Listening, Quest di Apprendimento

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view post Posted on 2/10/2017, 16:17
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You can take the darkness out of the man, but you can't force him to step into the light.

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LondraSettembre, sabato - ore 17:45

Silenzio. In quell'ultimo periodo, nella sua vita, c'era fin troppo silenzio. Nulla che avesse a che vedere con il fatto che il negozio, in cui lavorava ormai da svariati mesi, fosse completamente vuoto. In quel periodo le cose in ballo erano aumentate a vista d'occhio e non sarebbe riuscita di certo a sbrogliare la fitta matassa dei suoi problemi parlandone con qualcuno che non avrebbe potuto capirla. Si era rifugiata della convinzione - come tutti gli adolescenti del resto - che nessuno potesse comprendere pienamente l'intera faccenda ed i suoi innegabili risvolti; chiaramente si sbagliava, ma non era disposta ad ammetterlo. Così, il silenzio era diventato il suo migliore amico, il tappetino sotto al quale nascondere tutta la polvere accumulata in quei giorni. Di natura allegra, sagace e sarcastica, per lei era stato difficile abituarsi all'idea di dover eleggere la propria mente a luogo di riflessione: tutto entrava, nulla usciva. Sembrava semplice, a dirsi, ma in realtà si era trattato di un passaggio lento, graduale, che aveva lasciato poco spazio alle interferenze esterne.
Da quando suo nonno era giunto ai ferri corti con sua madre e la famiglia si era trasferita in un sobborgo di Cork poco popolato e assolutamente babbano, le era risultato difficile pensare a qualcosa di diverso da quella che era, alla luce dei fatti appena accennati, la situazione attuale delle cose. E sebbene il dispiacere di essere coinvolta in prima persona in quel disastro sociale albergasse nel suo animo, ciò non l'autorizzava a dimenticare i suoi compiti di Prefetto e sorella maggiore.
Se la sua debolezza era evidente, quella di Fiona ed Iris la colpiva in un punto imprecisato all'altezza dello stomaco: la più piccola delle Moran se la cavava egregiamente nella sua nuova veste verde-argento, mentre l'altra sembrava incastrata in una situazione più grande di lei. L'anello debole della famiglia necessitava di un'empatia maggiore e la Tassorosso era stata costretta dalle circostanze, in più di un'occasione, a mettere da parte il proprio isolamento per far posto al flusso di emozioni della sorella.
Persino in quel momento, consegnando gli incassi del giorno in tarda serata, si era ritrovata a percepire lo stesso sconforto e la frustrazione della Grifondoro, come se tutto ciò che l'aveva investita in prima persona non fosse stato abbastanza.

«Giornata pessima.» riferì, lanciando uno sguardo al proprietario e lasciando sul bancone un sacchettino mezzo vuoto, contenente una manciata di Galeoni e qualche Zellino di resto «Andrà meglio la prossima settimana.» aggiunse in fretta, quasi a volersi scusare dell'accaduto, sebbene non fosse propriamente colpa sua. Si limitò ad aggiungere un cenno di saluto, inclinando il capo ed abbassando lo sguardo dispiaciuto, dopodiché recuperò la borsa ed uscì.
Il vento freddo le sferzò il viso, in una folata improvvisa ed affatto apprezzata; si strinse nelle spalle, maledendosi per aver scordato il mantello al Castello e di doversi attardare a Diagon Alley per qualche minuto. Sua sorella, oltre ad essere depressa per la situazione famigliare, doveva anche lasciarle il compito di ritirare per lei qualche acquisto. Si avviò a passo svelto, dunque, diretta al Paiolo con la viva speranza che nessuno l'avrebbe importunata.


Thalia J. MoranPrefetto Tassorosso16 anni


Modifica approvata dal Master.


Edited by Thalia Moran - 2/10/2017, 20:59
 
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view post Posted on 11/10/2017, 13:51
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Il Fato

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La strada quasi deserta riduceva al minimo il rischio di interazioni indesiderate. Londra, particolare, contraddittoria, si presentava spesso animata, vivace, movimentata, come un immenso calderone sociale con al suo interno un indecifrabile e variegato minestrone di individui agitati, miscelati dalla frenesia che i tempi della capitale scandivano. Altre volte invece si esibiva svuotata della propria sostanza e della propria essenza. Spoglia, ordinata e silenziosa. Come quel pomeriggio, in cui le persone erano confluite altrove, privando una delle vie più apprezzate dai maghi della loro presenza.

Non c’è minestra come la zuppa inglese. Non sono proprio la stessa cosa. No. Piadina? Piadina. Mi è venuta voglia di fare merenda.


La calma veniva a tratti interrotta dal farfugliare confuso di un uomo adulto tra i pochi presenti. Sul marciapiede alle tue spalle, invece, lo scalpiccio di due giovani giungeva a te spinto dal vento. L’andatura estremamente lenta della coppia aveva accumulato una certa distanza tra voi, eppure le loro voci viaggiavano mantenendo la loro limpidezza, sature dell’allegria che in esse potevi riconoscere.

Tesoro, non ti ingozzare, questa sera al cinema ci prendiamo un quintale di popcorn.
Sai, era da una vita che aspettavo uscisse questo film.
Braveheart, dici? Sembra bello, ma avrei preferito una cosetta romantica.
Allora sabato prossimo ti porto a vedere qualcosa di smielato, promesso!


La via si stava ripopolando ed il silenzio che ti aveva accolta all’uscita del negozio veniva lentamente sostituito da un complesso di rumori, che mescolandosi nell’aria davano vita ad brioso trambusto. Sempre alle tue spalle, il suono di una bicicletta a tutta velocità ed in avvicinamento avrebbe potuto destare la tua attenzione. Si trattava di veicolo inusuale per un quartiere di soli maghi, come in effetti erano insoliti i discorsi giunti alle tue orecchie pochi istanti prima. Sembrava quasi che dei babbani fossero riusciti in qualche modo ad introdursi da quelle parti. Non accadeva spesso, non senza una valida ragione. Considerazioni a parte, il fastidioso fischio prodotto dalle gomme della bici strofinate contro il suolo era un chiaro segnale del fatto che si fosse arrestata a pochi metri da te. Sembrava quasi che la persona alla guida avesse voluto evitare di investirti, nemmeno ti fossi trovata in mezzo ad una pista ciclabile, nemmeno fossi stata dalla parte del torto.

Ma che cavolo. Stai attenta a dove vai, un altro po’ e ci scassavamo! Guarda te, queste rosse, vi fanno con lo stampino.

Le parole vibravano dalle corde di un ragazzino poco più che quindicenne. Il falso disprezzo celato nelle sue parole rendeva chiare le sue intenzioni. Non sembrava arrabbiato, non lo era affatto. Pareva quasi avesse montato quella messinscena solamente per avvicinarti.

Almeno si può sapere chi diavolo sei e che ci fai qui?

Impossibile capire subito quale fosse il suo scopo e quali fossero le ragioni che l’avevano mosso con così tanta urgenza. L’unica sicurezza era la sua determinazione nell’importunarti, avendo preventivamente escluso l’improbabile casualità alla base di tutto. Non era bravo a fingere.



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Si comincia, posta statistiche e oggetti! Buona fortuna.
 
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view post Posted on 13/10/2017, 15:23
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Nonostante il freddo pungente insistesse nel volersi infiltrare nella trama larga del suo maglioncino a righe e le sue braccia, strette intorno al corpo, le fornissero a malapena la dose necessaria di calore per non rimanere congelata sul posto, i suoi pensieri fluivano lontani da quella strada deserta e da quel clima sfavorevole. Tutto sembrava statico, congelato in quella brezza leggera e fredda, in un’immobilità apparente data dalla mancanza del comune scalpiccio dei passanti.
Conosceva Londra, vi trascorreva l’ultimo mese di ogni estate, eppure non riusciva ad amarla completamente: ogni città manteneva le sue peculiari caratteristiche, mentre la capitale inglese si ammantava di un volto diverso a seconda dell’umore dei suoi abitanti. Alcune zone si riconoscevano per l’allegria dei festival di quartiere, altri per la sobrietà degli edifici residenziali; il centro, poi, si colmava di turisti ad ogni angolo, specialmente nei luoghi di interesse storico.
Dal canto proprio, preferiva la silenziosa pace di quella via, una porzione della grande città nella quale il caos di rado si affacciava indisturbato, lasciando il posto al placido scorrere della vita quotidiana, tra passeggiate solitarie e commissioni di vario genere. Tuttavia, nonostante l'esistenza di quella strada corresse su un binario diverso rispetto alle altre, quel giorno tutto sembrava stranamente comune.
Non aveva fatto caso ai Babbani presenti e pensò, grata a se stessa, che fosse stato un bene aver dimenticato il proprio mantello ad Hogwarts. Spiegare ai non-maghi la funzione di un mantello era semplice, giustificarla era un’altra storia; a tal proposito aveva acquistato un paio di giacche e cappotti, con l’unico scopo di confondersi nella massa di Babbani che - volente o nolente - avrebbe incontrato nelle sue peregrinazioni del fine settimana. Tuttavia, una minima parte di lei, desiderava ardentemente il tepore di un caldo mantello, di un fuoco scoppiettante nell’alveo di un caminetto o una semplice bevanda bollente. Le sue dita intirizzite dolevano a causa di quel freddo pungente: doveva raggiungere il Paiolo Magico e doveva proprio farlo in fretta.
Procedeva a capo chino, senza curarsi di chi le camminasse accanto - superandola o sostando pazientemente dietro di lei -, a passetti veloci, ma senza correre.
Sorrise tra sé, ascoltando la voce di un uomo adulto che desiderava porre fine ai morsi della fame in quel preciso momento. Istantaneamente, al suo nominare la zuppa inglese, un languorino s’impadronì del suo stomaco, costringendola a stringere la morsa delle braccia intorno al corpo, continuando a procedere spedita e soffocando il crescente appetito.
La divertiva pensare che un uomo più grande di lei non si vergognasse di parlare ad alta voce dei propri appetiti e di che cosa avrebbe fatto di lì a poco; nessuno, del resto, sembrava avergli dato una risposta - affermativa o meno - e per un momento soppesò l’idea di consigliargli un certo pub, poco lontano da quella zona, in cui avrebbe potuto trovare la soluzione a quel dilemma tanto improvviso. Sollevò il capo, sperando di inquadrare la figura maschile alla quale rivolgere almeno un sorriso, ricordando a se stessa - con una certa dose di dispiacere - quanto fosse disdicevole rivolgere a terzi le proprie considerazioni, specie dopo aver origliato una conversazione estranea alla propria persona.
Tornò, quindi, ad osservare il marciapiede lastricato davanti a sé, udendo solamente il rumore dei propri passi, attutiti dalla pietra levigata e tagliata con estrema precisione. Non percepì più la voce dell’uomo che, forse, aveva abbandonato la strada principale per recarsi in una viuzza laterale, ma udì un nuovo stralcio di conversazione, questa volta alle sue spalle.
Due voci, presumibilmente una coppia, intenta a discutere di argomenti a lei ignoti. Film? Che cos’era? Per l’ennesima volta si maledì per non aver approfittato abbastanza dell’amicizia di Máire, la ragazzina Babbana conosciuta a Cork quasi undici anni prima. Lei sì che avrebbe saputo darle una definizione di “film”. Ciò che la colpì maggiormente, però, fu la sensazione che tutti, quel pomeriggio, avessero voglia di far sapere ad altri i propri progetti; non capì immediatamente se si trattasse di uno strano desiderio di quei passanti sconosciuti o se il suo udito si fosse sviluppato in maniera eccezionale all’improvviso. Seppur perplessa, avrebbe continuato la sua marcia, schivando un palo per l’illuminazione stradale, senza scendere dal marciapiedi, ma continuando a camminare sul bordo dello stesso, come un gatto in equilibrio sul ciglio di un muretto.
All’improvviso, un suono udito durante la sua infanzia squarciò il silenzio: l’immagine di Máire a bordo della sua bicicletta nuova - di un fiammante rosa acceso - che frenava all’improvviso per non investirla in pieno. Istintivamente si fermò spaventata, come aveva fatto da bambina, voltandosi di scatto nella direzione dalla quale il pericolo sembrava provenire. Non c’erano i capelli biondi della ragazzina, raccolti in due codine laterali, né il suo sguardo furbo e divertito. Al contrario, un suo coetaneo - all’apparenza - con tutta l’intenzione di attaccar bottone nel modo più stupido che fosse riuscito a trovare.

