Not a Date, Privata

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view post Posted on 29/11/2017, 15:20
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«Hide away, they say
'Cause we don't want your broken parts»

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Quelli erano frammenti preziosi come diamanti.

Killian stava condividendo qualcosa di così intimo che perfino Amber aveva quasi rinunciato ad aspettarsi di non trovare la solita corazza d'ironia. Non aveva mai condiviso qualcosa del suo privato con lei che non fosse la notizia della morte della madre o l'esistenza in sé di una sorella. Entrare nei dettagli di quel rapporto tanto intenso era per Amber un evento più unico che raro. Ci aveva provato ed aveva sperato di essere riuscita ad ammorbidire le proprie domande, perché queste non potessero aggiungere ferite laddove era evidente che già ve ne fossero. Ferirlo era fuori discussione, e la chiarezza con cui quella consapevolezza era emersa proprio in quei momenti era stata massima. Come uno scudo tra le parole dure che alcune volte avrebbe voluto rivolgergli, quell'idea aveva preso piede, rendendo fragile ogni altra intenzione. Con quelle iridi chiare e limpide l'aveva guardato senza mostrare la minima esitazione. Oh in lei in realtà ancora si davano battaglia idee di ogni sorta, ma tutto quel rumore di fondo era stato improvvisamente spento, silenziato dal desiderio di far parte di qualcosa di più grande in quello strano binomio. Si, sarebbero sempre stati l'Auror e la ragazzina in cerca di giustizia, ma dopo quel giorno lei non avrebbe più mentito a se stessa ignorando quanto invece agitava la sua anima. Il lieve rossore che si era impossessato vigliaccamente delle sue guance non era che la punta di un iceberg. Non aveva un nome per quella sensazione e quello esistente non sembrava abbastanza. Ma c'era, sbucava fuori a volte anche nei momenti meno opportuni, rischiando di sfuggire totalmente al suo controllo. Poteva farla sentire debole quando osservava il cielo notturno prima di iniziare una ronda, e poteva farla sentire forte quando aveva davanti Killian e sapeva con certezza di non voler perdere un solo attimo di un incontro. E quando poi quei due si ritrovavano tanto vicini da poter contare in "secondi" lo spazio che li separava, i freni si allentavano ancora di più. Allora cos'era? Debolezza? Forza? Certamente non aveva troppo a che vedere con il racconto di Eveline, ma se avesse cercato bene alcune similitudini anche lì, avrebbe potuto trovarle. In quell'anno passato tra alti e bassi, tra sguardi inappropriati ma tanto desiderati, tra lettere imparate a memoria e regole da rispettare, aveva iniziato a considerare la presenza di Killian una costante. Un punto - quasi - fermo nel suo cielo notturno. Ma mai aveva osato sperare di poter avere lo stesso peso per lui, o di valere al punto tale da meritare l'ingresso in quel mondo che con un distintivo aveva poco a che fare, tanto che spesso limitava ogni eccesso di entusiasmo perché, per quanto tentasse, nemmeno lui voleva trovarsi al centro dell'attenzione. E lei lo capiva.

Non aveva mai invidiato il rapporto unico che si instaura tra fratelli, sapeva che Eveline e John avrebbero voluto avere altri figli ma questo non aveva creato in lei alcuna aspettativa. Condividere era da sempre un suo problema, e forse era proprio il suo essere figlia unica ad avere decretato parte del suo carattere. Quello di cui era sempre stata certa era che non avrebbe desiderato avere alcun fratello o sorella. Vedere però quei lampi d'orgoglio che riempivano lo sguardo di Killian quando parlava di Persephone, non poteva lasciarla totalmente indifferente. Esistevano rapporti che lei non avrebbe mai capito, e sicuramente non avrebbe voluto che lui avesse lo stesso sguardo se mai si fosse trovato a parlare di lei, perché sentiva di poter dire quasi con certezza di fare parte di una diversa "classe di appartenenza" per il ragazzo... ma l'idea infantile che qualcuno, un giorno, potesse essere fiero di lei per qualcosa non l'aveva mai abbandonata del tutto. Nonostante quegli scambi apparentemente ordinari, sarebbe stato impossibile non notare il filo conduttore che li portava ad agire su due livelli paralleli, sincronizzati alla perfezione. Lei si fidava, lui lo sapeva ma la libertà di parola sembrava non piacere troppo a nessuno dei due, più avvezzi ormai a parlare attraverso metafore e terzi. Più Killian raccontava di Persephone, anche attraverso il dettaglio dei biscotti al cacao, e più il senso si mortificazione dato dal nodo creatosi poco prima nel filo del loro destino si palesava. Sapeva di non doversi sentire così tanto in colpa per le scelte del nonno, ma non poteva e non voleva mantenere una maschera di indifferenza, soprattutto dopo che Killian si era tolto la propria. Quando poi, superando ogni previsione della Tassorosso, lui iniziò ad aprire la lettere senza nessuna remora, proprio davanti a lei, il tuffo al cuore fu inevitabile. Il sorriso dolce che fino a poco prima aveva accompagnato le varie dichiarazioni, si allargò. Le mani ferme si rilassarono di più, dimentiche perfino della figura disegnata che stava sotto i loro palmi. Quel mucchio di fogli e carte aveva perso consistenza nell'esatto momento in cui un nuovo foglio era stato introdotto. Camminavano su una corda sottile, sospesi sul caso di Eveline, ma davanti a loro avevano solo Persephone. Qualunque informazione Killian avesse scelto di rivelare, sarebbe stata accolta da Amber senza timore - o almeno così credeva la ragazza -. Aveva finalmente la possibilità di conoscerlo e sentirsi in parte anche meno in difetto. Perché desiderare da sola di poter sapere tutto su di lui non era appagante quanto ricevere vere informazioni dalla fonte primaria. Era ingiusto, in parte, perché il mago stava rendendo vane tutte quelle micro imposizioni che avevano costretto lei a non sentirsi in dovere di divulgare anche i più banali avvenimenti nel corso dei mesi ad Hogwarts. Eppure in quel momento Amber riusciva solo a pensare a quanto avrebbe voluto poter rendere quei momenti una nuova "normalità", magari accompagnando quei racconti con un buon infuso, seduti sul divano, pronti a parlare a cuore aperto. Ma stava ancora correndo troppo.

Forte di quella ritrovata tranquillità ed emozionata all'idea di vivere realmente quel momento, non si accorse di aver sfiorato il ginocchio di Killian con il proprio e nemmeno di essersi avvicinata ancora di più a lui. Si trattava di movimenti del tutto istintivi ma ancora sconosciuti a chi, come lei, del "condividere" non aveva fatto un'abitudine.
«Accademia? Quindi non vive con...» avrebbe potuto proseguire, chiedendo se la giovane sorella non vivesse con il padre o direttamente con lui in quel quartiere babbano che sempre di più acquisiva un senso. In fin dei conti aveva già iniziato a dare per scontato - per nessuna ragione spiegabile - che lui avesse scelto di vivere tra i babbani proprio a causa della natura di Persephone, ma la premessa di Killian aveva creato un'aspettativa tale sul contenuto della busta bianca che lei stessa non considerò opportuno proseguire. Con lo sguardo attento e la mente pronta al cento per cento ad immagazzinare un nuovo ricordo, compì un errore da principiante. Se prima aveva potuto ignorare le fitte lievi alla testa, indice di una probabile emicrania in arrivo, dopo non poté più porre fine all'acuto fastidio che la colpì. Altri frammenti si susseguirono, pesanti come macigni. La foto, babbana, si frappose tra le loro mani ed il gelo calò negli occhi del mago, che si bloccò, immobilizzato da una visione che di certo non si aspettava. Ma se quella foto statica aveva reso di ghiaccio l'animo dell'Auror permettendo che un solo potente pensiero sfuggisse al suo controllo, per Amber fu l'opposto. Non pensò, non ebbe modo di frenare la sensazione che lo sguardo ancora freddo riuscì a trasmettere e senza più alcun desiderio di ispezionare la ragazza della foto, la strega accusò un duro colpo. L'ennesimo di una serie apparentemente infinita. Il sorriso sparì dal suo volto. Lo sguardo si spense, velato da un ricordo che non le apparteneva nemmeno un po', e la sensazione di una morsa serrata attorno allo sterno insorse incontrastata. Rapido come una freccia scoccata che fende l'aria, senza più una sola barriera a fare da confine di sicurezza, un nome riempì la stanza. Ma la voce che lo evocò, portandolo con il suo carico di dolore sul piano del reale, non fu quella di Killian. Lapidaria, fredda e scioccata forse più di lui, Amber si ritrovò ad identificare la sconosciuta nella foto. «Artemisia» Lo sguardo serioso era ancora fisso su Killian, mentre la potenza confusa di una serie di intenzioni vecchie e nuove esplodeva nella sua mente, rendendole impossibile distinguere l'una dall'altra. Fu tutto così improvviso ed intenso che in quei primi istanti non seppe distinguere la propria voce da quella del mago che involontariamente aveva assorbito. Non era sicura di aver parlato, ma era sicura di ciò che aveva sentito.

