Save it for a rainy day , Privata

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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 8/4/2018, 14:11






Elijah Sullivan


🐍16 Anni 🐍 3° Anno 🐍 Serpeverde 🐍


3yqpfjs

Quel giorno il cielo di Hogsmeade non riusciva a prendere una decisione. Le nuvole erano ammassate l'una contro l'altra e si spintonavano come i primini il giorno dello Smistamento. Si guardavano in cagnesco, ma nessuna voleva prendersi la responsabilità di dare inizio alle ostilità. Elijah sollevò lo sguardo e fece una smorfia. Aveva sempre amato il cielo da neve, brillante e pulito. Il cielo plumbeo, invece, gli faceva lo stesso effetto di uno straccio sporco alla fine di una proficua lezione di Pozioni.
Era sceso al villaggio diretto a BiblioMagic alla ricerca di qualcosa da leggere. Aveva le idee piuttosto chiare, voleva un volume di Storia. Non aveva grosse pretese, in effetti, che fosse Greca, Romana o Egizia, gli sarebbe andata piú che bene. Sí, aveva un debole per la Storia dell'Impero, doveva ammetterlo, ma anche la Storia Egizia lo intrigava non poco. I Greci, ahimé, erano il fanalino di coda, pure mantenendo intatto il loro fascino.
Negli ultimi gufi con suo fratello avevano parlato proprio di questo, la Storia Antica. Daniel, qualche giorno dopo, gli aveva fatto atterrare - vicino ai muffins della colazione - un pacchetto grigio fumo contenente un libro di Storia Egizia: "La scoperta della tomba di Tutankhamen" di Howard Carter.
Elijah aveva iniziato a leggerlo con avidità, divorando le pagine come se fossero tavolette di cioccolato amaro.
Gli Egizi erano un popolo che lo incuriosiva, erano stati il punto zero della Storia e nessuno era piú stato come loro. Le loro idee, il loro ingegno lo avevano lasciato stupefatto fin dalla prima lettura, e quando iniziava non riusciva piú a staccare gli occhi dalle pagine.
Per mondo magico c'erano stati gli Atlantidei alla base di tutto, e da loro si era poi sviluppata la società più evoluta dell'antichita, almeno a detta dei Babbani. Babbani o non Babbani, Maghi o non Maghi, importava poco. La Storia aveva fatto comunque il suo corso, ed era questa la cosa importate, per come la vedeva lui.
Aveva portato il libro con sé quel pomeriggio. Dopo il raid in libreria, avrebbe trovato un posto comodo dove fermarsi a leggere, prima di rientrare a scuola.
Arrivato nei pressi di BiblioMagic, prese immediatamente atto del fatto che i primini non fossero l'unica cosa fastidiosa in cui imbattersi a Hogsmeade. I bambini del villaggio si stavano cimentando in una battaglia di Caccabombe e il Serpeverde ne evitò una per un pelo. Durante la manovra elusiva per non essere colpito, il libro che teneva sotto al braccio volò a terra, quasi sotto alla vetrina della libreria.
Per fortuna la strada non era bagnata. Se c'era una cosa che Elijah non tollerava era che si rovinassero i libri, soprattutto se erano i suoi. Si voltò verso il gruppo di bambini con sguardo omicida. La tentazione di tirare fuori la bacchetta e farli volare contro il muro della casa di fronte era fortissima.
*Sei un Prefetto, Sullivan! Devi dare il buon esempio!*
Peccato...sarebbe stato bello vedere quante riprese sarebbero servite per fargli cadere a terra tutti i denti. Mandò giù la tentazione di torturarli come se fosse stata un succo di zucca. Era meglio recuperare il suo libro ed entrare nel negozio.