«Come, scusa? Non lo vedi dove sono? Forse dovresti imparare ad andare su quella cosa prima di investire qualcuno per davvero.» sbottò, scostando una ciocca di capelli vermigli dalla fronte e puntandogli lo sguardo addosso. Il suo tono lasciava poco spazio alla libera interpretazione: si trovava su un marciapiedi, seppur sul bordo, e non aveva certo invaso la strada zigzagando come una pazza. Il dettaglio sulle “rosse fatte con lo stampino”, poi, fu la goccia che fece traboccare il vaso. Non aveva nessuna intenzione di perdere tempo, né di attardarsi a chiacchierare con degli sconosciuti; Fiona le aveva chiesto un favore, prima avesse portato a termine la propria commissione, prima sarebbe tornata al Castello e alla sua Sala Comune.
Stava giusto tornando a voltarsi, per procedere nuovamente in direzione del Paiolo, quando il ragazzo le rivolse una domanda, questa volta, impertinente quanto il commento precedente.

«Non credo di doverti rispondere.»
L’avrebbe liquidato più che volentieri, se solo ne fosse stata in grado. In quel preciso momento avrebbe desiderato possedere il carattere di Iris, la minore delle sue sorelle: gentile solo se in presenza di un tornaconto e più tagliente della lama di un coltello. Si sarebbe dovuta accontentare, invece, del tono più distaccato che fosse riuscita a trovare, con l’unica speranza di scrollarsi di dosso quel marpione incallito prima che questi potesse guastarle definitivamente l’umore.
Thalia J. MoranPrefetto Tassorosso16 anni

Inventario:
    ▶ Bacchetta (all'interno della borsa a tracolla, insieme a pochi effetti personali senza potenziale magico, tra i quali un sacchettino contenente una manciata di Galeoni)
    ▶ Anello Gemello (anulare sinistro)
    ▶ Ciondolo Capello di Veela (indossato e nascosto dall'abbigliamento)
 
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view post Posted on 21/10/2017, 10:52
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Il Fato

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L’insolita atmosfera impadronitasi gradualmente delle via, presentava il percorso in una fase di rivoluzione. Dalla solitudine, dal silenzio, ti eri presto ritrovata ad attraversare la vivacità dei suoni delle chiacchiere di individui sconosciuti. Non c’erano molte immagini a cui fare riferimento, quasi unicamente voci. L’uomo, che per primo aveva destato la tua attenzione, ad una rapida occhiata era risultato così vicino, ma altrettanto distante, da non poter distinguerne i tratti del viso con precisione. Sorrideva e quello era l’unico dettaglio visibile. Le labbra distese premevano le guance in una smorfia serena; impossibile dire se avesse avuto intenzione di ricambiare il tuo sorriso.
La coppia invece, privata della sua identità, aveva continuato a chiacchierare. Le parole, soffocate da folate di vento gelido, non erano più in grado di raggiungerti. L’allegria che saturava i discorsi dei due amanti, però, era rimasta ancora immutata. Facile da percepire.
Ultimo fattore di disturbo, il ragazzo. Arrogante, spavaldo, aveva adottato uno stratagemma dall’efficacia discutibile per approcciarti. La rapida corsa in bici, la sgommata sull’asfalto, erano riuscite a rendere sgradevole la sua presenza già dal primo approccio, ma l’importante per lui era stato fare colpo. In senso positivo o negativo che fosse, non gli importava. Per lui l’entrata in scena era tutto. L’espressione divertita che sfoggiava senza timore, in conseguenza della tua reazione, la diceva lunga su quanto per lui avesse contato esagerare. Si trattava di un giovane dai capelli bruni, molto corti, rasati ai lati e ricresciuti leggermente, con un ciuffo ricurvo che si approcciava per scendere lungo la fronte. Occhi nocciola, naso da fanciulla, labbra sottili.
Dopo un primo istante, in cui l’espressione beffarda aveva preso possesso del suo volto, nonostante stesse subendo un severo rimprovero, era riuscito ad apparire più rilassato, tanto da sembrare anestetizzato. I contorni del suo corpo avevano poi iniziato a divenire sfocati, trasformando ben presto una presenza tanto solida come la sua in qualcosa di intangibile: un’ampia massa di vapore, spazzata via da una successiva folata di vento. Era un evento più unico che raro, non capitava spesso di assistere a scene simili. Le cause sconosciute avrebbero potuto lasciar presumere si trattasse di un’allucinazione e ciò poteva essere anche vero. Il freddo, i morsi della fame tendevano a giocare brutti scherzi, specialmente se combinati.
Una volta scomparsa la figura maschile con cui avevi tentato di sostenere una conversazione, ti era stato possibile osservare cosa si trovasse oltre ad essa. Sul marciapiede, che tu stessa attraversavi, era possibile notare un adulto in rapido avvicinamento. L’uomo, che ti osservava con espressione incredula, era incredibilmente alto e magro; indossava un completo elegante di colore scuro, sulle tonalità del blu, senza cravatta. La scelta cromatica per l’abbigliamento creava un’armonia appagante, sposandosi perfettamente con un tramonto che iniziava a mutare timidamente le sfumature del cielo. Il signore, di una quarantina d’anni circa, una volta raggiunta aveva iniziato a scrutarti con attenzione. Sotto i suoi occhi color caffé due ampie occhiaie scendevano fino alle guance.
Tesoro, che succede, mi sembri turbata. Sei al telefono?
L’impostazione del discorso e la preoccupazione che riservava nei confronti di una sconosciuta lasciavano presumere una personalità gentile - o molesta, a seconda dei punti di vista -. Le sue pupille si erano mosse rapidamente, puntando le tue mani in cerca dell’oggetto da lui menzionato. A seguito di un riscontro negativo aveva corrisposto un’inclinazione del capo verso il lato destro. Successivamente si era messo a controllare la presenza di auricolari agli estremi del tuo viso. Riscontro negativo, inclinazione della testa sul lato sinistro.
Qui non c’è nessuno che vorrebbe investirti. Hai preso qualcosa?
Il signore aveva cercato di tranquillizzarti, preoccupandosi nuovamente del tuo stato di salute psicofisico. Nel mondo magico erano molto comuni sostanze legali che causavano allucinazioni, i babbani invece facevano uso di droghe. Cercava di non essere troppo specifico.
Hai freddo?
La testa dell'uomo ruotò, come se l'avesse mossa per sgranchirsi il collo, producendo un’inquietante successione di scricchiolii, spettinando la sua chioma castana ingrigita precocemente dal tempo. Quando tornò a guardarti, ricomposto a dovere, ti porgeva con la destra un trench dello stesso colore del suo completo, impregnato lievemente di un profumo maschile molto dolce, invitandoti a prenderlo. Nell’altra teneva una ventiquattrore in pelle.
Perdona l’invadenza, posso sapere il tuo nome?
 