Così come il caos era arrivato, il caos se n'era andato, liberandola dalla sua presa. Il timore di aver commesso l'ultimo errore consentito, invece, era ancora lì, in quegli occhi verdi incerti se trasmettere paura, dispiacere o altre scuse. Chi era Artemisia? Perché Killian aveva reagito in quel modo? Perché era così certa che si trattasse proprio di lei? Oh, a quella domanda sapeva rispondere... ma la risposta non sarebbe piaciuta a nessuno dei due. Ancora ricordava chiaramente il pensiero del mago riguardo la legilimanzia, sebbene espresso in un momento non sospetto. Avrebbe meritato anche lei una stella rosso sangue accanto al proprio nome?



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Not Her




Ogni riferimento per nulla casuale, è ovviamente concordato con la Socia
 
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view post Posted on 5/12/2017, 20:15
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Killian Resween # 24 anni # Auror

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Ricordava perfettamente in che occasione era stata fatta quella foto, cosa era accaduto poco prima che fosse scattata dalla macchina fotografica babbana di sua sorella e cosa era seguito, il motivo che ne spiegava la presenza nella lettera di risposta di Persephone.

Come indicava l’inchiostro sbiadito sul retro, il frammento di vita che era stato eternizzato ed impresso nella carta lucida risaliva al 16 Agosto di molti anni prima: il giorno del diciassettesimo compleanno di Artemisia. Alle fitte al cuore che dilaniavano l’uomo ogni volta che quel nome emergeva nei suoi pensieri si aggiunsero quelle ancora più pungenti per un passato rimpianto ma perso per sempre. L’immagine era l’effige di una felicità costruita con tanta fatica in mezzo ad un oceano di oscurità che Killian sapeva essersi sfaldata nemmeno un anno dopo dal momento rappresentato dalla foto… Eppure guardando il volto leggermente scocciato della ragazza davanti all’obbiettivo, Killian poteva quasi risentire tra le labbra il sapore dolce della risata di presa in giro che aveva mantenuto per tutta la giornata di festa. Artemisia detestava quel vestito e le scarpe alte di cui già a metà banchetto si era liberata, diceva che la facevano sembrare una fragile bambola di porcellana. Killian aveva sempre avuto un parere opposto al riguardo, ma da buon migliore amico qual era non aveva fatto altro che rinfacciarle quello stato di impotenza dato che Glenda l’aveva pregata di fare la “signorina a modo” almeno finchè erano presenti tutti gli ospiti. Aveva mantenuto la parola, lei. E poi, per la prima volta davanti a Persephone, aveva dato vita alla sua splendida magia che solo ora Killian poteva capire a fondo. Ricordava la corsa verso il fiume con sua sorella sulle spalle, il suo volto curioso ed eccitato per la promessa di stupore che i due adolescenti le avevano fatto, rivide l’abito di Artemisia tanto odiato essere scagliato via con un gesto liberatorio e poi, la trasformazione. Un attimo prima il sorriso sicuro e gli occhi ardenti della loro amica, il secondo seguente una veloce Gazza Ladra che sfrecciava sopra le loro teste disegnando mille ghirigori nel cielo azzurro d’estate.

Era stato troppo ingenuo a credere che il silenzio e la distanza avessero cancellato quelle memorie dalla mente di sua sorella: come avrebbero potuto farlo dato che erano rimaste indelebili anche in lui che più ostinatamene di chiunque altro aveva provato a segregarle fuori? Era logico ed anche umano che la risposta di Persephone alla notizia della sua nuova abilità da Animagus contenesse un riferimento a lei, ma non aveva mai pensato che potesse essere così preciso. Così difficile da ignorare. Così doloroso.

Completamente catturato dall’immagine che si ritrovava in mano, Killian avrebbe potuto continuare a vagare nei ricordi ancora e ancora, del tutto estraneo alla realtà e al presente. Era stato un colpo troppo improvviso e parte delle sue barriere erano crollate dallo scontro precedente con Amber. Scontro destinato a non terminare.

Mentre la Gazza solcava ancora un cielo terso di nuvole, lo raggiunse una voce femminile. Non era di Artemisia, in sembianza animale. Non era di Persephone, troppo impegnata ad osservare a bocca aperta uno spettacolo che le aveva tolto la parola. Non era di Glenda, rimasta alla Tenuta e ignara di come la nipote si stesse godendo la libertà dalla Traccia.
Killian ci mise qualche attimo a realizzare che il nome che aveva sentito distintamente pronunciare non apparteneva al suo ricordo. Una volta raggiunta quella consapevolezza, il ritorno al contingente fu brusco e immediato. Gli occhi nuvolosi scivolarono via da Artemisia per dirigersi verso la fonte sonora che l’aveva appena nominata: Amber.


“Cosa hai detto?”, domandò con voce lenta e bassa come se il suo corpo avesse davvero appena affrontato un viaggio nel tempo e ne risultasse stordito.

C’era confusione nel grigio che osservava quel volto ora indecifrabile.
Incredulità.
Sorpresa.
Incertezza.
E anche un primo accenno di timore.





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view post Posted on 7/12/2017, 13:51
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«One word from you shall silence me forever»

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Aveva otto anni quando il primo Legilimens era entrato nella sua vita. Lo aveva odiato fin da subito. Ricordava quelle vicende come fossero accadute pochi giorni prima, era il lato più oscuro della medaglia per la memoria di ferro. Se Killian aveva le proprie ragioni per perdersi nel labirinto dei ricordi, anche Amber non era da meno. Erano ancora entrambi presenti in quella cucina, ma nessuno dei due c'era sul serio. Ferma in un tempo indefinito, la ragazza lasciò che le proprie memorie la strappassero con forza dalla mente dell'Auror, allontanandola - almeno sperava - definitivamente. Prima che il nome "Artemisia" la istigasse ancora di più a rimanere connessa con la mente del ragazzo, Amber mise un freno a tutto, tuffandosi nel suo personale pensatoio. Il dolore del ricordo non tardò.

Non avrebbe mai dimenticato quella camminata lenta e la piccola mano stretta in quella di John... difficile capire chi dei due stringesse di più, se il padre che probabilmente si stava già rendendo conto del proprio errore, o la bimba spaventata da quel mondo formale che non aveva mai conosciuto fino ad allora. Il fatto che Mayline li avesse affiancati poco dopo l'ingresso nell'atrio del Ministero della Magia non aveva reso più piacevole la mattinata. Impaurita e rigida, Amber aveva registrato ogni dettaglio inquietante, compreso il dialogo tra gli adulti che fin troppo spesso si dimenticavano di lei. Aveva scelto il silenzio come arma di difesa e non poteva capire, ad otto anni, quanto fosse impensabile per un padre non poter comunicare con lei, o non poter avere quei resoconti di morte che tutti sembravano chiederle. Avevano provato in ogni modo possibile, o quasi, a farsi raccontare la verità di quanto accaduto nel vicolo babbano. Le avevano posto mille domande che sarebbero state riassumibili in una soltanto: chi è stato? Ma come avevano potuto darle la responsabilità di trovare un colpevole quando ancora l'assenza della madre pesava per tutti? Nessuno di loro aveva mai capito la profonda rottura che quel lampo verde aveva provocato nella bimba dai capelli biondi e gli occhi grandi. Chiusi in quel loro personale dolore, Mayline e Johnathann avevano creduto di poter capire il trauma che aveva piantato le proprie radici nel cuore della piccola. Non si erano resi conto di quanta responsabilità Amber si era vista portatrice. Come una spugna aveva assorbito il carico emotivo altrui senza fiatare, estraendo da quelle informazioni una richiesta che, piccola com'era, non avrebbe mai potuto soddisfare. Ma ben peggiore era stata la loro idea di "vedere" quanto accaduto direttamente attraverso il ricordo che la bambina non voleva portare alla luce. Li ricordava bene gli ultimi passi che l'avevano condotta dal Legilimens...

