colpo, attese la sentenza... che però non seguì nemmeno il nuovo copione. Non venne assolta e non venne condannata, ma piuttosto venne interrogata nuovamente, più a fondo. Faceva immensamente fatica a comprendere quei discorsi. Era vero, non si era mai chiesta cosa potessero provare i domestici ma si era anche convinta che, essendo adulti e vaccinati, se avessero ritenuto le condizioni di permanenza inaccettabili, se ne sarebbero andati. Il tono cupo usato del padrone di casa le spezzò e, prima che potesse dire qualunque cosa, le nubi tempestose di una Londra prossima ad una guerra tornarono a posarsi su di lei. Con il cuore in gola ed uno sguardo afflitto incapace di contrastare un giudice, sebbene meno severo di prima, che attendeva solo lei, seguì il proprio istinto.
«Crudele? Io non-... non ho mai pensato che... che potessero non stare bene. Ho sempre pensato che avendo libera scelta avrebbero potuto fare quello che più ritenevano giusto per loro stessi.» Si sentì malissimo il secondo dopo aver espresso ad alta voce quel ragionamento. Era stata insensibile? Perché non si era mai chiesta cosa provassero le ragazze di servizio in cucina, oppure il giardiniere o perfino il Maggiordomo, l'unico a cui un po' si era legata? Cosa voleva dire essere un Magonò? I libri potevano raccontare dell'improvvisa assenza di magia o di un corpo arido ed incapace di accoglierla, ma Amber non si era mai davvero messa nei loro panni. Se però qualcuno l'avesse privata di punto in bianco di ogni potere, avrebbe probabilmente faticato perfino ad uscire di casa. Demolita da un senso di colpa che non pensava nemmeno di poter provare, almeno non verso quei semi sconosciuti assunti da suo nonno quando ancora non era nata, alzò lentamente lo sguardo.«Non ho mai pensato a come potessero sentirsi... non ho mai creduto che potessero soffrirne...» ogni parola vibrava di un senso di colpa non indifferente. Mentire a Killian in quel momento sarebbe stato come mentire a se stessa: inutile e controproducente. * La verità è che sono più egoista di quello che pensi. Forse sono davvero un mostro * «Forse hai ragione. E' ingiusto che assistano a continue dimostrazioni magiche senza poterne prendere parte nemmeno un po'... Immagino che non sia facile come lo fanno apparire loro.» quelle scuse erano quasi esasperate e rivolte più a se stessa che a lui. Era un ragionamento giusto, quello di Killian, e lei lo sapeva. Cosa sarebbe accaduto se ad essere una Magonò fosse stata lei ed avesse dovuto assistere ad un continuo uso della magia in ogni sua forma? Se lui in quel momento l'avesse guardata per davvero avrebbe potuto vedere che non c'era niente di finto in quelle poche parole e che qualcosa in lei si stava muovendo su quel fronte. Poteva dirsi un inizio? Era terribilmente sincera e mortificata per non aver visto l'altra faccia della medaglia. Una cosa che però sembrava non aver fatto nemmeno lui.

Non si capacitò di quello strano coraggio che l'aveva spinta a chiedere cosa stesse davvero accadendo. L'aveva fatto con un tono calmo e fin troppo dolce, un tono sconfitto da una battaglia iniziata già all'apice della forza e che minacciava di poterla demolire in uno schiocco di dita. Nonostante gli attacchi e nonostante lo sguardo spaventoso che si era ritrovata a fronteggiare, aveva trovato la giusta preoccupazione per rivolgersi a lui con una premura che forse nessun altro nella sua posizione avrebbe meritato. In cuor suo Amber pregò che lui non rifiutasse quel gesto, quell'avvicinamento. Sperò che non fosse già troppo tardi per capire cosa avesse scatenato tutto quel trambusto. Non c'era nulla che potesse dare un segnale più lampante di quanto lei tenesse a Killian se non quella domanda quasi sussurrata con dolcezza e decisione, la domanda di qualcuno realmente preoccupato e forse perfino convinto di meritare, per una volta, una spiegazione reale. Ma se da una parte Amber poteva dirsi pronta a chiedere di più, dall'altra non sarebbe mai stata pronta a ricevere la risposta che lui le diede. Prima che il secondo grande silenzio venisse spezzato da cinque parole, lei trattenne il fiato. Lo sguardo cauto su di lui. Le mani tremanti.

