Seguì una serie di sguardi di intesa, alcuni indiscreti, altri più cordiali, prima che entrambi gli uomini si mostrassero d'accordo in modo definitivo; il più grassoccio nonché il più anziano scosse il capo, lasciando la parola all'altro collega; si impegnò ad estrarre dalla tasca del panciotto due grandi biglietti color arancio acceso e li affidò alla Strega vicina, senza sorridere, senza un accenno di saluto; girò sui tacchi e si allontanò, come mai essere apparso quella mattina così soleggiata. Il Mago rimasto abbozzò un'espressione tra divertimento e scusa, allungando una mano verso l'altra e attendendo con gentilezza che la stretta sancisse quella conoscenza. «Bartold Cooper, sarò la il cronista della partita di oggi.» La maglietta della stessa sfumatura arancione dei ticket si piegò maggiormente quando i muscoli delle braccia e del torace guizzarono al di sotto; ma per quanto l'uomo vantasse un discreto fascino, nulla era in confronto al misterioso cenno bizzarro che rapido comparve sul suo volto. Scosse il capo, arricciando le labbra, pregando tacitamente di aver preso un granchio. Non poteva essere vero: aveva conosciuto il signor Morgan tre anni prima e nonostante il Mago fosse piuttosto anziano già a quel tempo, non aveva dato segni di follia, soprattutto non aveva mai fatto promesse vuote. Se la Strega che era appena arrivata non sembrava aver chiara la motivazione della sua presenza in quella zona trafficata di Londra, quel giorno, allora Bartold ne avrebbe viste delle belle. E in senso propriamente negativo. «La prego, Elizabeth, mi dica che stia scherzando.» Un cenno del capo, un impercettibile movimento privo di valore, la testa che si inclinava leggermente sulla sinistra, come se pronta a cascare definitivamente dal collo. Il fiato trattenuto, il cuore a mille nei suoi continui ed incessanti battiti, il cronista si lasciò andare infine ad un sospiro: niente da fare, la malcelata memoria poco funzionante del signor Morgan colpiva ancora a segno con tutte le conseguenze del caso. Bartold indicò alle sue spalle, senza voltarsi, l'indice che già puntava al cielo azzurro di quella domenica mattina: in alto, ancor di più di un attimo prima, nuove figure si aggiungevano a quelle già presenti, tutte in sella a manici di scopa. Da lontano erano macchie indistinte, scure, ombre tuttavia dalle fattezze umane: e ognuno degli interlocutori - Elizabeth, Bartold e la giovane Leah ancora alle prese con il bambino incuriosito - avrebbe potuto fare due più due e comprendere che qualcuno, ormai, fosse in volo. Bartold prese subito parola per rispondere all'ultima misteriosa domanda dell'altra, cercando in breve di chiarire ciò che il signor Morgan, in effetti, avrebbe dovuto fare in principio. «Oggi c'è un derby, una partita amichevole tra le Micce di Chudley - lunga storia, così hanno scelto di chiamarsi in onore dei Cannoni di Chudley - e i Folletti Cornorossi. Sono due squadre sconosciute, piccole e di paese, l'una di Londra e l'altra della Cornovaglia. Abbiamo chiesto al signor Morgan un aiuto e ci aveva avvisati di due Streghe perfette per il compito.» Incrociò lo sguardo di Elizabeth, preoccupato da un'eventuale reazione nervosa. Dopotutto, c'era davvero da perdere la testa in quel momento. «Ciò che non sa, a quanto pare, è che lei e la sua amica siete qui come arbitri della partita.»
Il bambino osservò Leah con malcelata curiosità. Non era ancora convinto di aver sentito bene e senza troppi preamboli, si spinse avanti di pochi e rapidi bassi, stringendo al volo la mano libera della ragazza che gli aveva finalmente dato attenzione. Seguì il suo sguardo verso il cielo e osservò quelle figure lontane, eppure così tangibili, le stesse che sfortunatamente sua madre non riusciva a scorgere in nessun modo. La sola consapevolezza di non sognare, di non essere scambiato per un folle anche da un'altra persona, convinse il piccolo a non darsi per vinto. Strinse maggiormente le dita dell'altra e le sorrise a trentadue denti, felice per davvero per la prima volta. Annuì, mentre la donna alle sue spalle lo portava lontano, mormorando in risposta alla Tassorosso qualcosa che suonava più o meno come "giovani di oggi" e "testa tra le nuvole". Quanto era vero. Ma prima che potesse seguire o intervenire ancora, un fischio potente, forte, rumoroso, in lontananza attirò l'attenzione di tutti i Maghi e le Streghe lì presenti. Bartold chiamò il nome di Leah, ricordandosi dell'identità corretta da Elizabeth pochi attimi prima. «Miss Elliott, dobbiamo andare. La partita sta per cominciare.» E così dicendo, dopo un'ultima occhiata speranzosa nei confronti della donna più adulta - non poteva essere lasciato in difficoltà, non quel giorno né con così breve annuncio -, si diresse tra la folla, fin quando un'enorme invisibile bolla lo avvolse come una protezione magica d'ampia realizzazione. Se Elizabeth e Leah l'avessero seguito, gettandosi a capofitto nella mischia a loro volta, superato un confine quasi intangibile, avrebbero finalmente scoperto la magia di quel luogo. Ovunque, cappelli, abiti e bandiere svolazzanti, dai colori accesi, dagli effetti stravaganti: fumo azzurro e rosso, fumo arancione e giallo, insieme in un tripudio di sfumature che rendeva tutto così speciale. Visitatori di ogni nazionalità e di ogni età, da adulti che stringevano le mani dei loro bambini per correre chissà dove, fino a Streghe che contrattavano con venditori ambulanti d'eccezione per l'ultimo Monocolo Incantato. Ma Leah non avrebbe capito, non subito, se prima Elizabeth non le avesse spiegato cosa stesse succedendo. E ancor più, mentre tra spintoni e a passo rapido si dirigevano avanti, verso l'imponente Occhio di Londra, la Ruota Panoramica, la domanda principale restava in sospeso: prendere o lasciare?
Le mie scuse. Si riparte con più rapidità: prossima scadenza, 26 Maggio.