Strinse i pugni senza accorgersene, ferita dal dolore di quelle incomprensioni senza data di scadenza. Anche a diciassette anni non capiva le loro motivazioni, eppure non era ancora pronta per affrontare quei due senza rischiare un collasso totale. All'epoca era solo una bambina spaventata ed incapace di comprendere, non avrebbe potuto sapere come sarebbe diventata meno di dieci anni dopo. Non avrebbe potuto immaginare di ritrovarsi nella cucina di Killian, in preda ad un potere che aveva cercato di ignorare. Di ragioni per reprimere quella vocazione ne aveva ed erano ben radicate nel suo inconscio, in un punto che difficilmente avrebbe raggiunto. Quando aveva scoperto, mesi prima, di appartenere alla ristretta cerchia magica di chi poteva sfruttare quella particolare vocazione, aveva sofferto di nuovo come se quei nove anni non fossero mai passati. Ma tutta quella sofferenza era rimasta rinchiusa in lei. Non ne aveva parlato con nessuno, meno che meno con la propria famiglia, combattuta tra il volerla comprendere e la negazione della stessa. La sua curiosità, quella compagna d'avventure, l'avrebbe spinta fin da subito a ricercare i modi migliori per controllare la legilimanzia e renderla parte integrante della sua esistenza, ma sotto controllo, e forse seguire quell'idea fin dal principio sarebbe stata la scelta migliore. Ma a vincere su tutto era stato il timore di diventare come l'uomo che impunemente si era appropriato della sua memoria senza il minimo permesso. E così lei aveva dimenticato i mal di testa, aveva dimenticato le voci che aveva sentito nella propria mente, al Circo. Quello, forse, era stato l'errore più grande. Colta totalmente alla sprovvista, si era ritrovata in una situazione dalla quale uscire sembrava quasi impossibile. Poteva arrabbiarsi solo con se stessa per la superficialità con cui aveva trattato quell'abilità.


«I.. io non..» Sentiva di avere il respiro corto, che venne quasi meno quando Killian sollevò lo sguardo dalla foto per interrogare proprio lei. Se in un primo momento si era beata della speranza di non aver detto fisicamente nulla, dopo capì di aver compiuto un passo ben oltre la soglia del consentito e le parole nuovamente le morirono in gola. Quello che poté leggere nelle nubi di Londra la convinse a fare un nuovo passo indietro. Stavolta non per il timore di essere ferita, ma per quello di ferire. Doveva davvero ripetere quel nome? E cosa aveva di così importante Artemisia? Chi era? Cos'era per lui? L'idea che potesse trattarsi di qualcuno che nuovamente si sarebbe trovato su uno scalino superiore a quello in cui si trovava lei, per Killian, la colpì allo stomaco come un pugno ben assestato. Impossibile non rendersi conto di quanto di lui ancora non sapeva, e viceversa. Non aveva nascosto la sua vocazione per gioco, l'aveva fatto perché dimenticarsene le era sembrata la via migliore. Avrebbe mai potuto capirla? Decise di non ripetere quel nome una seconda volta. «Mi dispiace non volevo... non- » fragile, scosse il capo lentamente e chiuse gli occhi, concedendosi un respiro appena più profondo. Le mani ancora strette e chiuse come rocce. Non sapeva quale giudizio Killian avrebbe potuto emettere senza aver compreso a fondo cosa era appena accaduto, ma in qualche modo si convinse di non volerlo sapere. Aveva segnato un punto contro se stessa, mandando in frantumi quello che restava delle sue difese, ora divenute frammenti di vetro da calpestare. Quando riaprì gli occhi tenne lo sguardo basso, osservano nuovamente i disegni fatti poco prima. Non poteva ammettere che glielo avrebbe detto, prima o poi, perché così non era. Da quando lui aveva espresso la sua opinione su Elko, lei aveva preso una decisione. Una decisione contro cui ora avrebbe dovuto combattere. «Forse ora dovrei andarmene.» Lo disse dando a quella frase il sapore amaro di un saluto d'obbligo, pur rimanendo seduta. Non avrebbe voluto muovere nemmeno un muscolo, ma se lui in seguito avesse scelto di congedarla, lei avrebbe eseguito gli ordini senza fiatare, riportando una sconfitta senza precedenti. Era triste e benché ne avesse tutte le ragioni, in parte quella tristezza non le apparteneva, lo sapeva. Non era un suo diritto chiedere chi fosse quella ragazza dai capelli corvini ed in parte temeva di ricevere una risposta. E se si fosse trattato di una ragazza davvero importante per lui? Qualcuno da cui tornare a casa la sera o con cui uscire senza dover attendere chi, come Amber, viveva per nove mesi all'anno in un castello blindato. Era tristemente certa che quella non fosse Persephone, e tanto le bastava per porsi altre mille stupide domande. Imporre la sua presenza era contro ogni logica. Non voleva vedere Killian prepararsi ad un nuovo assalto e non voleva che la delusione per quell'aspetto incancellabile divenisse palese. Era quello il suo modo di proporre una soluzione, anche se in realtà quello che davvero voleva era potergli dire tutto, una volta per tutte. Ed era lì, il suo maestoso ed imperiale castello di carte, proprio davanti a lui. Sarebbe bastato solo che allungasse una mano tatuata e sfiorasse un cartoncino a caso; sarebbe crollato tutto e solo la verità nuda e cruda sarebbe rimasta. Non avere tutti quei segreti con lui sarebbe stata una liberazione, ma come poteva sperare che cambiasse idea sui Legilimens o che accettasse la cosa? Considerando soprattutto che lei per prima non lo aveva mai fatto.

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Don't


 
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view post Posted on 7/12/2017, 23:38
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Killian Resween # 24 anni # Auror

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Posare lo sguardo sul volto di Artemisia, anche se solo impresso in un’inanimata foto babbana, aveva avuto su di lui effetti devastanti nell’immediato, complice una mente già provata dall’argomento precedente che riguardava anch’esso la sua storia.
Forse, richiamando a sé tutta la forza di spirito che aveva in corpo, Killian avrebbe potuto gestire la situazione innescatasi dalla semplice fotografia: incassare il colpo e tirare avanti, fare finta di nulla, per quanto possibile. La riservatezza di Amber e il suo tatto avrebbero aiutato a rendere il tutto meno indolore. Ma una sola parola, un nome, aveva bloccato il tempo in quella cucina dall’arredamento moderno.
Tutta l’attenzione del mago era stata rivolta immediatamente alla ragazza seduta poco lontano e benché il tono con cui era stata espressa la domanda fosse in parte incredulo, Killian era certo di quello che aveva udito pronunciare dalla voce sottile di Amber anche se chiederne conferma era stato istintivo. Osservandola in ogni sua minima reazione per non lasciarsi sfuggire nemmeno un dettaglio che potesse aiutarlo a comprendere, il Resween notò della sorpresa nei suoi occhi come se a parlare fosse stata una terza entità che aveva colto alla sprovvista entrambi.
E poi, il tentativo di risposta.

Più la povera ragazza si affannava a trovare le parole giuste con cui accordare le sue scuse, più cresceva in Killian la sensazione che ci fosse qualcosa di enormemente sbagliato in ciò che stava accadendo. La preoccupazione segnò i lineamenti del volto barbuto: le dispiaceva esattamente per cosa? Per aver interrotto un ricordo che lo aveva totalmente assorbito? Per aver riconosciuto la ragazza nella foto pronunciandone ad alta voce il nome che gli sconquassava l’anima? O, ancora, per non poter dare spiegazioni?

Fu un bene che la frase riguardante l’andar via non si fosse concretizzata in nessun gesto da parte di Amber. Killian non le avrebbe concesso tanto facilmente una simile ritirata: non poteva accettare che ad un cuore sanguinante per il riaprirsi di vecchie ferite si aggiungesse anche una mente martoriata dalle domande che aveva ancora da porle.
Lentamente, tornò a volgersi verso l’ Artemisia diciassettenne che gli ammiccava dalla foto: un rapido sguardo pieno di amarezza e poi ripose l’immagine nella busta da lettere da cui l’aveva estratta poco prima. Killian avrebbe affrontato quello che la sua visione aveva risvegliato in un altro momento, in altre circostanze: aveva altro di cui occuparsi, ora.


“Amber”, la sua voce innaturalmente calma ruppe il silenzio mentre gli occhi grigi tornarono ad indagare famelici quelli verdi di una fragilità unica. “Come conosci il suo nome?”

L’espressione seria e imperturbabile e il tono perentorio inverosimilmente neutrale delinearono un quadro di quiete apparente: in un interrogatorio di un sospettato che necessitava la massima prudenza, l’Auror non avrebbe agito diversamente. Doveva sapere. E in fretta, prima che i suoi pensieri degenerassero in ipotesi sempre più fantasiose e terribili.

Amber aveva avuto modo di conoscere Artemisia ed era stata in grado di riconoscerla nella foto sebbene fosse di ben otto anni fa? Sembrava assurdo il solo pensiero, ma era da un’infinità di tempo che non rivedeva la sua amica d’infanzia, perciò non aveva nessun criterio valido per stabilire cosa fosse impossibile o possibile. Le loro vite si erano separate troppo nettamente e Killian aveva perso ogni diritto di pensare di conoscerla a fondo.
Se la risposta all’interrogativo era davvero questa, le domande che ne sarebbero scaturite erano ancore più urgenti: dove? Quando? Come? Perché? Killian avrebbe assorbito come una spugna qualsiasi notizia al riguardo.

