Cercando la pace dove non esiste

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view post Posted on 4/4/2018, 22:19
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Non capitava spesso di usare i cappucci e gli incantesimi trasfigurativi, ma quando il tuo volto compariva sulle pagine dei giornali, era inevitabile. La guerra richiedeva sacrifici e la propria identità, prima o poi, sarebbe stata sacrificata, esattamente come la propria anima e la propria vita. In quei precisi frangenti, però, quando il vento soffiava contro il cappuccio nell'ombra del quale era ben nascosto il volto del ricercato. Nessuno lo avrebbe visto lì, notandone le fattezze, nel mentre camminava non troppo lontano dalla Fontana del Reget Park in quel suo mantello di disillusione che gli permetteva di vedere, ma di non essere visto. Non era una sensazione strana, non era nemmeno nuova, ma gli piaceva alquanto. Perché la sua missione, il suo ruolo in quel mondo, richiedeva anche e soprattutto di capire, di percepire i sentimenti, di girovagare e di guardare. Non si sarebbe mai nascosto dietro ad alte mura, ad attendere che la vecchiaia lo prendesse nel mentre si sarebbe garantito una sicurezza superficiale: la Giustizia della Provvidenza richiedeva il Sacrificio. Non importava qualche, non importava come, quando o dove: camminando su di una strada che portava alla sofferenza, al dolore e alla morte, sacrificarsi era più che lecito, era dovuto.
Fu anche per quello che l'Akuma uscì per quella missione, che una missione non era. Stare nascosto nella vecchia casa, non rispondere alle chiamate della Provvidenza, non combattere per quella giustizia che aveva auspicato e, infine, sembrare il solito fifone che era abituato a sentirsi durante la sua permanenza nei panni di un mangiamorte, erano solo gli ultimi strascichi di quella subdola psicologia che si portava dietro. Era il tempo di uscire a volto scoperto, in quel che sarebbe stata una guerra a volto scoperto, dove nessuno si sarebbe più nascosto dietro a maschere e cappucci per lasciare che soltanto gli inganni prendessero posto in un mondo già di per sé pieno di bugie. La Verità avrebbe salvato quel mondo, non il doppiogiochismo, non le bugie, non le falsità, non gli inganni. Non importava quanto sarebbe stata in salita quella strada che avrebbe dovuto percorrere. Non importava quale sarebbe stata la fine di quella strada: una vittoria indubbia o il bacio del dissenatore. L'unica cosa che importava era correre, muoversi, non restare abbindolati, piuttosto morendo sulla strada dell'onore piuttosto che vincendo su quella costruita a furia d'inganni.
Fu a quello che pensò appoggiandosi, forse di stanchezza, alla fonta del Regent Park e percepì come alcune gocce di quel marchingegno gli raggiunsero il volto. Era stanco quel volto, e nascosto tramite incantesimi, privo di un occhio per giunta. E quell'acqua non servì che a rinfrescarlo: percepì le gocce sulla sua corta, ma ruvida, barba come una specie di beatificazione. Alcune gocce finirono anche sulla benda che portava legata all'occhio in quegli istanti: gli ricordarono, quelle gocce, delle sconfitte e delle batoste che erano comunque necessarie in un percorso. Non avrebbe potuto farne a meno di prenderle: le bastonate sui denti erano l'unico modo e mezzo per diventare più forte ancora. Erano l'unico mezzo per non percepire il dolore.
Sarebbe stato "difficile" altrimenti, se non impossibile del tutto: il dolore era l'unica cosa che faceva sentire vivi. Ed era anche per quello che egli viveva: per percepirlo, il Dolore.



Oltre agli oggetti sempre indossati:

~ Cappuccio dell'Apprendista (+10 punti mana)
Un Cappuccio semplice in apparenza, ma che incantato a dovere può risultare il migliore alleato, anche nell'ora più difficile! Migliora le capacità furtive, i movimenti son più silenziosi, ed è più semplice celarsi nell'ombra. Dissimula i tratti del volto, e distorce il timbro della voce così da non renderla riconoscibile.
~ di Amuleto Greco: Amuleti propiziatori, in bronzo ed argento, consacrati a diverse divinità greche, che ne recano l'effigie sul fronte, ed un nome personalizzabile, o una frase sul retro, inscrivibile al momento. Corinto, III Ac. (Corpo +2, Salute +2)
 
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view post Posted on 5/4/2018, 11:31
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...Non è il Sangue che ti scorre nelle Vene a decidere ciò che Sei,
ma quello che scegli TE di essere...



Mìreen Kathleen Niamh Fiachran

§ 25 Anni § Aspirante AUROR § Ex Grifondoro
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Mezzanotte passata.

CITAZIONE
Suo padre livido e sanguinante, morto nel salotto, accasciato contro il box del figlio ancora piccolo, una posa innaturale che il suo corpo ha preso nel momento in cui l’Anatema che Uccide l’ha colpito alla schiena mentre protegge il figlio.
E’ immobile, gli occhi vitrei senza più una sola scintilla di vita.
Suo fratello è disteso nel box col respiro tanto lento da sembrare ormai prossimo alla morte.
Le fiamme hanno ormai invaso tutto il piano terra e avanzano verso di lei, ovunque si gira non c’è un solo angolo della casa ancora sicuro, il fumo nero sta saturando l’aria bruciando il poco ossigeno rimasto…
Vampate di calore le arrivano addosso da ogni parte, un calore tanto forte da sembrare di essere finita all’Inferno, il metallo della sua collana surriscaldato le sta bruciando la pelle del petto, ma è la meno in confronto gli occhi che le lacrimano e alla gola che raschia, come avesse ingoiato vetri rotti, disperata in cerca di aria respirabile.
Ora sta avanzando disperata col fratellino in braccio, le forze che piano piano la stanno lasciando facendo sembrare più pesante il corpo inerme della creatura che tiene stretta a sé… le uniche parole che la sua testa sotto shock le sta ripetendo quasi urlando sono: “VIVI”, “LOTTA”, “SALVALO”, “DEVI VIVERE ANCHE PER LUI”.
Ce la sta facendo, si sta avvicinando alla porta sul retro della cucina, ma ormai non ce la fa più, non trova più la forza per compere gli ultimi passi… Sta per morire, sente la presenza della fredda morte, arrivata poco fa’ per prendere suo padre, aspettare paziente di prendere anche lei e suo fratello.
La porta di colpo si spalanca, il volto della madre è deformato dall’orrore di ciò che ha visto, dalla paura e dal dolore per ciò che i suoi occhi stanno vedendo… le mani nei capelli, le lacrime che scendono copiose… e poi un muto urlo. Deve esser stato devastante. Ma lei non lo sta sentendo, perché in quel momento sta svenendo per la mancanza d’aria nei polmoni… la vista le si sta offuscando e il suo mondo diventa sempre più buio…
Sta cadendo e l’unico pensiero che le passa per la testa e che in quel momento le dà le ultime briciole di forza per stringere il piccolo corpo del fratello è “Proteggilo. Cadi all'indietro così, non sarà lui a sbattere”.
Per poi cadere nel più nero e profondo oblio.

Mìreen si svegliò di colpo.
Si prese la testa tra le mani, le girava e le stava dando fitte di dolore a ripetizione, il cuore batteva all’impazzata, il respiro frenetico, era letteralmente in un bagno di sudore.
Si guardò confusa e spaesata intorno... troppo buio in quella stanza, troppe luci fuori dalla finestra.
Dov’era? Perché era lì? Dov’erano i suoi familiari?
Non sapeva dov’era, quella non era la sua camera, quella non era casa sua… Dov’era?
Subito la mano destra andò al palmo della sinistra a tracciare il triquetra della sua famiglia senza mai fermarsi, senza mai interrompere il contatto tra il dito indice e la pelle della mano.
Piano piano il suo respiro tornò lento e controllato, i battiti regolari e le nebbie dell’incubo si diradarono per permetterle di pensare con più lucidità.
Era nella su camera da letto, nel suo appartamento a Londra, trasferitasi da pochi mesi… sua madre e sua nonna erano a casa nel loro villaggio nell’Irlanda del Nord, al sicuro, come lo era suo fratello ad Hogwarts.
Smise di tracciarsi il simbolo sulla mano, ora che si era calmata e aveva ritrovato la ragione poteva alzarsi e andare in bagno per sciacquarsi il volto, ma come temeva quel gesto non le diede il sollievo che sperava.
Da quando era successa la tragedia, i casi di quei vividi incubi erano stati sempre meno frequenti col passare degli anni, ma non erano mai spariti, le si ripresentavano dopo un tot di tempo, non sapeva cosa li innescasse… stanchezza, ansia, pensieri negativi? Non lo aveva ancora capito, ma sembrava che il suo passato non la volesse lasciare in pace e quando meno se lo aspettava tornava a bussare le porte del suo inconscio, nei momenti in cui era più volubile: mentre dormiva.
Quando le succedeva a casa, nel suo villaggio, aveva bisogno di uscire fuori a respirare aria fresca e pulita, usciva sul suo balcone da cui sporgendosi poteva raggiungere l’enorme quercia che cresceva dietro casa, per poi arrampicarsi e sedersi su uno dei rami più alti e larghi, si appoggiava con la schiena al tronco e guardava il cielo stellato, il rumore dell’acqua della fontana poco distante dalla pianta la cullava come una dolce melodia. Capitava spesso che la raggiungesse la madre, non sapeva come fosse possibile, ma riusciva a sentire quando i propri figli erano turbati, sofferente e lei anche nel pieno della notte accorreva ad abbracciarli e a sedersi vicino loro per tranquillizzarli e aiutarli a ritrovare un sonno tranquillo.
Ma non era a casa sua, era a Londra, in un altro Stato e non c’era sua madre a tenerle compagnia, non c’era neanche la sua enorme quercia e il rumore della fontana a confortarla… In verità una fontana poco distante da lì c’era, magari poteva farci letteralmente un salto per poi tornarsene in camera…
No, era un’idea troppo stupida, soprattutto da fare in piena notte.
Si rimise a letto e provò a chiudere gli occhi tenendo la tenue luce del comodino accesa, ma non ci fu’ verso, ogni volta che chiudeva gli occhi le terribili immagini e sensazioni tornavano; se voleva sperare di recuperare il sonno non poteva fare altro di andare nel parco davanti casa e sperare che in mezzo alla natura, magari appoggiata alla fontana da cui passava ogni mattina quando andava a correre, potesse rimediare qualche ora di dormita.