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view post Posted on 24/10/2017, 13:17
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Isolarsi non era mai stato semplice per una come lei; circondata dalla famiglia, vissuta in un maniero in cui ciascuno degli occupanti aveva una specifica mansione - e dove il via vai da una stanza all'altra costringeva gli inquilini forzati a ricavarsi spazi di solitudine in luoghi inaspettati - era stata costretta sin dalla tenera età a proiettare se stessa in un contesto affollato, nel quale lo spazio privato e più intimo trovava massima espressione nella mente. Certo, non sempre era stato facile ignorare i pigolii confusi delle sorelle minori o i rimproveri sperticati di sua madre, ma in fondo - da quell'estate - ricavarsi un posto che fosse solamente suo si era rivelato un passaggio obbligato. La nuova casa e la nuova situazione famigliare l'avevano scombussolata profondamente e, in parte, esserne la diretta responsabile l'aveva resa maggiormente attenta ai sentimenti altrui. Se da un lato si sentiva afflitta per la sua dose di colpe, dall'altro si trovata ad essere investita delle conseguenze sui restanti membri del suo nucleo famigliare. Rabbia cieca, rammarico e tristezza avevano preso il posto di tutte quelle sensazioni positive che da sempre l'avevano contraddistinta; non c'era più spazio, insomma, per il "sé", travolta com'era dalle implicazioni dei propri gesti attraverso gli sguardi tristi di suo padre e sua sorella.
Non aveva fatto caso, quindi, a quell'innata allegria che - strada facendo - si era impossessata del suo animo, prima di svanire, eterea come una nuvola di fumo. Quella splendida sensazione di eccitazione per un film, quei discorsi gioviali ed incalzanti, avevano lasciato il posto all'indignazione per quel coetaneo arrogante.
Percepì una nuova ondata di rabbia e frustrazione, mentre il giovane le rivolgeva sguardi apparentemente ammiccanti proseguendo con il suo approccio altamente discutibile. I tratti somatici del suo viso, specialmente quel naso dai lineamenti femminei, non fecero che turbarla, in netto contrasto con il taglio dei capelli castani. Le labbra sottili, poi, sembravano lì lì per ammiccare ancora - o così le parve - finché, lentamente, anche quell'immagine iniziò a dissolversi davanti ai suoi occhi chiari.
Fu come se, all'improvviso, un velo ingrigito fosse calato di fronte a lei, come un sipario al termine di una rappresentazione particolarmente soporifera, impedendole di vedere davvero che cosa ci fosse dinnanzi a lei; infine, sollevandosi, quella cortina aveva lasciato solamente il panorama della strada affollata di Babbani, nessun adolescente a bordo di una bicicletta e nessun approccio imbarazzante. Si sentì mancare il respiro, conscia di aver appena vissuto un momento che mai, nella vita, avrebbe pensato di sperimentare. La mano sinistra corse al viso, la pelle liscia e fredda dello zigomo a contatto con il palmo caldo; forse si trattava di un effetto collaterale dovuto alla lunga ed estenuante giornata di lavoro. Le dita corsero a percorrere la linea della fronte, non troppo alta, ma ampia, cercando di capire se, in fondo, non si fosse ritrovata a parlare da sola, su un marciapiedi londinese, sotto gli effetti di un'influenza inaspettata. Constatò con estremo disappunto di essere sana come un pesce, di non soffrire di alcun malessere, sebbene i morsi della fame fossero ormai impellenti e il salto del pranzo non fosse esattamente il suo hobby preferito.
Riportò le braccia lungo i fianchi, guardandosi attorno smarrita alla ricerca del giovane e della sua bicicletta, quando una voce nuova attirò la sua attenzione: un uomo sulla quarantina, in un completo elegante sui toni scuri del blu, la guardava incredulo rivolgendole domande circostanziali per comprendere la ragione di quel chiaro momento di smarrimento.
Per un istante, fugace quanto un battito di ciglia, la Tassorosso non seppe rispondere. Il digiuno poteva essere la causa di tutto, ma se fosse stato qualcos'altro? Il pensiero corse velocemente al Caposcuola Grifondoro, a quell'episodio avvenuto sulla Torre di Divinazione.
D'altro canto, però, capì che ciò che si era appena verificato non fosse nemmeno lontanamente paragonabile a quella sensazione di vuoto, descritta da Oliver tanto tempo prima, e all'assenza dei ricordi a breve termine; non aveva dimenticato il volto del ragazzo, né le sue parole. Inoltre, per quanto poteva saperne, non esistevano Divinatori nella sua famiglia.
Rimase in silenzio per un tempo indefinito, mentre l'uomo continuava a porle domande sul suo stato di salute e sulla sua necessità di trovare un'effettiva fonte di calore. Le guance fredde, arrossate dal freddo, dovevano essere l'indice sul quale il suo interlocutore aveva basato ogni sua ipotesi. Il silenzio, poi, non doveva averlo rassicurato particolarmente.
Sollevando lo sguardo smarrito, senza capire davvero che cosa stessa accadendo, vide per la prima volta le profonde occhiaie dell'uomo. Doveva essere un estenuante lavoratore, a giudicare dal colorito della pelle e dai segni di stanchezza sul suo viso; la valigetta ventiquattrore, il completo indossato e l'impermeabile stretto tra le mani, indicavano una personalità distinta ed elegante.
In quel momento, comprese di non essere sufficientemente lucida e di non poter constatare a priori se potesse davvero fidarsi di quell'uomo.

«M-mi scusi.» mormorò, il tono dispiaciuto di chi sembra aver perso qualcosa e lo sguardo vuoto, come se non avesse davvero idea di che cosa fare «J-Jane.»
Il suo secondo nome, il meno noto, affiorò sulle sue labbra spontaneamente. Pochi sapevano della sua esistenza e, del resto, lei stessa lo menzionava raramente. Di fatto, accompagnato al cognome da nubile di sua madre, costituiva una personalità nuova, un escamotage che in passato aveva celato le sue tracce, rendendo impossibile ricondurre il suo volto ad una persona vera e propria.
In fondo, si disse, un briciolo di lucidità le era rimasto.

«M-mi scusi. Non...» *Non...?* «Non ho pranzato come si deve.»
Con un cenno negativo del capo, rifiutò con gentilezza il soprabito, sorridendo appena. Non sapeva se il suo interlocutore le avrebbe creduto, ma fingersi - ed essere, di fatto - smarrita, dopotutto, non poteva essere poi una strategia tanto sbagliata.
Thalia J. MoranPrefetto Tassorosso16 anni

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Il signore dall’aria stanca dava l’impressione di essere molto interessato alla situazione in cui eri incappata. Lo sguardo attento manifestava in tutta la sua intensità lo spettro curioso che si era impadronito di lui. A giudicare dalla sua espressione neutra era impossibile capire cosa gli passasse per la testa, ma i suoi occhi lo tradivano. Ti stava studiando.
Un lieve sorriso piegò le sue labbra, attenuando l’impatto dell'energia che scagliava fuori dai suoi bulbi oculari, strabuzzati a causa di un pensiero particolarmente intenso, nato e morto nel giro di un nonnulla, ed assottigliati dalle palpebre subito dopo. Avevi a che fare con una persona particolare; era fin troppo difficile da decifrare nella fase iniziale della vostra interazione. Con il progredire dell’analisi, l’uomo - che pareva volerti sviscerare come una rana da laboratorio - si era lasciato intenerire dalla tua timidezza e gli erano bastati pochi istanti per iniziare a vederti più come una figlia che come un porcellino d’India.

Ragazzi, durante questa seconda lezione di trasfigurazione impareremo a trasformare dei piccoli animali in bicchieri.
Wow, utile! Chi non ha voglia di bere da un topo?
Stia al suo posto signor Q-

L’immagine del signore in abito blu per un attimo divenne più tenue, lasciando spazio ad una scena familiare. Un piccolo flash di una lezione ad Hogwarts, con suoni nitidi e sagome in trasparenza a prendervi parte. Nella tua testa si era infiammato un ricordo, o un déjà-vu, se preferisci, un po’ meno familiare di quanto sarebbe dovuto essere, ma con cui avevi già una certa confidenza. Poi tutto si era dissolto, tramutandosi nel rumore di un vetro che s’infrangeva con violenza ed il singhiozzare ovattato di un ragazzo di qualche anno più grande di te, che con voce spezzata domandava “perché?”. Una scena del tutto diversa.
Questione di un istante ed il mondo intorno a te era tornato ad essere lo stesso. Tu eri sempre lì e la figura maschile che ti si era avvicinata c’era ancora, ma il suo sguardo non era più fisso su di te. Con le mani si era coperto gli occhi e li stropicciava intensamente, come se avesse voluto soffocare un prurito improvviso. Nulla di troppo strano, se non fosse stato per il fatto che ancora impugnava soprabito e valigetta. Goffamente li scuoteva a contatto con la propria faccia, creando una situazione surreale, condita di imbarazzo e goffaggine. Poteva mica essere anche quella un’allucinazione?
Porcaloca! Mi dev’essere entrato un moscerino nell’occhio. Questi figlietti di donna infedele sono dappertutto.
No. Purtroppo era successo davvero. L’uomo non aveva potuto osservare la tua reazione, per qualche frazione di secondo si era privato della vista a causa di quell’inconveniente, ragion per cui non sarebbe riuscito a studiare il tuo comportamento. Tuttavia, gli era bastato poco per ignorare quel riflesso incondizionato, tornando ad una quasi-normalità.
Perdonami, sono molto sensibile alle aggressioni di questi affari.
Si scusò, lanciandoti uno sguardo incomprensibile con un occhio lucido e l’altro guercio. Alzava ed abbassava il sopracciglio di quello aperto senza controllo. Non sembrava essersi accorto di quello spasmo ripetuto. Il resto del corpo si era riassestato dignitosamente. Strambo. Quella era la parola più adatta per descriverlo.
Piacere di conoscerti Jane. Mi chiamo Winston.
Winston era poi retrocesso di un paio di passi e si era schiarito la voce con due lievissimi colpi di tosse, coperti dal pugno chiuso a cui era appesa la valigetta. La disinvoltura con cui ti rendeva partecipe delle sue stranezze era quasi innaturale.
Prendiamo qualcosa al bar? Così ne approfitto per farti un paio di domande, se non ti dispiace. Sai, fare domande è il mio lavoro. Sentiti libera di rifiutare, non voglio obbligarti, ma mi faresti davvero un grandissimo favore se accettassi.
L’insolita richiesta venne pronunciata con una nota di premura. Quella era un’ottima occasione per placare la fame e trovare un riparo dal vento gelido. Almeno secondo lui.
 
