Aurora, Per Tobias Cooper

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Astaroth Morgenstern
view post Posted on 19/10/2017, 17:26




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Lo strascico dell’abito sembrava tirarla indietro, rendendole difficile proseguire. Non era ancora abbastanza sobria da osare tentare una Smaterializzazione fino a casa, perciò aveva deciso di procedere a piedi dal Paiolo Magico, dove era arrivata con la Metropolvere, fino al proprio appartamento, che non era molto distante dalla Londra Magica. I piedi le dolevano: quelle scarpe non erano decisamente fatte per camminare, e lei aveva percorso più di qualche chilometro vagando senza meta per le strade di Berlino. Ogni passo era come camminare sui sassi a piedi scalzi, non vedeva l’ora di mettere piede nel proprio appartamento, chiudersi la porta alle spalle, togliersi quell’abito, bruciarlo, e andare a dormire. Si coprì la bocca perché non riuscì a trattenere uno sbadiglio.
Forse l’abito avrebbe potuto bruciarlo la mattina seguente. O, per meglio dire, al risveglio, dal momento che la Mezzanotte era ben più che passata, e non sarebbero mancate molte ore all’alba. Si strinse nel mantello di velluto borgogna per scaldarsi: la mancanza di sonno, la scomparsa dell’effetto anestetico dell’alcool e l’aria fredda della Londra ormai novembrina le provocarono un brivido di freddo. Le guance erano rosse per il freddo e per la foga con cui le aveva strofinate per asciugarsi le lacrime; sulle mani intirizzite recava ancora le tracce del trucco nero che il pianto aveva sciolto. Non aveva uno specchio a disposizione, e in quel momento se ne rallegrò; avrebbe evitato di specchiarsi finché non avesse avuto la possibilità di lavare via i ricordi di quella serata con un bagno bollente.
Il pensiero delle proprie coperte calde e accoglienti le fece accelerare il passo per qualche metro, ma i suoi piedi protestarono per l’eccessivo sforzo che la sua fretta richiedeva loro, perciò rinunciò; nel rallentare bruscamente, per poco non inciampò nel bordo del proprio abito. Allora decise di sollevare l’ampia gonna abbastanza da evitare di finire a terra e coronare così quella nottata terribile con l’umiliazione finale. Afferrò quanto più tessuto riuscì attraverso il mantello e sollevò il bordo dell’abito di una ventina di centimetri; le sue caviglie, ora espose, furono investite da una folata di vento gelido, che si propagò risalendo lungo le sue gambe nude. Sospirò rassegnata e riprese a camminare: doveva resistere un’altra ventina di minuti, con quel passo. Sperò che muovendosi il freddo diminuisse, ma le bastò muovere un paio di passi per accorgersi dell’errore: a causa dei brividi di freddo i muscoli si contrassero, mandando delle fitte di dolore ai piedi e facendole sfuggire un gemito.
Era come se il suo corpo avesse deciso di punirla per la sua stessa stupidità. Rassegnata, accettò la punizione: un passo dopo l’altro, procedette sul marciapiede di cemento che credeva deserto. Era circondata da edifici non più alti di quattro o cinque piani, di mattoni scuri, ciascuno con un piccolo giardino recintato; le case erano tutte addossate l’una all’altra, in un abbraccio claustrofobico. L’unico rumore che giungesse alle sue orecchie era quello delle foglie secche che rotolavano sospinte dal vento, e quello dello strascico di pizzo chiaro che ancora toccava terra. Sul bordo del marciapiede erano parcheggiate le macchine degli abitanti del quartiere; di tanto in tanto Astaroth si fermava per riposarsi e si appoggiava alla carrozzeria di un’automobile; poi si rese conto che ogni volta che ripartiva, il dolore era sempre più difficile da tollerare, perciò si ripromise di non cedere più alla tentazione di fare una pausa.
Svoltò a sinistra, su una strada altrettanto deserta e illuminata unicamente dalla luce dei lampioni; poco più avanti Astaroth sapeva che c’era un parco dal proprio lato della strada. Magari avrebbe trovato una panchina? No. Non poteva fermarsi: se si fosse seduta, non sarebbe più riuscita ad alzarsi, e non desiderava trascorrere il resto della notte su una panchina all’aperto, alla mercé di qualche Babbano malintenzionato.
Certo, aveva la propria bacchetta con sé, ma non si fidava abbastanza della propria lucidità da tentare alcun incantesimo. La testa aveva smesso di girare, ma le doleva non poco, e le mani le tremavano per il freddo.
Aggrottò la fronte quando le parve di sentire alcune voci; probabilmente c’era qualcuno nel parco che stava per costeggiare. Un’improvvisa ansia la pervase, e si arrestò, paralizzata, senza nemmeno sapere bene perché. Scacciò quel presentimento e procedette, senza guardarsi attorno, sforzandosi di ignorare il dolore ai piedi che protestavano ancora una volta per la celerità. Il cappuccio del mantello le copriva il viso e ostacolava la sua visione periferica; mantenne lo sguardo basso a terra finché non si fu lasciata il parco alle spalle, cercando di concentrarsi sull’obiettivo finale: raggiungere il proprio comodo appartamento. Perciò non badò alle domande, alle provocazioni, ai commenti e alle risate di scherno delle voci, e procedette a passo – per quanto possibile – sicuro.
In lontananza riusciva quasi a scorgere l’incrocio dove avrebbe dovuto svoltare a sinistra e camminare per un centinaio di metri prima di arrivare finalmente a casa; fu a quel punto che si accorse del rumore di passi alle proprie spalle. Cercò di aguzzare l’orecchio, ma non riusciva a distinguere il numero delle persone che la stavano seguendo; temeva che se si fosse voltata non avrebbe più avuto la possibilità di tornare indietro e a quel punto avrebbe dovuto fare qualcosa.
Liberò la mano destra dal peso dell'abito che stava ancora tenendo sollevato per infilarla sotto al mantello ed andare in cerca della bacchetta, nella pochette al suo fianco; le dita avevano perso sensibilità tant'erano intirizzite e Astaroth stava avendo qualche difficoltà ad aprire la borsetta. In quel momento non stava pensando alle conseguenze, o alle regole per la Segretezza Magica; qualsiasi preoccupazione veniva silenziata dal battito del suo cuore. Finalmente riuscì ad aprire la pochette e strinse le dita attorno alla propria bacchetta.