Si cambiò mettendosi le prime cose nere che trovò nell’armadio, pensò che come colore era il migliore per passare inosservata tra gli alberi del parco e nel caso dovesse nascondersi: maglietta nera lunga, pantaloni comodi aderenti il giusto, scarpette blu scuro e infine un giubbottino nero con tanto di cappuccio, il suo look da “tipa losca che non vorresti incontrare in un vicolo” era completo.
Non sapeva se era una fortuna, ma non si faceva la tinta da un po’ e i suoi capelli neri stavano ricomparendo da sotto il vecchio colore, una sfumatura che adorava le era comparsa: verso le punte si distingueva ancora il blu chiaro della tinta precedente, piano piano andava scurendosi fino a diventare del suo nero onice alla radice.
Si alzò il cappuccio sopra la testa, con la bacchetta ben assicurata sotto il giubbotto si smaterializzò dentro Reget’s Park che naturalmente a quell’ora era chiuso, in un punto che sapeva essere privo di illuminazione e che aveva individuato nelle sue corse mattiniere, temeva che un giorno le fosse servito trovare un punto sicuro per raggiungere l’interno del parco, ma sperava succedesse per motivazioni migliore dello distrarsi da dolorosi ricordi… Magari un appuntamento segreto con un bel ragazzo dai capelli rossi conosciuto da poco in un certo pub londinese.
Se sperava che pensare a quel ragazzo le si potessero calmare “i bollenti spiriti” era messa male, stava ancora cercando di toglierselo dalla testa e soprattutto di dimenticare la cavolata fatta dopo qualche drink di troppo e quell’ingiustificato, improvviso bisogno di toccare la sua pelle e di baciarlo…

Come previsto si smaterializzò in un punto completamente buio nel cuore del parco, rimase immobile cercando di controllare intorno a sè che non ci fossero luci di dubbia provenienza, gli occhi che piano piano si adattavano all’assenza di luce, affinò l’udito alla ricerca di possibili rumori sospetti.
Per fortuna tutto taceva a parte il fischio del vento che le scompigliava le ciocche sfuggite al cappuccio, dalla tasca interna del giubbotto estrasse la bacchetta e a voce bassa disse << Lumus >>, la tenne nascosta per evitare che qualcuno la vedesse, tanto le serviva giusto un leggero bagliore per non finire in una qualche buca o inciampare in una radice, e se veniva scoperta da un qualche babbano (probabilmente un delinquente o spacciatore vista l’ora e il parco chiuso), poteva dire che era una torcia, spegnerla e smaterializzarsi di nuovo nel suo appartamento.
Lentamente, con orecchie e sguardo attento si diresse verso la fontana che conosceva bene e che al momento vedeva come unica speranza per tranquillizzarsi col suono dei borbotti e gorgheggi dei suoi spruzzi d’acqua.
Arrivata al limitare delle ombre oltre le quali c’era il sentiero illuminato dai lampioni che portava alla fontana si fermò, spense la bacchetta e diede un’occhiata circospetta all’ambiente, ma già vedeva poco distante la grande fontana e sentiva il richiamo dell’acqua e nella natura che la circondava, così uscì allo scoperto e si diresse in quella direzione.
Osservò l’acqua scendere dai getti e raccogliersi nella grande “vasca” in pietra grigia posta alla base e che la circondava completamente, chiuse gli occhi e si concentrò sul suono del vento che faceva muovere le chiome degli alberi e dei cespugli lì intorno, insieme al rumore dell’acqua era una dolce melodia che scioglieva i nodi di tensione e le rilassavano la mente.
Un leggero sorriso stava prendendo forma sul suo viso finalmente rilassato…
Ma di colpo l’immagine di suo padre morto con gli occhi vitrei senza vita, le fiamme e il fuoco che la circondava e la bruciavano, e l’orribile volto della madre sconvolta, le comparvero una dopo l’altra così nitide che furono come un sonoro schiaffo nella sua povera mente già martoriata, tanto terrificanti da farle afferrare la dura pietra con entrambe le mani per sorreggersi e non cadere a terra dallo spavento, quasi non le uscì un urlo ma riuscì a soffocarlo in tempo per diventare solo un lamento.
Il viso, le braccia, la pelle le bruciavano al ricordo del fuoco, subito si gettò l’acqua addosso fregandosene se poi finiva bagnata fradicia rischiando un raffreddore in quell’autunno ormai inoltrato, ma almeno il sollievo che ne seguì spense la sensazione delle fiamme addosso.
Abbassò lo sguardo sul cupo riflesso che la fontana con la lontana luce le rimandava, il cappuccio le era sceso mentre cercava “di spegnere l’incendio” sul suo corpo e ora lunghe ciocche nere e blu in parte le stavano attaccate alle guance e al collo bagnati, in parte le ricadevano davanti il viso grondanti acqua.


<< Non ha funzionato! Credevo di essermi ormai abituata a questo maledetto posto e invece No!
Stupida grigia, sporca e rumorosa città! Stupido parco!
E Stupidi incubi… >>


Dalla rabbia e frustrazione assestò una bella manata all’acqua dove fino a poco prima osservava il suo volto deluso e amareggiato, l’impatto con la superficie provocò un’onda spinta tutta alla sua sinistra e soprattutto schizzi volarono ovunque, ben oltre la fontana.
Fu in quel momento che si rese conto di non esser sola.
Era stata così distratta dal suo tentativo di calmarsi e cancellare i terribili ricordi che non aveva fatto il giro della fontana come avrebbe inizialmente dovuto fare per esser sicura al 100% che non ci fosse nessuno.
Il movimento era provenuto proprio dalla direzione dove l’onda d’acqua e relativi spruzzi erano stati maggiori… scappare sarebbe stato inutile, stessa cosa nascondersi dopo l’imbarazzante scenetta appena fatta, così infilò la mano sotto il giubbotto e stringendo la propria bacchetta pronta a estrarla in caso di necessità, si mosse lentamente e con discrezione intorno alla fontana per vedere meglio chi fosse lì con lei.
Cercando di nascondere timore e agitazione, provò a simulare una voce tranquilla e sicura, come che fosse normale essere in un parco chiuso, in piena notte:


<< C’è qualcuno? Chiedo scusa per la confusione, non era mia intenzione disturbare e soprattutto spero di non averla bagnata col mio improvviso gesto senza senso… >>

Facendo il giro della fontana, una figura alta e incappucciata era comparsa esattamente dietro la fontana, avvolta in un mantello lungo e nero.

Ormai erano l’uno di fronte all’altro, lui completamente celato sotto il mantello, lei fradicia vestita semplicemente di nero, il cappuccio non la nascondeva abbastanza da impedire all’altro di riconoscere il suo aspetto… ma cavolo, andava a pensare di incrociare qualcuno in un parco chiuso a notte fonda?!
Se era un assassino o spacciatore le andava bene, un babbano lo si poteva affrontare abbastanza bene per lei che era una strega, ma dalla postura sicura e dritta davanti a sé, e da come stava attento nel restare ben nascosto sotto la veste, cappuccio ben tirato sul volto e probabilmente non era un caso che trovasse dalla parte della fontana dove la luce dei lampioni arrivava meno, le ombre del parco aiutavano alla perfezione il suo intento di mimetizzarsi ad esse.
Il suo primo pensiero era che si trattasse di un mangiamorte e subito il suo cuore prese a pompare frenetico e la mente a cercare incantesimi utili tra quelli che conosceva.
Voleva diventare Auror, era il suo più grande sogno da prima ancora che il padre morisse proprio perché lo era lui e volava seguire le sue orme, ma le sembrava un po’ presto affrontare così presto un vero Mangiamorte, non aveva manco fatto il colloquio col capo auror, sapeva solo di aver passato la teoria!
Però l’impressione non era quella, non aveva tentato la fuga e neanche l’aveva ancora attaccata, poteva farlo in un sacco di occasioni, sia scappare sia attaccare, a partire dal momento in cui era comparsa sul sentiero illuminato e aveva fatto quella stupida scenetta con l’acqua, eppure si era accorta di lui solo dopo aver schizzato l’acqua della fontana.
Magari era lei che sperava con tutte le sue forse di non finire in un duello dopo soli pochi mesi trasferita a Londra ma non le sembrava interessato ad uno scontro o comunque ostile nei suoi confronti, certo di abbassare la guardia non ne aveva la minima intenzione, alla sfortuna non c’era mai fine, ma a parte capire chi o cosa avesse davanti, e a come gestire la situazione in cui era finita, non poteva fare altro.


§ PS: 160 § PC: 110 § PM: 110 ஜ EXP: 23
Scheme role © Akicch; NON COPIARE - WANT YOUR OWN? GET IT