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view post Posted on 7/11/2017, 16:39
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In una famiglia come la sua passare inosservati non era mai stata un’impresa troppo ardua: ragazzini di ogni età avevano abitato il maniero di famiglia e gli adulti preposti alla loro educazione, di certo, non avevano avuto la possibilità di seguirli ovunque, in qualunque momento della giornata. La Tassorosso, quindi, non era avvezza ad esser tenuta tanto in considerazione; anzi, il fatto di essere la prima di tre sorelle e la maggiore tra i ragazzi Moran, le aveva concesso il privilegio di una discreta libertà. Un aspetto della sua vita, del resto, del quale non si vantava granché, giacché avrebbe preferito di gran lunga essere considerata maggiormente dall’indole vigile di sua madre, l’unica figura con la quale i rapporti - fin troppo spesso - si erano ridotti al minimo indispensabile.
Si stupì, dunque, di sentirsi al sicuro sotto lo sguardo preoccupato di quell’uomo sconosciuto. Benché i due avessero incrociato i rispettivi destini per volere del Fato, per un istante, il quarantenne - o presunto tale - avrebbe potuto rivelarsi come la figura paterna della quale la sedicenne aveva un insperato ed immediato bisogno.
Shyneid, l’anziana pozionista nonché sua nonna, non l’aveva solamente introdotta alla splendida e complessa arte delle pozioni, ma aveva fatto sì che la ragazzina dai capelli vermigli che era stata facesse proprio un detto piuttosto comune: “Gli occhi, bambina mia, mostrano chi sei davvero.”. Il suo spirito acuto e curioso, quindi, la induceva a sondare le profondità dello sguardo altrui, da che ne avesse memoria, per scoprire qualsiasi peculiare caratteristica dell’interlocutore del momento; spesso aveva trovato se stessa in errore e le sue piccole indagini a un punto morto, ma questo non l’aveva mai fermata. Persino in quel momento, scossa dai brividi di freddo e da un lieve languorino che lentamente s’impossessava del suo stomaco, lasciandolo brontolare rumorosamente, non aveva perso la voglia e la curiosità di saperne di più sul conto di quello sconosciuto tanto premuroso. I suoi occhi color caffè attirarono i suoi, di un azzurro chiarissimo e venato di sottili filamenti grigi, finché - ancora una volta - non percepì il distacco dal presente. Difficile dire se si fosse lasciata andare di nuovo ad un’allucinazione, come in precedenza, oppure se un ricordo avesse fatto capolino, piuttosto brutalmente, nel suo spazio visivo. L’unica cosa di cui fosse certa era che il suo campo visivo, lievemente annebbiato, avesse lasciato posto ad un contesto differente, nel quale la nuova scena si stava svolgendo. Trasfigurazione, primo anno o addirittura secondo, e una classe come tante altre. Udiva distintamente il chiacchiericcio di fondo, la spiegazione trita e ritrita di un’insegnante che, in un momento di ilarità generale, aveva redarguito uno studente impertinente. Non poté fare altro se non chiedersi quale fosse il nesso tra ciò che le stava accadendo su quel marciapiede e la visione - o allucinazione - alla quale aveva assistito impotente, seppur divertita dallo spirito affine presente in quello che sembrava davvero un ricordo.
All’improvviso, il suono distinto di vetri infranti al suolo l’avrebbe fatta sobbalzare di sicuro, mentre un lamento iniziava a prender forma dalle parole di un ragazzo, di qualche anno più grande di lei. Dal canto proprio, una volta che ebbe ripreso il controllo di se stessa, avrebbe desiderato consolare quel giovane, mossa dalla compassione che, silente, si era fatta strada in lei.
Tuttavia, così come in precedenza, il volto del giovane svanì, allo stesso modo dello scenario circostante - confuso e nebuloso - e la sedicenne tornò su quella strada, nella Londra del presente, mentre l’imbrunire iniziava a gettare le prime ombre scure sulla città in fermento.
Pur consapevole di non essere sotto l’effetto di pozioni confondenti o incantesimi del medesimo genere, ebbe il dubbio di potersi considerare davvero lucida. Sentì le ginocchia cedere sotto il peso di quell’angoscia e della sensazione di non avere a propria disposizione tutte le informazioni per stabilire quale fosse, effettivamente, il suo stato di salute. Quei problemi, nonostante tutto, sembravano turbare solamente lei: l’uomo pareva impegnato in ben altre battaglie, decisamente più impellenti.

«Si figuri… lo immagino.» rispose lentamente, la voce calma e spezzata solamente dalla sensazione di cadere nel vuoto, ancora una volta. Il suo cervello le imponeva di rimanere lucida, di usare razionalità in un momento tanto particolare e, nemmeno a dirlo, del tutto nuovo. Non faticò a ricordare quanto aveva appena visto, compresa l’inconfondibile aula di Trasfigurazione. Perché la sua mente, in un momento simile, aveva dovuto cercare un appiglio ad un ricordo del genere? Ammettere di essere confusa pareva un buon primo passo verso la consapevolezza che quella non fosse una serata come molte altre, eppure l’infastidiva, conscia di aver sempre amato e desiderato mantenere quella parvenza di controllo sugli elementi che, come in un puzzle, andavano a comporre unitamente la sua quotidianità. Arrivò a pensare, perfino, che quell’inebetimento fosse dovuto alla fragranza emanata da alcune candele profumate che il vecchio proprietario aveva scelto di posizionare in diversi punti del negozio. “Un tentativo”, aveva detto, “di ghermire nuovi clienti”, ma l’unico risultato era stato quello di confonderla ancor di più.
«Piacere mio, signore.» rispose prontamente, tornando ad osservare i suoi gesti ed ascoltando le sue parole con tutta l’attenzione che riuscì a concentrare su di lui. Il sorriso stiracchiato più cortese che il suo volto fosse stato in grado di emulare, avrebbe risposto a quello del signor Winston, lo sconosciuto quarantenne a cui i moscerini sembravano particolarmente affezionati. L’intera scena, ora che poteva dedicarvisi completamente, pareva paradossale. Un uomo ancora giovane, all’incirca dell’età di suo padre, abbigliato con eleganza e dalla spiccata tendenza a lavorare troppo, sembrava nascondere qualcosa riguardante la sua stessa indole: quei modi goffi, plateali quasi, l’insospettirono. Tuttavia, si disse, poteva esser certa di quanto stesse accadendo? Non aveva forse rivolto ad un’eterea presenza il proprio malumore solamente pochi istanti prima? E che dire di quella lezione e dello spiacevole episodio al quale aveva assistito impotente? No, decisamente non avrebbe potuto fare domande e, tantomeno, pretendere delle risposte esaustive.
«Uh.» esclamò, mentre gli occhi chiari tornavano a brillare di una nuova luce, quella della curiosità «Di che cosa si occupa?»
Sembrava lecito voler conoscere la professione di quel Winston: dopotutto, aveva appena annuito, dando il consenso a quella cena arraffata ed improbabile accompagnata da un perfetto sconosciuto.
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view post Posted on 22/11/2017, 22:36
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Il Fato

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Uh. Stralcio della sigla di X-files fischiettata sommessamente e con discrezione. Causa scatenante di un delirio, immediata reazione. I processi mentali che governavano il comportamento del signor Winston si distinguevano da quelli di chi ancora manteneva la propria sanità mentale soprattutto per via di quei momenti caratterizzati da scarsa lucidità. I sottili collegamenti che relazionavano gli stimoli esterni ed i suoi pensieri tendevano a prendere il sopravvento sulla ragione. Si era potuto notare più volte nel giro di pochi minuti di conversazione. Tutto ciò la diceva lunga sulla personalità di quello che sarebbe dovuto essere un adulto rispettabile, era proprio il tipo di atteggiamento che faceva scattare sull’attenti i suoi interlocutori. Era fin troppo strano per abituarcisi in un lasso di tempo relativamente breve. Tuttavia, soverchiate le apparenze, l’idea che ti eri fatta di lui non poteva essere più corretta: i tuoi occhi non da elfa avevano letto perfettamente l’animo dell’uomo. Era innocuo e tendeva a prendere a cuore le sue nuove conoscenze.
Lieto di aver ricevuto il via libera per spostare la conversazione in un posto più accogliente, lo stravagante signore dall’aria stanca si era incamminato, facendoti cenno di seguirlo. La tua domanda lo aveva chiuso per qualche istante in un silenzio sospetto, durante il quale aveva cercato le parole giuste per rispondere efficacemente e con semplicità.
Do consulenze alle aziende per quanto riguarda l’aspetto della contabilità. Detto in parole povere, se riscontrano dei problemi in questo ambito le aiuto a mettersi in regola con il Ministero, rendendo il loro operato trasparente ed a prova di indagine.
Annuendo vigorosamente con la testa per autoconvincersi di fare il lavoro dei sogni, Winston si era preso una piccola pausa, che lo aveva portato a riflettere su quanto detto.
Una palla, sìsì, ma qualcuno deve pur farlo. Alla fine la gente esce dal mio studio con la testa che pesa un chilo in più ed una voglia matta di gettare tutto all’aria. Ah, ho anche un lavoretto part-time, per tenermi occupato.
Con un sorrisetto divertito ad incurvargli le labbra, il contabile aveva volto il capo in tua direzione, assicurandosi che tu fossi ancora presente, fisicamente e mentalmente.
Immagino tu stia ancora studiando invece. Come te la cavi a scuola? Hai una materia che prediligi?
La strada da percorrere non era molto lunga, ma c’era ancora qualche metro da riempire con delle chiacchiere. Dal punto di partenza avevate preso la prima svolta sulla sinistra, imboccando una via trafficata come un alveare. Le persone si muovevano nei due sensi di marcia nella confusione più totale, causando nel tuo interlocutore uno stress a dir poco disumano, per via di un disturbo ossessivo-compulsivo non proprio latente. Ti era rimasto più vicino possibile per non smarrirti all’interno della folla. Successivamente la via si era rivelata un rettilineo su cui marciare senza svincoli. Case e botteghe si alternavano ordinatamente alla vostra sinistra, le ultime sembravano a loro volta affollatissime.
Giunti a destinazione, dopo la breve passeggiata, l’uomo ti apre la porta del bar menzionato un paio di minuti prima, invitandoti ad accedervi con un elegante gesto della mano che reggeva il soprabito. Si trattava di un locale riscaldato, ordinato, in cui spiccava lungo bancone di legno con una fila di sedie poste davanti ad esso. Più lontani dall’area in cui venivano serviti i clienti erano presenti dei tavoli, con i rispettivi posti a sedere omologati per quattro persone. Alle spalle del barista, un coetaneo del signor Winston, e della sua giovane aiutante, era esposta una vasta gamma di bevande tra cui scegliere, ma non mancava il necessario per preparare caffé e quant’altro. Lì servivano un po’ di tutto.
Il proprietario, al vostro arrivo, si era battuto un paio di volte il pugno contro il petto, estendendo mollacciosamente il braccio in direzione dell’amico - che altro non poteva essere - in segno di rispetto. Così aveva fatto la giovane ragazza al suo fianco e Winston a sua volta.
Sei invecchiato. L’uomo lo aveva accolto con tono severo.
Ma ci siamo visti questa mattina!
Il tempo non risparmia nessuno.
Il tempo è un’illusione. L’ora di pranzo una doppia illusione.
Non così veloce! La giovane barista, sul cui grembiule era ricamato il nome Sarah, teneva in mano un barattolo. Su di esso un adesivo: “Niente citazioni!”
Winston, sconsolato, aveva lanciato un galeone in sua direzione, afferrato prontamente dalla stessa fanciulla, finito poi all’interno del recipiente.
Me l’avete fatta anche ‘sta volta!
Avevi dubbi? Accomodatevi, sarò subito da voi.
L’invito a prendere posto ad uno dei tavoli era finalmente giunto e così, il signore dall’aria stanca, ti aveva nuovamente sorriso, invitandoti con l’ennesimo gesto elegante della mano ad accomodarti. Lui si sarebbe seduto di fronte a te, ma non prima di aver lasciato un’abbondante - forse troppo - manciata di monete sul bancone per un pagamento anticipato.
A te cara, il resto è mancia.
Sulla superficie del tavolo erano presenti quattro menu, nei quali erano riportate le classiche ordinazioni babbane ed in ultima pagina l’esortazione a chiedere qualunque altra cosa avesse stimolato l’appetito dei clienti. Affianco ad essa il simbolo di uno zellino, che spuntava timidamente dal bordo destro, chiaro riferimento alla magia, la stregoneria e tutto quanto.
Dopo giusto il tempo di una sfogliata veloce Sarah era già pronta, presente al tavolo con un blocco per gli appunti in mano ed una penna esageratamente lunga nell’altra. Un sorriso gentile modellava gli angoli delle sue labbra verso l’alto.
Fatevi sotto, vediamo che posso fare per voi!