Benvenuto sul forum, Toby :flower:
Edit: avevo scritto ripromesse per ripromise :uhm:

Edited by Astaroth Morgenstern - 19/10/2017, 19:07
 
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Venus-as.a"Boy
view post Posted on 20/10/2017, 15:43




<< Ti va di camminare, Toby?>>
<< No, proprio no. Qui fuori si gela.>>

Strinse forte le mani dentro le tasche della giacca che, vista l'ora, non riusciva più a tenerlo caldo. La presa sul suo braccio si fece più forte.
<< Non avrai mica intenzione di chiamare un taxi vero? Sai che costano tanto...>>
<< Lo sai che per me non è un problema.>>
<< Ma per me lo è! Dobbiamo per forza fare di testa tua solo perché hai i soldi?>>

Continuarono a camminare in silenzio nella notte, quella frase era stata decisiva. Lei faceva mille sforzi per cercare un po' di calore nei vestiti di Tobias, di certo la sua minigonna e la sua ampia scolatura non gliene fornivano.
<< Ti avevo detto di metterti qualcosa di più pesante addosso, capisco che tu volessi far colpo su Mark, però...>>
<< Lo so benissimo che non è servito a niente e gradirei che tu non continuassi a rinfacciarmelo.>>

La voce della ragazza era tremante, tradiva un misto di rabbia, vergogna e dispiacere.
Il silenzio calò nuovamente, disturbato unicamente dal rumore del tacco sul marciapiedi. Tobias guardava la nuca dell'amica che da un po' era poggiata sulla sua spalla. Ne aveva passate tante quella sera, era stata rifiutata dal ragazzo che le piaceva ed aveva affogato i dispiaceri nell'alcool, inutile dire quanto fosse una scelta triste quella sera. Aveva dato spettacolo e ora eccola qui, portata a smaltire il dolore dall'amico.