Edited by LadyShamy90 - 2/5/2018, 23:21
 
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Era una strana notte, quella. Ancora più strana di molte altre: silenziosa e particolarmente quieta. Il vento di quella notte londinese soffiava calmo, trasportandosi le voci e i suoni, muovendo i rami degli alberi. La quiete prima della tempesta, diceva qualcuno. E come si poteva dargli torto? Alcune guerre erano già passate, finendo nel dimenticatoio. E altre stavano per arrivare. Poteva piacere o non piacere: ma prima o poi il fuoco sarebbe arrivato, il vento avrebbe scosso quegli alberi e anche quella tranquilla piazza londinese avrebbe risentito dei cambi. Non vi erano più sotterfugi o nascondigli; niente più trincee in cui nascondersi compiacendo il nemico, versando il sangue magico: una guerra vera, una guerra finale avrebbe fatto bene a tutti. Qualcuno sarebbe morto, certo; ma qualcun altro sarebbe tornato in vita. I salotti degli intellettuali inglesi sarebbero stati abbandonati per lasciar spazio alla vita vera, quella che si percepisce quando si è costretti a camminare sulla lama di un coltello. Perché solo nei momenti in cui la morte è vicina, quando si sentono i suoi sussurri e le sue parole, quando ci si vuole aggrappare a una mano, a un'idea o persino a un ricordo che tutti i desideri della vita calma e tranquilla vengono meno. Le maschere cadono per lasciar vita e spazio unicamente all'imminente bisogno di sopravvivere, di combattere, di lottare. Non come si era abituati a fare in un mondo ricco d'inganni: con le bugie e le illusioni, ma con la spada e la bacchetta, a viso aperto, correndo verso la cima di una montagna in ripida salita, senza trovare scorciatoie, senza cercare le strade brevi, senza appigliarsi agli aiuti improbabili: solo il combattente e la montagna. E non importava quanto alta fosse; non importava quali trappoli, quali ostacoli, cos'altro vi era: chi amava era sparito trascinato dalla rugiada mattutina; chi lottava spalla a spalla con lui ora si ritrovava dall'altra parte della barricata. Ognuno faceva le sue scelte e ognuno diceva "Addio" a chi voleva. Non vi erano altri modi, altre strade: niente più maschere, niente più inganni. La tortuosa strada verso un'Ideale richiedeva pur sempre un sacrificio. In sangue, in dolore, in disperazione, in organi interni e in arti. Chi preferiva pensare che le cose si potevano combattere in modo diplomatico, stando seduti a sorseggiare il proprio whiskey mentre gli altri morivano, dovevano svegliarsi, togliersi il prosciutto dagli occhi e prendersi a schiaffi: senza prendere in mano l'iniziativa nessuno mai avrebbe fatto il primo, niente mai prima sarebbe cambiato in quel che è una grigia buia rassegnazione dello stato delle cose.
Di rabbia abbassò il palmo della mancina tanto da sfiorare l'acqua della fontana. Dicevano che buttarci una monetina portava fortuna, ma cos'era la fortuna se non il frutto di un costante allenamento?.. Solo gli sciocchi potevano credere alla Fortuna; solo i deboli potevano sperare che una cosa del genere li aiutasse: solo l'allenamento portava al miglioramento e il miglioramento alla vittoria. Chiunque aveva gettato in quella fontana una monetina, l'aveva persa senza ottenere niente: un investimento da cani. A meno che non sarebbero tornati in quel posto a riprendersi la propria moneta oppure a prendersele tutte: si chiamava la vittoria della specie più forte in mezzo a quelle più deboli. Niente di strano, del resto, in un mondo in cui sempre i più forti dominavano sui più deboli... e non sempre grazie alla forza, ma anche all'ingegno. Bastava creare credenze, far credere alle cose, creare conflitti e in contempo restare in cima alla piramide. Bastava semplicemente far scontrare i due opposti, creare tensioni e in contempo tirare le corde.
Forse l'aveva capito quando Voldemort si era rifiutato di dargli ciò che voleva: un esercito per muovere la guerra totale. Forse l'aveva capito dopo o forse lo aveva semplicemente intuito: nessuno voleva realmente che l'altro perisse. Si voleva semplicemente sacrificare e portare al sacrificio: il sangue magico doveva essere versato da ambo le parti.
Aveva smesso di credere nella reale guerra tra gli eserciti quando aveva capito che nessuna guerra reale ci sarebbe stata: solo qualche vittima ogni tanto giusto per restare incollati alle poltrone.
Fu forse con la stessa rabbia che prese dell'acqua e se la buttò sul viso: ne percepì la freschezza in modo praticamente immediato. Di notte, poi, era molto più fresca che di giorno e gli sarebbe di certo servito per arginare le ferite, fisiche e psicologiche, per ridargli forza e spingerlo in avanti nonostante tutto e tutti. L'acqua finì sulla benda, ma non fu quella a impedirgli di vedere una flebile fonte di luce dall'altra parte della fontana, nella notte. - "Babbani?" - Pensò tirando fuori la bacchetta. Anche se erano babbani, non se ne sarebbe fatto niente: inutili pedine in una guerra evitabile. Eppure più osservava quella luce e più si accorgeva che non era semplicemente babbana: era diversa. Per lo più conosceva l'attrezzo da cui sprigiova: poteva benissimo distinguere quella fonte di luce sulla punta di una bacchetta magica. Era un incantesimo basilare, elementare... ma eseguito lì? In mezzo ai babbani? - "Devo tornare a bere..." - Pensò l'Akuma osservando quella luce avvicinarsi sempre di più. Seppure con la bacchetta alla mano non fece assolutamente nulla. Restò nell'ombra, accovacciato nel mantello, quasi come un cacciatore che attendeva la preda. Eppure non avrebbe ucciso nessuno quel giorno: le vittime di quella guerra erano già abbastanza. Ma l'avrebbe osservata, quella strana figura, cercando di capirne di più: un messaggio della Provvidenza? A poco a poco quella lucina arrivò a mischiarsi con quella dei lampioni babbani che illuminavano quel parco di notte: un'inutile luce in un mondo prima della tempesta.
Osservò quella figura avvicinarsi, avvicinarsi empre di più, quasi come se fosse completamente immersa nei suoi pensieri. Le ciocche di capelli lunghi le cadevano lungo il corpo; le docili e gentili linee del viso comunicavano chiaramente che si trattava di una donna.
"Dio! Quanto mi manca una donna!" - riuscì soltanto a pensare prima che i suoi occhi cercarono, da soli, di osservare anche le altre particolarità di quella figura: i seni, i fianchi, le cosce. Non era stato con una donna da moltissimo tempo: più o meno da quando si era incontrato con Aquileia, lasciandosi conquistare da lei. Certo, aveva avuto già diverse occasioni per venir meno alla sua parola, per tradire, ma... chi tradisce una volta, lo farà di nuovo. Era una di quelle verità della vita che non si mettevano in discussione. Per lo più ci andava di mezzo anche l'onore e l'incapacità di attenersi alle proprie promesse. La parola era la cosa più forte, solida e potente che l'uomo poteva dare ed era la parola ciò che identificava un uomo. L'Akuma non sarebbe venuto meno alla sua anche se gli istinti sessuali lo avrebbero trasformato in un animale in piena: lo richiedeva la Lealtà e la Fedeltà. Eppure non riusciva a controllare i suoi pensieri: guardando quella donna non poteva non pensare a...
Si spaventà quasi nel vedere come quella si arrabbiò, parlandosi da sola. Era così immersa nei suoi pensieri che nemmeno vide l'uomo incapucciato dall'altro lato della fonta: uno spettro in cerca di pace. Fu per quel gesto violento che d'istinto portò la bacchetta in avanti, puntandola immediatamente contro quella donna. Le puntò il petto, pronto a scagliarla se solo avesse osato rivolgergli contro dei gesti rapidi e, potenzialmente, attaccarlo. Tuttavia, la ragazza continuava a non vederlo nemmeno, immersa nella lotta contro la piscina com'era. Il suo volto, giovane e fresco, mostrava segni di delusione, di amarezza. Eppure gli schizzi continuarono a volare come se quella contro la fontana fosse la sua guerra personale, la sua battaglia vera. Solo a quel punto il suo sguardo, occhi tanto belli quanto voraci, si rivolse verso l'Akuma dall'altra parte della fontana.
Lo avrebbe visto ancora con la bacchetta puntata verso di lei e non ci volle un genio per capire che non era una brava attrice: l'agitazione si vide alla perfezione anche nei suoi occhi. La voce, poi, un disastro... Non era per lui che era venuta lì. Non era lui la sua preda, il suo bersaglio.
«Non mi ha bagnato,» - disse tirando un sospiro di sollievo. Anche se un duello non gli sarebbe dispiaciuto, concedersi una pausa era pur sempre una cosa buona e dovuta. Si limitò unicamente a tirarsi il cappuccio sul volto meglio: se era una strega, lo avrebbe riconosciuto e a quel punto il duello non glie lo avrebbe evitato nessuno.
«Ma non fare movimenti bruschi,» - le disse con la bacchetta puntata contro il suo punto. - «Mani ben in vista.» - Le disse. - «Non ho la minima voglia di farti del male, ma non voglio nemmeno che tu me lo faccia. Fai un movimento troppo rapido e ti schianto, ok?» - Fatta quella premessa, mantenendo lo Schiantesimo costantemente nella sua mente, le chiese: - «Chi sei? Cosa ci fai qui?»





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[Non l’ho bagnato. Che fortuna…
Almeno non devo scusarmi per la mia stupida scenetta con l’acqua.
Se è uno facilmente suscettibile oltre che pericoloso, anche solo 2 gocce d’acqua sul suo bel mantello potevano decretare la mia condanna.]


Aveva appena svoltato l’angolo della fontana che vide subito la bacchetta puntata verso il suo petto.
Si fermò, immobile come statua.
Era un mago come lei, non un babbano-spacciatore e neanche un babbano-assassino, ma un losco mago, maschio, forse giovane come lei, ma la voce sembrava strana, quasi distorta, le aveva dato del “Tu”, di solito era tra probabili coetanei che lo si usava così spontaneamente, quindi poteva essere un indizio aggiuntivo per capire chi avesse davanti, ma soprattutto se era in pericolo o No… per adesso.
Giocavano ad armi pari, con la differenza che lei non aveva mai duellato tranne quelli fatti ad Hogwarts al Club dei Duellanti, ma poi basta, qualche scontro col fratello per tenersi in allenamento ma niente che mettesse a rischio la vita.
Invece il suo “avversario” non sembrava uno sprovveduto che puntava per la prima volta la bacchetta contro qualcuno, la teneva con troppa sicurezza e probabilmente era da quando l’aveva vista che ce l’aveva “sotto tiro”, ma solo quando era stata più vicina, con una migliore visuale, la ragazza se n’era accorta, era così nascosto all’ombra della fontana che difficilmente avrebbe potuto notarlo e anticiparlo anche senza distrarsi.
Chiunque avesse davanti, completamente celato nel mantello e cappuccio ben sistemato a coprire il viso, aveva detto che non era intenzionato a farle del male, non sapeva se credergli oppure no, però non sembrava volerla uccidere, per quanto l’aspetto non fosse dei più rassicuranti, continuava a ripetersi nella testa che non l’aveva ancora attaccata benchè ne avesse avute di occasioni.
Ciò la tranquillizzò un poco, ma ugualmente non poteva farsi prendere dalle emozioni, la paura e incertezza portavano sempre a commettere errori, gesti azzardati, decisioni mal ragionate che avrebbero potuto costarle la vita e non aveva intenzione di rischiare proprio quando era così vicina alla possibilità di realizzare il suo sogno e costruirsi finalmente una nuova vita.
Fece qualche respiro profondo, si concentrò sui battiti del proprio cuore e smise di tremare.
Certo quella di lui poteva essere una tecnica per farle abbassare la guardia, ma sperava di avere il tempo per rispondere nel caso le sue intenzioni non fossero così bendisposte come sembravano a parole... almeno non aveva parlato di “ammazzarla” ma di “schiantarla” quindi non era una maledizione quella pronta a lanciarle nel caso non si fosse comportata come voleva lui.

Le aveva detto di non fare movimenti bruschi e di tenere le mani ben in vista… Sgamata!
Aveva capito che aveva una bacchetta o comunque un’arma nascosta sotto il giubbotto e voleva che la lasciasse dov’era, ma non le sembrava una gran affare vista la situazione.
Si mordicchiò il labbro inferiore, come faceva quando era agitata o nervosa, una reazione automatica che faceva inconsciamente, un po’ come tracciarsi il simbolo sul palmo della mano, ma non era il caso di fare gesti di dubbia intenzione davanti a quello sconosciuto.
Sentendosi più controllata, meno in preda alle emozioni, pensò di potergli rispondere senza il rischio che mal interpretasse le sue parole:


<< Non voglio farti del male, non è assolutamente mia intenzione.
Figuriamoci se mi metto ad attaccare gente a caso senza motivo, ma non mi sembra giusto pretendere che io metta le mani in vista quando te mi punti già la tua bacchetta…
Oserei dire che tra i due quello che sembra un pochino più pericoloso, sia nel vestiario sia nel comportamento, sei te… io sembro più una cretina bagnata fradicia.
Potrei togliermi il giubbotto, rischiando l’ipotermia, per convincerti che non nascondo niente sotto, potrei mostrarti le mani…
Ma te, come prova che non vuoi attaccarmi, potresti almeno lasciarmi tenere la bacchetta, tanto sei te quello che ce l’ha già puntata e pronta in caso di bisogno.
Se vuoi posso tenerla abbassata verso i piedi, così il massimo che posso fare è far comparire una fossa dove infilarmici dentro dopo la figuraccia che ho fatto attaccando una fontana e perdendo pure…>>


Giusto per sottolineare la guerra persa con l’acqua, molto lentamente, così da non indurlo ad attaccarla, con un movimento della spalla, cercò di togliersi un ciuffo di capelli bagnato che si era appiccicato al viso, troppo vicino alle bocca, che le stava dando un gran fastidio mentre parlava.

<< Mi sono trasferita a Londra da poco, vengo da una piccola città in un altro Stato, più simile ad un villaggio circondato dalla foresta, ho sempre vissuto vicino alla natura, quindi non mi sono ancora abituata ai rumori, allo smog e all'asfalto di questo posto.
Non riuscivo a dormire… Avevo bisogno di un po’ di tranquillità, così ho pensato di andare nell’unico fazzoletto di verde, non troppo distante da casa, che mi è venuto in mente e ho pensato alla fontana per il suono dell’acqua che scorre e che ho sempre trovato rilassante.
Non ha funzionato, così mi sono alterata, tanto da prendermela con la povera fontana...
Se sapevo che era già “occupata”, avrei evitato di venire qui. >>


Per fortuna la sua voce era tornata solo intimorita non più tanto spaventata come in precedenza, cercò di azzardare un leggero timido cenno di sorriso, sperando capisse che era stata sincera con lui e che Sì, era così stupida da passeggiare sola, in un parco chiuso, nel cuore della notte, solo per trovare un po’ di pace interiore.