Si prosegue. Attenta alle citazioni!
 
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view post Posted on 26/11/2017, 19:02
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Solitamente, alle stranezze dell’indole umana si poteva dare una spiegazione razionale nel novantanove percento dei casi: l’attitudine di un individuo, rispetto ad una precisa situazione o contesto, differiva sensibilmente in base alla personalità e alle esperienze di ciascuno; non esistevano modi, quindi, per spiegare esattamente come si sarebbe potuto reagire a questo o a quello stimolo, eppure la casistica - spesso, non sempre - riportava delle situazioni-tipo, capaci di imbrigliare un carattere o comportamento, più o meno precisamente, all’interno di una categoria ben definita.
Benché non si potesse giudicare negativamente il comportamento del signor Winston, almeno per il momento, la Tassorosso aveva iniziato a nutrire un dubbio piuttosto significativo sulla sua sanità mentale; aveva osato ardire ad una valutazione tanto sommaria, proprio lei che - a conti fatti - aveva sbraitato a pieni polmoni contro un ragazzino in bicicletta del tutto inesistente.
Nell’elaborare l’intera faccenda da un punto di vista esterno sarebbe stata proprio lei, probabilmente, a guadagnare il titolo di “svitata del mese”. Infatti, per quanto quel Winston fischiettasse un motivetto incalzante e sconosciuto, senza arrecare fastidio nei passanti che li superavano in ogni direzione, l’uomo appariva un comune mortale di ritorno da una lunga giornata di lavoro. Sembrava, inoltre, piuttosto empatico ed interessato alle vicende altrui; c’era da chiedersi se, in fondo, non fosse una persona totalmente isolata dal resto del mondo, un impiegato modello che avesse votato la propria esistenza alla carriera e disdegnando gli affetti più cari.

«Sembra interessante.» commentò sincera.
Lasciò che il suo interlocutore proseguisse nelle proprie spiegazioni, certa che presto o tardi avrebbe smesso di condividere con lei i dettagli della propria vita per interessarsi maggiormente della ragazza alla quale avrebbe offerto una parca cena. Nonostante l’altezza nella media, i tratti del suo volto ed il fisico asciutto, ma formoso, suggerivano quale fosse la sua età e, contrariamente al suo desiderio di celare la propria identità, non avrebbe potuto mentire troppo vistosamente. Winston era strano, dopotutto, non stupido.

«Sì. Studio ancora, ma non ho un’idea precisa di che cosa mi piaccia davvero.»
Si trattava di una mezza verità e si stupì di constatare quanto poco avesse riflettuto sul proprio futuro in quegli ultimi mesi. Non esisteva una materia che le piacesse più delle altre, ma lo spirito assetato di giustizia, ne era certa, avrebbe tracciato ben presto la direzione del suo cammino. Probabilmente, sarebbe finita al Ministero, come metà della sua famiglia e come Connor si augurava, ormai, da anni.
Represse a fatica la tentazione di chiedere ulteriori chiarimenti sulla sua professione, col rischio di diventare insistente ed invadente oltre ogni limite socialmente consentito.
Attorno a loro un numero sempre crescente di londinesi andava ad affollare il marciapiede sul quale i due procedevano con una certa serenità, seppur a passo sostenuto. Ogni tanto, Winston controllava che fosse ancora lì, voltandosi ad incrociare la sua figura esile tra le persone dirette al luogo che avevano appena lasciato.
Un nuovo brontolio nello stomaco avvisò la Tassorosso, e probabilmente anche Winston, dei morsi della fame sempre meno latenti.
Infine, raggiunsero il pub decantato pochi istanti prima: Winston le fece strada, indicandole l’ingresso con un elegante cenno della mano, impegnata a trattenere il soprabito. Annuì all’uomo, accennando ad un sorriso timido, varcando la soglia; sembrava un locale come altri in quel quartiere, arredato con cura e secondo uno stile ben preciso. Un bancone di legno scuro, liscio e lucido, si snodava in linea retta, pronto ad accogliere gli avventori su comodi sgabelli e sedie. Ciò che la colpì non fu tanto il mobilio, qualcosa che in realtà aveva già visto altrove, ma l’ambiente piacevolmente accogliente e riscaldato.
Attese con pazienza che il signor Winston si affiancasse a lei, guidandola a passo sicuro verso uno dei tavoli presenti a poca distanza dall’ingresso, mentre il suo sguardo iniziava a vagare distrattamente sul listino appeso alle spalle del barista e della cameriera: entrambi sembravano conoscere il suo accompagnatore, visto il chiaro gesto in codice che gli avevano rivolto non appena ebbero sollevato lo sguardo sui due avventori. L’uomo doveva essere addirittura un coetaneo del signor Winston, mentre la ragazza - dall’aria più espansiva - doveva essere decisamente più giovane, anche se non avrebbe saputo darle un’età precisa.
Ciò che accadde in seguito fu di difficile comprensione per lei: il botta e risposta dei tre sembrava collaudato da una conoscenza piuttosto profonda, che aveva messo in luce quanto Winston potesse essere “normale” nella propria anormalità. Non capì un solo riferimento, ma fu attratta dalle mosse svelte della giovane inserviente che - rapida - aveva spillato a Winston qualche moneta per la scommessa appena persa.
Se poco prima si era sentita confusa, smarrita in quel continuo andirivieni di immagini, ora la sua mente stava sollevando una sbrindellata bandiera bianca. Dei Babbani, si disse, non sapeva proprio nulla e, presto o tardi, quelle lacune le sarebbero costate care. Un dettaglio, però, le rimase impresso nella mente: il nome “Sarah” svettava in un angolo del grembiule della ragazza, ricamato con cura come ci si sarebbe aspettati per una divisa da lavoro.
Winston incassò il colpo con un’evidente dose di mestizia, ma in fondo - almeno a suo avviso - la perdita di una scommessa come quella non gli avrebbe impedito di consumare un pasto o una bevanda calda in tranquillità. Tuttavia, un secondo dettaglio attirò la sua attenzione e, questa volta, sembrò risvegliarla: il quarantenne aveva appena lanciato un galeone nelle mani della cameriera? Com’era possibile?
Si guardò attorno sospettosa, cercando altri indizi della presenza della magia in quel luogo mai visitato prima di allora. Se la giovane conosceva i galeoni, la conclusione possibile sarebbe stata solamente una. Winston non era un uomo comune e nemmeno Sarah era una semplice cameriera.
Finse indifferenza verso di loro, guardandosi attorno come se non avesse mai sostato per più di un minuto in un pub di Londra. Le sarebbe bastato solamente scorgere un poster appeso alla parete con delle figure in movimento o una Gazzetta del Profeta abbandonata sul tavolo per giungere, definitivamente, alla conclusione corretta.
Winston sembrò tornare in sé, ricordandosi solo in quel momento della presenza della sedicenne, indicandole un tavolo vicino ed invitandola a prendervi posto.
Gli sorrise di rimando, mentre l’uomo si apprestava a versare un importo più o meno casuale alla giovane; espletata la transazione, egli prese posto di fronte a lei. Quattro menù attendevano di essere sfogliati e ne prese uno velocemente, senza badare davvero a che cosa vi fosse riportato sopra. Non le interessavano né il cibo né le bevande: doveva trovare un nome, una parola - anche solo una - che le indicasse di essere ben lontana dalla pazzia.
Non degnò di un solo sguardo il proprio accompagnatore, impegnata a scorrere velocemente le parole impresse sulla carta. Si sentiva frustrata, incapace di trovare una spiegazione razionale a ciò che le era accaduto e a ciò che aveva appena visto. Galeoni, Falci e Zellini non erano una valuta comune tra i Babbani, più simili a gettoni dalle forme tonde e dalle dimensioni differenti.
Proprio quando pensava di aver perso ogni speranza, l’immagine di una moneta attirò le sue iridi grigio-azzurre, facendole brillare di nuova luce. Uno Zellino sul menu significava solamente che chiunque si trovasse in quel luogo non era, non totalmente almeno, chi affermava di essere. A meno che, ovviamente, tutto ciò non fosse frutto della propria fervida immaginazione.
La voce squillante di Sarah interruppe bruscamente le sue elucubrazioni, riportandola prepotentemente alla realtà. Tra le mani reggeva un taccuino e una penna dalle dimensioni piuttosto anomale, pronta a trascrivere gli ordini dei clienti.

