| «Secrets have power» Distesa sopra il morbido copriletto, le braccia conserte, la schiena poggiata su un paio di cuscini e le gambe accavallate, Amber rivolse lo sguardo verso un ramo agitato dal venticello pomeridiano. La finestra aperta permetteva all'autunno di impossessarsi di ogni suo respiro, consentendole così di trovare un po' di pace in quei pomeriggi silenziosi. Era raro, forse rarissimo, che dopo pranzo lei e John si fermassero del tempo in Villa, solitamente l'uomo fuggiva dal maniero della sua infanzia il più velocemente possibile. Le visite ai nonni erano diventate sempre meno frequenti, il tempo da passare con loro era ridotto all'osso e lei non ne comprendeva il motivo. Avrebbe dovuto chiedere a suo padre il perché di quel suo agitarsi ogni volta che ricevevano un invito per un pranzo o una cena, ma l'uomo era diventato intrattabile. Nell'ultimo periodo avevano limitato i contatti anche tra di loro, un po' perché Amber temeva che rimanendo troppo in una stanza con lui avrebbe finito per sentirsi oppressa dal peso di quanto gli stava nascondendo, ed un po' perché lui stesso aveva smesso di comunicarle anche le più banali intenzioni. Tanto a lungo aveva agognato un briciolo di indipendenza ed ora che, in parte - certamente non poteva aspettarsi che l'aura di protezione dell'uomo svanisse da un giorno all'altro -, l'aveva ottenuta, non se ne compiaceva. Non aveva vinto alcuna battaglia, non si era guadagnata quei respiri di libertà, era stato lui ad abbandonare il campo, a rinunciare alla propria mossa... ma perché? Un lungo sospiro accompagnò quei pensieri, lo sguardo assorto si fece più cupo, guardava ma non vedeva. Non si sentiva totalmente a suo agio in quella stanza, non sentiva di appartenere alle mura di quella villa tanto quanto Cordelia avrebbe voluto. Da quando era nata, gli Hydra le avevano destinato una camera in una delle zone più belle della villa, nella speranza che John decidesse di vivere lì con moglie e figlia. Fin dal principio però era parso chiaro a tutti che quell'eventualità non si sarebbe mai concretizzata. La semplicità che caratterizzava gli Snow aveva preso piede sopra ogni cosa, ed anche la morte di Eveline non aveva cambiato le carte in tavola. Nonostante tutto la speranza dei nonni non era mai svanita, ed avevano evoluto l'arredamento della camera in base alle esigenze di Amber durante la sua crescita. Dove prima v'era stata una culla, ora c'era un letto, e fasciatoio e giochi erano diventati armadi e comodini. L'unica cosa rimasta invariata era lo stile dell'arredamento: totalmente coerente con il resto delle stanze. Non era abituata a vivere nel lusso che trasudava dalle pareti incorniciate ma non lo disprezzava affatto. Muoversi per quella magione come la regina indiscussa non era nelle sue corde, ma non poteva nascondere di apprezzare la maestosità della villa e l'orgoglio che provava nel sapere che, in minima parte, apparteneva anche a lei. A conti fatti, però, era anche un'estranea. Non conosceva tutte le stanze, non si sentiva pienamente a suo agio nell'abitarle e non interagiva molto con i domestici. Era ferma in quel limbo tra il rivendicare l'appartenenza agli Hydra e l'eleganza austera di quel ramo dell'albero genealogico - che sempre l'aveva affascinata - e l'accogliere la semplicità degli Snow, legata essenzialmente ad Eveline, scomparsa troppo presto per insegnare alla figlia i valori più genuini. Incapace di scegliere una delle due fazioni o di trovare il giusto mezzo per assorbirle entrambe, Amber viveva in quella scomoda situazione, nella speranza che qualcosa o qualcuno l'aiutasse a vedere oltre i propri limiti. Se quel pomeriggio ed il colloquio tra John e William, motivo per cui lei si trovava ancora lì, fosse durato tanto a lungo, probabilmente la ragazza avrebbe ceduto alle lusinghe di Morfeo e si sarebbe concessa una pennichella. Il destino però aveva ben altro in programma e, mentre le palpebre dolcemente calavano sulle iridi chiare, un rumore fermò la loro discesa. Un lieve fruscio attirò il suo sguardo verso la porta e lei non impiegò