<< Sei sicuro di voler andare alla festa di Caroline?>>
<< Non lo sono mai stato, è dall'altra parte della città, sei tu quella che voleva andarci, ricordi?>>

La ragazza lo liberò dalla stretta in cui lo teneva e lo allontanò maldestramente.
<< E allora lasciami andare da sola!>>
Gli urlò in faccia prima di procedere un po' barcollando.
<< Ehi Clare, aspetta!>>
Tobias fece uno scatto e la prese per il braccio, quando lei si voltò era in lacrime.
<< Che c'é? Non sono già stata umiliata abbastanza questa sera? Perché non mi lasci andare e basta e corri tu da lui?>>
Alla fine erano arrivati al nocciolo della questione. Le sue parole lo fecero rabbrividire. La abbracciò nonostante lei si dimenasse vigorosamente, la abbracciò con forza immobilizzandola a sé. Quando parlò la sua voce era poco più che un sussurro e aveva tutto il controllo che mancava a Clare.
<< Come puoi pensare una cosa del genere? Pensi che tutto questo sia successo per causa mia? Io alla festa non ci volevo nemmeno venire, e sai che Mark non lo sopporto. >>
Allentò la presa. Clare aveva smesso di lottare ma si rifiutava di alzare lo sguardo.
<< Eppure... Eppure non ti sei tirato indietro. Non ti sei tirato indietro quando ha cercato di baciarti.>>
La parole sembrarono uscire controvoglia dalla bocca della ragazza e sembrava essersene accorta anche lei. Alzò lo sguardo verso Tobias e lo guardò implorante, quasi come se volesse una conferma che quanto avesse detto non fosse vero, che fosse stato tutto frutto della sua immaginazione. Tobias sentì il terreno mancare sotto i suoi piedi e un macigno bloccargli lo stomaco, dopotutto capiva esattamente come si sentiva Clare, era come si era sentito lui per tutta la serata.
<< No, non l'ho fatto.>>
Per la prima volta sembrava turbato, confuso e in colpa.
<< Mi dispiace, Clare.>>
Ci fu un attimo di silenzio, probabilmente lei aveva capito cosa passasse per la mente dell'amico. Chiuse gli occhi e lentamente avvicinò il viso a quello di Tobias e lo baciò. Per un attimo l'eternità sembrò concentrarsi in quel secondo e, quando il freddo pungente riportò il tempo al suo normale fluire, Tobias sentì come risvegliarsi da un lungo sonno. Poggiò delicatamente le mani sulle spalle della ragazza e la allontanò da sé.
<< Clare, n
on siamo più ragazzini.>>
Lei lo guardò per un istante, nel quale sembrò ritrovare la lucidità, e poi corse via. Questa volta non ci fu nessuno a rincorrerla

Un'ora più tardi Tobias era ancora fuori casa, seduto davanti ad un bicchiere di whisky che non aveva il coraggio di bere. Aveva spento il telefono, non voleva essere rintracciato da nessuno. La sua mente vagava ancora tra i ricordi di quella sera che si intrecciavano vorticosamente nella sua testa. Mark, Clare, Clare e Mark, lui e Mark, lui e Clare. Per quanto ci rimuginasse sopra non riusciva a mettere ordine nelle cose, non riusciva a capire cosa provasse e cosa l'avesse spinto a ferire Clare per ben due volte quella notte. Erano forse sensi di colpa quelli che sembravano voler spingere fuori tutto quello che aveva mangiato quella sera? Indubbiamente sì, si sentiva in colpa, si sentiva terribilmente in colpa anche se non aveva mentito a Clare, lui detestava Mark. Era di nuovo caduto nella trappola della sua incapacità di misurare le conseguenze delle sue azioni e ora, quello che poche ore fa gli sembrava facile, era diventato un enorme macigno da trasportare. Desiderò ardentemente di potersene semplicemente fregare ma il pensiero di non rivedere più l'amica lo faceva star peggio.
Sentendo la voce del barista che gli chiedeva se stesse bene decise che forse sarebbe stato meglio riprendere a camminare. Lasciò un banconota accanto al bicchiere ancora pieno e se ne andò. Camminò a lungo, tanto da perdere la cognizione del tempo, tanto da perdersi in strade a lui sconosciute e deserte. Era arrivato sotto la pozza di luce di un lampione che stava proprio ad un incrocio quando sentì il rumore di passi. Voltandosi vide una donna vestita con un lungo abito che si trascinava per terra ed un mantello venire verso di lui, dietro di lei un uomo dall'aria poco rassicurante seguiva i suoi passi. Per un attimo rimase fermo guardando la donna, aveva la vaga sensazione di averla già vista ma la scarsa illuminazione non gli permetteva di fare mente locale. Poi, quando fu a pochi passi da lui gli parve di riconoscere quel volto, nonostante fosse macchiato dal trucco colato.