Eppure… eppure c’era una tremenda sensazione che avanzava nell’animo del ventiquattrenne lasciando al suo passaggio dei veri e propri buchi neri. L’altra opzione. Quella impensabile, quella impronunciabile. Quella che regnava nel silenzio sedimentato tra il grigio di un cielo che prometteva tempesta e il verde di acque profonde, dove il semplice annegare sarebbe stato il minore dei mali.


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«Till this moment I never knew myself.»

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E lo avrebbe fatto. Se ne sarebbe andata se solo Killian glielo avesse chiesto. Forse non sarebbero servite parole, un solo sguardo sarebbe stato più che sufficiente per mandarla via. Lo ripeteva in quei frammenti di silenzio, affinché il suo cuore potesse accettare una decisione tanto fredda, tanto razionale. Accettare che una cosa sulla quale aveva scelto di non avere voce in capitolo la condannasse prematuramente non sarebbe mai stato semplice, ma per lui avrebbe dovuto provarci. Credeva di portare pesi ben maggiori, ma aveva sottovalutato quell'ultimo tassello aggiunto - quasi - di recente al puzzle della sua esistenza. Cosa sarebbe successo se non lo avesse rinnegato? Se non avesse chiuso a chiave la porta di accesso a quella vocazione e se non avesse ritenuto a dir poco sconveniente infiltrarsi impunemente nella psiche altrui? Forse se avesse usato la ragione anche mesi prima avrebbe potuto evitare di pronunciare quel nome, risparmiandosi una spiegazione tanto fastidiosa quanto soffocante. Se c'era però una cosa che poteva aver capito in tutti quei mesi di altalenanti incontri con l'Auror, era che mentirgli non sarebbe mai stata la scelta migliore. Quello era un altro motivo per cui avrebbe accettato, se non anche sperato in un momento di disperazione, di potersene andare senza dover per forza ammettere qualcosa che la spaventava. Non avere il controllo di una parte così importante del suo essere era terribile e sapere che se ancora l'abilità riusciva a fuggire dalle sbarre che lei imponeva era comunque a causa sua e della sua testardaggine, era ancora più triste. Nuovamente avrebbe visto la lama di quella sua difesa puntare dritta contro il suo petto, e non avrebbe potuto fare nulla per fermarla. Era colpa sua, sua e di quella serie di piccole omissioni che, incatenandosi l'un l'altra, l'avevano condotta ad una negazione tanto profonda da essere deleteria. Oh, e quale negazione in verità non lo sarebbe stata? Aveva scelto una via sbagliata, si, ma l'aveva fatto con l'intento di proteggersi da se stessa.

Sconfitta in partenza, non oppose resistenza, lasciando da parte per un attimo tutti i dubbi che già minacciavano di tormentarla per settimane. Non volle chiedersi mille altre volte chi fosse Artemisia, o cose fosse. Niente di tutto quello che le passava impunemente per il cervello in quel momento l'avrebbe aiutata davvero a rispondere a Killian. Liberò le mani dalla propria stretta e le unì assieme, ma non alzò lo sguardo dai fogli nemmeno quando, tagliente come una lama, la domanda arrivò dritta al centro del bersaglio. Come conosceva quel nome? Amber lo sapeva benissimo, e sapeva anche che non esisteva un modo "normale" per confessare il suo peccato. Nonostante l'idea di non dover nascondere ancora una volta i suoi timori sotto il tappeto fosse allettante, mettere in pratica quella stessa possibilità si stava rivelando piuttosto arduo. Un'ultima volta desiderò di potersene andare, per poi magari ritrovarsi davanti ad un foglio di pergamena e spiegare tutto in quel modo, distante ed al sicuro. Sarebbe stata una codarda e forse avrebbe solo peggiorato la propria situazione, già di per sé critica. Avrebbe dovuto e potuto iniziare dall'inizio, ed invece partì dalla conclusione. Con il cuore pesante e l'espressione dura e pensierosa rivolta sempre a quel tratti leggeri prima tracciati, lasciò che una prima frase d'assestamento riempisse quell'atmosfera carica di tensione.
«Non lo conoscevo fino ad ora.». Non sapeva quali esperienze avesse potuto fare Killian con il proprio lavoro, ma davanti a lui c'era il classico reo confesso. Solo che invece di avere l'aspetto di un criminale, facile da individuare o da additare, c'era lei, Amber. La cascata bionda era ancora lì, mossa appena dalla brezza estiva che, aiutata da un tramonto eterno, soffiava dalla finestra. La pelle chiara contrastava ancora con il tessuto azzurro jeans della camicia. Le dita affusolate erano sempre lì, intente a tormentarsi in una lenta agonia. Poteva condannarla anche vedendola in quello stato? Avrebbe voluto sapere quanto importante fosse la ragazza nella foto per lui, ma sentiva di aver perso il diritto di chiedere qualunque cosa. Poteva solo rispondere, e doveva farlo bene.

Con il cuore in gola, proseguì.
«Il suo nome l'hai detto tu, anche se sarebbe più corretto dire che l'hai pensato.» dovette resistere al desiderio di guardarlo negli occhi in quel momento. Sarebbe sicuramente stata assorbita da una sua reazione prima ancora di poter proseguire. Aveva bisogno di aggrapparsi al familiare grigio intenso che contraddistingueva quelle iridi tanto note quanto agognate, ma non poteva, non ancora. Scosse appena il capo, chiuse gli occhi e percepì chiaramente come il macigno sul cuore stesse lentamente iniziando a ridursi, ma solo per poter tornare a pesare anche più di prima. «...speravo che dimenticarmene avrebbe reso tutto più semplice. Speravo che senza il minimo esercizio si sarebbe assopita, fino a smettere di funzionare.» Scosse il capo ancora una volta. Ed il punto era lì, pronto a divenire realtà. Non volle riflettere per non correre il rischio di doversi fermare. «Ma non l'ho mai voluto. E -.. non pensavo sarebbe successo con te... in questo modo. Non sarebbe dovuto accadere.» Un velo di frustrazione inumidì il suo sguardo e nonostante tutto lei attese ancora un istante prima di tornare a rendersi ancor più trasparente davanti all'unico da cui avrebbe accettato di essere condannata. Alzò lo sguardo lentamente, senza dismettere l'espressione seria ed infastidita dalla propria incapacità di controllarsi. «Sono una Legilimens» Sentenziò con spregio, evidenziando ancora una volta come non trovasse niente di buono in quella particolare natura. Non riusciva a spiegarsi il perché, ma la sola idea che da quelle parole lui potesse pensare che lei gli avesse nascosto volontariamente quel segreto per poi "indagare" nella sua mente a proprio piacimento la opprimeva. Killian non aveva detto nulla di simile, ma se lei l'aveva pensato avrebbe potuto farlo anche lui. Come dargli torto? Si morse il labbro inferiore, vittima anch'esso di quel continuo tormento. Era sicura di non aver chiarito quasi niente, aveva semplicemente evidenziato la portata principale senza darle un minimo di contorno, ma per le spiegazioni - sempre se lui ne avesse volute - avrebbero avuto tempo anche dopo. Sarebbe stato meglio confessare al Ballo, a debita distanza? Ci aveva pensato quella sera, ma anche in quell'occasione aveva voluto sminuire la sua capacità nel tentativo di renderla invisibile, di soffocarla. Ora aveva davanti a sé l'unico giudice e carnefice ed una parte di lei si aspettava una giusta punizione per quell'errore. Il coperchio del vaso di Pandora era stato appena spostato, ma gli orrori che celava erano ancora molti. Ombre, incubi e timori erano tutti in attesa dietro le quinte di un ipotetico sipario verde acqua. Osservatori muti. Forse, dopo quella rivelazione, non sarebbe andato in scena nessun altro spettacolo.

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Totally guilty




Edited by ˜Serenitÿ - 14/12/2017, 10:36
 
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view post Posted on 14/12/2017, 15:39
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Killian Resween # 24 anni # Auror

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Aveva sempre pensato di essere lui l'elemento forte del duo. Il sostegno di cui Amber aveva bisogno. Con il tempo aveva imparato che i confini non erano così netti, ma l'idea del suo ruolo di "protettore" era sempre rimasta. Non avrebbe mai immaginato che l'uomo, l'adulto maturo che era o che pretendeva di essere, un giorno si sarebbe dovuto proteggere a sua volta. Da Lei.

Killian resistette in bilico alla prima frase che seppur escludeva del tutto l'ipotesi della conoscenza tra le due ragazze, non era così compromettente. Non era il punto di non ritorno, anche se un nero presagio covava nell'Auror sin da quando il nome di Artemisia aveva riempito la stanza con la voce di Amber. Lo sguardo rimase fermo, ancora da "interrogatorio", ma non c'erano occhi da scrutare: i gemelli verdi stavano facendo di tutto per sfuggire ai suoi, forse per paura di una confessione troppo sincera e immediata.

Quando la seconda frase si concluse con la parola "pensato", era già tutto tremendamente chiaro. Le palpebre del mago calarono lentamente a celargli la vista come se l'oscurità in cui piombò potesse in qualche modo aiutarlo a sostenere una tale rivelazione che ora aveva il sapore acre della certezza.