“Mia sorella è una Magonò”

Lo stomaco si congelò in una morsa, mentre quella terribile verità veniva espressa con un tono mai udito prima. Chiuse gli occhi maledicendosi per aver anche solo introdotto l'argomento.*Persephone...* Colpita da quella rivelazione mormorata, Amber ricacciò a forza la propria tristezza indietro da dove era venuta perché non era lei in quel momento a doversi permettere un'emozione simile. Seppur con difficoltà, fece cessare il tremolio che si era impossessato delle sue mani, riportandole poi lentamente sul tavolo. Non seppe razionalmente il perché di quella mossa, forse voleva indicare che qualora lui avesse avuto il bisogno di sfiorare, loro sarebbero state lì. Quella comunque non era solo un'informazione, quella era un pezzo della vita di Killian Resween, svelato così nel bel mezzo del nulla, inaspettato. L'incredulità che dapprima s'impossessò dello sguardo chiaro, venne sostituita da un senso d'oppressione feroce. Non c'era bisogno che lui dicesse niente altro, lei aveva capito tutto - o almeno così credeva -. Aveva capito perché tanta agitazione su quello che le era parso un dettaglio marginale e stava capendo anche perché nonostante tutto la prima spiegazione non fosse stata sufficiente a scagionarla. Non le era piaciuto per niente il modo in cui era stata trattata... ma sapere che Persephone, la misteriosa sorella dei pattini, condivideva la stessa natura dei domestici della Villa, aveva reso tutto più sensato. Strinse il ciondolo che aveva con sé senza nemmeno rendersene conto, probabilmente Niahndra non aveva la minima idea del significato che l'effige di Persefone avrebbe avuto da quel momento in poi. Killian non era diventato feroce per niente, lo aveva fatto per sua sorella e la sola idea che avesse agito in quel modo per proteggerla fece vibrare le corde del suo cuore. Se non l'avesse ritenuto irrispettoso, avrebbe perfino sorriso in modo quasi dolce al pensiero di avere a che fare con qualcuno in grado di entrare in difesa in quel modo. Peccato però che lei fosse diventata il nemico di Persephone in quella immaginaria lotta. E mai avrebbe vinto contro la sorella minore dell'Auror, era logico. Non voleva mostrarsi impietosita da quella rivelazione, era la prima a detestare gli sguardi pietosi di chiunque in qualsiasi momento, non avrebbe potuto fare nulla di simile a Killian. Al contempo però non avrebbe nemmeno potuto sussurrare un "ti capisco" falso come pochi altri. Lei non avrebbe potuto capirlo in quel momento. Non provò nemmeno a dirsi dispiaciuta, non avrebbe fatto altro che alimentare il concetto di diversità fin troppo pericoloso. Si trovava ancora più in trappola di prima. La fragilità di quel momento le parve talmente alta da essere lei, per la prima volta, a sentirsi un Erumpert in una vetreria e non il contrario. Era quasi certa che sbagliare in quel momento sarebbe stato fatale per quello strano futuro che avevano scelto di posticipare. Solo quando capì che anche il silenzio non sarebbe stato d'aiuto, si decise a parlare, pur sapendo di dover agire con estrema cautela. Usò un tono neutro, incrinato da uno sconforto quasi empatico. Forse non avrebbe mai cancellato l'etichetta che lui pareva averle cucito addosso alcuni minuti prima, ma doveva provarci. «Dev'essere stato difficile per lei e... per te.» Cosa rivelava di più quella notizia? Poteva raccontare un passato difficile per entrambi i Resween? Non poteva capire nemmeno un legame fraterno, come poteva sperare che lui credesse alle sue parole? Per quanto ne avesse il sapore, anche quella non voleva essere una concessione pietosa, ma piuttosto un modo per Amber di andargli in contro. Non lo avrebbe costretto ad odiare il soggiorno in Villa. «Non posso fare molto per cambiare lo stato delle cose, la mia parola vale ben poco. Lo sai che non vivo lì.» * Sai che io non sono come loro.. devi saperlo * Non vi erano accuse nel tono più serio che stava usando, solo la speranza che quelle parole venissero recepite nel migliore dei modi. Lo sguardo, solo in parte ristabilitosi dai colpi subiti, tornò a cercare qualsiasi reazione di Killian. «Possiamo limitarci a Casa Snow, se preferisci. » Non avrebbe mai creduto di potersi sentire in colpa per essere ciò che era. Una Strega.