<< Roth?>>
L'uomo che viaggiava in quella direzione sembrava aver rallentato il proprio passo al che Tobias pensò fosse una buona idea insistere.
<< Roth, sei proprio tu?>>

Grazie, non avrei potuto desiderare un benvenuto migliore :flower:
 
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Astaroth Morgenstern
view post Posted on 21/10/2017, 13:45




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‹‹Roth?›› Una voce maschile, che sembrava provenire da qualche parte nei meandri della sua memoria, le fece rallentare il passo e anche la mano allentò un poco la presa sulla bacchetta. Contrariamente ai propri propositi, Astaroth si voltò, quasi involontariamente, verso la direzione da cui le era parso provenire il richiamo. Alle sue spalle, due figure maschili: la prima, il suo inseguitore, che ora stava attraversando la strada deserta per proseguire verso la propria meta sul marciapiede opposto; la seconda, ferma nella pozza di luce di un lampione, la stava guardando. Cercò di ripescare quel volto tra centinaia, e nel farlo non si accorse di aver mosso qualche passo nella direzione dell’uomo. Molto lentamente, mentre la sua mente continuava a rovistare nel chaos alla ricerca di un ricordo che sapeva essere lì, ma che faticava a trovare, Astaroth aveva continuato ad avvicinarsi, e ora stava fronteggiando lo sconosciuto.
‹‹Tobias?›› Il suo corpo reagì prima che la sua mente riuscisse nel proprio intento, e quel nome le sfuggì dalle labbra in un sussurro. In quel preciso istante, la sua memoria esultò, e sollevò tra le mani trionfanti un ricordo.

Stava rientrando al Castello, cercando di non farsi cogliere in flagrante dai Capiscuola o da qualche Docente; aveva scoperto un modo per sgattaiolare fuori dal Castello qualche anno prima, e, pur non essendo mai stata scoperta, temeva che la sorte volesse punirla proprio quella sera. D’altronde, le umiliazioni tendono a capitare tutte insieme, a grappolo, ed era questo quello che cercava disperatamente di evitare: quella notte non avrebbe potuto reggere un altro affronto. Sentiva ancora la traccia salata delle lacrime sulle guance pallide, e la testa leggera a causa dei singhiozzi che le avevano percosso il petto, svuotandola di ogni energia.
Stava percorrendo un sentiero poco battuto, di cui solo un modesto manipolo di studenti era a conoscenza; nella notte, solo il rumore dei propri passi e il bubolare di qualche gufo interrompevano il silenzio spettrale. La luna splendida illuminava come un secondo sole notturno il giardino del Castello; la sua luce veniva catturata dalle stille di rugiada aderenti agli steli d’erba e veniva da esse riflessa, dando ad Astaroth l’impressione di stare camminando circondata da tanti piccoli diamanti.
D’un tratto – stava risalendo un pendio un po’ aspro e la sagoma del Castello, imponente, iniziava a manifestarsi in tutta la sua magnificenza – si arrestò. Le sembrava che il cuore fosse sceso ad altezza dello stomaco e rimase paralizzata dal timore: una sagoma si stava avvicinando. Era impossibile che lo sconosciuto non l’avesse vista, dal momento che la luce della luna quella sera gettava un manto argenteo tutt’attorno. La sagoma si arrestò a sua volta, vedendola.
A quel punto, rassegnata, decise che non aveva più senso tentare di scappare: era già stata scoperta, tanto valeva non perdere l’ultimo briciolo di dignità che le era rimasto tentando una fuga vergognosa. A testa alta, riprese a camminare, preparando mentalmente un discorso insieme apologetico e sdegnato: era ormai maggiorenne, non certo più una studentella del primo anno, quindi avrebbe dovuto aver la possibilità di muoversi fuori e dentro dal Castello a piacere. Ripetendo questo mantra, procedeva spedita e sempre più sicura di sé, continuando a ravvivare le braci del fuoco del proprio orgoglio.