"Ok",pronunciò così piano che forse nemmeno la breve distanza tra loro poteva garantire che lei udisse.

Ben lontano dalla vera accettazione, le due sillabe scandite tra respiri forzatamente lenti dovevano essere un punto fermo di conclusione. Aveva la sua risposta, ora come sarebbe dovuto ripartire?
Ma a quanto pare per la ragazza non era abbastanza: nel confessare un peccato tutti proverebbero a giustificarsi. Riaprì gli occhi e ascoltò tutto quello che lei aveva da dire; nonostante lo stato di confusione in cui era calato non era difficile riconoscere la sincerità di quelle parole. Ne sapeva abbastanza per credere alla non intenzionalità, ma questo quanto spostava l'ago della bilancia? Poteva bastargli per dire "non è successo nulla, va tutto bene" quando i suoi faticosi sforzi di celare il proprio passato a tutti, compreso se stesso, si rivelavano misure di sicurezza inutili davanti a lei? Per quanto l'aria distrutta e fragile di Amber pizzicasse le corde della comprensione nel cuore dell'Auror, la risposta era no. Non poteva.

Già il semplice girarci intorno lo aveva duramente messo alla prova, ma la sentenza diretta e innegabile con cui la strega concluse fu troppo per lui. Un colpo di grazia che Killian credeva di non meritare, anche se era stato lui a chiedere e a voler sapere. Scattò in piedi per l'assurda immagine di catene che apparivano dai braccioli della sua seduta -che, essendo uno sgabello, non aveva- come in quelle del Ministero, per intrappolarlo e condannarlo a ciò per cui la legilimanzia serviva.
Cosa avrebbero potuto trovare gli occhi indiscreti della ragazza che prima riteneva semplicemente bellissimi ma in cui ora la letalità regnava su tutto? Il non-occlumante che era pensò a ciò che più di tutto avrebbe voluto negarle e immediatamente i ricordi furono rievocati nella sua mente.
Con confusione si susseguirono varie immagini, prima il viso incredibilmente rammaricato di un uomo sulla quarantina che in parte ricordava l'Auror. Suo padre, immediatamente dopo lo scontro fisico avuto con il figlio che lo aveva aggredito con il pugnale di famiglia.
Il viso dolce di Artemisia incorniciato dalle fronde del loro albero, in una notte estiva. Il bacio, lo scoppio di gioia del suo giovane cuore.
E poi lo stesso volto bagnato di lacrime, lo sguardo ferito con cui gli aveva ordinato di andarsene, l'ultima volta che l'aveva vista.


"Ok", ripeté ancora passandosi la mano destra sul volto con fare a metà tra il disperato e lo stanco.

Di nuovo serviva più a lui che a lei per richiamarsi all'ordine: non poteva aggravare così la sua posizione, offrendole tutto su un paio d'argento.


"Ok", disse per la terza volta e più dava voce a quel monosillabo più era evidente quanto la realtà fosse diversa. Nulla era ok. Era tutto bel lungi dall'essere anche vagamente ok.

Non volle soffermarsi sul dubbio che anche gli ultimi ricordi avessero avuto uno spettatore indesiderato, piuttosto doveva ancora chiarire un punto. Forse il più decisivo.


"Da quanto lo sai?", chiede con tono funebre evitando accuratamente di dire "sei" al posto di "sai": la negazione era dura a soccombere ed affibbiarle definitivamente quell'etichetta non era qualcosa che poteva dirsi pronto a fare.

Amber aveva parlato di dimenticare, di rimanere senza esercizio e ciò non faceva che accrescere la delusione scolpita sul volto duro dell'uomo, convinto che la risposta gli avrebbe provocato un altro colpo al cuore.

Questa sarebbe stata la cosa più difficile da perdonarle, probabilmente.


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Quantificare la gravità di quanto espresso non le fu possibile all'inizio. Chiusa in una confessione senza precedenti ed aggrappata all'improvviso desiderio di estirpare quella natura da sé, non aveva alzato gli occhi. Non aveva visto l'espressione di Killian indurirsi al punto tale da annullare qualsiasi altro argomento. E se l'avesse vista non avrebbe comunque potuto lenire la sofferenza che pian piano stava prendendo piede in quella cucina. Ognuno per la propria personale e privata ragione, aveva il diritto di detestare quella vocazione, eppure lei sarebbe stata l'unica colpevole quel giorno. Perché non riusciva a sentirsi sollevata? Perché dopo aver confessato non sentiva alcun beneficio? Non avrebbe dovuto percepire il peso scivolare via oltre la soglia della sua anima? Teoricamente si, ma niente dello sguardo che lui le rivolse le consentì di gioire. Non si era illusa che aprirsi in quel modo le avrebbe garantito l'assoluzione, anzi. Eppure aveva sperato che il non apparire per nulla fiera di quanto accaduto la rendesse meno minacciosa. Aveva sempre creduto che il potere di demolire ogni progresso, di ritrarre la mano o abbattere la scure su quella relazione fosse in mano a Killian. Ed invece così non era. Amber si convinse, quando finalmente alzò lo sguardo dopo l'ennesimo "ok" che bruciava sulla pelle, di avere appena rovinato ogni cosa. Ogni sguardo d'intesa che si erano scambiati. Ogni contatto intenzionale o meno che li aveva fatti sussultare. Ogni traguardo che avevano gradualmente raggiunto. Tutto era stato spazzato via dalla verità, quella che proprio lei aveva sempre cercato. Pallida, più di prima, percepì il suo corpo tremare nel momento in cui - forse al limite della sua sopportazione - il padrone di casa scattò in piedi. Un nodo le strinse la gola. Era solo colpa sua. Se Killian stava reagendo in quel modo la colpa era solo di Amber e di quella dannata vocazione che non aveva chiesto. Il cuore, vittima di quei tumulti, venne stretto nell'ennesima crudele morsa. La sofferenza che in quel momento la Tassorosso provava era quasi paragonabile a quella rievocata un anno prima, davanti alla casa editrice di Eveline. Com'era possibile che Killian potesse farle quell'effetto? Perché non riusciva a smettere di pensare a lui? Ed ancora: perché lei riusciva sempre a rovinare tutto?

Lentamente e senza emettere alcun rumore, per paura che anche solo strisciare la sedia sul pavimento facesse esplodere l'ennesima bomba, si alzò in piedi anche lei. Irrimediabilmente lo sguardo tornò ad abbassarsi. Solo il Fato sapeva quanto e come anche quella ragazza stesse soffrendo in quel momento. Bloccata e senza la minima capacità di esprimersi come avrebbe voluto, si era ritrovata ad odiare se stessa per tante di quelle ragioni che solo la metà sarebbe stata sufficiente a colpevolizzarla per mesi. Non poteva difendersi e non lo avrebbe fatto perchè sapeva di non averne il diritto. Riavvolgere il tempo non sarebbe stato possibile, ma se solo avesse potuto sarebbe tornata indietro di alcuni mesi fino all'incontro al Villaggio ed avrebbe rivelato ogni cosa in quel momento, prima ancora di parlare di Elko. Il respiro appesantito dall'angoscia che scavava nel suo petto, venne meno quando - tra tutte le domande che avrebbe potuto sentirsi rivolgere - Lui le fece quella più importante:

"Da quanto lo sai?"