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view post Posted on 19/11/2017, 15:35
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Killian Resween # 24 anni # Auror

« Not a Date »


La rabbia e il fervore del ragazzo si stavano pian piano sgonfiando come palloncini e Killian quasi sperava davvero che non rimanesse nulla dentro al suo involucro fisico che aveva assunto e ancora manteneva un aspetto poco amichevole senza che lui potesse in qualche modo controllarsi. L’oscuro nemico si era disincarnato dalla figura esile e tremante che aveva davanti: prendersela con Amber come se fosse lei la causa della condanna di Persephone non era stato giusto e in fondo lo aveva sempre saputo, eppure questa consapevolezza non gli aveva impedito di riversare sulle sue fragili spalle l’astio che provava da sempre contro un destino ingiusto che si era accanito su sua sorella.
Mentre ascoltava le riflessioni che aveva innescato nella giovane sulle condizione dei domestici della famiglia, Killian aveva già messo da parte tutte le condanne che le aveva rivolto poc'anzi confidando che quello scontro avrebbe trovato modo di cambiare qualcosa nel suo modo di vedere le cose senza che lui insistesse ancora, facendo del male ad entrambi.
Annuì stancamente e anche le ultime tracce di accuse scomparvero dai suoi occhi che tuttavia rimasero inquieti come il cielo di un temporale estivo, turbati dal dolore sordo che quell’argomento aveva risvegliato a tradimento. Un dolore che, per la prima in assoluto, stava condividendo con una persona che fino ad allora non ne aveva preso parte. Non era ancora convinto che rivelare quel grande frammento della sua vita fosse stata la scelta giusta dopo un tempo infinitamente lungo passato a seppellirlo nel silenzio di una solitudine che in qualche momento era stata la sua unica scialuppa di salvataggio. Qualcosa nello sguardo perso e spaventato di Amber però aveva reso necessaria una spiegazione: la mancanza di un motivo valido per l’improvvisa freddezza che aveva mostrato avrebbe sicuramente reso l’incontro l’ultimo di quella breve ma intensa serie che aveva costellato l’ultimo anno. E Killian non voleva questo, non poteva permettere che il passato che tanto aveva cercato di esorcizzare rovinasse ancora il suo presente.

Non si perse nulla della reazione della piccola a quell’infausta notizia. Osservandola avrebbe capito molto più su di lei che con un qualsiasi altro interrogatorio al riguardo e lui aveva finalmente e completamente dismesso le vesti dell’Auror, per una volta. Con una sincerità di cui l’uomo non aveva mai dubitato, Amber si mostrò sorpresa e dispiaciuta ma, cosa più importante, la comprensione non si lasciò scivolare nella compassione. Lei sapeva cosa significasse avere lo sguardo pietoso della gente puntato addosso e la ringraziò mentalmente per avergli risparmiato quel trattamento a cui entrambi erano stati sicuramente sottoposti più e più volte. Notò anche le mani sottili riacquistare fermezza mentre tornavano sul tavolo, forse per offrigli un sostegno qualora ne avesse avuto bisogno ( e ne aveva), ma lui non si mosse. I suoi limiti da uomo erano ancora tutti lì, non riusciva a vincerne che uno alla volta e con grande fatica perciò non poteva mostrarsi ancora più debole di come aveva fatto rivelando la verità su sua sorella. Soprattutto con Amber, lei che si era rivolta a lui per avere un punto saldo a cui aggrapparsi, non il contrario.


“Già”, rispose brevemente alla constatazione della giovane sollevandola dal peso di dover dire qualche altra cosa che sarebbe stata in ogni caso inadeguata e non per colpa sua, ma perché non c’era frase che in quella situazione potesse esprimere cosa i due provassero davvero.