«No-non saprei.» biascicò, schiarendosi la voce «Sono così affamata che non saprei nemmeno che cosa prendere. Lei che cosa mi consiglia?»
Gettò un ultimo sguardo interrogativo alla cameriera, prima di riportarlo su Winston. Quell’uomo era la chiave del suo mistero. Si augurava solamente che, prima o poi, tutto le sarebbe stato chiaro.
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Adoro la citazione... anche se Thalia (poracciah) non ne sa nulla, ma questo è un altro discorso. :fru:
 
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Il Fato

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Sarah, ragazza dai gusti particolari in fatto di cibo, rimase meravigliata nel ricevere una domanda tanto comune. Quasi spiazzata, si prese qualche istante per riflettere. La penna dalle dimensioni smodate roteava nella sua mano, mentre nella sua mente scandiva la soluzione di quel rompicapo. Dopo un paio di secondi il verdetto: Se non hai in mente qualcosa di particolare ti propongo un vassoio di sandwitch assortiti, per sperimentare sapori diversi e conoscere un po’ la nostra cucina.
Il piatto, descritto nel menu, era composto da sei pezzi. Affettati, formaggi, verdure e salse classiche, ben bilanciate per creare ogni volta l’esperienza d’assaggio migliore; nulla di più adatto per affrontare l’indecisione.
La giovane continuò la spiegazione, gesticolando con le mani per rafforzare i concetti espressi.
Sono un po’ più piccoli di quelli normali, ma sono un pasto abbondante. Se ci aggiungi un cestino di patate fritte uscirai da qui rotolando. E non dimenticarti di una bella bibita gassata per mandare giù il tutto. Ti ispira?
La ragazza si era spiegata con una buona dose di ironia, ma al contempo era stata decisamente onesta. Dopo si era posta in attesa, pronta ad annotare la tua risposta, positiva o negativa che fosse ed un’eventuale controproposta, se ci fosse stata. Fatto ciò, si sarebbe dedicata a Winston, di cui a differenza tua conosceva i gusti.
E tu invece, che mi dici?
Il contabile, che in quel momento guardava il soffitto come se ci fosse stato qualcosa di interessante da osservare, non spese molte parole per esprimersi.
Cara, per me il solito.
Ingenuamente speravo avessi voglia di cambiare. Il solito sia!
Il mistero celato nelle sue parole non lasciava nulla di buono da sperare. Chi lo conosceva, anche solo da pochi minuti, poteva aspettarsi il peggio dalle sue abitudini alimentari.
Sarah aveva segnato i dovuti appunti nel proprio taccuino, facendo danzare la lunghissima penna sul foglio quadrettato, poi si era diretta verso il bancone, riferendo tutto al suo capo. A sua volta lui, con un movimento molto losco del braccio, aveva infilato il pezzo di carta dentro un barattolo, da cui successivamente era fuoriuscita una voce. Un urlo straziante, distorto, ovattato, soffocato a metà, si lamentava di doverlo fare di nuovo, senza riferirsi a cosa. La reazione sul volto del tuo accompagnatore era di puro divertimento: evidentemente lui aveva una visione più ampia di ciò che stava accadendo. L’uomo, questa volta raddrizzatosi a dovere, aveva iniziato a studiarti nuovamente attraverso i suoi occhi stanchi, rivelandosi pensieroso. Si era preso qualche istante per sistemare le idee, esordendo poi con pacatezza.
Bene Jane, abbiamo qualche minuto d’attesa, quindi ne approfitto ed arrivo al dunque.
Serio, fin troppo, ma per nulla preoccupato, cercava di prepararti psicologicamente per un breve colloquio. L’argomento di suo interesse erano i tuoi pensieri e le tue sensazioni, riferite alla situazione precedentemente vissuta. Ti aveva trovata a rimproverare un fantomatico ragazzino su un mezzo di trasporto ignoto e che nemmeno esisteva, a suo avviso era doveroso indagare a fondo sulla questione. Sembrava quasi ne sapesse qualcosa. Così fece.
Potresti descrivermi ciò che hai visto quando ci siamo incontrati?
Mani incrociate, posate sul piano in legno, schiena dritta e sguardo fisso sul tuo viso, alla ricerca di anomalie emotive. La comprensione dell’animo umano non era il suo forte, ma eventuali mutazioni sospette della tua espressione gli avrebbero permesso di comprendere se era davvero il caso di indagare, quanto andare a fondo e di farsi da parte a tempo debito. Questo era ciò che pensava.
Immagino tu abbia avuto una sorta di allucinazione, qualcuno stava per farti male, correggimi se sbaglio. Ce ne sono state altre?
Alle persone comuni, con tutte le rotelle a posto ed uno stile di vita più o meno sano, non capitava spesso di confondere fantasia e realtà. C’era sempre una ragione di fondo, una causa scatenante. Winston, che di stranezze sembrava intendersene, pareva quasi fremesse per dire la sua; si tratteneva, invece, in cerca di conferme. Non poteva e non voleva esporsi inutilmente. O forse, prestando attenzione al rasoio, era solo uno dei tanti curiosi a caccia di pettegolezzi su cui vaneggiare, alternando la vivacità all’ordinario.
 
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view post Posted on 18/12/2017, 14:54
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Rotolare.
Quell’espressione, mimata a gesti e resa più chiara dalle parole della giovane cameriera, la fece sorridere. I babbani avevano un modo estremamente particolare per definire concetti ed idee, ma il dubbio di trovarsi in un contesto ben lontano da quello comune non le era ancora passato del tutto di mente. Tutto, dai prezzi sul listino alle strane “visioni” da cui sembrava esser colta a sproposito, le faceva pensare di non essere totalmente conscia della realtà vissuta in quel preciso istante della sua vita.

«E sia.» sentenziò alla fine, sorridendo cordiale alla ragazza «Seguirò il tuo consiglio.»
Winston appariva a proprio agio in quel luogo, come se lo conoscesse da sempre. Sarah rispondeva a tono alle sue affermazioni e il barista sembrava tranquillo nel lasciarla in balia dei clienti, anche a quelli più “affezionati”. Si chiese da quanto il buon vecchio Winston frequentasse quei luoghi e se, magari, vi fosse un’amicizia tra lui ed il proprietario, vista l’apparente età in comune.
Sarah scivolò via, con il suo fedele taccuino e la penna in bella vista, strappando l’ordinazione e consegnandola al proprietario.
La Tassorosso ne seguì le movenze, finché la giovane non lasciò il foglietto nelle mani dell’uomo. Si diceva che gli occhi di una persona fossero il pertugio perfetto per scoprire i segreti celati nel profondo dell’animo. Personalmente non vi aveva mai creduto, ma dopo essere stata sottoposta agli esercizi di Occlumanzia di Connor, tutto aveva acquisito un nuovo significato. Se in principio non aveva visto nulla di sospetto in quell’uomo indaffarato nelle proprie mansioni, all’improvviso un urlo straziante le riempì le orecchie. Fu come se fosse stata catapultata in uno scenario apocalittico, nel quale le urla superavano qualunque altro tipo di suono.
Istintivamente portò le mani al capo, schermando i propri timpani da quel suono agghiacciante. Una voce, sconosciuta e particolarmente straziante, affermava - senza tralasciare una certa nota di rammarico - di dover agire di nuovo. Ma per cosa? Che cosa doveva fare?
Tutto ciò sarebbe parso strano agli occhi di Winston, più di quanto non fosse stato scorgere una figura non più alta di un metro e sessanta impegnata a discutere con l’aria immobile della sera. Le mani strette sulle orecchie piccole, gli occhi spalancati ed un’espressione di dolore dipinta sul viso, avrebbero dovuto presto ricevere una spiegazione. Il punto cruciale stava proprio in questo: che cosa avrebbe potuto giustificare una simile sequenza di gesti e mugolii del tutto estranei dal contesto?
Così com’era iniziato, l’urlo cessò e lo strazio assimilato da quella nuova allucinazione svanì. Non avrebbe mai ammesso di avere un problema, ma se quella era pazzia - talmente lucida e chiara da spaventarla - l’idea non l’allettava affatto.
Winston, al contrario di ogni aspettativa, sorrideva nella sua posa impettita. Aveva detto o fatto qualcosa affinché quel sorriso sorgesse spontaneo sul suo viso?
Lentamente abbassò le mani, tornando ad udire la sua voce. In meno di qualche secondo, l’uomo aveva riacquistato la sua tempra ed i modi gentili, ma seri, tornarono velocemente a galla. Annuì, accettando del tutto passivamente la richiesta dell’uomo.

«Che cos-cosa? Oh.»
Che cosa si poteva raccontare ad uno sconosciuto che avesse assistito ad una scena surreale come quella senza spaventarlo a morte? Per quanto Winston fosse cordiale, restava pur sempre un individuo ignoto, dalle intenzioni altrettanto misteriose e decisamente troppo buon samaritano per i suoi gusti. La diffidenza era tornata ad ergersi a sua difesa, ma le parole scivolarono dalle sue labbra accompagnate da un profondo sospiro. «In principio nulla. Cioè. La strada. E poi il suono di freni di una… di una bici. Forse arrivava dall’altro lato della strada e affamata come sono ho pensato che qualcuno mi stesse investendo. Non capita spesso, in realtà, solo… solo oggi.»
Aveva cercato di apparire lineare nel proprio processo di risposta, senza saltare passaggi troppo evidenti per essere contestati e, specialmente, evitando accuratamente di apparire sotto pressione. Percepiva su di sé lo sguardo di Winston, qualcosa che aveva cercato di non attirare su di sé, pena l’imbarazzo più totale. Eppure, in ultima battuta, proprio al sopraggiungere dell’ultimo concetto, i suoi occhi grigi si erano incatenati a quelli scuri dell’uomo.
Winston cercava risposte, ma lei non avrebbe saputo fornirgliele.

