| ...Non è il Sangue che ti scorre nelle Vene a decidere ciò che Sei, ma quello che scegli TE di essere...
Mìreen Kathleen Niamh FiachranMezzanotte passata.CITAZIONE Suo padre livido e sanguinante, morto nel salotto, accasciato contro il box del figlio ancora piccolo, una posa innaturale che il suo corpo ha preso nel momento in cui l’Anatema che Uccide l’ha colpito alla schiena mentre protegge il figlio. E’ immobile, gli occhi vitrei senza più una sola scintilla di vita. Suo fratello è disteso nel box col respiro tanto lento da sembrare ormai prossimo alla morte. Le fiamme hanno ormai invaso tutto il piano terra e avanzano verso di lei, ovunque si gira non c’è un solo angolo della casa ancora sicuro, il fumo nero sta saturando l’aria bruciando il poco ossigeno rimasto… Vampate di calore le arrivano addosso da ogni parte, un calore tanto forte da sembrare di essere finita all’Inferno, il metallo della sua collana surriscaldato le sta bruciando la pelle del petto, ma è la meno in confronto gli occhi che le lacrimano e alla gola che raschia, come avesse ingoiato vetri rotti, disperata in cerca di aria respirabile. Ora sta avanzando disperata col fratellino in braccio, le forze che piano piano la stanno lasciando facendo sembrare più pesante il corpo inerme della creatura che tiene stretta a sé… le uniche parole che la sua testa sotto shock le sta ripetendo quasi urlando sono: “VIVI”, “LOTTA”, “SALVALO”, “DEVI VIVERE ANCHE PER LUI”. Ce la sta facendo, si sta avvicinando alla porta sul retro della cucina, ma ormai non ce la fa più, non trova più la forza per compere gli ultimi passi… Sta per morire, sente la presenza della fredda morte, arrivata poco fa’ per prendere suo padre, aspettare paziente di prendere anche lei e suo fratello. La porta di colpo si spalanca, il volto della madre è deformato dall’orrore di ciò che ha visto, dalla paura e dal dolore per ciò che i suoi occhi stanno vedendo… le mani nei capelli, le lacrime che scendono copiose… e poi un muto urlo. Deve esser stato devastante. Ma lei non lo sta sentendo, perché in quel momento sta svenendo per la mancanza d’aria nei polmoni… la vista le si sta offuscando e il suo mondo diventa sempre più buio… Sta cadendo e l’unico pensiero che le passa per la testa e che in quel momento le dà le ultime briciole di forza per stringere il piccolo corpo del fratello è “Proteggilo. Cadi all'indietro così, non sarà lui a sbattere”. Per poi cadere nel più nero e profondo oblio. Mìreen si svegliò di colpo. Si prese la testa tra le mani, le girava e le stava dando fitte di dolore a ripetizione, il cuore batteva all’impazzata, il respiro frenetico, era letteralmente in un bagno di sudore. Si guardò confusa e spaesata intorno... troppo buio in quella stanza, troppe luci fuori dalla finestra. Dov’era? Perché era lì? Dov’erano i suoi familiari? Non sapeva dov’era, quella non era la sua camera, quella non era casa sua… Dov’era? Subito la mano destra andò al palmo della sinistra a tracciare il triquetra della sua famiglia senza mai fermarsi, senza mai interrompere il contatto tra il dito indice e la pelle della mano. Piano piano il suo respiro tornò lento e controllato, i battiti regolari e le nebbie dell’incubo si diradarono per permetterle di pensare con più lucidità. Era nella su camera da letto, nel suo appartamento a Londra, trasferitasi da pochi mesi… sua madre e sua nonna erano a casa nel loro villaggio nell’Irlanda del Nord, al sicuro, come lo era suo fratello ad Hogwarts. Smise di tracciarsi il simbolo sulla mano, ora che si era calmata e aveva ritrovato la ragione poteva alzarsi e andare in bagno per sciacquarsi il volto, ma come temeva quel gesto non le diede il sollievo che sperava. Da quando era successa la tragedia, i casi di quei vividi incubi erano stati sempre meno frequenti col passare degli anni, ma non erano mai spariti, le si ripresentavano dopo un tot di tempo, non sapeva cosa li innescasse… stanchezza, ansia, pensieri negativi? Non lo aveva ancora capito, ma sembrava che il suo passato non la volesse lasciare in pace e quando meno se lo aspettava tornava a bussare le porte del suo inconscio, nei momenti in cui era più volubile: mentre dormiva. Quando le succedeva a casa, nel suo villaggio, aveva bisogno di uscire fuori a respirare aria fresca e pulita, usciva sul suo balcone da cui sporgendosi poteva raggiungere l’enorme quercia che cresceva dietro casa, per poi arrampicarsi e sedersi su uno dei rami più alti e larghi, si appoggiava con la schiena al tronco e guardava il cielo stellato, il rumore dell’acqua della fontana poco distante dalla pianta la cullava come una dolce melodia. Capitava spesso che la raggiungesse la madre, non sapeva come fosse possibile, ma riusciva a sentire quando i propri figli erano turbati, sofferente e lei anche nel pieno della notte accorreva ad abbracciarli e a sedersi vicino loro per tranquillizzarli e aiutarli a ritrovare un sonno tranquillo. Ma non era a casa sua, era a Londra, in un altro Stato e non c’era sua madre a tenerle compagnia, non c’era neanche la sua enorme quercia e il rumore della fontana a confortarla… In verità una fontana poco distante da lì c’era, magari poteva farci letteralmente un salto per poi tornarsene in camera… No, era un’idea troppo stupida, soprattutto da fare in piena notte. Si rimise a letto e provò a chiudere gli occhi tenendo la tenue luce del comodino accesa, ma non ci fu’ verso, ogni volta che chiudeva gli occhi le terribili immagini e sensazioni tornavano; se voleva sperare di recuperare il sonno non poteva fare altro di andare nel parco davanti casa e sperare che in mezzo alla natura, magari appoggiata alla fontana da cui passava ogni mattina quando andava a correre, potesse rimediare qualche ora di dormita.