La voce gli era uscita roca, come se a vibrare non fossero state le sue corde vocali ma l’eco di una rassegnazione alla quale non si voleva arrendere del tutto. Fortunatamente Amber non si lasciò schiacciare dal peso della notizia che Killian le aveva appena sganciato addosso, ma virò saggiamente sul pratico tornando alla loro missione. Era ovvio che l’Auror da lei non si aspettasse uno schiocco di dita che cambiasse la situazione in Villa Hydra, ma l’accenno di riflessione che aveva insinuato bastava per convincerlo che l’avvenuto non fosse stato del tutto inutile.
Una smorfia infastidita attraversò i suoi lineamenti appena appena meno rigidi quando Amber propose di limitare l’ispezione alla sola Casa Snow che originariamente non era nemmeno nei piani:


“Certo che no. Faremo tutto quello che c’è da fare”, la rassicurò con tono deciso mentre con un gesto della mano scacciava via l’ipotesi di compromettere la loro missione per una sua debolezza.

Bene. Si era tutto placato, la tempesta si era infine dissolta: sarebbe stato facile riprendere da dove si erano interrotti, continuare la piccola mappa e pianificare ancora la loro prima “mossa” come un duo in azione. Era stata Amber la prima a riportarli sui loro passi, esattamente come Killian le aveva chiesto tempo fa, obbligandoli a concentrarsi solo sul lavoro. Ma allora perché il ventiquattrenne sentiva il bisogno di riempire quel nuovo silenzio con una frase da Killian e non da Auror? Pensava che mettere un punto a quella questione e andare a capo fosse il suo più grande desiderio ma ora si scopriva non pronto a farlo. Era la prima volta che parlava di sua sorella non soltanto attraverso vaghissimi accenni e cos'è che raccontava di lei? La sua natura magonò e niente altro, come se quella fosse l’unica informazione degna di nota sul suo conto, come se quella parola bastasse a descrivere interamente la sua persona.

Non poteva farle questo.

Lentamente estrasse di nuovo la lettera spiegazzata dalla tasca posteriore dei suoi jeans, il segno del becco di Amigdala ancora visibile sull’angolo destro. La posò sul tavolo, davanti a sé, non troppo lontano dalle mani della ragazza e soprattutto vicino abbastanza perché lei potesse leggere nella calligrafia riccioluta di Persephone una sola parola, “Killian”. Niente formalità, niente indirizzo: la corrispondenza tra loro due era sempre stata così, soprattutto ora che avevano una postina così efficiente che mai e poi mai avrebbe lasciato perdere una lettera una volata accettato il compito di consegnarla.


“È sua”, spiegò poi migliorandosi e superando la soglia dei monosillabi.

Non gli era sfuggito lo sguardo duramente colpito della ragazza quando aveva messo in salvo la lettera pescandola dal mare di pergamene in cui si era persa. In altre circostanze non avrebbe mai agito in quel modo, ma il momento critico in cui la lettera era arrivata aveva innescato in Killian un meccanismo di difesa per quel pezzo di carta forte come se si trattasse di sua sorella in carne ed ossa. Ma ora l’aveva rimessa in ballo, sul tavolo, dove poteva essere il centro dell’attenzione oppure no. Stavolta sarebbe dipeso da Amber.


“È una ragazza meravigliosa e molto spesso ho l’impressione che abbia superato la cosa meglio di quanto abbia fatto io”

Non aveva mai parlato così apertamente di cose che lo riguardavano nel profondo dell’anima. Una rara perla di verità su Killian Resween, lasciata andare inaspettatamente. Un dono o una condanna per la ragazza che aveva davanti.
La guardò, valutando ancora se stesse commettendo un errore o meno per aver condiviso così tanto con qualcuno che forse non poteva o non voleva sopportare quelle rivelazioni.

Si affidò agli occhi verdi di Amber: loro gli avrebbero fatto capire se era il caso di continuare o di abbandonare quella nuova e inaspettata rotta per tornare al caso, al piano, ad un’altra storia che per prima avevano deciso di affrontare.
A quel punto, non l’avrebbe biasimata per nessuna delle due scelte.



Scheda


// Perdona la lunga attesa, socia mia :abbraccio:
 
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view post Posted on 21/11/2017, 18:03
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«Run away, they say
No one will love you as you are»