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view post Posted on 9/1/2018, 11:23
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Winston aveva ascoltato le tue parole con attenzione, ottenendo una conferma a lui gradita. Un accenno di soddisfazione ammorbidì per un istante la sua espressione seria, lasciando poi spazio ad una nota malinconica. Per lui, le informazioni in suo possesso erano ben più che sufficienti a definire il quadro generale della situazione, ma per amore della precisione ci tenne a chiarire anche dettagli a suo avviso superflui.
Capisco. Tiro ad indovinare, sei una strega, proprio come me.
Il contabile parlò con assoluta certezza, senza lasciare che il dubbio si insinuasse tra i suoi pensieri. Era così, lo sapeva e se ne convinse. Negarlo sarebbe stato sciocco.
Cioè, non proprio una strega: sono un mago, sia chiaro. Penso sia facile intuire cosa intendo.
Con tono scherzoso l’adulto fornì una delucidazione inessenziale, per smorzare un po’ la tensione che presumeva si stesse creando. Per lui si trattava di una conversazione difficile, per una lunghissima serie di ragioni di carattere politico-sociale, ma non solo. Avvertiva il peso di una responsabilità nei tuoi confronti che non sarebbe mai riuscito ad ignorare. Doveva occuparsene. Era proprio quella zavorra che gli imponeva di trattare il colloquio con una certa maturità, che non rientrava nei canoni su cui si plasmava la sua indole. A lui piaceva scherzare, prendere le cose alla leggera, gestire diversamente le proprie interazioni. Eppure si era ritrovato a pesare ogni parola con cura, a sopprimere faticosamente ogni sua contrazione nervosa e maniacale. La considerava una sfida personale.
Non lascio spazio a malintesi: ho frequentato Hogwarts, a mio tempo, come presumo tu faccia adesso, pago beni e servizi in galeoni e sottounità, di tanto in tanto lancio qualche incantesimo e con scarsa frequenza seguo il quidditch. Penso sia bene puntualizzarlo per non sembrare un impostore.
Winston, con un’identità finalmente definita, aveva fornito dettagli precisi per assicurarsi la tua fiducia. Erano in tanti i babbani che utilizzavano impropriamente il termine “mago”; aveva preferito prendere le distanze.
Ma raccontarti la mia storia non è il motivo alla base del mio invito, quindi non mi dilungo oltre sulla questione.
Un taglio netto sul curriculum aveva arrestato per qualche istante la lingua del signore con le occhiaie, permettendo alla cameriera di servire le ordinazioni. Con una rapidità quasi allucinante, Sarah era ritornata al tavolo, imbracciando due vassoi con le rispettive ordinazioni. Ti aveva poi allungato il piatto con i sandwitch di pane tostato: bacon, pomodoro, lattuga, avocado; fontina e prosciutto; cheddar grigliato e pere; pancetta, burro e mostarda; formaggio di capra, tacchino e mirtilli; coscia di maiale arrosto, cipolle caramellate, burro e formaggio fuso. Quindi erano arrivati anche il cesto di patate fritte, con le rispettive confezioni di salse e la bibita frizzante, una cola artigianale con un retrogusto di limone.
Il nostro cuoco si è sbizzarrito. Aveva poi aggiunto, elargendo un sorriso particolarmente ampio. Si era successivamente rivolta a Winston, posando davanti a lui una tazza capiente di caffelatte e cioccolato, dentro la quale si rilassavano dei biscotti glassati dalle sembianze umanoidi, che parevano proprio godersi il bagno. Si muovevano, infatti, come se fossero stati vivi. Non lo erano. Riferisco, testuali parole: la prossima volta tè e biscotti, come la regina.
Continuate a sperarci!
Buon appetito!
Sarah si era presto dileguata, permettendovi così di tornare alla vostra conversazione. L’uomo guardava i suoi ometti in ammollo con sospetto, pregustando il momento del loro assaggio. Si tratteneva, però, in attesa del raggiungimento della soglia di inzuppamento a lui più congeniale.
Buon appetito, fanciulla!
Pronunciata la frase di rito, Winston aveva ripreso in mano le redini del discorso, con la stessa serietà adottata pochi istanti prima.
Comunque, dicevo: sai cos’è un Legilimens?
Introdurre l’argomento era il primo passo per venire a capo della questione. Gettare quella parola al vento lasciava intuire dove il contabile volesse andare a parare. In realtà, in caso di risposta affermativa, il collegamento con l’esperienza vissuta potrebbe apparire poco chiaro: la legilimanzia ha delle regole ferree, non funziona se non si verificano delle condizioni precise. Le circostanze, però, potrebbero essere il tassello mancante per risolvere il rompicapo.
 
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I suoi occhi vagarono lungo le pareti della stanza per quelli che le sembrarono interminabili minuti, cercando di celare l’imbarazzo causato da tutta quella situazione. Si sarebbe dovuta comportare diversamente, con maggior sicurezza e senza titubare nel riportare delle semplici informazioni; ciò nonostante, l’intera faccenda aveva assunto i contorni di una farsa ed il fatto che non riuscisse ancora a vedere il sipario calare sui suoi protagonisti non la lasciava ben sperare. Per quanto ancora avrebbe dovuto fingere di essere qualcuno che non esisteva? Jane era la sua facciata, quella che meno si addiceva ad imprese dettate dall’impulsività; Thalia, d’altro canto, era sotto scacco da quasi un’ora a quella parte: complici la stanchezza e la fame - che ora iniziava a percepire davvero - si era ritrovata in una impasse dalla quale difficilmente sarebbe uscita da sola. Si era resa conto, in definitiva, di necessitare di coraggio e rassicurazioni che, paradossalmente, il suo fittizio alter ego riusciva di rado a fornirle. In quella situazione, non era Thalia - agli occhi di Winston - a subire il giogo di una qualche strana forma di pazzia, bensì la povera ed inesistente Jane.

Come se l’intera situazione non potesse apparire ulteriormente sotto una luce ancor più surreale, Winston contaminò il suo imbarazzo con la sorpresa più pura. Alle sue parole, semplici e cristalline, i suoi occhi tornarono a fissarlo con incredulità.

«Eh?»
Lo sguardo esterrefatto, le labbra socchiuse ed il respiro mozzato le impedirono di aggiungere qualsiasi altro suono che non fosse sufficientemente utile ad esprimere un concetto vero e proprio.
«Un che?»

Nella sua infanzia aveva appreso con discreta difficoltà l’importanza di mantenere la segretezza della propria condizione: i suoi unici amici babbani la credevano iscritta ad un collegio di Dublino, una di quelle scuole che non permettevano visite e che - spesso e volentieri - si trovavano fuori città per evitare le distrazioni della vita quotidiana. Innumerevoli volte aveva sentito la necessità di confidarsi con la sua amica di infanzia, Máire, eppure aveva vinto quel semplice capriccio con la consapevolezza di mettere a repentaglio un intero sistema, il quale si basava su regole ferree di segretezza.
Winston, invece, sembrava certo di sapere che cosa stesse facendo e la giovane, per l’ennesima volta, apparì riluttante; benché fosse riuscito a strapparle un mezzo sorriso con la frase seguente, Winston non gliela raccontava giusta.

Rimase in silenzio, senza profferir parola, analizzando quella che per lei doveva corrispondere alla verità assoluta. Hogwarts non era una scuola di magia qualunque e i Babbani, in genere, definivano le scuole di magia approssimativamente; il Quidditch era uno sport totalmente sconosciuto alla comunità non magica.
Lentamente, la rossa iniziò a percepire un netto rilassamento dei muscoli, irrigiditi sino a quel momento a causa dell’incertezza sul da farsi, e cominciò seriamente a pensare che, dopotutto, Winston le stesse raccontando la verità. Non vi era motivo, in definitiva, per continuare ad ergere i muri che pensava l’avrebbero protetta da una minaccia esterna: Winston sembrava sufficientemente credibile da meritare il beneficio del dubbio per quanto riguardava le sue ragioni.

Ringraziò Sarah, strabuzzando gli occhi alla vista di tutto quel cibo non appena quella si fosse voltata per tornare al bancone. Era affamata, naturalmente, ma persino per lei tutto ciò era esageratamente troppo. Ricambiò la formula enunciata dal mago e, senza indugio, agguantò il primo sandwich - pane tostato, formaggio di qualche tipo e quello che sembrava prosciutto - captando le ultime battute tra la ragazza e Winston. Il profumo di caffé, misto a quello di latte e cioccolato, colpì il suo olfatto mescolandosi alle fragranze provenienti dalle sue portate. Decisamente confusa dal punto di vista meramente olfattivo, prestò nuovamente attenzione all’uomo non appena questi ricominciò a parlare.

«Sì.»
Era naturale che sapesse chi e che cosa fossero i Legilimens: quella stessa estate, meno di un mese prima, aveva sostenuto un estenuante colloquio con suo nonno, Ex Auror e Legilimens esperto, al fine di apprendere i rudimenti dell’arte opposta a quella appena menzionata.
L’Occlumanzia le calzava a pennello, come un guanto: la sua natura riservata, le permetteva di essere la candidata perfetta per quel genere di magia - escludendo chiunque, almeno nella teoria, dalla propria mente - e, tuttavia, vi era ancora molta strada da percorrere affinché potesse padroneggiare quell’abilità adeguatamente.

«E mi sta dicendo che potrei esserlo anch’io?» chiese, mandando all’aria la discrezione sull’argomento, così come Winston aveva fatto prima di lei.
Addentò il sandwich come se non mangiasse da giorni, pur mantenendo intatti i precetti del buon comportamento che le erano stati impartiti.

«Io credo che si sbagli. E visto che siamo arrivati alla fase della sincerità… lei si chiama davvero Winston? E di cosa si occupa veramente

Voleva fidarsi di quell’uomo emaciato, dall’aria stanca e l’indole determinata; lo desiderava con ogni fibra del proprio corpo, mentre i suoi occhi scrutavano il viso del mago alla ricerca di risposte. Aveva bisogno di capire che cosa le fosse accaduto e per quale ragione: essere Occlumante le permetteva di mantenere il controllo sulla propria individualità, proteggendo ciò che di più caro avesse al mondo; la Legilimanzia, al contrario, abbatteva quei muri e s’insinuava nelle menti altrui senza permesso, così come Connor aveva fatto con lei un mese addietro.
All’epoca non aveva gradito le intromissioni del nonno paterno e aveva iniziato a riflettere su che cosa significasse poter scrutare i ricordi di un individuo senza il suo consenso. Non era ancora giunta ad una conclusione che la soddisfacesse pienamente, eppure aveva l’impressione che Winston avesse ragione e che, presto, avrebbe dovuto scendere a patti con se stessa, accettando la propria natura.

Thalia J. MoranPrefetto Tassorosso16 anni

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    ▶ Bacchetta (all'interno della borsa a tracolla, insieme a pochi effetti personali senza potenziale magico, tra i quali un sacchettino contenente una manciata di Galeoni)
    ▶ Anello Gemello (anulare sinistro)
    ▶ Ciondolo Capello di Veela (indossato e nascosto dall'abbigliamento)
 
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view post Posted on 31/1/2018, 23:06
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Winston, dovendo affrontare una questione delicata e che non gli sarebbe dovuta competere, aveva iniziato ad avvertire un certo disagio. Da un lato il senso del dovere fungeva per lui da carburante, alimentando la sua avanzata nella direzione già imboccata; dall’altro, veniva frenato da una semplice domanda: era davvero cosa buona e giusta farsi i fatti altrui?
Prendendo la questione di petto preferì proseguire, cullato dall’inerzia, sperando di trovare l’assoluta complicità della giovane studentessa presentatasi come Jane. La legilimanzia era una questione che interessava entrambi.