molto a notare un dettaglio nuovo. Una busta era apparsa nell'incavo sotto l'uscio, laddove prima non v'era nulla. Corrugò la fronte ed un'espressione interrogativa scacciò in malo modo quella più riflessiva di prima. Una lettera per lei? Il suo cuore iniziò subito ad agitarsi, mosso dall'irrazionale fantasia di sapere chi fosse il mandante, ma la ragione negò la possibilità che si trattasse proprio di "lui". Non c'erano falchi alle finestre, nessun segno del passaggio di Amigdala e nemmeno di altri gufi a lei noti. Lentamente si alzò dal letto e compì i pochi passi necessari a ridurre la distanza tra lei e la candida busta. Un angolino era ancora fermo sotto l'uscio, ma il resto del corpo della missiva era in bella mostra così come il sigillo in ceralacca che ne chiudeva le estremità. La raccolse ma non la aprì subito, la tenne saldamente, mentre l'altra mano si allungava sulla maniglia. Che il mandante fosse ancora lì fuori? Se avesse aperto la porta avrebbe trovato qualcuno dall'altra parte? Indugiò, maledicendo il suo sguardo così umano ed incapace di penetrare il legno pesante che si frapponeva tra lei ed una possibile verità. Non poteva sapere cosa o chi l'attendesse fuori, ma si convinse che fosse il caso di leggere prima quanto contenuto in quel mistero di carta. Delicatamente aprì il sigillo, non prima di aver tenuto traccia mentale del timbro impresso: un fiore. Amber non vantava una grande conoscenza in campo floreale, ma era certa di non aver mai visto quel simbolo prima di allora. Non appena il sigillo venne spezzato, il contenuto della busta - più enigmatico dell'involucro stesso - venne svelato. Tanti, troppi, fogli ne uscirono, al punto che lei rimase inizialmente spiazzata. C'era qualcuno che aveva così tanto da dirle? Chi? Comprese però in fretta che non si trattasse di nulla di rivolto principalmente a lei in prima persona. La calligrafia le era ignota tanto quanto il timbro, e non v'era un nome in calce in nessuno dei fogli che reggeva in mano. Senza nemmeno accorgersene, aveva mosso alcuni passi verso il letto, e quanto vi fu di fronte posò sul copriletto le singole pagine di quello che stava via via assumendo l'aspetto di un diario. Lesse avidamente la pagina del 2 Febbraio, ed inizialmente non capì il senso di quelle annotazioni. Un senso che le fu invece troppo chiaro alla fine della pagina stessa, dove una frase ebbe la capacità di paralizzarla: " Un legilimens è per primo colui che riesce a far suo il silenzio." Il foglio cadde dalle sue mani. « Legilimens...» sussurrò, impossibile non paragonare quella frase alla dichiarazione udita poco più di un anno prima, quando una donna le aveva mostrato il primo passo da compiere sulla via di una vocazione che mai avrebbe pensato di possedere. Ed ora, dopo tutto quel tempo, quella parola seppellita nel profondo della sua anima, tornava a tormentarla, vergata a chiare lettere da uno sconosciuto. Qualcuno aveva scoperto quella sua capacità? Come? Era convinta di aver sotterrato quell'aspetto indesiderato di se stessa sotto uno spesso pavimento, eppure qualcuno doveva aver capito qualcosa... altrimenti perché recapitarle quei fogli? Con un crescente senso di angoscia lesse anche il resto degli appunti, per evitare che anche solo una semplice congettura mal interpretata potesse fermare ogni cosa. Se fosse stata più aperta nei confronti di quella vocazione probabilmente avrebbe dovuto ringraziare il mandante per averle fornito quello che aveva tutto l'aspetto di un manuale, se letto nel modo giusto. Ma non riuscì a sentirsi a proprio agio in quella posizione. Da quando aveva compreso di poter diventare una Legilimens, Amber non si era data pace ed aveva fatto di tutto per dimenticarsi di quella particolare possibilità. Così facendo aveva anche rinunciato alla capacità di controllarla e quanto accaduto di recente aveva riportato alla luce anche quella fastidiosa realtà. Solo quando giunse all'ultimo foglio, meno ingiallito ed indirizzato direttamente a lei, il flusso dei suoi pensieri venne dirottato. Non lo lesse una volta, né due, né tre, ma