[ SE sopravvivrò a questa nottata, la prossima volta che sento il bisogno di rilassarmi coi rumori della natura, frego quell’aggeggino babbano di mio fratello, chiamato “MP3” e ci ficco dentro il suono delle balene o il canto delle cicale, riempio la vasca d'acqua calda, olii profumati e un bicchiere di vino rosso (anche se non lo bevo) alla mano.
Col cavolo che esco di nuovo in piena notte a passeggiare nel parco!]


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Edited by LadyShamy90 - 7/4/2018, 17:34
 
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La ragazza in sembrava malintenzionata, a prima vista. A prima vista perché, ovviamente, era un mondo pieno di attori e volente o nolente tutti celavano sé stessi dietro a finte maschere e parole false. Lei non poteva essere un'eccezione dalla regola: o forse sì? Del resto non sapeva minimamente chi aveva dinnanzi: una semplice curiosa, una ragazza sprovveduta, una strega spavalda oppure la Capo Ispettrice degli auror. Nella situazione in cui si trovava non poteva semplicemente fidarsi sulel apparenze e sulle impressioni: per lo più considerando che se avesse intravisto un solo spiraglio di luce dentro al cappuccio, avrebbe visto quelal benda, quelle rughe, quel volto e allora avrebbe capito. Sarebbe stato troppo tardi, dopo, Attirare le attenzioni altrui sarebbe stato pressoché impossibile, finché se ne sarebbe stato calmo. Ma non appena avesse deciso di passare all'azione, - forse sospinto da quella donna, - ogni cosa sarebbe cambiata. Sarebbe bastato un raggio magico, un incantesimo lanciato più in la e presto quel parco sarebbe diventato un formicaio pieno di auror di ogni genere. Non smosse la sua bacchetta, feramente puntata contro il suo petto. Ma non fece nulla alle sue parole: niente di niente. Non voleva farla arrabbiare, non voleva che si agitasse, che provasse a tirare la bacchetta fuori dal mantello: gli bastava un solo gesto per far finire quel dialogo molto prima del previsto. - «Il gattino più pericoloso è quello più tenero,» - rispose in modo calmo e freddo. Non voleva che la situazione degenerasse, ma non voleva nemmeno nascondere la bacchetta e fare finta che sia un incontro pacifico, quello. Al di là della cretina che diceva di essere, non sembrava proprio un'idiota: per lo più considerando quant'erano bravi alcuni maghi nel nascondere la loro reale identità. Insomma, poteva essere chiunque lei: mangiamorte, auror, un'insegnante di Hogwarts. La sua reale identità sarebbe stata nascosta nonostante quelle rivelazioni. - «Per convincermi che non nascondi niente, sotto, potresti... khem... toglierti il man...» - In ogni caso ci ripensò, abbassando lievemente la bacchetta, tanto da puntarla contro la pancia della donna invece che sul suo petto. - «Se vuoi tenere la baschetta, abbassala pure verso il tenere. Non tenere il braccio con la bacchetta dritto e rigido, però...» - consigliò sperando che la ragazza si fosse sbrigata a fare come diceva: bacchetta sotto il mantello con il gomito leggermente piegato all'interno. Forse ginfeva, o forse non era molto esperta nell'arte dei duelli: anche puntata verso il terreno una bacchetta era un'arma terribile.
Non finì di dire di non fare movimenti strani, che la ragazza stragredì la regola portandosi una mano verso la ciocca di capelli, spostandolo dalla bocca all'indietro. - "Tsk... ho appena detto... un'auror non lo avrebbe fatto..." - In ogni caso non lasciò partire alcun incantesimo, sebbene lo schiantesimo restava ancora ben fisso nella sua mente. L'energia che lo avrebbe presto portato a schiantarla al suolo era pur sempre presente nell'aria. La storia che raccontava aveva un non si sa cosa di poco credibile, ma alla fine dei conti quel fortuito incontro non sembrava essere stato frutto di qualche calcolo. Anche perché difficilmente avrebbero mandato una sola auror contro di lui, che la volta precedente era uscito dalle grinfie di due auror e due poliziotti. O era tremendamente brava, o era tremendamente sfortunata a essere capitata lì. Ma, in ogni caso, non avrebbe fatto vittime quella sera. - «Quale Stato?» - chiese. Che fosse giapponese? Non vedeva benissimo il volto, ma dagli occhi non sembrava. E poi se era davvero venuta da un piccolo villaggio di chissà dove, era naturale che prima o poi si fosse persa a Londra: una città di merda. - «Bella storia,» - disse con la voce sicura che un'auror, forse, non si sarebbe inventata tutto quel monologo. Anche il suo sorriso non era poi così sincero come sembrava, ma forse era solo un'impressione: alla fine aveva la bacchetta puntata contro. - «In ogni caso, mi dispiace di aver interrotto la tua camminata solitaria. Con i tempi che corrono è meglio prendere le dovute precauzioni...» - disse tenendo comunque lo sguardo ben puntato sulla figura davanti. - «I tempi sono bui e le tempeste si avvicinano.»







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...Non è il Sangue che ti scorre nelle Vene a decidere ciò che Sei,
ma quello che scegli TE di essere...



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§ 25 Anni § Aspirante AUROR § Ex Grifondoro
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L'affermazione del giovane in nero la lasciò un poco confusa, più che altro si chiese se avesse capito bene...

[ Sbaglio... o mi ha dato del "gattino tenero"? Visto come sono ridotta avrei più optato per "pulcino bagnato" ma anche gattino è carino… ed è interessante come modo per definirmi, soprattutto se accostato a "pericolosa". ]

Non potè che sorridere nel sentire quell'affermazione, ma poi le si incrinò in una smorfia poco convinta quando tentò di dirle che per convincerlo doveva togliere il giubbotto, ma non finendo la frase, stava a Mìreen decidere cosa fare...

Per prima cosa fece quello che poco prima gli aveva proposto e che lui aveva acconsentito: lentamente allungò le braccia scoprendo la bacchetta che, come aveva capito, teneva nella mano destra, la puntò verso il basso tenendo l'arto rilassato, per quanto la situazione glielo permettesse.

Le aveva permesso di tenere la bacchetta, e aveva abbassato la sua puntando alla pancia invece del petto... forse glielo doveva...
Ma era bagnata fradicia, togliere il giubbotto significava raffreddore assicurato... se non peggio...
Pensò con attenzione sul da fare, alla fine opto per la scelta più rischiosa, ma forse la migliore per capire se effettivamente poteva un minimo fidarsi quando diceva che non le avrebbe fatto del male: metterlo alla prova.


<< La gattina qui presente vuole convincerti e rassicurarti che non vuole farti niente... per questo e per ringraziarti di lasciarmi tenere la bacchetta, toglierò il giubbotto.>>

Aveva notato come si era irrigidito quando si era mossa per spostarsi la ciocca di capelli bagnata dalla guancia, e non aveva neanche usato le mani, così si fermò e aggiunse, sempre rivolta a lui:

<< Non considerare i miei movimenti come una minaccia, non è facile sfilarlo tenendo le braccia fisse lungo i fianchi...>>

Mosse le spalle in modo da far scivolare il giubbotto, il quale cadde ai suoi piedi, dietro di lei.
Ora che non aveva più quello spesso strato a coprirla, davanti allo sguardo attento dell'uomo si sentiva quasi nuda, le sue forme erano ora scoperte e la maglietta nera a maniche lunghe, coi jeans blu scuro presi a caso da sopra la sedia dove li aveva abbandonati l'ultima volta che li aveva usati, erano fin troppo aderenti e con l'acqua l'effetto era raddoppiato.
I capelli, tenuti quasi tutti sotto il giubbotto esplosero" in una cascata nera e blu lungo la schiena fino a quasi alla vita sottile, le gambe lunghe e snelle avevano una grande macchia di bagnato sopra alle ginocchia, causata dagli schizzi d'acqua che le erano volato ovunque e la maglia era bagnata nel petto e nelle braccia a chiazze di varie dimensioni.

Non sapeva se dirgli la verità o mentire sul suo nome e sullo Stato da cui proveniva, non le sembrava sensato raccontare troppo di sè stessi ad uno sconosciuto "poco raccomandabile" e per di più lui non le aveva ancora detto niente.
A giudicare dal suo comportamento e vestiario, il fatto che era passato subito sulla difensiva quando si erano incontrati e che ancora non aveva abbassato la bacchetta e il cappuccio per presentarsi, le fece supporre che non era una persona che voleva farsi riconoscere...
Escluse il mangiamorte perchè a quest'ora sarebbero dovuti essere già passati al duello e probabilmente con lei a gambe all'aria, ma non le sembrava un comportamento da "normale criminale", che senso avrebbe chiacchierare con la propria vittima o testimone?


<< Precisiamo... Non penso che tu lo sia, ma nel caso....
Se sei un mago-spacciatore, sappi che non mi servono dosi, sto bene con la mia vita per quanto al momento possa esser piena di dubbi con più sfighe del normale.
Se sei un mago-assassino, non credo di essere la tua vittima perchè mi sono appena trasferita qui e a parte baciare un giovane babbano dai capelli rossi appena conosciuto in un pub, non credo sia tanto arrabbiato con me da ingaggiare un killer per uccidermi, ancora non dovrei esser finita sulla lista nera di qualcuno.
E infine, se sei un mago-stupratore.......ehm....... non indosso l'intimo delle "grandi occasioni" quindi non vorrei deluderti... e comunque non credo di esser così bella per tanta fatica.>>


Tentò un altro sorriso incerto ma speranzoso, era quasi sicura di averci azzeccato sulla non-natura della persona che aveva davanti, ugualmente non voleva svelare troppo di sè, ma non aveva neanche intenzione di mentirgli rischiando che, in un possibile futuro, la venisse a cercare per vendicarsi, così gli disse la verità senza scendere nei dettagli:

<< Vengo da una contea dell'Irlanda del Nord, mi sono trasferita da neanche 1 mese, puoi chiamarmi Muìrin.
So che chiederti di presentarti è inutile perchè non mi sembri tipo che vuole farsi riconoscere, così ti chiedo se c'è un nome con cui potrei chiamarti invece di "Ehi tu laggiù..." >>


Con quel "Bella Storia" intendeva che le credeva o che per lui era una bella storia inventata sul momento? E pensare che gli aveva detto la verità semplicemente omettendo il motivo per cui non riusciva a dormire.

<< Se fosse una "bella" storia, non sarei qui in un parco chiuso, nel pieno della notte, a cercare conforto coi rumori della natura e dell'acqua di questa stupida fontana... >>

Lo disse a voce bassa, era più rivolta a sè stessa che all'altro, un pensiero che le era sfuggito alla sua mente e aveva preso voce sulle sue labbra... lo sguardo, al ricordo del motivo per cui era lì, le si era rattristato e continuando a guardare il cadere e scorrere dell'acqua nella fontana, gli rispose:

<< Alla fine non hai interrotto niente, come ho detto prima, la mia idea non ha funzionato e ho ottenuto solo una doccia all'aria aperta ben poco adatta alla stagione.
Se con "dovute precauzione" intendi "evita di farti passeggiatine solitarie e notturne in luoghi isolati, devo dire che ascolterò il tuo consiglio e la prossima volta provo con una tisanina rilassante al Biancospino, credo che mia nonna ne abbia raccolto un po' e magari le chiedo se mi spedisce l'infuso essiccato... >>


Tornò a guardarlo, la sua curiosità era quasi tangibile, era così coperto dal mantello, che a malapena riusciva a intravedere i lineamenti del viso, tutto il resto era nero, sicuro il buio e le ombre non aiutavano, ma l'alone di mistero che lo circondava suscitava nella ragazza un'attrazione difficile da spiegare...
La tentazione di smaterializzarsi alle sue spalle per abbassargli il cappuccio e vedere chi si nascondeva dietro quella veste nera era tanta... ma se gli aveva promessi che non avrebbe fatto gesti azzardarti e probabilmente quello superava di gran lunga il limite che le era consentito, allora provò a soffocare la curiosità facendolo parlare, magari se si concentrava su di lui e non sulla voglia di scoprire il ragazzo che si nascondeva sotto quel mantello, avrebbe perso interesse e sarebbe scomparsa.


