Autumn Dream

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view post Posted on 27/10/2017, 14:00
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Scegliere di vivere a Notting Hill era stata la scelta più azzeccata dell’ingarbugliata vita di Tessa O’Brien. Il quartiere di Londra che più amava, quello che più la faceva sentire vicini al concetto di casa. Le sue abitazioni colorate, i negozi, il mercato, erano un tripudio di colori che avrebbero messo di buon umore anche il più disperato degli uomini. Era un posto più che vivibile considerata al sua vicinanza al centro della City. Un luogo nel quale trovare tutto ciò che serviva ma, soprattutto, un luogo dove poter ritrovare se stessi.

Era una mattina d’autunno leggermente nuvolosa e ventosa. Tipica della stagione autunnale. Il parco di Ladbroke, con i suoi colori resi accesi dalla stagione più bella dell’anno, invitavano ad un passeggiata e Tessa cedette più che volentieri all’invito. Smessi i severi abiti da lavoro la giovane donna, in scarpe da ginnastica e tuta sportiva, percorreva lentamente i vialetti di quello che poteva benissimo essere vissuto come un sogno. Poca gente in giro, silenzio, e…colori. Tanti colori da osservare, immagazzinare e conservare dentro di lei. Il vento, dispettoso, sollevava le foglie secche cadute dagli alberi. Le risucchiava in piccoli mulinelli facendole ricadere a terra. Tessa era incantata da tanta bellezza e, dopo aver percorso un buon tratto di strada si sedette su uno dei grandi sassi che delimitavano il laghetto posto al centro del parco. Il silenzio invitava all’osservazione e alla meditazione. Con i gomiti appoggiati alle ginocchia Tessa si guardava intorno fissando il tutto ed il nulla quando, l’ennesima ventata, portò accanto al masso su cui era seduta qualcosa che attrasse la sua attenzione. Non ebbe nemmeno bisogno di alzarsi. L’oggetto, di forma quadrata e di color avorio, si era infilato alla base del masso sul quale era seduta. L’istinto di raccoglierlo fu immediato. Il braccio destro si distese e le dita raggiunsero quella che si rivelò essere una busta. Tessa sollevò la mano, la seguì con sguardo fino a quando non ebbe davanti a se la chiara visione di una lettera di medie dimensioni.

Un’oggetto comune. La busta non aveva nulla d insolito tranne il modo col quale era arrivato fino a lei. Per te. Al centro, la busta, recava questa dicitura scritta verosimilmente con una stilografica. Girando la lettera Tessa non trovò indicazione di mittente. Una busta anonima e…chiusa. Palpando con le dita Tessa avvertì che all’interno c’era qualcosa. Lo spessore, leggermente rigonfio, faceva capire che al suo interno era contenuto un foglio, forse più di uno. Chi mai poteva scrivere una lettera senza indicarne l’esatto destinatario, senza inviarla, senza qualificarsi? La curiosità di aprirla era tanta ma Tessa, stranamente, rigirava fra le mani quell’oggetto senza decidersi ad aprirla. Si guardò attorno per accertarsi che non ci fosse qualcuno in vena di scherzare ma non notò nessuno. Nei paraggi non c’era anima viva. Non poteva essere per lei, nessuno sapeva che sarebbe giunta in quel luogo in quel momento. Nemmeno lei.
Lettera. Che termine improprio.
Poteva definirsi lettera una consonante, una vocale. Quella che teneva fra le mani era molto di più. Quella busta conteneva frasi, forse confidenze, forse sfoghi. Forse un resoconto, un bilancio. Forse annunciava notizie. Un evento. Una confessione. Poteva anche essere portatrice di cattive notizie. La fine di un rapporto, l’annuncio della dipartita di qualcuno. Forse, colui che l’aveva scritta, non aveva avuto il coraggio di inviarla, forse ci aveva ripensato o forse era diventata inutile. Nell’era di internet anche i babbani non usavano più scrivere con carta e penna e comunicavano via messaggi. Modo di interagire discutibile per il sentire di Tessa che non aveva il dono della sinteticità.
La ragazza portò la busta chiusa vicina alle narici e ispirò. Un profumo, appena percettibile, colpì il suo fine olfatto. Una ben nota fragranza maschile di sandalo e muschio emanava dalla carta di ottima qualità. Doveva essere la lettera di un’uomo e la fantasia di Tessa cominciò a cavalcare. Il suo immaginario focalizzò un uomo adulto, i ragazzini difficilmente prendono in mano le penne e molti di loro nemmeno sanno che esistono le stilografiche, un uomo che, in perfetto stile vintage, si metteva alla scrivania e metteva per iscritto il suo sentire.
Si girò di nuovo. Il suo sguardo scrutò attentamente i dintorni senza risultati. Forse era solo suggestione ma le parve di essere osservata. Non aveva diritto di aprire una missiva senza esserne la destinataria ma nulla le proibiva di immaginarne il contenuto e, con quella consapevolezza, lasciò che la sua immaginazione andasse nella direzione che preferiva. Immaginò che quella busta fosse per lei, che fosse stato William a scriverla per lei. Immaginò di forzare, con dita tremanti, il sigillo della busta, riporla al suo fianco dopo averne estratto il contenuto; un foglio finemente vergato e scritto in bella calligrafia. Poteva udire il rumore della carta scricchiolare fra le sue dita e il profumo diventare più inteso. Chiuse gli occhi per inspirarlo. Wiliam usava quel tipo di profumo e lei lo avrebbe riconosciuto fra mille. Deglutì. Sentì gli occhi inumidirsi e una lacrima scese a solcarle la guancia arrivando a lambirle le labbra. Il gusto amaro e salato del pianto la riscosse all’improvviso da quella che sapeva bene essere solo una sua fantasticheria. William se ne era andato e non sarebbe più tornato. Riaprì gli occhi di scatto, strinse i denti e le sue mani si chiusero con volenza sulla delicata carta che si stropicciò scricchiolando fra le sue dita. No. Non sarebbe andata oltre. Non poteva permetterselo, non ancora. Faceva troppo male immaginare ciò che sapeva essere impossibile.
Si alzò e rimise la busta nell’esatto punto in cui l’aveva trovata. La incastrò fra masso e terreno per impedire al vento di farla volare via. Con il dorso della mano asciugò la guancia ancora umida e voltò le spalle al laghetto concentrandosi solo sul rumore dei suoi passi che calpestavano le foglie secche. Alimentare un sogno impossibile era dannoso e doloroso. La realtà cozzava inevitabilmente con il suo sogno. Percorsi alcuni passi si girò un’ultima volta. Voleva salutare, con lo sguardo, il suo sogno che svaniva. Lo sguardo andò a cercare la macchia chiara della busta nell’esatto posto in cui l’aveva lasciata pochi minuti prima ma…nulla. Era sparita. Forse l’aveva solo sognata e forse anche l’impressione di essere osservata era un sogno come un sogno poteva essere l'indistinta figura maschile che le parve di vedere mentre riprendeva il cammino verso casa.
Qualunque cosa fosse, sogno o realtà, quella lettera sarebbe rimasta, nel suo cuore, la lettera di William per Tessa e, per non ricominciare a piangere, sorrise con gratitudine a quel ricordo ancora così vivo dentro lei e si ripromise, tornando a casa, di provare a mettere per iscritto ciò che sentiva. Una lettera. Avrebbe scritto una lettera senza destinatario e senza mittente e l’avrebbe affidata al vento affinchè la facesse giungere al cuore di chi non aveva mai dimenticato.
 
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