L’uomo che le stava di fronte non era più il sedicenne conosciuto ad Hogwarts, ma ne conservava gli occhi profondi e le folte sopracciglia espressive. Astaroth non poté esimersi dal prendere nota dell’avvenenza di Tobias: lo scorrere del tempo aveva scolpito i suoi tratti virili, cancellando qualsiasi traccia della dolcezza adolescenziale per lasciare posto a zigomi alti, mascella squadrata e naso dritto; lo sguardo le scivolò inconsapevolmente sulle labbra dell’uomo, per un solo istante. Fu allora che la vanità entrò in gioco, facendole rimpiangere la trascuratezza del proprio aspetto. Se fosse stata più giovane, le guance si sarebbero imporporate per la vergogna; ma ormai era una donna matura, consapevole del proprio fascino, e non erano sufficienti un po’ di trucco sbavato o i capelli fuori posto per farle dubitare della sua stessa venustà. Lentamente, abbassò il cappuccio – la bacchetta ancora stretta in mano – e sorrise.
«Mi dispiace solo che ci incontriamo sempre quando non sono all’apice del mio splendore» disse, richiamando alla memoria il loro primo incontro. Si chiese se Tobias ricordasse quell’episodio con la stessa chiarezza e tenerezza – per lei inusitata – con cui Astaroth l’aveva conservato nella memoria. Alzò gli occhi al cielo e accennò una risata, a sottolineare il tono ironico delle proprie parole. «Immagino che certe cose non cambino mai».

 
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Venus-as.a"Boy
view post Posted on 23/10/2017, 23:50




Il suo cappuccio si abbassò e a quel punto non ci furono più dubbi su chi fosse quella donna. Astaroth, quale strano scherzo del destino decise di farti incontrare con Tobias proprio quella notte, quella notte così dannatamente simile vostro primo incontro. Si potrebbe dire che i sensi di colpa guidavano i passi confusi di Tobias verso la donna in lacrime, come se il destino volesse dargli uno spiraglio di luce per guidarlo fuori dall'oscurità nella quale altrimenti si dirigerebbe. Un pensiero egoista, troppo per Tobias. Forse alcune persone tendono inconsciamente a cercarsi nel momento del bisogno, a cercare qualcuno a cui poter affidare il proprio male interiore senza doverne avere cruccio. Gli aloni che macchiavano gli occhi della maga nascondevano sicuramente un dolore che Tobias non poteva immaginare, eppure non sentì in pena per Roth, non questa volta. Nessuna traccia di vergogna si dipingeva sul suo volto e per Tobias questo non poteva dire che non se ne sentiva ancora sconfitta. Sentire la sua voce pronunciare il suo nome spalancò una porta sul suo passato, in particolare in una notte di otto anni prima.