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Non si era mai trovata in quella posizione. Non si era mai sentita così colpevole per qualcosa di altrettanto naturale, e nel suo sguardo non c'era stato spazio per nessuna menzogna. Essere una Strega era parte di ciò che la rendeva "Amber", non aveva mai scisso le due parti e mai aveva pensato di farlo. Aveva sempre visto nelle sua magia una compagna, una guardiana - a volte - e perfino un conforto in molti momenti bui. Nel tempo e grazie a studio ed impegno era riuscita a darle la forma che più si confaceva al suo essere, limandone le imperfezioni fino a trasformarla nella perfetta metà della sua anima. Aveva sempre sbagliato? Essere così diversi da Babbani forse non era solo un dono, forse comportava dei doveri, ma lei non vi aveva mai fatto caso. Forse aveva bisogno di essere marchiata a fuoco dallo sguardo gelido di Killian per capirlo. Non si trattava di un processo indolore e quel timore che era riuscito ad incuterle avrebbe lasciato qualche cicatrice. Per un attimo in quel temporale di sguardi aveva temuto di perdere tutto: aveva temuto di perdere lui. Era sciocco evitare di ammettere che Eveline stava naturalmente passando su un piano parallelo, così come sarebbe stato inutile annullare ogni traccia lasciata da quel sentimento costantemente presente. E se per una colpa di Constantine Hydra avesse perso l'unico appiglio in quel mare mosso? E se a causa della sconsiderata supponenza di suo nonno avesse allontanato l'unica persona che più di altre avrebbe voluto tenere stretta a sé? La sola idea che davvero potesse accadere, aggravata dalla serietà priva di scampo con cui Lui l'aveva guardata, le aveva quasi spezzato il cuore. Chiare e cristalline, quelle iridi non rimandavano che la verità al diretto interessato, forse ancora pronto a cercare un appiglio per incolparla di nuovo. Ma ora che sapeva che il centro di tutto era Persephone, come poteva incolparlo per un trattamento così ingiusto? Ora che poteva sfiorare la superficie di un dolore immenso e che non le apparteneva, poteva aggiungerne altro? Non dovette cercare la risposta tanto a lungo: *No* L'incontrollato timore che le aveva tolto il fiato scemò lentamente, seguendo la scia di quell'assoluzione sempre più a portata di mano. Eppure se in quel momento avesse avuto sotto mano il suo Molliccio portatile, quello si sarebbe trasformato proprio in Killian. Killian che la guardava con crudeltà, pronto a fare di lei solo un mucchio di cenere sanguinante

«Va bene» rispose con un tono nuovamente calmo e forse più sicuro di poco prima, alla decisione di proseguire comunque secondo i piani, indipendentemente dalla presenza dei Magonò in servizio a Villa Hydra. Non voleva che quella apparisse come l'ennesima concessione, cercò invece di far risuonare quelle due parole in modo tale che somigliassero più ad un "ricevuto!". Rivedere per un attimo il Killian più sicuro che sembrava aver perso in quei terribili minuti, non poté non rincuorarla un po'. Ma poco dopo il discorso tornò a vertere su Persephone, ed Amber raccolse tutti i piccoli le briciole di quella confessione con meticolosità, realizzando lentamente di aver messo piede in un "nuovo mondo", finalmente non Amber-centrico. La cucina figurativamente scomparve in una nuvola di fumo scuro, sostituita da un immaginario burrone, circondato da nubi temporalesche. Entrambi si trovavano in quel triste scenario, i piedi di Killian sfioravano il limite di quel baratro e, quella volta, non era Amber a rischiare di cadervi dentro con conseguenza catastrofiche. No, per la prima volta a dover essere salvato era lui. L'Auror scomparve di fronte al ragazzo, di fronte ad un'umanità soffocata per troppo tempo. Quella rivelazione la spiazzò. Aveva dovuto fare uso di tutta la sua convinzione per dimenticare il lato umano, forse perfino fragile, di Killian, obbligandosi a vedere quella "missione" sopra ogni cosa e pensare che non vi fosse nulla che potesse preoccuparlo al di fuori di quanto dovevano - e non dovevano fare -. Non poté che definirsi "egoista" per la seconda volta in meno di mezz'ora. Però era stato lui ad allontanarla da quella visione, quasi un anno prima, poteva considerare quella confessione come un "permesso di accesso" a quel particolare reparto proibito? Oppure si trattava solo di una nuova informazione di cui fare tesoro e che non l'avrebbe condotta a niente altro? Se c'era una cosa che non voleva era che lui si sentisse costretto a condividere qualcosa che, altrimenti, non avrebbe mai rivelato. Ma il fatto che lo stesse facendo l'aveva in qualche modo fatta sentire importante, più di quanto finora si era concessa di credere di essere. Ed allora non lo fermò. Non gli disse che non era necessario che si esponesse. Scelse di credere che fosse lui, in quel momento, ad avere bisogno di lei. E scelse di esserci.

