« we are the blood of the underground, we are a chosen seed so they will come for us, we are the sons of a fallen race. »
H
orus sbadigliò, nascondendo il viso dietro la mano. Thomas continuava a parlare come una macchinetta e ormai, dopo l’ennesima affermazione su quanto Hogsmeade fosse “ingloriosamente banale e noiosa”, il Caposcuola fu tentato di sbottare e ricordargli che era impossibile, ché niente era più noioso di lui. Mentre si tuffava verso il boccale di Burrobirra —ormai agli sgoccioli—, Horus scrutò il volto del concasato. Aveva una faccia paffuta, con un accenno di baffi preadolescenziali sul labbro superiore che provocavano in Horus un vago senso di disgusto. Le sopracciglia erano perennemente incurvate in un buffo cipiglio a metà fra il severo e l’annoiato: quello era l’unico tratto caratteristico del
banale e noioso Thomas Mudford. Nel sentirlo lamentarsi di come i tipici negozi del paesino fossero eccessivamente troppo questo o troppo poco quello, Horus si chiese come potesse un dodicenne essere così petulante. Prevedeva un terribile futuro per lui, decretò sorbendo l’ultimo sorso dell’amata bevanda.
« Va bene, sì, ho capito. Hogsmeade non ti è piaciuta. » Commentò con tono conciliante, facendo tintinnare il boccale sul piano del tavolo annunciando, così, l’ora di andare. Evidentemente, però, Thomas non colse l’allusione e si sperticò in quello che sembrava un lungo monologo su quanto in realtà non sapeva dire o meno cosa ne pensasse del villaggio perché…
*
Oh, Dei, vi prego, uccidetemi ora.*
Trattenendo un gemito, Horus si accasciò sul bancone, coprendosi la testa con le braccia. Attutita dagli indumenti, la voce di Thomas continuava a penetrargli nelle orecchie ed il Caposcuola maledì con tutto se stesso il momento in cui aveva accettato di accompagnare il ragazzino fin lì. Aveva pensato fosse una buona idea svagarsi un po’, bersi una Burrobirra, fare un salto da Bibliomagic e magari tornare laddove aveva incontrato il gheppio, anni prima. Ma no, a causa dell’arroganza e della logorrea di quel marmocchio alto un metro e un Nargillo, l’unica cosa che era riuscito a fare era scolarsi un paio di Burrobirre per disperazione e non di certo per piacere.
*
Mi ci sarebbe voluto del whisky incendiario, altroché.*
Stava ponderando di trovare una scusa qualsiasi per riportarlo a Scuola (anche a calci, se fosse stato necessario), quando si sentì improvvisamente strattonare. Sorpreso, di scatto alzò il busto nel momento in cui una ragazza mingherlina si appiattiva accanto a lui per far passare una mandria di ragazzotti del terzo anno. Lì per lì non vi badò, consapevole che il sabato pomeriggio Hogsmeade fosse decisamente affollata, ma quando si sentì tirare l’angolo della giacca di pelle, Horus si voltò bruscamente verso di lei. La sconosciuta era riuscita a svicolare la studentesca in gita ed aveva già raggiunto la porta quando il Tassorosso notò, con orrore, un familiare filo che penzolava dal cappotto di lei. Nel panico, balzò in piedi, tastandosi le tasche e scoprendo con spavento che nella piccola colluttazione, il suo lettore musicale era rimasto impigliato nelle vesti della sconosciuta e che quelli che ondeggiavano a penzoloni dagli abiti di lei erano i suoi auricolari.
« Ehi tu! Ehi aspetta! » Provò a chiamarla, concitato, ma lei, afferrato il pomello della porta, sparì oltre l’uscio.
Horus imprecò, ritrovandosi in quell’istante indeciso sul da farsi. Il pi-pod, come soleva chiamarlo, era un oggetto di fattura Babbana che aveva trovato casualmente ad Hyde Park, un pomeriggio. Aveva impiegato diverse settimane per capirne il funzionamento ed alla fine, coinvolgendo l’editore di sua madre che se ne intendeva decisamente più di lui (essendo un Nato Babbano), aveva capito come utilizzarlo. Ad Hogwarts, ovviamente, non funzionava, ma ogni volta che Horus usciva dalla Scuola lo portava con sé e l’unica cosa che lo aveva salvato dal suicidio, quel pomeriggio, era un auricolare ficcato nell’orecchio e musica sparata a tutto volume per non sentire quella piattola di Thomas. Come avrebbe fatto senza? No, era troppo prezioso, non poteva lasciarla andare.
« Mudford! Chiudi la bocca e torna immediatamente al Castello. Se entro dieci minuti non sei lì e scopro che sei rimasto a bighellonare, prega tutto quello che ti pare che io non ti acchiappi o ti ammazzo con le mie mani. » Ringhiò in fretta e furia, puntando minaccioso il dito contro il Tassino che, perplesso, lo guardava stralunato ed inquietato per quell’improvviso cambio d’umore. Horus non lo vide annuire poiché, ancor prima di finire la frase, si era lanciato all’inseguimento della ragazza. Si gettò letteralmente sulla porta del locale, da cui uscì di corsa, rischiando di travolgere un baldo vecchietto che, tremolante, poggiava il suo manico di scopa vicino l’entrata. Gli occhi di Horus, rapidi, scorsero la folla alla ricerca del berretto blu, l’unico segno distintivo della ragazza. Il suo cuore si gelò un istante nel petto quando Horus la vide prendere il volo, pochi metri più avanti.
« Ma porco… » In fretta, si guardò intorno e individuò nella scopa del vecchiardo l’unico mezzo a disposizione per raggiungerla. Vi si fiondò di malagrazia, afferrando il manico e balzando in sella con agilità.
« Glielo riporto lo giuro! » Gridò al poveretto.
« Il mio bolide! » Replicò lui attonito, agitando le braccia in aria inutilmente, giacché Horus s’era già dato una spinta con i piedi ed era decollato.
Nell’urgenza di quel recupero, il Tassorosso non si era nemmeno premurato di controllare il modello della scopa. E gli ci sarebbe voluto qualche secondo per comprenderlo, ma in quel momento l’unica cosa che riuscì a fare fu schiacciarsi sul manico e urlare, con una mano a coppa davanti la bocca:
« Ooooh! Berretto Blu! Fermati! »