bensì quattro o forse perfino cinque, per essere certa di aver compreso ogni aspetto di quella singolare sfida. Il misterioso mandante di quelle pagine le stava chiedendo di trovarlo - o trovarla? - , ma di farlo solo se fosse stata convinta di volerlo, pronta a seguire una via che da tempo aveva abbandonato. Le parole vergate con precisione sembravano volerla colpire nella zona più vulnerabile. Era colpa sua? Si stava rinchiudendo in una gabbia di mediocrità e lo stava facendo con le proprie mani? Come poteva il suo orgoglio non risentirne? Era un nervo scoperto che più volte aveva evitato di sfiorare. Sapeva di aver odiato quella particolare abilità e sapeva che l'odio non era solo derivato da un doloroso ricordo, ma anche dalla sua stessa incapacità di controllare un potere ancora poco noto e troppo invasivo. Lei che per prima custodiva gelosamente i propri segreti, come avrebbe potuto appropriarsi di quelli altrui? Se avesse seguito il percorso, se avesse trovato chi aveva scritto quegli appunti, avrebbe potuto capire come convivere con quella natura? Non c'era bisogno che esprimesse a voce alta la risposta, era ovviamente affermativa. Contrariamente a quanto la circense le aveva detto, il misterioso legilimens non sembrava volerle riempire la testa di scrupoli. Se prima, scegliendo la via più semplice, aveva fatto suo il motto del "non invadere la mente altrui", traducendolo in "non usare la tua capacità", ora sembrava che dovesse abbandonare quel credo, per abbracciarne uno più cinico. Il fine giustificava i mezzi?
Sospirò ancora una volta, la proposta era allettante. Andava in parte contro alcuni suoi rigidi dogmi, ma al contempo le avrebbe permesso di raggiungere - se fosse riuscita nell'impresa - una conoscenza maggiore, apprendendo da chi si era auto eletto come possibile maestro e con essa la libertà di poter fare di quella vocazione una sua asservita e non il contrario. Tentare avrebbe rovinato la sua esistenza? Scosse il capo rileggendo un'ultima volta il messaggio. Secondo il misterioso individuo lei aveva tutto il necessario per trovarlo... ma come? C'era scritto di raccogliere i fiori e che le menti più deboli e meno adatte ad ospitare qualche forma di magia erano le più facili da violare ed anche che in esse si nascondevano le tracce di un suo passaggio o della sua presenza. Tracce che l'avrebbero condotta a scoprire chi fosse. Era probabile che le menti inospitali e refrattarie alla magia fossero quelle dei Magonò, i domestici di Villa Hydra, ma era possibile che loro sapessero chi si celava dietro quei fogli di pergamena? Poteva sempre riferirsi banalmente ai babbani. La sua non era minimamente una certezza. Il mistero dei fiori sembrava invece una costante, il filo conduttore di tutta la faccenda, tant'è che lo stesso simbolo floreale del timbro sulla ceralacca appariva anche in fondo ad ogni pagina, sia quelle di quello strano diario di annotazioni, sia quella della vera lettera a lei indirizzata. Doveva iniziare da quelli? Quel che le era chiaro era che probabilmente avrebbe dovuto sperimentare l'incantesimo e che non sarebbe rimasta chiusa in quella stanza come previsto fin dal principio. Raccolse la bacchetta, infilandola nell'apposita fodera della gonna, divise i fogli dalla busta e mise tutto nella tracolla scura che l'aveva accompagnata fin lì. Infilò le scarpe in tela e raccolse il mantello, prima di aprire definitivamente la porta della camera, pronta a non farvi ritorno finché non avesse risolto quella faccenda. Per parlare di fiori, prima che di ricordi o di pensieri, avrebbe dovuto cercare il giardiniere, soprattutto considerato che svegliare nonna Elise e preoccuparla ulteriormente non era tra le sue intenzioni. Se niente l'avesse fermata, avrebbe sceso le scale fino al portone d'ingresso e si sarebbe diretta oltre il portico, verso il fulcro del giardino. Avrebbe cercato con lo sguardo il giovane giardiniere ed infine, che l'avesse trovato o meno, avrebbe provato ad attirare la sua attenzione chiamandolo. « Signor Lewis?»
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