La lettera che in fretta e furia era stata nascosta alla sua vista - altro tassello importante di quel comportamento mai visto nel ragazzo - era tornata davanti ai loro occhi, in bella mostra. Non poteva negare che il sentimento che provava per lui si era intensificato dopo l'ultimo ballo, l'impossibilità di farsi avanti e raggiungerlo l'aveva costretta ad un'immobilità quasi innaturale, caricando maggiormente l'aspettativa del momento in cui niente li avrebbe più separati, inducendola perfino a sognare momenti tanto lontani nel tempo da sembrare semplici fantasie. E non solo. Non avrebbe ammesso a voce alta di poter provare gelosia nei confronti di chi poteva avvicinarsi a lui senza il minimo freno, eppure in quel momento non dovette immaginare alcuna fantomatica amica di penna, perché il suo cuore aveva scelto di credere che la lettera appartenesse proprio a colei che tanto aveva agitato quel pomeriggio. Non dovette reprimere alcun desiderio di afferrare la carta, perché non ve n'era alcuno. Non serviva alcuna conferma per capire l'importanza di quella lettera e di certo lei non avrebbe osato invadere così tanto quella zona di conforto per Killian. Lei e Persephone dovevano rimanere due entità ben distinte nella mente, ma soprattutto nel cuore di quell'uomo, e di quello lei sarebbe sempre stata convinta. Non aveva mai potuto sperimentare la fragilità di qualcun altro, era sempre stata fin troppo impegnata a nascondere la propria, ma quell'esercizio le aveva garantito una delicatezza unica nel trattare argomenti tanto dolorosi. Lo avrebbe scoperto proprio in quel momento. Se poi all'equazione aggiungeva il suo ... interesse per Killian, ed il desiderio ormai maturo di non vederlo soffrire per alcuna ragione al mondo, allora poteva riscoprirsi ancora più intenzionata a non commettere errori. Quando lui rivelò l'identità del mittente, un sorriso più dolce mosse le labbra di Amber. Gli occhi verdi si prepararono inconsciamente ad accogliere i più fidati compagni grigi, perché le Nubi di Londra trovassero un luogo in cui riposare. L'intensità con cui lo sguardo venne ricambiato, la convinse ancora di più a voler essere quella mano sulla spalla che l'avrebbe fermato da qualsiasi lancio nel vuoto a suo discapito. Le parole su Persephone vennero registrate sapientemente nella memoria di Amber che, lentamente, tornò ad assumere una posa più rilassata, senza distogliere il suo sguardo. Se quello era un modo di Killian per chiederle di sopportare parte di un suo peso, la sicurezza nelle iridi verdi era il modo della ragazza di rispondere che era pronta e che per lui lo sarebbe sempre stata. La consapevolezza di aver pensato una cosa così vera, divampo' andando ad infiammare la fiaccola faticosamente tenuta accesa nei mesi.
«Non stento a credere che sia così in gamba, sembri fiero di lei.» Rispose, cercando di proseguire su quel piano ma con la certezza di non doversi permettere affermazioni azzardate. Avrebbe voluto chiedergli quanti anni avesse o dove fosse suo padre, ma l'età era sempre stata un punto cruciale del loro rapporto, un punto che forse non era il caso di affrontare quel giorno. Solo in quel momento e solo per un attimo, tentò di immedesimarsi nella seconda Resween: orfana di madre e magonò. Esistevano pochi destini più crudeli di quello.«Non posso dirti che so come ci si sente, ho sempre odiato chiunque tentasse anche solo di accennare ad una cosa simile.» Scosse appena il capo in ricordo delle decine di persone che fin da piccola aveva scelto di evitare. Non sarebbe mai diventata come loro. «Credo sia terribilmente ingiusto. Ma credo anche che... con te al suo fianco, Persephone non abbia nulla da temere.» Mantenne un tono calmo e serio, quasi sacro. Poiché sacro era in realtà l'argomento che stavano trattando. Forse era andata oltre il seminato, eppure non poteva affermare frase più veritiera, perché era esattamente quello che lei provava il più delle volte. Ed ancora una volta un lieve accenno di rossore colorò le sue guance per un piccolo ma significativo momento. Non le restava che sperare che l'idea che lei potesse non essere totalmente neutrale, non prendesse troppo piede in quei discorsi. In cuor suo sperava anche che i genitori di Killian avessero almeno in parte contribuito alla distribuzione di quel peso in famiglia. L'ombra di una riflessione inevitabile oscurò appena le sue iridi. Amber aveva sempre pensato di dover badare a se stessa da sola e quando aveva iniziato a comprendere di poterci riuscire - in parte - si era sentita fiera di sé, ma doveva ammettere di essere scioccamente gelosa - sebbene in modo del tutto differente dal normale - di quella ragazzina mai vista, ma che aveva qualcuno come Killian legato indissolubilmente a lei. Se c'era una cosa che aveva imparato da quella crudele lezione, era che per lei non sarebbe stato lo stesso. Amber avrebbe potuto perdere quel rapporto unico in un battito di ciglia. Non voleva che accadesse.