Un urlo ruppe il silenzio nella sala comune di Tassorosso, poi il rumore di qualcosa che si schiantava contro la parete e alla fine di nuovo il silenzio. Quando qualche istante dopo i prefetti scesero a controllare cosa fosse successo la stanza era vuota. Tra i corridoi del castello intanto si aggirava un giovane ragazzo, accompagnato da una presenza a lui tanto sconosciuta quanto sgradita: la rabbia. Aveva il passo veloce e il respiro pesante, il suo cuore batteva così forte che era sicuro che se si fosse fermato il rumore si sarebbe sentito rimbombare per i corridoi. Con l'ultimo briciolo di lucidità che gli rimaneva decise di uscire dal castello attraverso un passaggio segreto che conosceva grazie ad un amico Serpeverde. Il castello, per quanto potesse essere un posto rassicurante, non sarebbe riuscito a calmarlo quella notte e vagare per i corridoi non era sicuro. Mentre camminava attraverso lo stretto e umido corridoio che l'avrebbe portato all'aperto iniziò pian piano a sentire la rabbia abbandonare il suo corpo. Più il freddo dell'aria notturna entrava nei suoi polmoni più sentiva che si stava dirigendo nella direzione giusta. Tobias aveva deciso di stare fuori tutta la notte, a vagare senza una meta, ingenuamente credeva che facendosi del male avrebbe espiato le sue colpe lasciandosi alle spalle quell'opprimente senso di colpa. Uscito infine dalla galleria si ritrovò davanti ad una di quelle che probabilmente era una delle notti più belle che avesse mai visto. Il tempo sembrava essersi congelato, non un filo di vento né una nuvola in cielo, niente osava disturbare la stasi che aveva avvolto il castello. La luna risplendeva nel cielo gettando il suo candido velo spettrale su ogni cosa, ed era bello, era magnifico. Tobias non poté non buttarsi a terra e assaporare la bellezza di questo paesaggio. D'un tratto si sentì piccolo e insignificante, perso nel mezzo dell'universo. Quanto erano banali i problemi che lo avevano spinto la fuori, ora se ne rendeva conto eppure questi non l'avrebbero abbandonato così facilmente. Quando il freddo fu troppo da sopportare si alzò e decise di camminare. Imboccò un sentiero così poco battuto che a malapena si riconosceva. Alzarsi l'aveva fatto perdere quel senso di pace che era riuscito a raggiungere stando sdraiato e i suoi pensieri si fecero offuscati e torbidi, come un televisore mal sintonizzato. Era così impegnato a scacciare ogni brutto pensiero che gli passava per la testa che quasi non si accorse di star andando incontro ad una persona. Non ebbe tempo di elaborare la situazione che era già troppo vicino per sperare di non essere stato visto. Rallentò il passo fino a fermarsi e riuscì a riconoscere una ragazza in quella figura. Ora, a distanza di anni, si chiede come mai quella sera non abbia trovato strano il fatto che la ragazza fosse in giro la notte, come mai non si chiese quali motivazioni avesse e, soprattutto, come mai interagire con la ragazza gli sembrò la cosa migliore da fare. Forse uscendo da castello si era lasciato veramente dietro tutto, era veramente entrato in un mondo nel quale niente di quello che avrebbe fatto avrebbe influito sul mondo che si celava dietro le mura del castello.
<< Ciao.>> A malincuore sentì quanto triste suonò il suo saluto. << Scusami, non volevo disturbarti, solo che non me la sento di dormire questa notte.>>

Questa volta Tobias non si scusò per la sua presenza. Come la prima volta però fu contento di non trovarsi più da solo. Vide Roth abbassarsi il cappuccio e mostrarsi pienamente. Il tempo era stato generoso con lei, la sua bellezza era indubbia e di certo non veniva intaccata da un po' di trucco sbavato. La sua autoironia riuscì a strappargli un sorriso spontaneo.
<< Ma come, tu sei sempre splendente.>> Disse scherzosamente ricordandosi come effettivamente sembrasse risplendere sotto il chiaro di luna la prima volta che la vide. << No, magari non siamo fatti per vederci senza che io abbia combinato qualche casino e tu non abbia passato una brutta serata.>> La guardò intensamente, era passato tanto tempo che non gli sembrava vero di star veramente parlando con la vecchia compagna di scuola. << Stavi andando di fretta? Fatti accompagnare, non è bello andare in giro da soli a quest'ora.>> Si avvicinò a Roth e si fece più serio. << Come stai?>>
 
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Astaroth Morgenstern
view post Posted on 31/10/2017, 21:52