Le carte erano state messe in tavola, ma non tutte erano state scoperte. I reciproci dubbi ostacolavano lo sviluppo della conversazione, che il contabile avrebbe preferito avvenisse con una discreta fludità. Porre la questione da un punto di vista generale, per poi entrare nel dettaglio, rappresentava il suo modo di affrontare discussioni di carattere divulgativo. Tuttavia sentiva di essere appena inciampato sullo scoglio della fiducia. Era normale - così pensava - che una ragazza appena conosciuta nutrisse dei dubbi sulla sua onestà. Faceva bene, a suo avviso. Ciò nonostante aveva riconosciuto la necessità di porre rimedio al problema.
Ci sono buone probabilità che tu possa leggere la mente, sì. Non è comunque una certezza, quindi non prendertela troppo in caso contrario.
Winston, dalla sua, aveva decifrato i segnali di una predisposizione all’utilizzo dell’abilità menzionata, tuttavia non poteva garantire con assoluta certezza che la sua nuova conoscenza disponesse di tale dono. Preferì mettere in chiaro le cose da subito, così da non generare delusione e risentimento in caso di insuccesso.
Con il cucchiaio l’uomo sollevò dalla scodella un biscotto, uno in particolare, che gli aveva dato l’impressione di volersi volontariamente privare dell’immersione nel dolcissimo intruglio che presto avrebbe sorseggiato. La particolare portata di sua ordinazione andava tenuta sotto controllo per quella ragione: le figure antropomorfe in cui era stato modellato l’impasto si stancavano presto di stare in ammollo e cercavano in ogni modo di uscire. Non doveva succedere. Con un movimento lento ed elegante della mano l’adulto portò alle labbra il piccolo ribelle, trasformandolo in un unico e soffice boccone. Delizioso. Le dimensioni degli omini permettevano di essere mangiati senza dover essere spezzati: farlo significava spaventare i superstiti. Anche quello era assolutamente da evitare.
Una volta ingerito l’assaggio, il contabile si era pulito la bocca con un tovagliolo, canalizzando nuovamente il suo interesse verso di te. Ti guardava, rivolgendoti una lievissima punta di scetticismo. C’erano dei meccanismi alla base delle interazioni umane di cui era a conoscenza, ma che non comprendeva fino in fondo. Uno di questi erano le menzogne, che per gli intenti con cui venivano proferite recavano danni agli interlocutori. Per lavoro, per deformazione professionale, tendeva ad evitarle come una malattia incurabile.
Non ho motivo di non essere del tutto onesto con te. So che è difficile da credere, ma quando arriverai ad avere la mia età sono sicuro che capirai il mio punto di vista. Non esigo che ciò accada ora.
Il signore dall’aria stanca si era reso conto, già dalle prime parole, di aver fatto la figura del vecchiaccio che voleva saperla più lunga delle nuove generazioni. Per tale ragione cercò di essere più preciso.
Perdonami, non volevo essere presuntuoso. La vita mi ha insegnato che ad essere sinceri si risparmia un sacco di tempo e che il tempo non merita di essere gettato al vento per degli inutili raggiri.
Severo e diretto, Winston aveva spiegato il suo punto di vista. Si era poi prodigato per recuperare un oggetto dalla tasca del suo trench, frugando frettolosamente all’interno della stessa fino al suo ritrovamento. Un biglietto da visita senza troppe pretese, minimale, con tutti i dati necessari per entrare in contatto con lui e con il suo studio.
Per correttezza: mi chiamo Winston Querril e ciò che ti ho detto riguardo il mio lavoro è tutto vero, ma non entro nei dettagli, non voglio annoiarti più di quanto non abbia già fatto.
Il signor Querril aveva proteso la mano in tua direzione, offrendoti il proprio biglietto da visita. Dubitava potesse tornarti utile, ma se l’eventualità avesse bussato alla sua porta avrebbe fatto il possibile per fornirti l’assistenza di cui avevi bisogno.
C’è qualcosa che dovrei sapere prima di proseguire?
Winston abbozzò un sorriso, immaginando si fosse creata nuovamente una certa tensione tra voi due. Non voleva appesantire il clima informale della conversazione con un’eccessiva serietà. Le sue parole, infatti, non risuonarono come un’accusa: non immaginava avessi mentito sulla tua identità e nemmeno gli avrebbe dato troppa importanza, non erano le bugie innocenti quelle che condannava con tanta fermezza. Nonostante questo cercava di apparire rilassato, mostrando un’espressione più distesa rispetto a quella adottata in precedenza.
Con la mano destra, che impugnava il cucchiaio, aveva iniziato a mescolare la pietanza che aveva ordinato, fornendo un momento di svago e follia agli omini-biscotto, che vorticavano all’interno della tazza di ceramica in preda all'euforia. Almeno loro si davano alla pazza gioia. Destino crudele, quello che li attendeva.
 
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view post Posted on 1/2/2018, 21:27
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Erigere muri invisibili che la separassero da chi fosse stato interessato ai suoi pensieri, ai ricordi e alle sensazioni non era stato facile. Il suo carattere le aveva impedito di chiudersi in se stessa, conservando ciò che di più caro avesse al mondo. Non era stato semplice, dunque, serrare la mente dagli attacchi esterni e, nonostante la piccola vittoria agguantata quell’estate, doveva ancora capire con esattezza come comportarsi per far sì che quella disciplina si consolidasse e divenisse il suo vanto, oltre che la prima difesa alla sua integrità. Molto aveva giovato al suo obiettivo quella riservatezza che, nonostante i bei sorrisi e la capacità innata di interagire persino con una pianta comune, riusciva a rivolgere ad individui di cui non sapeva assolutamente nulla.

Considerato l’approccio paterno del signor Winston, alla Tassorosso non era certo passato per l’anticamera del cervello di chiedersi chi egli fosse e se, in definitiva, si fosse preoccupato per lei in virtù di un secondo fine a lei ignoto; tuttavia, il dubbio si era insinuato nella sua mente poco alla volta, mano a mano che l’uomo aveva lasciato intravedere qualcosa di sé alla ragazza, partendo dalla sua appartenenza alla stessa comunità dell’Irlandese.
Apprezzò sinceramente quella constatazione: avere delle visioni sporadiche non significava essere Legilimens. Winston sembrava camminare su un terreno ostile, come se si trovasse ad affrontare delle sabbie mobili: chi avrebbe potuto constatare che cosa fosse accaduto nella sua mente? All’improvviso, il metodo che l’uomo avrebbe potuto adottare la spaventò: un Legilimens appena più esperto del normale avrebbe potuto facilmente abbattere le sue difese acerbe, dunque non avrebbe potuto contrastare la sua incursione e, tantomeno, opporsi al lento assorbimento - da parte sua - di informazioni personali.

Winston sembrava non fare troppo caso alle sue domande impertinenti, dedicandosi anima e corpo a quei biscotti dalla forma antropomorfa, immersi fino alle spalle in un bagno di caffé e latte bollenti. Il suo sguardo si spostò nuovamente su quello dell’uomo quando questi parlò e convenne con lui sul fatto che la disonestà non avrebbe giovato a nessuno dei presenti.
Stabilire un contatto onesto le era sembrato lecito: sapere di avere a che fare con Winston Querril e non con un altro Winston aveva motivo di essere una piccola vittoria in quel mare d’incertezze; eppure, se lei aveva mentito - almeno parzialmente - sulla propria identità, perché non avrebbe potuto riservarle egli stesso il medesimo raggiro?

In risposta a quel pensiero - fosse stata intenzionale o meno - Winston le porse un biglietto, che la giovane si apprestò ad accogliere tra le mani. Lo rigirò un paio di volte, osservandone la superficie ed il messaggio ivi riportato. “Winston Querril”, oltre una serie di informazioni aggiuntive e alquanto lapidarie, era tutto ciò che si potesse evincere da quel bigliettino da visita. Nulla di più e nulla di meno di quanto avesse chiesto.
Deglutì a fatica, immaginando che persino quel gesto avrebbe rivelato all’interlocutore meno accorto che qualcosa, in effetti, fosse stato omesso da quella conversazione. Fece l’atto di voler dire qualcosa, trattenendosi con evidente sforzo. Aveva senso scoprire le carte senza sapere a quale gioco stessero giocando?


«I-io c-credo di sì.» biascicò, iniziando a giocherellare nervosamente con il tramezzino, immergendo un angolo di pane nella salsa rossa come il sangue, inclinando il capo di lato e rifuggendo lo sguardo dell’uomo. Per quanto dimostrasse empatia nei suoi confronti, era chiaro il suo intento: sembrava volerla analizzare, sezionando ogni parola che fosse uscita dalle sue labbra schiuse.
«T-temo che abbia ragione.» sentenziò alla fine, abbandonando il sandwich sul piatto ed accasciandosi mollemente sulla sedia. Lo sguardo perso fu diretto al tavolino imbandito, senza tuttavia vederlo davvero. Stava davvero lasciando la presa preparandosi ad una resa definitiva?
Tutta quella situazione la stava sfinendo ed era giunta alla conclusione che senza verità da parte sua non avrebbe potuto capire che cosa le fosse accaduto poco prima. Non c’era stato solo il ragazzino in bicicletta: un certo studente - che a quel punto sarebbe stato lecito riconoscere in Winston Querril - in vena di scherzi durante una lezione di Trasfigurazione, salvo poi ritrovarsi in una scena dal tenore emotivo talmente diversa da gettarla nello sconforto più totale.
Si sentiva impotente e non comprendeva quali benefici sarebbero derivati da quelle confessioni. Aveva letto i suoi pensieri, ora se ne rendeva conto, viaggiando a ritroso con la memoria in quel tempo recente. Era lui. Era sempre stato lui.


«Se la cavava in Trasfigurazione?» chiese atona, dopo qualche istante di silenzio, senza sollevare lo sguardo su di lui.
Non desiderava incontrare il suo sguardo, né capire dalla sua espressione se avesse avuto ragione nell’unire quelle poche e fugaci immagini in un unico puzzle.

«Temo di averla vista nei suoi giorni migliori.» proseguì, iniziando a strofinare nervosamente, ma lentamente, i palmi sui jeans; si sentiva in colpa e non aveva abbracciato pienamente l’idea di invadere la mente altrui.
Era certa della propria integrità e dei propri principi: aveva sempre considerato la sfera privata delle persone come il più prezioso dei tesori e mai si sarebbe azzardata ad invadere quegli spazi accidentalmente. Forse, in un contesto diverso, quella sarebbe stata una qualità apprezzabile, che avrebbe potuto condurre a risultati concreti, laddove la situazione si fosse rivelata senza via d’uscita. La questione odierna, però, era diversa: non c’era nulla che potesse fare per fermare quelle incursioni e Winston, forse, non le aveva gradite.


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