*No..* con una mano stretta attorno al ciondolo, Amber scosse appena il capo, chiudendo gli occhi per l'ennesima fitta di dispiacere. Era la domanda giusta al momento giusto, eppure sembrava la più sbagliata nel momento più sbagliato. Oh lei lo aveva già capito, aveva già capito come sarebbe finito quel pomeriggio e quanto - poco - tempo avrebbe avuto a disposizione per rispondere. Sarebbe stato meno difficile guardarlo negli occhi e dirgli semplicemente " addio Killian", magari aggiungendo anche un " non ti disturberò mai più".*No..* Cuore e Mente per una volta gridarono all’unisono, vittime di una consapevolezza terrificante. E se lui non avesse più voluto rivederla per paura che quelle intrusioni aumentassero? E se alla fine quelli fossero gli ultimi momenti a disposizione per loro due? Più pensava a quella possibilità così concreta, ad un passo da entrambi, e più lo sguardo si spegneva e soccombeva al velo triste e umido che le annebbiava la vista. Non era lei a dover soffrire eppure non poteva evitarlo. Avrebbe potuto mentire, perfino L’irregolarità del suo respiro poteva suggerirle di mentire a fin di bene, di dichiarare il falso per una volta. Ma lei sapeva che farlo avrebbe peggiorato la situazione. Certo forse avrebbe potuto lenire quel dolore acuto ma poi come avrebbe vissuto sapendo di conservare un segreto di quella portata? No, era fuori discussione. Non si rese conto di aver fatto un passo indietro e di essersi ormai avvicinata al muro. L’impulso primario la induceva alla fuga, ed era quasi sicura che di lì a poco sarebbe comunque diventata un ospite poco gradito. Forse avrebbe fatto meglio ad andarsene perché in fin dei conti lui le aveva già dato scacco matto. Non esisteva una risposta sincera che potesse non indurlo a pensare alle volte in cui avrebbe potuto rubare i suoi pensieri impunemente. Con il tono di voce di chi sa già di aver perso ogni diritto di replica e lo sguardo quasi implorante in netto contrasto, riuscì finalmente ad emettere un suono. «Otto mesi.» Ed era certa che lui avrebbe fatto da sé i giusti calcoli; scoprendo amaramente come già da due incontri lei sapesse di esserlo. Si sforzò di non abbassare lo sguardo nemmeno quando il rivolo caldo le segnò la guancia destra. Una lacrima che pesava tonnellate cadde al suolo. Amber non aveva mai provato nulla di simile. Non aveva mai avuto tra le mani un rapporto tanto bello quanto complesso e non aveva mai provato niente di così intenso per qualcuno che non fosse Killian. Lo aveva desiderato, lo avevo sognato e non poteva nemmeno negare di aver fantasticato anche troppe volte su quel futuro lontano ma promesso. Ed ora lo stava perdendo. La fotografia del patto che avevano stretto stava sbiadendo davanti ai suoi occhi, in quello che sembrava un processo irreversibile. Stava concretamente rischiando di non poter più avere alcun diritto di avvicinarsi a lui. Forse avrebbe dovuto aggiungere che non aveva mai violato la sua mente e che con quella particolare abilità era talmente ignorante da non essere in grado di nuocere volontariamente nessuno... ma quel briciolo di orgoglio che le era rimasto la costrinse a tacere. Un po’ perché ogni parola moriva sul nascere, ed un po’ perché sperava che nonostante lo shock lui potesse almeno ricordare di conoscerla abbastanza da sapere che non avrebbe mai potuto rubargli un ricordo. Se non si fosse imposta di non indurre pietà nel prossimo, sarebbe probabilmente crollata. Ed invece si costrinse a rimanere in piedi e non concedere spazio a quelle lacrime già pronte a seguire la pista tracciata dalla prima. Si chiese se Killian non avesse già rimosso l’intero anno assieme o se almeno contasse qualcosa per lui. O perfino se voltarle le spalle sarebbe stato semplice come dipingersi quella maschera di delusione sul volto. Sapeva di averlo sconvolto perché non l'aveva mai visto in quelle condizioni, e sapeva di non meritare sconti. Avrebbe voluto almeno dirgli che le dispiaceva, ma quando aprì bocca non riuscì a dire niente. Anche lei era delusa... da se stessa.

C'era un cuore, esposto. C'era l'ennesima lama pronta a trafiggerlo. Ma sarebbe stato quasi impossibile definire a quale delle due anime in quella cucina di un semplice quartiere babbano, appartenesse l'uno o l'altra.


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Wicked Game


 
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Killian Resween # 24 anni # Auror

« Not a Date »


Per l'ennesima volta nel giro di pochi minuti Killian si chiese quando quell'incubo avrebbe trovato la sua fine. Sarebbe stato spiacevole svegliarsi con l'opprimente sensazione allo stomaco e il malumore che un brutto sogno lasciava dopo essere sfumato nella realtà, ma non pensarci tutto il giorno lo avrebbe sicuramente allontanato definitivamente.
E invece, era tutto tremendamente reale e concreto tanto che la tensione creatasi tra i due ragazzi pesava sulle spalle dell'Auror come un corpo morto che non riesce a vincere la forza di gravità. Ormai, distinguere cosa di preciso gli affliggesse quel dolore pungente a membra e spirito era diventato impossibile. Forse erano le memorie evocate dalla fotografia di Artemisia, forse il timore che le stesse si fossero mostrate ad Amber o, ancora, il vedere la giovane strega con le spalle al muro, distrutta, senza che lui potesse fare qualcosa per salvarla dalla situazione.
Non ci riusciva.
Non poteva fare nulla né per lui, né per lei, né per l'ipotetico "noi" sempre più lontano ed irraggiungibile.

Lo sguardo vibrante che le rivolgeva aveva perso parte di quella stabilità che aveva sempre esibito quando era con lei: era come se le debolezze di entrambi fossero state esposte una per una sul tavolo di quella cucina e, alla fine dei conti, Killian avesse scoperto di averne molte di più lui anche se si era sempre cullato nella convinzione contraria.
Poteva un muro portante crollare inesorabilmente e sbriciolarsi in polvere così?
Poteva, se le lacrime sul bel viso triste di Amber sostituivano per alcuni attimi una risposta attesa lasciandone intuire il messaggio che poi arrivò comunque, portato dalla voce flebile della piccola.

Otto mesi.



Benché si aspettasse un tempo sufficientemente lungo da impedirgli di concederle il beneficio del dubbio, otto interminabili mesi erano decisamente oltre le sue più oscure aspettative. Il viso barbuto dell'uomo per una rarissima volta lasciò trapelare con un'espressione senza veli o censure quanto ciò l'avesse ferito, la bocca distorta in uno strano sorriso incredulo, priva di parole.
Non ci vollero grandi calcoli matematici per rileggere in chiave diversa quanto era stato accennato sul parente Legilimens e dare un senso a tutto ciò che allora non aveva capito o si era preso il lusso di ignorare. La stessa volta che avevano rischiato molto, sul ghiaccio e nei sentimenti. Sarebbe stato un momento adatto per dirlo, no? Lui si era esposto così tanto senza sapere. Oppure al Ballo, tramite gli anelli, se proprio non le riusciva di confessarlo faccia a faccia. Già, gli anelli... Comprati per comunicare tra loro anche se lontani, ma che senso avevano se non parlavano di questioni vitali quando erano vicini, vicinissimi? Non era quella la fiducia con cui aveva creduto di poter iniziare il loro rapporto, di lavoro o meno.


"E quando avevi intenzione di dirmelo!?", esclamò non appena smise di boccheggiare per il colpo basso dell'ultima rivelazione.

Oltre allo sconcerto, il dolore, la confusione, iniziava a fluire anche rabbia nelle sue vene. Come un animale ferito e senza vie di fuga, la prima naturale reazione fu quella di attaccare. Ma davanti non aveva uno spietato cacciatore e Killian lo sapeva, anche se gli avrebbe fatto comodo ignorarlo. C'era la sua Amber che lo guardava, persa almeno quanto lui.

"Anzi no, non rispondere. Non voglio sapere", riprese subito dopo con il solito tono roco ma amareggiato.

*O meglio: non voglio sentirtelo dire*, pensò mentre con un mesto sospiro si passava ancora una mano sul volto. Conosceva Amber quel tanto che bastava per avere la certezza del "mai" come sincera risposta al quesito che aveva posto e poi subito ritirato. Con quella consapevolezza resa innegabile dalla giovane, non avrebbe saputo davvero come trattenersi dal dare sfogo a tutta la frustrazione che stava accumulando.

Era esausto. Il tranquillo pomeriggio di pianificazione si era trasformato in qualcosa che non erano più in grado di gestire. E lui aveva bisogno di essere egoista. Aveva placato la collera sul nascere perché infierire sulla povera ragazza, già in pezzi, non avrebbe cambiato la situazione ma ora più che mai non poteva rivolgerle alcuna parola di conforto. La sua voce risuonò calma ma estremamente impersonale quando le parlò, congedandola:


"Credo che sia meglio che tu vada, ora"

Si era dato all'egoismo agendo come pensava fosse meglio per lui (ma in realtà era per il bene di entrambi: qualsiasi cosa avessero detto d'ora in poi, sarebbero state solo dure pugnalate), ma non si lasciò prendere anche dalla codardia e mentre parlava non volse lo sguardo altrove. Gli occhi spenti però non la guardavano davvero, non sapeva cosa comunicarle con essi. Forse lei sarebbe stata in grado di capire tutto ugualmente oppure il suo dono non le sarebbe stato di aiuto nemmeno stavolta.


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knives in my heart »

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Fine.
Lo sguardo che ora si trovava a sostenere non sembrava comunicare altro che la fine di quel pomeriggio. Non c'erano appigli nelle nubi di Londra, non c'era salvezza in quell'espressione delusa ed una parte di lei sapeva benissimo di meritare tutto quanto stava accadendo. Aveva smesso di respirare ancora una volta, in quella stanza che si rimpiccioliva tanto da renderla claustrofobica. Non le serviva richiamare alcun potere di alcun tipo per sapere con esattezza quale domanda avrebbe seguito alla sua risposta. E poi, come ci si aspetta dalla perfetta reazione a catena appena innescata, Amber sapeva perfino quale risposta avrebbe dato nuovamente. Fino in ultima aveva mantenuto viva la fiammella della speranza. La speranza che la verità potesse in qualche modo salvarla. Ma, si sa, per lei era sempre stato facile privarsi di tutto quanto potesse portare un po' di serenità nella sua vita, contrariamente a quanto quel secondo nome avrebbe indotto a credere. Distruggere era sempre stato più facile di Creare, e perfino meno impegnativo. Ma grazie a Killian, la ragazza aveva anche scoperto quanto doloroso potesse essere.