<< E invece te? Perché sei in questo parco di notte, chiuso, completamente da solo? Almeno credo…
Anche te avevi i tuoi “incubi” che ti impedivano di dormire?
Ti và di chiacchierare seduti da qualche parte? O preferisci stare qui in piedi, uno davanti all’altro come 2 spaventa passeri? Anche se te assomigli più alla personificazione della Morte, ti manca solo la falce e qualche catena qua e là, e saresti perfetto per Halloween…
Io resto una gattina fradicia, e aggiungerei infreddolita.>>


Piccole goccioline scendevano dal viso ancora bagnato, lungo il collo lasciato scoperto del taglio della maglia, e ad ogni leggero soffio di vento, brividi di freddo le attraversavano tutto il corpo; non potè che maledire chiunque gli avesse fatto fare quell'incontro proprio a fine Novembre, con l'inverno alle porte, non poteva avvenire d’estate, con quel bel gradevole freschino notturno??
Per fortuna aveva messo il reggiseno, benchè non lo indossasse per andare a letto, non le sembrava il caso di girare senza, anche se il suo piano era di partenza ben più semplice: andare nel parco, rilassarsi coi rumori della natura, soprattutto lo scorrere dell'acqua della fontana, e tornarsene nel suo lettino finalmente pronta a fare la nanna...
Andava a pensare di incontrare qualcuno e farci 2 chiacchiere con tanto di bacchetta puntata?!
Sperò che non fosse una usanza dei maghi londinesi salutarsi puntandosi la bacchetta, rischiava di rimanerci secca degli spaventi nel vedersi continuamente una bacchetta puntata al suo petto, pronta all’attacco.


<< Ora ti chiederò un favore, non è che mi esalti farlo soprattutto perchè è.... imbarazzante....
…ma vorrei evitare di iniziare a battere i denti dal freddo facendo una figura ben peggiore di quella che già ho fatto.
Potresti farmi un "Arefacio" per asciugarmi almeno i vestiti? Restare immobile nel parco con questo venticello freddo pre-invernale che tira sta notte non è il massimo e di prendermi una polmonite non è tra le cose migliori che aspiro a fare appena arrivata a Londra.>>


Con la sua ultima frase tornò seria e pensierosa, riflettè sulle parole che aveva utilizzato e al loro possibile significato… non le parve casuale la scelta.
Sapeva qualcosa che i comuni maghi neanche si aspettavano? Era forse un Divinatore come sua nonna?
Lo osservò attentamente, certo il vestiario e il comportamento lo facevano sembrare un tipo decisamente losco, ma avrà avuto le sue motivazioni per vestirsi in quel modo, No? Forse nel suo passato c’era qualcosa, un fatto successo, che lo rendeva così guardingo e determinato a non mostrarsi agli altri...


<< Hai detto che “ i tempi sono bui e le tempeste si avvicinano ”, non credo tu stia parlando del fatto che è notte e del tempo che a quanto pare continua ad essere piovoso su questa cavolo di città…
Vengo da una piccolo paese circondato da foresta, le notizie ci arrivano poche e frammentate, avevo letto e mi era stato detto che qui a Londra c’erano dei problemi con la sicurezza dei cittadini, ma non mi fido molto di ciò che scrivono i giornali, spesso rispecchiano il pensiero e giudizio di chi scrive l’articolo quando invece dovrebbero solo riportare fatti di cronaca in modo oggettivo e imparziale.
Pensi ci saranno manifestazioni violente o attentati come quelli successi nel mondo babbano recentemente? >>


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Era strana. Molto strana. Quasi lunatica. Il che non era un bene: le persone lunatiche erano le più pericolose in quanto imprevedibili. Una volta iniziata la partita a scacchi sarebbe stato difficile capire quali figure avrebbe mosso e come lo avrebbe fatto: il caso e l'ordine si mischiavano in quelle teste fino a diventare una cosa sola. Per questo odiava le persone imprevedibili: non sapeva cosa avrebbero fatto tra un momento. Potevano sia restarsene in disparte a non fare nulla, ma anche cacciar fuori la bacchetta e spedire l'altro mago al cimitero in una scatola. Continuò a osservarla con lo sguardo attento da sotto il cappuccio, la benda che restava tutt'ora nascosta nell'ombra.
Eppure, nonostante tutte quelle preoccupazioni, per lo più infondate da come avrebbe intuito poco dopo, guardò con un sospiro di sollievo come la donna si toglieva il giubbotto: fradicia e bagnata com'era. Voleva raffreddarsi?.. Scosse il capo. Non era a quello che egli aspirava chiedendole di togliere l'indumento superiore. Osservò anche la sua bacchetta, completamente inerme nella sua mano. - «Non togliertelo,» – disse con la voce ferma. - «Scherzavo. hehe» – La stupida risata. Pensò che tutta quella situazione stava diventando alquanto strana e particolare, ma cosa poteva fare altrimenti? Era il ricercato numero uno: la sua foto ovunque. - «Non voglio che ti raffreddi...» – Era sexy, doveva dire. Molto sexy. Quasi come Leia... O meglio non come Leia. Una specie di sexy diversa. Ma nessuno era sexy quanto Leia. Entrato in quel strano vicolo di pensieri volle nuovamente scuotere il capo, quasi come a voler scacciare i ricordi e i pensieri del passato. Con l'acqua, poi, si vedeva quasi tutto. Pensò che, alla fine dei conti, era quello il "bello" del suo lavoro, se così lo si poteva chiamare. Incontri inattesi con persone poco attese, ma non distolse lo sguardo da quelle sue forme femminili seppure invitandola di nuovo a rimettersi il giubbotto. E poi... Dio quanta parlava! Era una specie di ragazza a metà lunatica e per 3/4 chiacchierona. Non c'è n'erano tante: per lo più le ragazze che aveva conosciuto erano delle montate che si credevano delle principesse. Mai si sarebbero bagnate oppure si sarebbero avventurate nella Londra Notturna. Per giunta rivelava così tanto che pensare che fosse una qualche auror era difficile, ma in quel mondo di maschere che lo assicurava che anche quella non fosse una delle tante maschere? - «Sei abbastanza bella per...» – iniziò quando sentì del mago-stupratore: una delle tante parole che gli passarono per le orecchie. Ma era ubriaca?.. Pensò un attimo all'Orchestra: se avesse avuto un membro come quella ragazza, lei avrebbe rivelato tutto in un attimo. La morte in un secondo.
Poi ascoltà le informazioni sulla sua provenienza: Irlanda del Nord, Muirin. - "Che?" - Si chiese fra sé e sé capendo di essere sempre più incredulo. - «Puoi chiamarmi Do, come la Nota.» – Disse sicuro. Ormai era quello il suo nickname, - come dicevano i babbani, - ed era con quel nome che lo avrebbe conosciuto e riconosciuto. - «Conoscevo già un tipo irlandese dai capelli rossi. Amava il whiskey, ma è scappato.» – Disse ricordandosi di Rob: una piccola parentesi che segnava uno dei primi passi verso la nascita dell'Orchestra. Quindi ascoltò quel che gli parvero essere delle lamentele su lei di notte in un parco chiuso. - «Io credo che sia comunque bello... l'avventurarsi in un parco notturno... in solitaria... a cercare conforto delle stelle e degli uccelli. Anche io amo la solitudine,» – disse abbassando la bacchetta di un altro po', puntandole ora il bacino. - «Ognuno ha i suoi incubi, del resto, da cui cerca aiuto e conforto.» – Sorrise a sentir parlare di non aver interrotto nulla. Nella sua vita ha interrotto così tante cose che non sarebbe bastate un libro per elencarle tutte, comprese le vite degli elfi, auror, giudici, semplici babbani, poliziotti e chissà chi altri. Il Sacerdote della Morte, ecco come avrebbe dovuto rivolgersi a lui: altro che Do. Se era vero che l'anima si spezzava a ogni omicidio, la sua di anima era ormai in frantumi. Ma aveva scelto, si era immolato nel cammino e non avrebbe fatto un solo passo indietro.
«Se vuoi puoi condividere con me... i tuoi pensieri... e i tuoi demoni...» – "Che tanto già di miei ne ho pochi..." - pensò ricordandosi del volto del Giudice morente. Un balzo di gioia gli nacque nell'anima, ma divenne più attento. Da quel momento in poi ogni parola... l'avrebbe cattrata e compresa: un valido tesoro di cui fare insegnamento. - «No, non ascoltarli, i miei consigli.» – Disse sicuro. - «La vita è fatta anche di pericoli: esplora, cresci, combatti, rischia e soffri. Le tisane e i lattinici lasciamoli a coloro che non hanno il fegato di ammirare la notte e a coloro che al posto suo mandano a morire gli altri.» – Era da ammirare quel gesto, alla fine dei conti. In un mondo fatto d'impuri, dove le persone indossavano le maschere anche per conoscersi e innamorarsi, perché rifiutare una simile avventura nel Parco? - "Me l'ha mandata la Provvidenza?" - Si chiese osservando quella lunatica ragazza. Era un aspirante membro? Una ragazza che avrebbe influito sul suo Destino? O un semplice e casuale incontro di cui si sarebbe ben presto dimenticato?
Non sapeva cos'era, ma sapeva una sola cosa: bisognava essere sinceri e onesti fino alla fine. Essere sé stessi. Essere uomini.



«Indossa il giubbino per favore,» – gli chiese. Perché si preoccupava di lei? Che fosse morte bruciata in un edificio oppure rinfreddolita per una polmonite, che glie ne importava? La conosceva a malapena! Eppure...
Scoppiò a ridere di gusto sulla sua battuta sulla morte. "Sì!" - volle dire quasi. - "Mi manca solo la falce..." - La sua fragorosa risata risuonò in quel parco come un urlo nella notte: non rideva da un sacco di tempo, visto che era sempre solo con Sirius a Hogwarts e Leia chissà dove. Per giunta, di cosa doveva ridere, se non della propria incapacità di scegliere con criterio di causa i propri avversari?
La accontentò senza problemi, asciugandola in pochissimi istanti. Era un mago abile, almeno quello avrebbe dovuto ammetterlo quella donna. I gesti con la bacchetta furono fluidi e veloci; il risultato efficace e immediato. Ma nonostante tutto le avrebbe intimato di mettersi il giubbino ancora una volta. Anche se asciugata, restava comunque scoperta ai colpi di freddo.
Per il resto ascoltò il suo sunto delle sue parole. Era normale che non capisse: Do parlava sempre per enigmi. - «L'unico problema che c'è qui a Londra è quello dei mangiamorte e del Ministero della Magia affine, con i suoi scagnozzi-auror e altri cani al guinzaglio di coloro che detengono il potere nelle proprie mani,» – disse completamente sicuro di sè. La voce ferma e decisa non lasciava presagire il minimo dubbio, la minima insicurezza su di ciò che diceva. - «Io spero che ci siano attentati come quelli successi, raccolte firme contro il Ministero e il Capo-Auror e manifestazioni violente. Altrimenti resterà sempre e solo un mondo destinato a fallire nel suo lato più splendente: quello umano.» – Beh, onesto fino alla fine aveva promesso. E le parole erano promesse.
Alla fine dei conti, però, abbassò lo sguardo del tutto e si avvicinò alla ragazza tanto da essere vicinissimo, ma non abbastanza perché potesse scorgergli i lineamenti. - «Vieni,» – disse allungano in avanti la mano sinistra, priva della bacchetta, quasi come se la invitasse a toccarla. - «Se sei una sognatrice come me, ti mostrerò una cosa.
E se l'avesse afferrata, in un attimo un rumore sordo avrebbe riempito quell'area e le due figure sarebbero scomparse.