A briglia sciolta quel cuore ribelle riprese a galoppare...


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Not scared to be seen




Edited by ˜Serenitÿ - 21/11/2017, 18:20
 
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view post Posted on 25/11/2017, 12:30
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Killian Resween # 24 anni # Auror

« Not a Date »


Persephone era da anni l’unica persona rimasta della sua famiglia, l’unica persona a condividere con lui una storia tutt’altro che amorevole e fortunata. Così come per le altre cose che facevano parte del suo passato, tutto ciò che riguardava la sorella era sempre stato tenuto sottochiave nel silenzio della sua riservatezza per i propri affari personali, irraggiungibile per chiunque. Ma ora… possibile che tutto potesse cambiare in modo così imprevedibile, partendo proprio da uno scontro? In altre circostanze e con un’altra persona, soprattutto, non sarebbe mai riuscito a superare il discorso dei magonò e il loro impiego inclemente come domestici, ma davanti a sé Killian non aveva un individuo chiunque da poter sbattere fuori dalla propria vita senza ripensamenti: c’era Amber, c’era quello sguardo tanto fragile che ora stava diventando un forte appiglio proprio per lui.

Non era facile. La frase precedente era uscita con fatica dalle labbra scure del giovane e la voce troppo bassa e roca perché qualcuno al di fuori della ragazza potesse anche solo sospettare che lui avesse detto qualcosa. Si era chiesto, osservando senza barriere e senza filtri la figura a cui iniziava ad aprirsi sul serio, se le sue parole sarebbero rimbalzate indietro contro il muro di un dolore personale troppo forte da poter accettare anche quello altrui. Un rifiuto di parlare di certe cose da parte della strega non sarebbe stato un atto né sbagliato né egoistico, soprattutto dopo la breve ma intensa crisi che avevano affrontato proprio in merito a quell’argomento. Ma Amber meritava molta più fiducia e ammirazione: accolse l’accenno di sfogo di Killian come se non avesse mai desiderato altro ed in effetti il mago non si era mai immaginato quante domande lei si fosse posta sul suo conto, ma sempre in un rispettoso silenzio dei tempi di entrambi. Vide i lineamenti gentili del volto che conosceva ormai tanto bene da poter tracciare anche a occhi chiusi ammorbidirsi in un’espressione sinceramente comprensiva e non di circostanza. Di riflesso, anche le rughe pensierose sul volto più maturo dell’uomo scomparvero lasciando il posto ad una serena serietà che aveva ormai completamente superato la rabbia e la tensione precedentemente accumulate. Persino un piccolo sorriso fece il proprio debutto quando la Tassorosso accennò alla fierezza che provava nell’avere Persephone come sorella:


Oh sì, lo sono. Mi assomiglia molto…ma con meno difetti”

Parlare di lei così, semplicemente come un qualsiasi fratello maggiore, stava diventando sempre più facile e spontaneo, tanto da azzardare anche una battuta accompagnata dal solito sorriso furbetto (forse un po’ meno forte, ma comunque convinto) che non si spense quando lo rivolse alla ragazza. Si era riferito pur senza specificare al carattere che i fratelli Resween condividevano: anche Persephone aveva uno spiccato senso dell’umorismo che sfociava molto spesso nell’ironia, anche pungente. E la spigliatezza non poteva che essere eredità di Violante, sebbene il loro modo di porsi verso gli altri e contro il mondo era più frutto di una lenta e meticolosa costruzione obbligata dalle sventure che avevano affrontato insieme. Per questo i loro caratteri erano così simili, forgiati dallo stesso fuoco. Amber sarebbe piaciuta a Persephone almeno quanto aveva incuriosito Killian al primo incontro con una diversità d’anima e di spirito che continuava tutt’ora. Accantonò rapidamente quel piccolissimo seme d’idea sull’incontro tra la ragazza e la sorella per ritornare alle parole che Amber gli stava ancora rivolgendo: non era il momento di coltivare certi improbabili pensieri.