"E quando avevi intenzione di dirmelo!?"

Un secondo velo umido provò a sostituire il primo che, debolmente, era stato fermato sul nascere. Perché aveva dovuto chiedere? Non si fidava di lei? Non capiva che Amber non avrebbe mai voluto agire in quel modo? Lei che per prima aveva fatto della sfiducia verso il prossimo un'arma, ora ne veniva ferita con un'intensità imprevista ed imprevedibile. Com'era sapere che Lui, uno dei pochi a cui davvero teneva, non era pronto a concederle nemmeno il beneficio del dubbio? Terribile, tremendo, soffocante. Il dolore che montava come un ariete pronto a sfondare l'ultima difesa, era tanto opprimente da tramutarsi in dolore fisico sotto forma di piccole fitte al cuore. Avrebbe voluto che l'espressività dei suoi stessi occhi parlasse al posto suo, che spiegasse in qualche modo la buona fede con cui quell'omissione era stata perpetrata per così tanti mesi. Otto mesi. Per tutto quel tempo avrebbe potuto dirgli cos'era diventata. La sua colpa era stata quella di tentare di soffocare la legilimanzia sul nascere. Davanti a quello che sembrava sempre più un "ultimo atto", Amber vide svanire anche la possibilità di sedersi nuovamente per spiegare con calma i motivi del suo gesto. Era chiarissimo: lui non ne avrebbe più voluto sapere niente, e la peggiore delle sue ipotesi non sarebbe rimasta chiusa nella scatola delle paranoie, ma sarebbe scesa in campo divenendo brutalmente reale.

"Anzi no, non rispondere. Non voglio sapere"

«Killian...» La voce incrinata terribilmente dal dolore che stava evidentemente provando, il corpo esile bloccato in un fermo immagine da dimenticare e la schiena poggiata al muro. Non riuscì che a sussurrare quel nome, altrettanto amareggiata per la consapevolezza che, almeno in quel momento, lui avesse previsto con estrema precisione la risposta che avrebbe ricevuto. Quel "mai" che aleggiava tra loro non aveva alcun bisogno di essere espresso, eppure Amber avrebbe fatto qualunque cosa e pagato qualunque prezzo per cancellare la delusione da quel volto tanto bello quanto spietato. Lei era diventata il nemico e non avrebbe potuto essere più chiaro di così. Non seppe nemmeno se quel sussurro fosse riuscito a raggiungere il padrone di casa, già pronto ad emettere l'ultimo e definitivo verdetto. Tremò l'istante prima che tutto crollasse e che il peso di quel forzato silenzio la schiacciasse.

"Credo che sia meglio che tu vada, ora"
"Credo che sia meglio che tu vada, ora"
"Credo che sia meglio che tu vada, ora"
"Credo che sia meglio che tu vada, ora"
"Credo che sia meglio che tu vada, ora"
"...ora"

Fu quello il momento preciso in cui tutto svanì.
Quando quelle parole vennero pronunciate, ogni cosa scomparve. Il tavolo, le sedie, i pensili, le ciotole, le carte, la finestra, i muri, la stanza. Tutto scomparve tranne lui. Killian. Non c'era bisogno di incitarlo a colpire il bersaglio, era stato in grado di farlo da solo. Amber rimase immobile, incapace inizialmente di distinguere la realtà dalla finzione, l'immagine mentale da quella che si trovava davanti. Ogni accenno di forza svanì sotto il peso incombente del macigno che le era stato scagliato contro. Abbassò lo sguardo senza vergognarsi di non poter reggere ulteriormente. Più chiaro di così non avrebbe potuto essere: Lui non la voleva lì, Lei doveva andarsene. Non nascose il colpo al cuore che, tremendo, seguì la consapevolezza che non stesse vivendo uno dei suoi incubi. Non nascose la sofferenza che le dilatò le pupille prima che queste mutassero in due fessure. Non frenò le lacrime che, pacatamente e ordinatamente vennero lasciate libere di scorrere. Non chiuse le palpebre per il semplice timore di non desiderare più nemmeno di riaprirle troppo presto. Non disse niente, le labbra serrate non vollero sapere di schiudersi, per quale ragione avrebbero dovuto? C'era davvero una frase magica in grado di fermare il processo? No, no non c'era ed Amber lo sapeva benissimo. E non sembrava esserci nemmeno qualcosa da fare che potesse cancellare gli ultimi istanti o che le permettesse di non essere considerata un mostro. Scioccamente si chiese quale fosse la pena per l'aver obliviato la mente di un Auror, ma l'idea disperata perse di consistenza immediatamente. Lei aveva rovinato tutto. Ormai pronta ad eseguire anche velocemente l'ordine impartito, si fermò appena un istante ad osservare il mucchio di fogli sul tavolo. Inspirò a fatica e riprese quella che presto avrebbe assunto l'aspetto di una vera e propria fuga. A passi veloci e senza voltarsi più, uscì dalla cucina, attraversò la breve distanza fino alla porta e se la chiuse pesantemente alle spalle.

Il rumore di quella chiusura coprì la frattura che immaginò dividere il suo cuore. Distrutta da un qualcosa che credeva di non dover neppure temere, sentì i passi farsi più pesanti mentre scendeva i pochi gradini che mancavano prima del portone della bifamiliare. La mano tremante si allungò sul pomello ma non lo afferrò, deviò il suo corso fino al volto rigato dalle lacrime di Amber che, incapace di uscire da quell'incubò ebbe il tempo di fare appena un passo lungo il muro. Di nuovo appoggiata ad una struttura solida, si lasciò scivolare fino a raccogliere le proprie ginocchia e nascondere il volto con entrambe le mani, senza più alcun desiderio di fermare il pianto frustrato. Perché era successo? Non l'avrebbe più rivisto? Lui non avrebbe più voluto avere niente a che fare con lei? E perché non le aveva dato nemmeno modo di spiegare? Aveva tradito così tanto la sua fiducia? Aveva.. rovinato tutto per sempre? Doveva andarsene ma non riusciva a pensare di poter tornare a casa in quelle condizioni, sperò solo di potersi avvalere della semi oscurità di quell'angolino fino a che non fosse riuscita a calmarsi abbastanza da aprire il portone e sparire. Ogni pianta in quel pianerottolo sembrava incitarla ad andarsene e ricordarle che non sarebbe più stata la benvenuta.

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Losing everything...


 
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Killian Resween # 24 anni # Auror

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Sentendo pronunciare il suo nome con così tanto dolore impresso tra le lettere, parte del suo coraggio se ne andò. Distolse lo sguardo rapidamente, voltandosi appena verso il tavolo alla sua sinistra senza che gli occhi tempestosi si focalizzassero su qualcosa in particolare tra le tante cose che vi erano sopra. I disegni, gli appunti, i biscotti: elementi che avrebbero reso quel pomeriggio un trampolino di lancio per la loro missione che da troppo tempo andava a rilento. Il punto di svolta c’era stato comunque, ma non quello che i due ragazzi si erano immaginati.

Le aveva chiesto di andarsene, ma per quanto terribile il suo non era riuscito a sembrare un ordine imperioso. Non ne aveva la forza, sia per l’enorme senso di stanchezza che era calato su di lui, sia per i sentimenti sempre più confusi ma comunque presenti che provava per quella giovane strega, in pezzi dopo le sue ultime parole. Anche se le credeva sul fatto di non aver mai voluto appropriarsi volontariamente di un ricordo altrui, ciò che la sua abilità tenuta nascosta le permetteva non erano dei semplici effetti collaterali di cui ci si poteva semplicemente dimenticare. Come se il non pensarci li avesse fatti dissolvere nel nulla. Non era così e Killian si stupì che Amber avesse voluto credere a quella soluzione facile senza cercare aiuto in nessuno. Nemmeno in lui. Perché in fondo ciò che gli impediva di guardarla andare via e farsi vincere dall’impulso di fermarla era proprio questo, l’essere stato escluso da una cosa così importante della vita di Amber. Ma se il loro era solo un rapporto di lavoro perché mai sarebbe dovuta correre a rivelargli quel segreto, dato che nulla aveva a che fare con il caso Eveline? La realtà era che loro semplici “soci in affari” non lo erano mai stati, nonostante i faticosi sforzi dell’uomo per negarlo a se stesso finché era stato possibile. E benché fosse stato lui il primo a piantare i paletti più importanti, ora non riusciva a capacitarsi di una tale mancanza di fiducia. Proprio quando lui ne aveva concessa così tanta da iniziare ad aprirsi, parlando di sua sorella. Era troppo deluso e ferito per cedere alla tentazione di provare a risanare ogni ferita che stavano continuando ad infliggersi e così lasciò che la fuga della ragazza si svolgesse rapidamente, libera dal suo sguardo che tornò a fissare il muro ove lei era rimasta bloccata fino a qualche attimo prima quando il rumore secco della porta che sbatteva gli annunciò di essere nuovamente solo nel suo appartamento.