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Un altro complimento stupì Mìreen che non si aspettava che la persona che aveva davanti la considerasse bella, era strano ricevere complimenti da un uomo di cui non sapeva e vedeva niente, neanche l’aspetto…
Cosa nascondeva? Perché era così attento a non rivelare niente di sé?
Le aveva detto di chiamarlo come la nota musicale “DO”, significava che anche lui non voleva dirle il suo vero nome, limitandosi ad un soprannome come aveva fatto lei, anche se, nel caso della ragazza, si trattava comunque di una mezza verità, infondo Muìrin era il suo nome in irlandese e come la chiamavano familiari e amici stretti… invece “Do” era letteralmente inventato, doveva ammettere che era simpatica come idea, infatti subito dopo il dubbio se era sincero o la prendeva ingiro, ci fu un sorriso divertito…


<< Carina l’idea di una nota musicale come soprannome, se ad ognuno dei tuoi amici assegni una nota diversa, alla fine diventate uno spartito invece di un gruppo! >>

Ridacchiò, pensando a quale nota le sarebbe piaciuto essere… Forse “MI” per l’iniziare del suo nome “MIreen” oppure “FA” che era quella più vicina al suo cognome, ma dopo un singolo incontro in cui lui non si era neanche adeguatamente presentato, non pensava si potessero definire “amici”.
Le dispiacque che aveva perso un amico, anche lei aveva perso amici nel corso degli anni, soprattutto i suoi ex compagni di scuola, essendo per di più irlandese e non inglese a differenza della maggior parte di loro, era inevitabile non riuscire a mantenere tutti i contatti, poi l’ultimo anno era stato terribile, suo padre era appena morto, la sua famiglia a pezzi e lei andava avanti per inerzia, chi le stata vicino faceva il possibile per aiutarla ad andare avanti, ma non si curano facilmente le ferite lasciate dalla morte di un genitore tanto caro…
Fu proprio quell'evento traumatico e farle apprezzare ancora di più sia le poche persone che ancora le ci teneva a lei e che lottavano per risollevarle il morale, ma anche e soprattutto la solitudine…


<< Grazie, le tue parole mi fanno sentire meno scema nell’essermi avventurata in un parco, da sola, in piena notte, a cercare conforto nella natura… buona parte delle persone che conosco mi avrebbe riso in faccia o mi avrebbe dato della pazza, e per lo stesso motivo di solito evito di dire i miei demoni… ma qualcosa mi dice che i miei, a differenza dei tuoi, sembrerebbero una sciocchezza.
Riguardano un fatto doloroso successo anni fa che mi ha portato alla perdita di una persona molto importante e purtroppo i ricordi di quel momento ogni tanto, mentre dormo e sono più vulnerabile, cercano di tornare a galla, giusto per farmi passare una bella notte insonne…
Come che già non bastasse lo smog e il rumore del traffico di Londra già non bastasse.>>


Quando le propose di condividere con lei i suoi demoni, l’ombra di tristezza che stava lentamente calando sul suo volto al pensiero di cosa doveva passare in quelle notti, si fermò e un timido sorriso tornò dopo quel gesto di affetto tanto inaspettato quanto gradito…

<< Quando succede a casa mia, e intendo proprio casa mia in Irlanda, non è difficile trovare conforto nella natura, ne sono letteralmente circondata! Mi batta arrampicarmi sulla mia alta quercia, con la fontana in giardino che zampilla… e guardare il cielo, lì le stelle si vedono benissimo! Sono tantissime… e grandi… e luminose, tanto che la notte, se c’è la stellata, è illuminata quasi a giorno! E la luna poi… puoi contarci i crateri a occhio nudo!>>

Gli occhi le si erano illuminati ripensando a casa sua, per istinto aveva guardato versi l’alto, trovando però il solito cielo grigio, neanche nero… e il sorriso le era sparito con la stessa velocità con cui era comparso, sostituito da una smorfia.
Era ancora con lo sguardo distratto quando sentì le sue parole d’incoraggiamento e non potè che stupirsi, perché erano molto simili a quelle che le aveva detto sua madre prima di partire per Londra: “Vivi la tua vita libera da ogni catena e dai pregiudizi, sii te stessa anche se gli altri ti daranno della pazza, non cambiare per gli altri, ma fallo per te, perché sei TE che decidi di voler essere migliore.
Corri pericoli, fai cavolate, non vivere di rimorsi ma di esperienze! Svegliati la mattina e fai quello che ti viene in mente, senza tanti dubbi o patemi… e alla notte, quando andrai a dormire, non pentirti di ciò che hai fatto, perché se l’hai fatto, l’avrai fatto col cuore ed era ciò di cui avevi bisogno e che volevi davvero fare.”

Sentire quelle parole pronunciate dalla bocca di un altro, da quell’uomo losco incappucciato, la fecero quasi ridere, soprattutto quando le disse di lasciare le tisanine e i latticini a chi non ha abbastanza coraggio, ciò le riportò il buon umore che per un momento le era sparito.


<< Come hai detto te poco fa’… Spesso sono i gattini più teneri quelli più pericolosi.
Dici che incuto abbastanza timore così, bagnata e infreddolita? >>


Naturalmente lo stava prendendo in giro, ridotta in quel modo avrebbe spaventato solo sua madre col rischio di prendersi una polmonite; forse fu lo stesso pensiero di “DO” perché le chiese per la seconda volta di rimettersi il giubbotto… Era preoccupato per lei? Non voleva che si raffreddasse o che si ammalasse?
La sua risata improvvisa poi la fece trasalire, non se l’aspettava quella reazione dopo avergli fatto la battuta sulla morte, forse non era poi stato uno sbaglio andare in quel parco, se solo potesse sapere qualcosa di più di chi aveva davanti, la curiosità di cosa celasse sotto tutto quel tessuto la stava facendo impazzire.
Con gesti lenti in modo che non pensasse lo volesse attaccare, si chinò a raccogliere il giubbotto e se lo infilò più che felice di coprirsi, ma non si aspettava che accettasse la sua richiesta di asciugarla con l’incantesimo, la bella sensazione di tornare finalmente al caldo e all’asciutto le fece sfuggire un gemito di piacere che sperò lui non sentisse.
Ancora stretta nel tentativo di recuperare calore, bacchetta sempre abbassata e inerme nella mano destra, lo sentì commentare in modo brusco e quasi adirato contro sia i mangiamorte, sia il Ministero della Magia, allo “scagnozzi-auror” quasi sussultò… Se sapesse che era arrivata lì in quella città proprio per diventare uno di quei “cani al guinzaglio” cosa avrebbe detto? Cosa le avrebbe fatto? Perché odiava tanto gli Auror? Aveva dei precedenti con loro? Chi aveva fatto cosa e a chi?
Ripensò al padre, col tempo sempre più stanco, a volte diceva alla moglie frasi che non aveva mai capito: “L’ho dovuto fare… Non volevo, ma ho dovuto!” e sua madre che lo abbracciava e gli dava il conforto di cui lui aveva bisogno…
Che fosse costretto a fare azioni che non avrebbe voluto fare, a causa del suo lavoro? Li aveva sempre definiti “sacrifici necessari” ma non sapeva a cosa si riferisse, non glielo aveva mai detto, eppure non aveva mai lasciato il suo ruolo di Auror, erano davvero necessari se una persona buona come lui continuava quel lavoro.
Anche le affermazioni successive non le piacquero molto… quale anima tormentata e ferita poteva augurarsi attentati e manifestazioni violente? Eppure definiva il lato umano quello più splendente, perché volere che la comunità magica si scontri e arrivi alla violenza, se invece dovrebbe guardare più al proprio lato migliore? Che ritenesse la società ormai troppo corrotta e marcia per cambiare e migliorare senza far scoppiare una guerra? Che sapesse qualcosa che loro “persone comuni” non sanno o era solo un terrorista che vorrebbe risolvere tutto col sangue?
Il modo in cui aveva lanciato l’incantesimo poi, un gesto della mano veloce e sicuro, come fosse abituato a puntare e usare la bacchetta, sembrava esperto nella magia e non ci voleva un genio a capire che quella capacità non era data solo dalla scuola o qualche allenamento in solitaria, ma da chissà quanti duelli.
Eppure si era preoccupato per lei, una completa sconosciuta, non voleva si raffreddasse, non l’aveva attaccata quando si era mostrata una invasata che schizzava acqua ovunque, le aveva lasciato pure tenere la bacchetta per tranquilizzarla, non poteva essere quel genere di persona votata al male e/o al dolore, alla sofferenza altrui… non sarebbe ancora viva e non si sarebbe mostrato tanto ben disposto ad ascoltare i suoi timori e le sue paure, a consolarla.
Cos’era successo nel suo passato da renderlo così arrabbiato verso sia coloro che rappresentavano l’oscurità (i mangiamorte) sia addirittura quelli che dovrebbero essere considerati portatori di luce e salvezza (gli auror)?

Agli occhi di Mìreen, l’uomo che aveva davanti non era da temere, certo era pericoloso, ma nelle sue parole c’era senso di giustizia, sì un po’ contorto, quasi disperato, ma era proprio quella perdita di speranza nelle istituzioni come il ministero da indurlo a pensare che solo una “guerra” risolverebbe la situazione.
Davanti a lei, non c’era un criminale, ma un ragazzo misterioso, tormentato dal passato come lei, ma lei ancora credeva in una giustizia “pacifica”, lui era arrivato al punto da pensare che solo con la violenza e le bacchette alla mano si poteva risolvere e cambiare le cose.
Per quel motivo, per curiosità verso quel giovane incappucciato, ma soprattutto per una fiducia che non sapeva spiegare, eppure la sentiva dentro di sé verso di lui, era rimasta dov’era benchè tutto l’astio…
Quando lui si avvicinò tanto da poterlo toccare, da potergli puntare la bacchetta contro senza che lui avesse il tempo di reagire, da potergli abbassare il cappuccio e rivelare chi fosse, le uniche parole che le passarono per la testa, furono:


[ Io sono una sognatrice?]

Si mordicchio il labbro inferiore.
Nessuna paura, nessun timore provò ad averlo così vicino, solo il suo cuore faceva rumore tra di loro, batteva frenetico dinnanzi alla sua proposta, l’adrenalina di un’avventura misteriosa davanti a lei, la curiosità su dove la volesse portare…
Le stava porgendo la mano libera dalla bacchetta…


[ Io sono una sognatrice?]

