C'era stato un tempo, un incontro tra molti in quel locale, in cui Oliver aveva saputo consigliare al più miscredente dei clienti. Un movimento soltanto delle mani, un contatto singolo e singolare tra le dita e le corde di una chitarra incantata, infine una sensazione nuova e precisa, intangibile, eppure vivida. La magia si era attivata prima ancora che il suonatore potesse accorgersene e quando i suoi capelli erano cresciuti a dismisura, ciocca dopo ciocca, fino a tingersi di un blu elettrico, frizzante, acceso, il cliente si era finalmente dimostrato soddisfatto. Non aveva acquistato quello strumento, non aveva messo mano al portafoglio né aveva ripagato il commesso gentile anche solo con un Galeone di mancia. Ma Oliver non aveva aperto bocca, si era limitato ad un sorriso di circostanza, tra i più classici e stranamente i più sinceri, prima di girarsi ad osservare l'acquirente fasullo abbandonare lo store in cui lavorava. Il taglio stravagante di capelli sarebbe scomparso di lì a breve: senza musica, senza il potere di quei precisi strumenti in vendita da Zufolo, non c'era soluzione che potesse dirsi tale. E la magia aveva sempre un prezzo, anche nel più letterale dei sensi. Non avrebbe saputo spiegare a nessuno, men che meno a se stesso, perché quell'episodio di tempo addietro fosse apparso in quell'istante nella sua memoria. Non era tra le esperienze più felici che aveva provato in prima persona in quel negozio e di certo non avrebbe avuto alcun valore nei confronti di quell'aiuto richiesto. Tuttavia, aveva una somiglianza, una piccola analogia, che attentamente si trasportava al presente in corso: Niahndra aveva appena ammesso di non saper suonare; ciò che la Strega non sapeva, era che viceversa, il Flauto stesso non sapeva come essere suonato. In un connubio di opposti e di retoriche senza fine, quel collegamento fra Musicista e Musica, fra Suonatrice e Strumento, non si sarebbe affatto realizzato in assenza di un trasporto totale, decisivo, personale. Mettersi in gioco non era la soluzione, accettare di farlo lo era per davvero. Abbozzò un sorriso, gentile e paziente, senza aggiungere altro. C'erano manuali su manuali di tecnica, apprendimento, studi musicali, ma ciò che Oliver già aveva compreso, per l'esperienza che vantava da anni tra quelle stesse mura ormai così familiari, era che la Tassorosso non aveva ancora affidato anche solo una minima parte di sé a quel Flauto solitario, tanto prezioso, che stringeva - debolmente, avrebbe pensato - tra le mani. «Provaci, avanti. Siamo da soli.» Non era del tutto vero, già in lontananza dei clienti passavano da una teca all'altra, pronti ad un'analisi accurata, anche solo per trascorrere del tempo immersi in dolci sinfonie; ma nessuno di loro era vicino e un paio di buffi animaletti spettrali, ologrammi chiamati all'occorrenza per prestare il proprio prezioso contributo, attendevano a loro volta senza alcuna fretta. Il suono, il primo tentativo, non fu alla percezione di Oliver dei migliori: non era un esperto conoscitore dell'arte musicale di quegli strumenti in particolare, ma era bravo nel suo lavoro, lo era più di chiunque altri; per la passione, per la determinazione, per l'empatia che comunicava, che captava e che sapeva cogliere in ogni nota e in ogni cliente, era bravo davvero. E non c'era imbarazzo né malcelata modestia, era un dato di fatto che il proprietario di quel negozio, il signor Vinaccia, non mancava di ripetere con un certo orgoglio. Fu allora che Oliver comprese di non poter mentire alla ragazza e la sincerità, mai come in quel momento, sarebbe stata chiave di svolta. Prima ancora che potesse aprire bocca, però, la frase della studentessa lo colse impreparato. Si volse alle spalle, rapido, mentre già la ragione suggeriva la risposta a quel dubbio. «Non ci sono porte qui, c'è solo l'ascensore magico.» Corrucciò la fronte, leggermente confuso, ma non fu più di tanto sconcertato né agitato al riguardo: non in quel locale e non nel suo cuore; come avrebbe potuto, lui che varcava le soglie del tempo di continuo? Si spostò di lato, recuperando un flauto non magico, in legno, da una teca già aperta. Posizionò entrambe le mani attorno lo strumento e strinse con leggerezza, senza risultare debole. «La tecnica non è il problema, Niahndra. Se mi permetti di essere onesto, è il modo in cui ti approcci ad essere sbagliato. Affidati allo strumento, senza forza ma neanche con fragilità. Anche il respiro deve essere più ampio, devi rilasciarne di più, mentre articoli i movimenti delle dita sui vari tasti. Ma per questo c'è tempo con la pratica, il punto principale è l'intensità, quanto sei disposta a concedere, quanto desideri saper suonare, scoprirne il valore.» Mostrò la presa personale sul flauto in legno che aveva preso, senza portarlo alla bocca né suonarlo: aveva un'infarinatura data dall'esperienza del signor Vinaccia, il suo capo, ma non era quello il sistema adatto; non erano chitarre, lo sapeva bene, ma avrebbe fatto di tutto per rendere Niahndra soddisfatta di quell'oggetto speciale. «Non importa saper suonare in principio, importa soltanto volerlo fare. Se riesci, allora le due creature qui vicine riusciranno a sentirlo, a seguirti. Riprova, per favore. Con più decisione, con più intensità.» Indicò la lepre e la marmotta d'argento al suo fianco. Non aveva parlato né con superbia né con critica nella voce, c'era solo gentilezza e cordialità nel suo tono, come da copione. Si spostò di un passo indietro, nella speranza di vedere la ragazza cogliere al volo quell'infinita possibilità.
I don't want to hear all about.
No one never wants to hear all of that.
It feels like
loosing, what you're
trying to keep.