| Prima di poggiare i piedi a terra Megan si era girata più volte nel letto, cercando di dare tregua a quell’insonnia che, non le aveva dato modo di chiudere occhio per tutta la notte. Ciò che era accaduto la sera prima ai Tre Manici di Scopa, l’aveva turbata parecchio, rivedere Wolfgang aveva generato una corrente di pensieri che, incessante, si era introdotta nella sua mente senza darle attimi di tregua. Pensava continuamente, i dubbi e le perplessità le mangiavano lo stomaco e poteva sentire quel maledetto sentimento rivoltarle la pancia, senza essere in grado di farlo smettere. Svuotare la mente? Ci aveva provato troppe volte nella notte, eppure, si era ritrovata sempre allo stesso punto; un circolo vizioso a cui doveva, per forza, arrendersi. La luce filtrava attraverso le tende socchiuse della stanza, una luce forte, fredda come il mese che la portava; Megan raccolse tutte le sue forze e si alzò in piedi poggiando i piedi sul freddo lastricato, il quale liberò l’impulso di un brivido che le percorse l’intero corpo. Scostò le tende, non c’era il sole, era una di quelle giornate la cui luce non permetteva di aprire gli occhi a pieno; si portò la mano davanti al viso coprendo parzialmente la visuale che, dopo plurimi tentativi , riuscì a togliere, perdendosi nel panorama mozzafiato di cui non poteva mai fare l’abitudine. Lo sguardo perso in quello scenario venne distolto dal miagolio insistente di Damon che, con prepotenza, grattava la porta in legno scuro –“Cosa c’è piccola peste?!”- Megan lo raggiunse e chinandosi lo accarezzò con dolcezza –“Ti apro, non fare danni in Sala, tanto ora scendo!”- aprì la porta lasciando uscire il manto tigrato per poi tornare a prepararsi; la domenica era sempre un buon giorno: nessuna attività, solo meritato riposo e divertimento. Lo specchio rifletteva una figura stanca, i segni della notte poco consigliera le solcavano il viso ma, nulla che il trucco non potesse nascondere. La pittura sbiadita - che le colorava ancora la pelle - venne rimossa senza alcuna difficoltà, sostituita da un impeccabile make-up leggero mentre il pigiama, venne rimpiazzato da jeans e un maglioncino bianco; i capelli, invece, avevano ancora i residui del biondo, ormai ramato - che creava un gioco di luci e tonalità con il suo castano naturale piacevole alla vista - li pettinò con cura, lasciandoli scorrere lungo la schiena avvolgendoli in una sciarpa bianca, poi riordinò frettolosamente la stanza, prese la borsa e uscì. La sala comune era vuota, non c’era nessuno ad aspettarla, nemmeno Danielle che era solita nel svegliarla per scendere insieme in Sala Grande a fare colazione. Con somma sorpresa ed un pizzico di rammarico, scese i gradini ed afferrò la giacca di pelle che aveva lasciato sopra la poltrona blu davanti al camino, la indossò pronta ad affrontare quella nuova giornata, cercando di distrarsi il più possibile. -“Damon ma cosa diavolo stai facendo si può sapere!”- La grossa palla di pelo era intenta a miagolare forte e a muovere la coda a raffica, accovacciata dietro alla porta principale –“Cosa miagoli così?!”- turbata Megan, si avvicinò alla porta poggiando l’orecchio su di essa ma, non udì alcun rumore, estrasse la bacchetta dalla borsa e con discrezione l’aprì. Una piccola civetta bianca delle nevi sostava dietro l’uscio con in becco una lettera; quando la Corvonero cercò di avvicinarsi, fu Damon più veloce di lei: con la grazia di un gatto di dieci chilogrammi, si avventò contro la piccola bestiola cercando di agguantarla ma, per un soffio, Megan riuscì ad afferrarlo tirandolo a sé –“Ma sei impazzito!”- gridò, chiudendolo all’interno della sala. -“Mi spiace, non è poi così cattivo come sembra...”- si avvicinò al rapace con cautela tendendo la mano, non era sicura di uscirne illesa ma, sembrò non importarle affatto –“...quella è per me?”- domandò, come se la civetta potesse risponderle. Mentre avanzava con prudenza, riuscì a cogliere qualche piuma, caduta a terra forse nell’intento dell’animale di fuggire. Ora si trovava a qualche metro da lei, su una delle finestre della torre, scese i primi gradini e quando fu ad un passo da lei, con il braccio ancora teso, afferrò la lettera che venne ceduta nell’immediato dal pennuto –“Grazie!”- le sorrise con garbo mentre, con la mano libera cercò un contatto: quella graziosa creatura si fece accarezzare e volò via. Quando rivolse lo sguardo verso la lettera si rese conto che era indirizzata a lei, il pensiero fu uno solo: Wolfgang. Lo aveva detto la sera prima: avrebbe mandato Felix? –“Santo cielo, quella era la civetta di Wolfgang!”- sbigottita, portò la mano sulla bocca –“Ma cos’ è una maledizione questa?!”- un ghigno nervoso terminò la frase poi, aprì la busta ed estrasse il foglio.
Megan, Come promesso, ecco la mia lettera. Spero che potrai perdonarmi la poca padronanza epistolare ed accettare di incontrarmi nuovamente. La tua precedente vittima, Wolfgang.
Un sorriso riempì di luce il volto della ragazza che in tutta fretta si precipitò in Guferia, avrebbe incontrato Wolfgang il giorno stesso. [...]
Dopo aver raggiunto il terzo piano, con l’ansia che l’avvolgeva in un abbraccio soffocante, a passi lenti e decisi si diresse verso il Cortile della Torre dell’Orologio, mancava qualche minuto all’appuntamento e da brava ragazza dalla precisione impeccabile non tardò, anzi, decise di arrivare di proposito qualche minuto prima, per poter cercare in quel luogo la giusta dose di tranquillità prima di chissà quale probabile disastro. Il tempo non era cambiato, quella luce abbagliante illuminava il cielo e l’ambiente circostante, rendendolo più affascinante di quanto già non lo fosse. Quella parte, in rovina, del castello – che aveva potuto vedere solo di sfuggita mentre attendeva una delle lezioni di Incantesimi – era una cornice di un quadro suggestivo: un angolo di paradiso, dove liberare i pensieri più angusti e immergersi in una realtà più profonda di sé. La vista ampliava l’aura che si respirava; affacciarsi in quel lato del castello significava godere a pieno di uno scenario che poteva solo lasciare senza fiato: le montagne si elevavano in tutta la loro maestosità e il verde curava la loro immagine, lasciando alle rocce il compito di spezzarne il tono. Megan si avvicinò alla fontana - ormai quasi deteriorata del tutto dal tempo - toccando una delle statue che figuravano un’aquila; con delicatezza ne seguì ogni linea, soffermandosi a pensare a quanto la sua vita fosse cambiata in meglio da quando faceva parte di quella meravigliosa famiglia. Un sorriso dolce accompagnò quel pensiero, continuò ad avanzare, dirigendosi verso uno degli archi che circoscrivevano quel luogo, posò la borsa a terra sedendosi sul muricciolo in pietra con le spalle rivolte verso l’entrata ed il volto verso il cielo bianco. Da lì a poco un rumore alle sue spalle avrebbe richiamato la sua attenzione, tornando a farle sentire il cuore pomparle fino alla gola. Edited by Megan M. Haven - 1/12/2017, 23:00
|