Allungò la propria mano e prese quella di lui.
§ PS: 160 § PC: 110 § PM: 110 ஜ EXP: 23
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Sostava dinnanzi a lui come un'ombra spuntata fuori dalla notte: i lunghi e bagnati capelli che ricadevano sulle sue graziose spalle. Era certamente un bel panorama, per così dire, da vedere: lo apprezzava particolarmente. Gli mancava la femminilità: da quando Leia era del tutto scomparsa dalla sua vita, vi si era creato un grande vuoto di quelli che non sarebbe mai riuscito a colmare. Per lo meno non andando alla ricerca di altre donne o provocando in sé degli amori artificiali: l'amore veniva da solo, non bisognava chiamarlo. O almeno così aveva sempre pensato e quel che aveva sempre pensato di certo non sarebbe cambiato nel giro di qualche ora. Per questo rimase a osservarla da sotto il suo cappuccio, un po' freddo, un po' titubante, con il cuore che ormai decellerava i propri ritmi per ritrovare la calma e la pace necessaria per pensare. Non era un'auror, non era una poliziotta, non era una mangiamorte: chi era? Una luce vagante tra le tenebre? Un messaggio della Provvidenza? Un lontano ricordo o un miraggio giunto in aiuto di colui che da tempo aveva bisogno di una spalla femminile su di cui poggiare in attesa di quel cuore che, prima o poi, sarebbe ritornato per essere amato e innalzato. Le scure iridi balzarono qua e la, non sulla figura, ma ben oltre la stessa. Difatti doveva vedere, individuare e capire: ogni momento era un pericolo, ogni istante poteva essere l'ultimo nonostante tutte le precauzioni prese ed era quello il motivo preciso per cui osservava, osservava e osservava. Ma non poteva guardare sempre in cerca di corpi, d'imboscate e di bugie: il mondo era combattimento, ma era anche bellezza. E chi quella bellezza, - del sole, delle stelle, dei venti, delle acque e dei corpi, - la perdeva, non era che destinato all'oblio. La forza e la bellezza dovevano venire fusi in un solo corpo: quel corpo che sarebbe stato abile d'incantare, sconfiggere e abbattere, ma che avrebbe saputo anche apprezzare gli istanti.
«Diventeremmo una sinfonia, non un pezzo di carta, ma... non ho amici,» – rispose secco ed era vero. I vecchi legami li aveva tagliati da tempo: erano un intralcio alla corsa. Sirius e Nicholas, invece, non erano soltanto degli amici: una volta entrati nell'Orchestra si diventava fratelli, 3 corpi con un'anima sola. Together as One. - «Ho molto di più.» – Finì per dire lasciando che quella frase cadesse nel completo vuoto. Non voleva rivelare nulla di più; non voleva, anzi, dire nient'altro: lasciava ogni cosa nel sospeso e stava a lei capire cosa voleva dire o cosa non voleva dire. Ma non mentiva, no. Quello mai: la strada era stata imboccata da moltissimo tempo ormai e non poteva che camminare sempre in avanti, nonostante tutte le difficoltà del caso. Stava a lei: accettare o rifiutare, vedere in faccia oppure ritirarsi. La paura era costante; il rimpianto di non averci provato a indagare oltre l'avrebbe probabilmente divorata anche se non era una giornalista, ma solo una ragazza persa tra le ombre. Le mise una mano sulla spalla, o almeno avrebbe cercato di farlo: un solo segno di conforto o molto di più. - «La buona parte delle persone merita di ritrovarsi nella melma che porta nell'animo, a mangiare insieme ai maiali.» – Disse sicuro. Avrebbe bruciato quella buona parte delle persone senza farsi troppe domande in merito: vite perdute, certo, ma vite piccole e inutili. Poiché nulla avrebbero apportato al mondo coloro che sembravano privi della capacità di comprendere e di donare: gusci vuoti, nient'altro. Avrebbe potuto esprimere tutti quei pensieri a voce alta, avrebbe potuto urlarli nella faccia di chiunque: il mondo lo conquistavano solo i cuori ardenti, i sognatori delle ore notturne, i pazzi dei duelli, gli anormali, gli speciali, i matti. Al di là dei loro demoni, dei loro sentimenti, di tutto ciò che portavano nei cuori, nell'anima: il mondo era loro e di nessun altro, perché la massa grigia di nullafacenti poteva andare a farsi fottere, come sempre aveva fatto dall'origine del mondo e fino a quell'anno.
Ma lui no. Non avrebbe accettato l'inesistenza: il vuoto nell'anima e nello spirito oltre ogni limite e immaginazione. Non si sarebbe spento come se non ci fosse mai stato: si sarebbe illuminato, in un modo o nell'altro. Non erano i suoi demoni: erano i demoni del mondo. E quelli che raccontava, invece, erano soltanto dei demoni di un suo passato lontano. I demoni che tornavano a galla; che tormentavano le anime complesse, difficili eppure fragili. Quei volti, quelle voci, quei rumori: le sensazioni e i sudori non dovevano che essere lasciate al litorale perché svanissero oltre l'orizzonte. - «Capisco,» – affermò sicuro con un cenno del capo, staccando la mano dalla sua spalla. - «Ognuno ha i suoi tormenti: chi più e chi meno.» – Sospirò soltanto. Era ovvio che bisognava imparare, in qualche modo, a superarli questi ostacoli. - «Dev'essere bellissima... l'Irlanda...» – disse soltanto pensando a quel Paese così lontano e così vicino. Avrebbe dovuto visitarlo prima o poi: sembrava un vero paradiso. Un po' come lo era il Giappone dagli alberi di ciliegio dai petali svolazzati.
Per un attimo guardò in alto, dove il manto stellato sembrava ovunque lo stesso: punti lucenti in mezzo al nulla totale. Era forse quella la metafora di com'era la vita?
«No,» – abbassò la testa. - «Al di là di questo mondo di maschere e d'inganni, di falsità e bugie, dove l'eroismo, l'amore, la lealtà e l'amicizia hanno perso qualsiasi valore... no, non incuti abbastanza timore. Non in me, almeno.» – Le disse sincero. Poteva essere chiunque, ma non era chi, nel cuor suo, sperava che fosse per accendere quella serata con i raggi e i suoni che egli tanto amava. Non l'avrebbe preso, non l'avrebbe afferrato, non sarebbe corsa dietro a lui: ogni cosa restava nel passato. - «Ma un giorno potresti incuterlo, in me, quel genere di timore.» – Disse semplicemente riferendosi alle sue parole di prima: il vento della guerra non era lontano e per quanto solo contro tutti, ci avrebbe messo tutto sé stesso in quel compito. Avrebbe dato del filo da torcere a tutti loro. A chiunque si fosse trovato dinnanzi, vecchio o bambino, auror o mangiamorte, ministero o scuola... era quella la strada; era quella la scelta. Non restava far altro che combattere, che andare, che camminare. Le scelte erano scelte; e le promesse erano pur sempre delle promesse. Bisogna rispettarle a qualsiasi costo: per sé stessi, non per gli altri.

Sentì il docile tocco della sua mano: era leggero come il vento. Ne afferrò il palmo, vide nella propria mente la destinazione, sentì crescere la determinazione, mosse un solo passo ruotando intorno al proprio asse. Uno scoppio e nient'altro: c'erano o non c'erano sarebbe stata una questione secondario, poiché nulla rimase al loro posto, tranne il vuoto completo. Loro due, invece, si materializzarono al limitare della città, dove una collina sorgeva sovrana poco distante da quegli edifici, quei palazzi, quei parchi e quelle torri. I fuochi della città erano tanto lontani quanto bellissimi: delle splendidi luci in mezzo alla notte. Le piacevano? Lui le guardava immaginandole infinite, piccole, danzati. Eppure nella sua mente vedeva anche il fuoco, quà e là, sovrano e tiranno: ascoltava le voci e sentiva i sospiri. Quella città era la città del vuoto; quei fuochi erano illusori; quei sentimenti erano vani: il mondo era così perché qualcun altro aveva voluto che fosse così.
«Ti piace?» – Chiese per staccare la mano dalla sua. - «I fuochi dalla luce fredda... una manifestazione senza essenza...» – Sospirò, cercando di rivedere quella sua immagine, quel suo sogno.
Londra doveva bruciare.
Tutta.
Fino alla cenere.
Per poi rinascere, nuova e calda, ancora più splendente: senza falsità, bugie e lasciandosi alle spalle il freddo di sorta.
Ma Re non sarebbe stato d'accordo, immaginava.

 
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...Non è il Sangue che ti scorre nelle Vene a decidere ciò che Sei,
ma quello che scegli TE di essere...



Mìreen Kathleen Niamh Fiachran

§ 25 Anni § Aspirante AUROR § Ex Grifondoro
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Aveva toccato leggermente la sua mano e lui gliela aveva presa per smaterializzarsi insieme.
Non oppose resistenza perché immaginava la volesse portare da qualche parte e aveva deciso di seguirlo senza sapere dove volesse andare, fidandosi solo del proprio intuito.
Si era sbagliata?
Lo avrebbe saputo a breve, ma quella era stata la sua scelta.

Chiuse gli occhi e quando li riaprì ebbe un leggero giramento, di solito non si smaterializzava in coppia, così gli strinse il braccio sperando che ciò non lo facesse arrabbiare o infastidisse.
Quando la terra sotto i suoi piedi smise di ondeggiare, si allontanò leggermente da lui per guardarsi intorno… erano su una zona rialzata, completamente avvolti dal buio della notte, ma un paesaggio mozzafiato attirò la sua attenzione facendole spalancare gli occhi e per la prima volta in quella nottata si zittì.
Fece qualche passo lontano da lui, gli occhi fissi su ciò che vedeva: era ancora a Londra, probabilmente in collina, ma da dov’erano, le luci della città esplodevano in mille colori, mille fuochi illuminavano la capitale in un modo meraviglioso, era ipnotizzata da quelle lucine, alcune erano fisse, altre si muovevano, altre ancora sembravano quasi danzare come piccole fiammelle colorate.
Quasi non si sentivano i suoni della città, solo il soffiare del vento tra gli alberi e i cespugli lì intorno, e una civetta nascosta chissà dove.
Le sue mani, compresa quella che portava la bacchetta, andarono al medaglione che portava sotto la maglia, il suo cuore era stupito quanto lei della sorpresa che le aveva fatto, mai si sarebbe immaginata che lui potesse conoscere un posto tanto bello e che lo potesse condividere con lei.
Quel gesto così altruista fu la conferma che non si era sbagliata, che aveva fatto la scelta giusta, che erano entrambi sognatori; aveva trattenuto il respiro fino a quel momento, per poi rilasciarlo tutto in una volta.
Quella visione fu meglio di un tranquillante per lei e per i suoi nervi tesi, gli incubi della notte erano finalmente spariti, sostituiti da quel quadro vivo e splendido.
Fino a quel momento aveva odiato Londra, in ogni suo aspetto, troppo diversa dal suo villaggio, dalla bellezza della sua natura… eppure quello spettacolo era da mozzare il fiato, benchè fosse artefatto, luci fredde e senz’anima, era ugualmente bellissimo.
Tutto grazie a “DO”.
Lentamente si girò verso di lui.
L’uomo che aveva davanti, rimasto per tutto quel tempo avvolto nell’oscurità di quel mantello nero, nascosto nell’ombra con una bacchetta sempre puntata contro di lei, con quell’aura di mistero e pericolo, in verità era dotatio di un lato premuroso, come aveva detto che il loro lato umano era anche il migliore, era capace di riconoscere e ammirare spettacoli come quelli che rincuoravano il cuore, che le aveva fatto apprezzare un nuovo lato di Londra che non conosceva e che neanche poteva immaginarsi.
Tornò sui suoi passi, tornò davanti a lui, col sorriso sulle labbra e un’espressione grata ad illuminarle il volto; mise la bacchetta nella tasca del giubbotto e allungò le mani verso quella con cui poco prima l’aveva afferrata per portarla lì.