Si accorse che un velo di rossore era calato sulle guance della strega e stavolta non per qualcosa che lui aveva detto o fatto. Ci mise un po’ ad associare quella reazione all’ultima frase che la sua voce sottile aveva pronunciato e che forse non riguardava solo Persephone. Si convinse della duplicità del riferimento quando colse nelle iridi cristalline l’ombra di una riflessione che non poteva del tutto comprendere.


“Lo spero. Faccio del mio meglio”, sentenziò mantenendo l’ambiguità che in realtà non aveva ragione d’esistere: l’intenzione era oramai diventata la stessa, forte e accesa, di difendere e dare giustizia a due ragazze che condividevano il peso di una triste storia sulle loro spalle, anche se in modo molto diverso. Il motivo che però spingeva Killian a prendersi queste responsabilità era diametralmente opposto: l’amore fraterno sconfinato da una parte, un sentimento assolutamente non riconducibile a quello di un fratello maggiore dall’altra…

L’uomo non sapeva ancora di cosa si trattasse esattamente, non poteva e non voleva dargli un nome, ma sapeva che gli stava permettendo di esternare parti di sé che credeva di non poter mai confessare a nessuno: questo bastava a convincerlo ancora più fermamente che non poteva rinunciarvi.
Era bello e liberatorio condividere con Amber ciò che considerava la parte migliore della sua esistenza, per questo si impossessò di lui il desiderio di metterla a conoscenza di ogni felice dettaglio: sua sorella non era assolutamente e minimamente descrivibile attraverso la targa “magonò”. Lei doveva saperlo.


“Quelli sono i suoi biscotti preferiti”, disse indicando con un cenno della testa la ciotola floreale che conteneva il tripudio di cioccolato offerto ad inizio incontro, mentre le sue mani decise iniziarono ad aprire la lettera che avevano tenuto in custodia fino ad allora.

Se doveva parlare di Persephone, non poteva certo limitarsi solo ai suoi gusti alimentari (anche se era stato un inizio): era una vita ormai che in ogni lettera che i due si mandavano vi era allegata una loro foto, una consuetudine che alleviava il peso della distanza. Vedere il volto sorridente di sua sorella non solo l’avrebbe aiutato a trovare le parole giuste per esprimere tutto ciò che di meraviglioso c’era in lei, ma mostrarla ad Amber sarebbe stato il suo modo nascosto per ringraziarla di quanto stava facendo e sopportando per lui. La Tassorosso avrebbe sicuramente capito e apprezzato il valore di quel gesto…


“Persephone ama viaggiare e fortunatamente nell’Accademia in cui vive e studia ha molte occasioni per farlo. E’ stata a Vienna queste due settimane..”


Anticipò mentre le dita sentirono la carta lucida della foto dentro la busta: una premessa necessaria per spiegare come mai l’immagine che stava per mostrarle avrebbe raffigurato una giovane ragazza intenta a fare smorfie buffe vicino ad uno dei monumenti più sconosciuti che era riuscita a scovare. Conosceva troppo bene Persephone per aspettarsi qualcosa di diverso da lei, pensò mentre estraeva la foto.



Sollevata a mezz’aria tra Killian e Amber c’era effettivamente l’immagine statica di una ragazza. Gli occhi che ricambiavano impudentemente lo sguardo nuvoloso di Killian gli erano sì familiari, ma non erano quelli di sua sorella anche se conosciuti ugualmente alla perfezione.

Sprofondò in uno stato di gelo totale mentre la sua mente formulava un solo potente e pervasivo pensiero: *Artemisia*.



Scheda


// Un grazie enorme a Rowena per avermi "prestato" la sua incantevole pv :fru: Nessuna Katie McGrath è stata maltrattata per la stesura di questo post!
 
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40 replies since 4/9/2017, 10:16   1221 views
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