Si cambiò mettendosi le prime cose nere che trovò nell’armadio, pensò che come colore era il migliore per passare inosservata tra gli alberi del parco e nel caso dovesse nascondersi: maglietta nera lunga, pantaloni comodi aderenti il giusto, scarpette blu scuro e infine un giubbottino nero con tanto di cappuccio, il suo look da “tipa losca che non vorresti incontrare in un vicolo” era completo. Non sapeva se era una fortuna, ma non si faceva la tinta da un po’ e i suoi capelli neri stavano ricomparendo da sotto il vecchio colore, una sfumatura che adorava le era comparsa: verso le punte si distingueva ancora il blu chiaro della tinta precedente, piano piano andava scurendosi fino a diventare del suo nero onice alla radice. Si alzò il cappuccio sopra la testa, con la bacchetta ben assicurata sotto il giubbotto si smaterializzò dentro Reget’s Park che naturalmente a quell’ora era chiuso, in un punto che sapeva essere privo di illuminazione e che aveva individuato nelle sue corse mattiniere, temeva che un giorno le fosse servito trovare un punto sicuro per raggiungere l’interno del parco, ma sperava succedesse per motivazioni migliore dello distrarsi da dolorosi ricordi… Magari un appuntamento segreto con un bel ragazzo dai capelli rossi conosciuto da poco in un certo pub londinese. Se sperava che pensare a quel ragazzo le si potessero calmare “i bollenti spiriti” era messa male, stava ancora cercando di toglierselo dalla testa e soprattutto di dimenticare la cavolata fatta dopo qualche drink di troppo e quell’ingiustificato, improvviso bisogno di toccare la sua pelle e di baciarlo…
Come previsto si smaterializzò in un punto completamente buio nel cuore del parco, rimase immobile cercando di controllare intorno a sè che non ci fossero luci di dubbia provenienza, gli occhi che piano piano si adattavano all’assenza di luce, affinò l’udito alla ricerca di possibili rumori sospetti. Per fortuna tutto taceva a parte il fischio del vento che le scompigliava le ciocche sfuggite al cappuccio, dalla tasca interna del giubbotto estrasse la bacchetta e a voce bassa disse << Lumus >>, la tenne nascosta per evitare che qualcuno la vedesse, tanto le serviva giusto un leggero bagliore per non finire in una qualche buca o inciampare in una radice, e se veniva scoperta da un qualche babbano (probabilmente un delinquente o spacciatore vista l’ora e il parco chiuso), poteva dire che era una torcia, spegnerla e smaterializzarsi di nuovo nel suo appartamento. Lentamente, con orecchie e sguardo attento si diresse verso la fontana che conosceva bene e che al momento vedeva come unica speranza per tranquillizzarsi col suono dei borbotti e gorgheggi dei suoi spruzzi d’acqua. Arrivata al limitare delle ombre oltre le quali c’era il sentiero illuminato dai lampioni che portava alla fontana si fermò, spense la bacchetta e diede un’occhiata circospetta all’ambiente, ma già vedeva poco distante la grande fontana e sentiva il richiamo dell’acqua e nella natura che la circondava, così uscì allo scoperto e si diresse in quella direzione. Osservò l’acqua scendere dai getti e raccogliersi nella grande “vasca” in pietra grigia posta alla base e che la circondava completamente, chiuse gli occhi e si concentrò sul suono del vento che faceva muovere le chiome degli alberi e dei cespugli lì intorno, insieme al rumore dell’acqua era una dolce melodia che scioglieva i nodi di tensione e le rilassavano la mente. Un leggero sorriso stava prendendo forma sul suo viso finalmente rilassato… Ma di colpo l’immagine di suo padre morto con gli occhi vitrei senza vita, le fiamme e il fuoco che la circondava e la bruciavano, e l’orribile volto della madre sconvolta, le comparvero una dopo l’altra così nitide che furono come un sonoro schiaffo nella sua povera mente già martoriata, tanto terrificanti da farle afferrare la dura pietra con entrambe le mani per sorreggersi e non cadere a terra dallo spavento, quasi non le uscì un urlo ma riuscì a soffocarlo in tempo per diventare solo un lamento. Il viso, le braccia, la pelle le bruciavano al ricordo del fuoco, subito si gettò l’acqua addosso fregandosene se poi finiva bagnata fradicia rischiando un raffreddore in quell’autunno ormai inoltrato, ma almeno il sollievo che ne seguì spense la sensazione delle fiamme addosso. Abbassò lo sguardo sul cupo riflesso che la fontana con la lontana luce le rimandava, il cappuccio le era sceso mentre cercava “di spegnere l’incendio” sul suo corpo e ora lunghe ciocche nere e blu in parte le stavano attaccate alle guance e al collo bagnati, in parte le ricadevano davanti il viso grondanti acqua.