<< Grazie.
Saranno luci fredde senza essenza… ma era la meraviglia di cui avevo bisogno per scacciare i demoni dei miei incubi, almeno per un po’.>>


Attese un attimo, indecisa se fargli o no la proposta, poi zittì la voce nella sua testa che la metteva ancora in guardia e aggiunse:

<< Al mio villaggio, nella contea di Antrin, è tradizione festeggiare Beltane con una grande e meravigliosa festa primaverile, secondo le usanze druidiche da cui discendo… una di quelle, è che i presenti interessati ad unirsi alla festa, indossino una maschera creata con elementi naturali come rami, foglie e così via, che copre tutto o solo in parte il volto.
Se ti fa piacere, se riesci, potresti passare…
La cerimonia merita molto, è parecchio conosciuta, ed essendo organizzata e svolta dalla mia famiglia, io ci sarò di certo… sarò quella vestita in tunica bianca e decori celtici, affianco alla sacerdotessa che svolgerà il rituale agli dei.>>


Aveva fatto bene a invitarlo? Si sarebbe presentato?
Ma soprattutto… Chi era il ragazzo che aveva davanti?
Chi era quel giovane che si nascondeva con così tanta attenzione, il cui passato aveva lasciato un segno tanto profondo da segnargli l’anima…?
La curiosità di vedere chi aveva davanti, i suoi occhi, il suo volto non l’aveva mai lasciata, era solo aumentata, più parlava più lei si poneva domande su di lui e sui suoi misteri.
Con una lentezza voluta, quasi calcolata, per non agitarlo o spaventarlo sulle sue intenzioni, allentò la stretta della sua mano nelle proprie e si avvicinò di più a lui.
L’unica cosa che intravedeva con le luci della luna e delle poche stelle, era un lineamento impreciso di un viso dalla pelle chiara.
La sua mano destra lasciò quella di lui per appoggiarsi, timida e incerta dove ipotizzò si trovasse il suo stomaco, col palmo aperto, scivolò verso l’alto fino al suo torace, sotto a quel nero mantello, riusciva a percepire un fisico duro… ma caldo, pulsava di vita come a confermarle che fino a quel momento non aveva solo sognato.
Mosse la mano sinistra, ancora stretta a quella di lui, lungo il suo braccio, lo sguardo di lei seguì con attenzione quel lento movimento, non era né asciutto, né troppo muscoloso, finché non arrivò alle sue larghe spalle… lì si fermò un attimo, sospesa tra il desiderio di continuare e la ragione che le diceva che stava giocando troppo col fuoco.
Il cuore batteva all’impazzata, un misto di eccitazione e paura… che si stesse arrabbiando perché lo stava toccando invece di mantenere una “certa distanza di sicurezza”?
Era completamente disarmata, poteva attaccarla anche senza magia, vicina com’era poteva spingerla e lei sarebbe caduta a terra senza aver il tempo di reagire ed evitarlo, eppure non aveva intenzione di riprendere la bacchetta, restava ferma davanti a lui, tanto vicina da sentire il suo respiro, a mordicchiarsi il labbro inferiore indecisa se continuare o fermarsi, era nervosa perché lo stava toccando, toccava un altro sconosciuto, senza sapere se poteva, senza poter vedere nessuna possibile espressione del volto che potesse aiutarla a decidere se era il caso di smettere.
Fece un profondo respiro… per calmarsi e forse per trovare il coraggio di andare oltre il buon senso.
Chiuse gli occhi e alzò il viso verso di lui, in modo che vedesse che in nessun modo avrebbe potuto vederlo, si era privata della possibilità di vederlo per sua scelta; poi con delicatezza mosse entrambe le mani, leggermente tremanti, verso il volto di lui.
Come un cieco che non può affidarsi alla vista per “vedere”, lei mosse le sue mani toccandolo solo col polpastrelli, prima seguì il lungo collo, poi incontrò una leggera barba a cui non poteva dare forma, come non poteva dire di che colore fossero i capelli dove le sue mani stavano passando.
Era più alto di lei, quello lo aveva notato subito, ma non si aspettava lo fosse così tanto, con la mano sinistra tornò alla sua spalla a cui si appoggiò per avere l’equilibrio necessario a continuare, ad occhi chiusi il suo mondo era diventato nero, lui era il suo unico contatto con la realtà, e nella sua mente, l’immaginazione cercava di disegnare il viso dell’uomo che quella sera l’aveva messa alla prova.
La mano destra, dai capelli folti e leggermente lunghi, scese seguendo i lineamenti del viso, per poi risalire e trovare una cicatrice vicino all’occhio sinistro, le fece venire in mente la propria sul petto, la pelle era liscia, ancora giovane…
Di colpo si fermò.
Una benda copriva l’occhio destro, dividendo il suo volto a metà diagonalmente.

Un sospiro di stupore le sfuggì e con voce preoccupata e triste, gli sussurrò un - Mi dispiace… - per poi continuare a sfiorarlo, la presenza di una benda non la disturbava minimamente, anzi aumentavano solo le domande che avrebbe voluto porgli, la sua curiosità e il bisogno di sapere altro su di lui e sul suo passato.
La sua mano scese delicata trovando il naso e infine, arrivò alle labbra.
L’ultima volta che aveva toccato delle labbra era stato settimane prima quelle del giovane babbano irlandese come lei incontrato al pub, ma in quel momento era ubriaca e lui si era mostrato poco interessato… un bacio non certo da ricordare benchè a lei ogni tanto capitasse di ripensarci.
I battiti aumentarono ancora di più, con la consapevolezza che stava toccando la bocca di uno sconosciuto, che per tutta la sera le aveva puntato la bacchetta… eppure quelli che sentiva non erano brividi di paura, e neanche di freddo.
C’era qualcosa di sbagliato in lei, se sentiva il viso arrossire e il cuore esploderle nel petto?
Il respiro caldo di lui si scontrava contro l’indice di lei che poggiava indeciso sul suo labbro inferiore, per poi percorrere quelle labbra carnose quasi sfiorandole per paura di essersi spinta troppo oltre e di far crollare quella fiducia ottenuta con tanta fatica.

E senza che se ne accorgesse, le labbra di lei si dischiusero…
…in un tacito invito, che lei non si rese conto di fargli.


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Azioni autoconclusive sono state concordate e approvate in chat privata tra i partecipanti alla role.


Edited by LadyShamy90 - 28/5/2018, 19:44
 
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view post Posted on 30/5/2018, 23:20
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Le luci della città erano belle, ma restavano soltanto delle lontane e fredde luci. Non avevano essenza; non avevano calore: esattamente come le persone che le accendevano, era solo delle luci spente. Il vero significato restava oltre quell'alone di apparenza e inganno. Il vero significato era ben lontano dall'essere descritto unicamente in una fredda lucina, una manifestazione apparente. Stare lì a osservarle era sicuramente bellissimo, specialmente in compagnia di quella ragazza sconosciuta dagli occhi docili e dal corpo infreddolito. Ma non era che semplicemente una pausa di quiete in mezzo alla tempesta: presto sarebbe finita, le luci si sarebbero spente, un nuovo giorno sarebbe giunto e l'esistenza di Raven avrebbe continuato la sua folle corsa verso un'idea che difficilmente avrebbe potuto realizzare: una scalata verso la cima della montagna che però richiedeva troppi sacrifici e troppi tagli. Aveva scelto quella strada e che gli piacesse o no, avrebbe comunque camminato fino in fondo al di là di tutto quello che doveva sacrificare. Del resto, lei se ne era allontanata; andata; sparita come uno spettro nella nebbia mattutina: di lei non aveva notizie e forse non l'avrebbe mai rivista anche se non fosse comunque morto dopo tutto quello che stava per fare. Eppure era così crudele: lasciarsela indietro per camminare in avanti sapendo di non avere alcun futuro e di non poterle regalare ciò che lei, probabilmente, avrebbe voluto. Ma non era soltanto Lei a essere rimasta indietro, bensì anche i suoi amici, i compagni di squadra: tutto per una sola idea. Era a quello che pensava ignorando quelle luci senza essenza: la sua battaglia, che aveva posto su di ogni altra cosa. Per la quale si era sacrificato senza rimorsi e così avrebbe continuato, per tutto il tempo necessario, a soffrire e uccidersi, tagliando ogni legame e ogni ponte. I tempi di felicità facevano nascere persone deboli; persone deboli creavano caos e casino; dal caos uscivano personalità forti, che facevano ritornare i tempi felici.
Era quello il segreto?
«Figurati...» – rispose semplicemente chiudendo gli occhi per un attimo. Gli piaceva quel tocco, - delicato, - della sua mano sulla sua, ma sapeva di già dove sarebbe potuta giungere tutta quella storia: in un vicolo cieco senza possibilità di ritorno e senza alcun futuro, specialmente considerando il suo status.
Quelle luci le sarebbero servite unicamente per trovare un attimo di piace in mezzo a tutto l'ardore; la loro luminosità avrebbe, forse, scacciato i suoi demoni. Ma questi sarebbero ritornati. Di nuovo e di nuovo. Finché non li avrebbe distrutti tutti, bruciandoli con la loro stessa fiamma, estirpandoli fino alla radice e distruggendone le basi. Proprio come voleva fare anch'egli, con quei fuochi senza essenza... e con quel mondo senza alcun significato. Strinse la sua mano per quanto potesse nel cercare di regalargli il calore vero, quello che, forse, un giorno l'avrebbe aiutata a scacciare i suoi demoni.
E ascoltò, zitto, la sua proposta.
«Capisco,» – sospirò. - «Se la Provvidenza lo vuole...» – stette per iniziare il suo lungo discorso. Poi si fermò. - «Spero di esserci,» – rispose con il tono di voce deciso, non sapendo nemmeno cosa glie lo faceva dire. Sentiva che sarebbe morto, prima o poi; e sentiva che sarebbe stato meglio non creare altri legame per non doverli forzatamente spezzare poco dopo. Un ponte spezzato, un cuore rotto: una sofferenza subita.
Non seppe se quella risposta la convinse o meno; seppe però che il suo braccio si avvicinava al suo stomaco. Cosa voleva fare? Per un attimo, quasi come se di scatto, volle allontanarsi. Poi lasciò fare. Lasciò che la sua mano toccasse il suo corpo e salisse sempre di più, quasi esplorandolo, quel suo corpo martoriato. Non fece esattamente niente, curioso di scoprire cosa lei avrebbe scoperto, fino a dove si sarebbe spinta...
Rimase così per un attimo, percependo il polpastrelli sul viso, sulla cicatrice, sull'accenno alla barba, sulla benda: una ferita che avrebbe portato con orgoglio o che avrebbe persino trasformato in un vantaggio. Ci volle poco perché la mano trovasse anche le labbra: le sue dite erano calde a contatto con le stesse.
Da quel momento in poi, - complice anche quell'atmosfera fantastica, - aveva già capito cosa avrebbe fatto la ragazza. Ma una promessa era pur sempre una promessa; e le parole perdevano ogni valore e significato quando le promesse non venivano mantenute. Sentì il suo caldo respiro; gli occhi chiusi.
Fu allora che, roteando sul proprio asse e tenendo bene in mente la destinazione e la determinazione a raggiungerla, sparì proprio quando il suo respiro fu a pochi centimetri dal suo.
 
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10 replies since 4/4/2018, 22:19   320 views
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