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Il suo passo si arrestò quando si accorse che a venirle incontro non era un Prefetto, bensì uno studente. Era abbastanza certa che non fosse dell’ultimo anno, e ancor più sicura di non averlo visto nella Sala Comune dei Serpeverde. Astaroth non aveva mai prestato molta attenzione ai coetanei, a meno che non fossero particolarmente attraenti o interessanti, né tantomeno ai colleghi più giovani.
Era solita frequentare ragazzi più grandi; uno di questi aveva osato umiliarla quella notte, rifilandole una scusa per interrompere la relazione clandestina che stavano portando avanti ormai da qualche mese. Dopo essere scappata, piangendo per la rabbia, aveva iniziato a considerare le diverse possibilità di vendetta; in pole position, dopo aver a malincuore scartato l’impiego di oggetti maledetti e fratture imbarazzanti, attualmente svettava la stesura di una lettera anonima destinata alla novella moglie del giovane rampollo. Pur non avendo abbandonato l’idea della vendetta, dopo qualche minuto alla furia devastatrice era subentrato uno strano senso di oppressione a livello del petto; prima di rendersene conto, aveva ripreso a piangere: l’imputò, ancora una volta, all'umiliazione che le era stata inflitta.
Quando il ragazzo parlò, il suo tono di voce la mise a disagio. Sembrava triste, ed Astaroth cercava a tutti i costi di avere a che fare solo con quanto fosse leggero, frivolo, effimero; scherzi, giochi, amori, amicizie superficiali e piaceri raffinati riempivano le sue giornate. Le uniche lacrime che versava erano rapide piogge primaverili dovute a scaramucce di poco conto con le amiche gelose, ai rimproveri paterni, o a capricci non soddisfatti; non aveva mai neppure pianto a causa di un uomo, prima di quella sera: di solito era lei a spezzare i cuori delle sue vittime.
«Nessun disturbo» rispose lei, dopo essersi schiarita la gola. «Temevo fossi Gazza, tutto qui» spiegò, mentre con una mano lisciava una piega immaginaria sul mantello scuro.
D’un tratto, la luna fu oscurata da una nuvola e scese il buio.




Astaroth porse il braccio a Tobias, accogliendo implicitamente il suo invito di scortarla a casa. «Abito proprio qui vicino» gli disse sovrappensiero, con le sopracciglia aggrottate in un cipiglio assorto.
La serata che aveva appena trascorso era stata tra le più estenuanti che avesse mai vissuto: il macigno della rivelazione che si era dispiegata di fronte ai suoi occhi non voleva abbandonare il suo petto. Un brivido di freddo la percorse e si avvicinò inconsapevolmente a Tobias, come per sottrarre al corpo dell’uomo un po’ di calore a beneficio delle proprie membra intirizzite dal freddo e doloranti. Sospirò, indecisa se rispondere o meno alla domanda che le era stata posta; la serietà del tono di parole di Tobias – la voce che si era fatta più bassa e più calda – la trafisse come un pugnale, inaspettata. Guadagnò un po’ di tempo scoppiando in una risata che non contagiò lo sguardo fisso sul marciapiede. Lo scroscio di risa non fu sufficiente a riscuoterla e neppure a permetterle di pensare ad una risposta che la soddisfacesse. Inspirò profondamente e si morse il labbro inferiore, nella speranza che il dolore la riscuotesse.
«Mio caro, come vuoi che stia?» Il tono della domanda retorica, ironico nelle intenzioni, nei fatti riuscì di un’amarezza che le fece trattenere il respiro. Non le piaceva aprirsi con le persone: pronunciare a voce alta certi pensieri li rendeva reali e indelebili. «Infreddolita, innanzitutto» riprese immediatamente, nella speranza che Tobias non avesse colto la tristezza che aveva lasciato trasparire. «Inoltre, non vedo l’ora di arrivare a casa per buttare via queste scarpe» aggiunse, sbuffando e lasciando che una fitta di dolore le arricciasse il naso e le sollevasse un angolo della bocca in una smorfia inelegante. Eppure, nonostante questo, si rese conto che ora l’idea di tornare a casa non era più così allettante come prima; aggrottò la fronte, cercando di capire cosa fosse quella sensazione di fastidio alla bocca dello stomaco. Oh, pensò, distendendo la pelle del volto, le sopracciglia sollevate in un’espressione perplessa; non desiderava rimanere sola. Sospirò per l’ennesima volta quella sera. Prima che potesse impedirselo, una domanda le sfuggì dalle labbra: «E tu? Cosa hai combinato questa sera?»
Sentire il suono della voce di qualcuno che non fosse lei stessa le trasmise una sensazione di appagamento; finché Tobias avesse parlato, lei avrebbe potuto interrompere il filo dei propri pensieri per concentrarsi su altro. Per un istante le ricomparve nel ricordo il volto di Alec, e i momenti di dolce intimità che avevano condiviso prima della tragedia; nei suoi gesti e nel suo tocco non c’era stato nulla di spiccatamente sensuale, solo gentilezza e premura. Solo a ripensarci, un tepore piacevole le si diffuse nel petto e Astaroth sorrise, stringendosi più forte nel mantello.


 
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