<< Non ha funzionato! Credevo di essermi ormai abituata a questo maledetto posto e invece No! Stupida grigia, sporca e rumorosa città! Stupido parco! E Stupidi incubi… >>Dalla rabbia e frustrazione assestò una bella manata all’acqua dove fino a poco prima osservava il suo volto deluso e amareggiato, l’impatto con la superficie provocò un’onda spinta tutta alla sua sinistra e soprattutto schizzi volarono ovunque, ben oltre la fontana. Fu in quel momento che si rese conto di non esser sola. Era stata così distratta dal suo tentativo di calmarsi e cancellare i terribili ricordi che non aveva fatto il giro della fontana come avrebbe inizialmente dovuto fare per esser sicura al 100% che non ci fosse nessuno. Il movimento era provenuto proprio dalla direzione dove l’onda d’acqua e relativi spruzzi erano stati maggiori… scappare sarebbe stato inutile, stessa cosa nascondersi dopo l’imbarazzante scenetta appena fatta, così infilò la mano sotto il giubbotto e stringendo la propria bacchetta pronta a estrarla in caso di necessità, si mosse lentamente e con discrezione intorno alla fontana per vedere meglio chi fosse lì con lei. Cercando di nascondere timore e agitazione, provò a simulare una voce tranquilla e sicura, come che fosse normale essere in un parco chiuso, in piena notte:<< C’è qualcuno? Chiedo scusa per la confusione, non era mia intenzione disturbare e soprattutto spero di non averla bagnata col mio improvviso gesto senza senso… >>Facendo il giro della fontana, una figura alta e incappucciata era comparsa esattamente dietro la fontana, avvolta in un mantello lungo e nero.
Ormai erano l’uno di fronte all’altro, lui completamente celato sotto il mantello, lei fradicia vestita semplicemente di nero, il cappuccio non la nascondeva abbastanza da impedire all’altro di riconoscere il suo aspetto… ma cavolo, andava a pensare di incrociare qualcuno in un parco chiuso a notte fonda?! Se era un assassino o spacciatore le andava bene, un babbano lo si poteva affrontare abbastanza bene per lei che era una strega, ma dalla postura sicura e dritta davanti a sé, e da come stava attento nel restare ben nascosto sotto la veste, cappuccio ben tirato sul volto e probabilmente non era un caso che trovasse dalla parte della fontana dove la luce dei lampioni arrivava meno, le ombre del parco aiutavano alla perfezione il suo intento di mimetizzarsi ad esse. Il suo primo pensiero era che si trattasse di un mangiamorte e subito il suo cuore prese a pompare frenetico e la mente a cercare incantesimi utili tra quelli che conosceva. Voleva diventare Auror, era il suo più grande sogno da prima ancora che il padre morisse proprio perché lo era lui e volava seguire le sue orme, ma le sembrava un po’ presto affrontare così presto un vero Mangiamorte, non aveva manco fatto il colloquio col capo auror, sapeva solo di aver passato la teoria! Però l’impressione non era quella, non aveva tentato la fuga e neanche l’aveva ancora attaccata, poteva farlo in un sacco di occasioni, sia scappare sia attaccare, a partire dal momento in cui era comparsa sul sentiero illuminato e aveva fatto quella stupida scenetta con l’acqua, eppure si era accorta di lui solo dopo aver schizzato l’acqua della fontana. Magari era lei che sperava con tutte le sue forse di non finire in un duello dopo soli pochi mesi trasferita a Londra ma non le sembrava interessato ad uno scontro o comunque ostile nei suoi confronti, certo di abbassare la guardia non ne aveva la minima intenzione, alla sfortuna non c’era mai fine, ma a parte capire chi o cosa avesse davanti, e a come gestire la situazione in cui era finita, non poteva fare altro. § PS: 160 § PC: 110 § PM: 110 ஜ EXP: 23 Scheme role © Akicch; NON COPIARE - WANT YOUR OWN? GET IT Edited by LadyShamy90 - 2/5/2018, 23:21
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