Lo strascico dell’abito sembrava tirarla indietro, rendendole difficile proseguire. Non era ancora abbastanza sobria da osare tentare una Smaterializzazione fino a casa, perciò aveva deciso di procedere a piedi dal Paiolo Magico, dove era arrivata con la Metropolvere, fino al proprio appartamento, che non era molto distante dalla Londra Magica. I piedi le dolevano: quelle scarpe non erano decisamente fatte per camminare, e lei aveva percorso più di qualche chilometro vagando senza meta per le strade di Berlino. Ogni passo era come camminare sui sassi a piedi scalzi, non vedeva l’ora di mettere piede nel proprio appartamento, chiudersi la porta alle spalle, togliersi quell’abito, bruciarlo, e andare a dormire. Si coprì la bocca perché non riuscì a trattenere uno sbadiglio.
Forse l’abito avrebbe potuto bruciarlo la mattina seguente. O, per meglio dire, al risveglio, dal momento che la Mezzanotte era ben più che passata, e non sarebbero mancate molte ore all’alba. Si strinse nel mantello di velluto borgogna per scaldarsi: la mancanza di sonno, la scomparsa dell’effetto anestetico dell’alcool e l’aria fredda della Londra ormai novembrina le provocarono un brivido di freddo. Le guance erano rosse per il freddo e per la foga con cui le aveva strofinate per asciugarsi le lacrime; sulle mani intirizzite recava ancora le tracce del trucco nero che il pianto aveva sciolto. Non aveva uno specchio a disposizione, e in quel momento se ne rallegrò; avrebbe evitato di specchiarsi finché non avesse avuto la possibilità di lavare via i ricordi di quella serata con un bagno bollente.
Il pensiero delle proprie coperte calde e accoglienti le fece accelerare il passo per qualche metro, ma i suoi piedi protestarono per l’eccessivo sforzo che la sua fretta richiedeva loro, perciò rinunciò; nel rallentare bruscamente, per poco non inciampò nel bordo del proprio abito. Allora decise di sollevare l’ampia gonna abbastanza da evitare di finire a terra e coronare così quella nottata terribile con l’umiliazione finale. Afferrò quanto più tessuto riuscì attraverso il mantello e sollevò il bordo dell’abito di una ventina di centimetri; le sue caviglie, ora espose, furono investite da una folata di vento gelido, che si propagò risalendo lungo le sue gambe nude. Sospirò rassegnata e riprese a camminare: doveva resistere un’altra ventina di minuti, con quel passo. Sperò che muovendosi il freddo diminuisse, ma le bastò muovere un paio di passi per accorgersi dell’errore: a causa dei brividi di freddo i muscoli si contrassero, mandando delle fitte di dolore ai piedi e facendole sfuggire un gemito.
Era come se il suo corpo avesse deciso di punirla per la sua stessa stupidità. Rassegnata, accettò la punizione: un passo dopo l’altro, procedette sul marciapiede di cemento che credeva deserto. Era circondata da edifici non più alti di quattro o cinque piani, di mattoni scuri, ciascuno con un piccolo giardino recintato; le case erano tutte addossate l’una all’altra, in un abbraccio claustrofobico. L’unico rumore che giungesse alle sue orecchie era quello delle foglie secche che rotolavano sospinte dal vento, e quello dello strascico di pizzo chiaro che ancora toccava terra. Sul bordo del marciapiede erano parcheggiate le macchine degli abitanti del quartiere; di tanto in tanto Astaroth si fermava per riposarsi e si appoggiava alla carrozzeria di un’automobile; poi si rese conto che ogni volta che ripartiva, il dolore era sempre più difficile da tollerare, perciò si ripromise di non cedere più alla tentazione di fare una pausa.
Svoltò a sinistra, su una strada altrettanto deserta e illuminata unicamente dalla luce dei lampioni; poco più avanti Astaroth sapeva che c’era un parco dal proprio lato della strada. Magari avrebbe trovato una panchina? No. Non poteva fermarsi: se si fosse seduta, non sarebbe più riuscita ad alzarsi, e non desiderava trascorrere il resto della notte su una panchina all’aperto, alla mercé di qualche Babbano malintenzionato.
Certo, aveva la propria bacchetta con sé, ma non si fidava abbastanza della propria lucidità da tentare alcun incantesimo. La testa aveva smesso di girare, ma le doleva non poco, e le mani le tremavano per il freddo.
Aggrottò la fronte quando le parve di sentire alcune voci; probabilmente c’era qualcuno nel parco che stava per costeggiare. Un’improvvisa ansia la pervase, e si arrestò, paralizzata, senza nemmeno sapere bene perché. Scacciò quel presentimento e procedette, senza guardarsi attorno, sforzandosi di ignorare il dolore ai piedi che protestavano ancora una volta per la celerità. Il cappuccio del mantello le copriva il viso e ostacolava la sua visione periferica; mantenne lo sguardo basso a terra finché non si fu lasciata il parco alle spalle, cercando di concentrarsi sull’obiettivo finale: raggiungere il proprio comodo appartamento. Perciò non badò alle domande, alle provocazioni, ai commenti e alle risate di scherno delle voci, e procedette a passo – per quanto possibile – sicuro.
In lontananza riusciva quasi a scorgere l’incrocio dove avrebbe dovuto svoltare a sinistra e camminare per un centinaio di metri prima di arrivare finalmente a casa; fu a quel punto che si accorse del rumore di passi alle proprie spalle. Cercò di aguzzare l’orecchio, ma non riusciva a distinguere il numero delle persone che la stavano seguendo; temeva che se si fosse voltata non avrebbe più avuto la possibilità di tornare indietro e a quel punto avrebbe dovuto fare qualcosa.
Liberò la mano destra dal peso dell'abito che stava ancora tenendo sollevato per infilarla sotto al mantello ed andare in cerca della bacchetta, nella pochette al suo fianco; le dita avevano perso sensibilità tant'erano intirizzite e Astaroth stava avendo qualche difficoltà ad aprire la borsetta. In quel momento non stava pensando alle conseguenze, o alle regole per la Segretezza Magica; qualsiasi preoccupazione veniva silenziata dal battito del suo cuore. Finalmente riuscì ad aprire la pochette e strinse le dita attorno alla propria bacchetta.
Benvenuto sul forum, Toby Edit: avevo scritto ripromesse per ripromise
Edited by Astaroth Morgenstern - 19/10/2017, 19:07