L’aveva voluta lui, eppure non era affatto sollevato da quella precipitosa fine. Alzò le braccia e portò le mani ad intrecciarsi dietro la nuca nel disperato tentativo di contenere i pensieri che martellavano nella sua testa rischiando di farla esplodere da un momento all’altro. Gli occhi passarono rapidamente in rassegna le carte sopra al tavolo e quando incontrarono la scritta “Incursione in Villa Hydra” l’uomo assestò un violento calcio alla gamba del tavolo, segno tangibile di quanto avesse bisogno di sfogare la rabbia che lo stava pervadendo di nuovo al pensiero di tutti i suoi progetti andati drammaticamente a rotoli. Ma non era certo quello il modo per farlo.

Chiuse gli occhi e tra i respiri forzatamente lenti si costrinse ad abbandonare i problemi umani, agognando l’oblio della coscienza che la sua forma animale gli avrebbe concesso. La concentrazione che racimolò fu sufficiente alla mutazione, ma non era quello il momento di allenarsi alla trasformazione degli indumenti quindi questi caddero a terra quando il corpo umano vi si rimpicciolì dentro lasciando che il Falco Pellegrino prendesse il suo posto sul pavimento della cucina. Spiccò il volo ed esattamente come aveva fatto Amigdala si diresse nel salotto per poi fare lì una vertiginosa inversione, puntando la finestra della cucina rimasta aperta. Si precipitò fuori e dimentico di quante volte si era raccomandato con la falchetta di non dare nell’occhio, prese a salire sempre più in alto in un cielo ora tendente al rossastro. Il vento tra le piume sembrava già dargli sollievo da ogni preoccupazione ed evitò di farsele tornare sbirciando in basso dove probabilmente Amber stava fuggendo da lui.

Non sapeva che il fulcro di tutti i suoi problemi era ancora là, a pochi passi dallo scenario che aveva ospitato un’altra delle vicende della sua vita che Killian avrebbe voluto volentieri archiviare per sempre.



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“Alzati, adesso”
“Alzati e vattene, Amber ”

Sollevò la testa lentamente, riaprendo gli occhi e riscoprendosi ancora lì, in quell’angolo riparato. Assecondò il volere di quello spirito di auto conservazione che l'aveva spinta poco prima a lasciare l'appartamento senza replicare. Lo vedeva ancora, lo sguardo ferito che le aveva rivolto, era riflesso nelle lacrime che non avevano più smesso di scendere. Anche lei, alla fine, aveva raggiunto il suo punto di rottura e si era ritrovata incapace perfino a muovere un passo verso salvezza. Ah, ma lo sapeva bene che di salvezza in realtà non ce n'era. Fuori dalla bifamiliare avrebbe potuto trovare la solitudine di cui sentiva di avere estremo bisogno, ma al contempo uscire da lì avrebbe reso "l'esilio" imperativo ed incancellabile. Era ancora sul luogo del delitto, si, ma non sarebbe rimasta tanto a lungo. Non l’avrebbe ammesso ma non riuscire ad aprire l’ultima maniglia era stato un duro colpo per il suo orgoglio. Perché non aveva avuto la forza di chiudersi anche quel pesante portone alle spalle? Cosa credeva sarebbe successo? Cosa sperava che Killian avrebbe fatto? Forse in qualche remoto meandro della ragione il suo cuore batteva ancora, forte della speranza che l’Auror sarebbe tornato sui proprio passi e, seppur non immediatamente, avrebbe trovato il desiderio di chiederle le giuste spiegazione e forse perfino di perdonare quella tremenda mancanza. Ma se anche fosse successo e lui avesse deciso di fermarla prima di consolidare quell'addio - e non fu quello il caso - la bionda si sarebbe comunque data alla fuga, poiché al pari di un cerbiatto ferito, l’unico sollievo avrebbe comportato l’allontanarsi il più possibile dal cacciatore. Eppure benché il paragone in parte calzasse, Amber non aveva il diritto e la faccia tosta di definirsi “vittima” o preda. In realtà era stata lei a sparare il primo colpo, e nascondere l’arma del delitto non l’avrebbe assolta, mai. Così come era stata lei ad allentare la sicura ed ignorare il porto d'armi che possedeva dalla nascita. Lei era il nemico, ed ancora una volta non poté non ripeterselo a gran voce, mentre nel silenzio della sua mente l'anima implorava un perdono quasi primordiale. Lentamente trovo la forza di alzarsi, spinta esclusivamente dal desiderio di mettere fine a quella tortura, pur con la consapevolezza che quel discorso non era per niente finito. No, lei sapeva bene che una volta a casa non avrebbe avuto scampo e che quella notte ogni singolo dettaglio del tremendo -non- appuntamento l’avrebbe perseguitata. Pallida e con gli occhi segnati irrimediabilmente da quanto accaduto, estrasse la bacchetta e la puntò al petto. Poteva ancora evitare che l’evidente debolezza prendesse piede ancora di più. Aveva il cuore spezzato, e reprimere i pensieri più tristi che il proprio inconscio era pronto a servirle sarebbe stata un’impresa titanica, ma doveva a se stessa almeno un tentativo. Non servì emettere un fiato, il sospiro spezzato dai singhiozzi ebbe appena un fremito, prima che la formula si espandesse nella propria mente: *Sèocculto*

Non avrebbe potuto nascondersi da Killian, se mai avesse guardato oltre la finestra, ma il ritorno a casa sarebbe stato più tranquillo. Nessuno l’avrebbe vista aggirarsi tra i Babbani e muoversi febbrilmente nella speranza che un po' di moto avesse poi la possibilità di distrarla a sufficienza. Nessuno l'avrebbe vista chiudersi alle spalle anche quel maledetto portone e cercare la forza necessaria per non voltarsi indietro, anche se invisibile ad occhio inesperto. Nessuno avrebbe visto quei passi farsi sempre più veloci e quella camminata trasformarsi in una corsa laddove possibile. Ed ancora nessuno l'avrebbe vista camminare e correre per quasi due ore prima di svoltare verso il Greenwich Market. L'imporsi di confinare la tristezza fino a che non fosse stata di nuovo in camera sua, al sicuro, venne meno quando si ritrovò a camminare proprio in quel parcheggio che un anno prima era stato spettatore di un loro saluto. Le iridi umide osservarono la macchina rossa che usciva dal posto auto, lo stesso posto auto in cui le due figure dei ragazzi si sormontarono. In quel momento, quando ancora il suo cuore non si era esposto così tanto, si era sentita felice e spaventata in egual misura, ma il sorriso l'aveva accompagnata fin casa. Dopo, di nuovo lì, il vento della disperazione aveva travolto ogni cosa, quasi minacciando di cancellare anche quel ricordo, inutile.

Rallentando il passo, proseguì oltre l'incrocio della via babbana con quella magica ed il passaggio che che apriva la strada al suo viale si presentò davanti a lei. Meccanicamente camminò oltre le prime case, fino a trovarsi di nuovo davanti al portone da cui poche ore prima era uscita. Si avvicinò all'ingresso con le ultime parole di Killian ancora nella mente, pesanti come macigni. Quello era il momento esatto in cui, in qualsiasi libro pieno di cliché, un temporale sorprendeva il protagonista, portando all'estremo una situazione già pessima. Vedere il Sole che ancora non voleva saperne di tramontare del tutto, era perfino più straziante. La pioggia in qualche modo avrebbe giovato al suo spirito, ma il sereno non faceva che evidenziare come di sereno non vi fosse proprio nulla. Allungò la mano, nuovamente tremante, verso il pomello. Non voleva che John la vedesse in quello stato, non solo si sarebbe preoccupato ma avrebbe chiesto spiegazioni fino allo sfinimento e lei avrebbe dovuto ancora una volta mentire. Non vivere al Castello, dove un angolo di solitudine sapeva ancora trovarlo, in quel momento pesò ulteriormente. Inspirando nel disperato tentativo di assumere un aspetto meno sconvolto, si passò una mano tra i capelli, ricordandosi di quell'oggetto stretto al suo dito. L'anello dei Gemelli, ignaro di quanto accaduto, era ancora lì, pronto a regalarle impunemente un'altra fitta al cuore. L'avrebbe più usato? Se avesse sussurrato qualcosa, anche solo delle scuse, Killian le avrebbe risposto? Scosse il capo. Non avrebbe fatto niente di simile perché se per lui perdonarla sarebbe risultato un'impresa, per lei non sarebbe stato certo più facile perdonarsi. Aprì la porta.


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Time will not heal


 
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