 
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view post Posted on 12/4/2018, 22:28
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Horus

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Δ 18 | Δ Headboy |Δ mood: satisfied

Era incredibile come alleggerirsi il conto in banca potesse dare così tante soddisfazioni. La busta, che tirava leggermente il suo braccio destro verso il basso, era una piacevole, tanto agognata sensazione e quando Horus si era ritrovato ad afferrare il pomello di ottone della porta de Il Ghirigoro, gli sembrò che nulla potesse turbare la tranquillità e la serenità del suo umore.
Il sole splendeva, i libri erano pronti per esser letti all'ombra del faggio e...
...e una Caccabomba volava, planando a pochi centimetri dalla sua testa. Senza avere neanche il tempo di imprecare, Horus si era ritrovato a schivare con un buffo balzo (e per un pelo) la funesta bomba che si andò a spiaccicare sull'uscio della libreria. Gli ci volle un attimo per capire la provenienza, ma le grida divertite che seguirono il boato (e il tanfo) tolsero ogni dubbio. Forse, col senno di poi, Horus si sarebbe pentito di quella reazione avventata, ma sul momento il suo corpo agì con fluidità e naturalezza. Afferrò rapidamente la bacchetta dalla tasca dei pantaloni scuri e, con un sorriso serafico, fendette l'aria come una frusta. Le formule si delinearono nella mente e prima che i marmocchi potessero rendersene conto, la palla di escrementi che giaceva a terra vicino ai suoi piedi si ingigantì e venne Oppugnata contro il nugolo di ragazzini. Anche se fosse stato bendato, Horus avrebbe saputo di aver centrato il bersaglio: urla acute e schifate si levarono dal vicolo della strada in cui i bambini si erano appostati con i loro scherzi ed uno scalpiccio di passi decretò un fuggi fuggi generale. Fu come un balsamo musicale per le sue orecchie: in fondo l'aveva detto. Niente poteva turbare il suo umore. Con tranquillità, il Tassino fece per rinfoderare l'arma quando, abbassando lo sguardo, i suoi occhi notarono un libro. Giaceva apparentemente abbandonato davanti l'entrata del Ghirigoro. Prima ancora di individuarne la provenienza, però, Horus si chinò a raccoglierlo, riconoscendo i tratti della maschera funeraria rappresentata in prima di copertina. Schiuse le labbra, stringendo nella mano —ora libera— il volume. In un'altra occasione, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata alzare il viso e cercare il proprietario; non era poi così insolito che qualcuno perdesse un libro, magari un acquisto scivolato fuori dalla busta troppo carica —un po' come la sua. In quell'occasione però, non gli importò di rintracciare null'altro, se non ripercorrere con lo sguardo e la memoria l'oro di quella maschera, il lapislazzuli degli occhi e delle sopracciglia, l'ossidiana di quelle iridi cupe che sembravano attraversarlo dentro; proprio come avevano fatto tanti anni addietro. E ricordò, carezzando col pollice il bordo del libro, la preghiera che sua nonna gli aveva insegnato, quando era entrato nella sua Dimora, nella Valle dei Re.

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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 22/4/2018, 10:53






Elijah Sullivan


🐍16 Anni 🐍 3° Anno 🐍 Serpeverde 🐍


7Tn4J6q

Era ancora lì a decidere se fosse il caso o meno di compiere un omicidio, quando vide sfrecciare un Caccabomba gigante. Era partita alle sue spalle, seguendo una traiettoria precisa che - viaggiando in linea leggermente diagonale ad un metro dalla sua spalla - l'aveva portata ad abbracciare amorevolmente il manipolo di inetti. Li raggiunse con precisione più o meno dove lui aveva deciso di fargli cadere tutti i denti. Sì, fu decisamente un momento epico. Elijah si concesse qualche istante per godere dello spettacolo, poi si voltò alle sue spalle. Un ragazzo stava riponendo la bacchetta con calma, era sicuramente lui l'artefice delle sue gioie.
Ehi, un attimo !! Che fine aveva fatto il suo libro. Iniziò a cercarlo spasmodicamente con gli occhi, ma quelli dell'altro ragazzo - complice la minore distanza - arrivarono prima dei suoi. Lo vide raccogliere il volume e tenerlo tra le mani. Sentì una sensazione sgradevole alla bocca dello stomaco. Possedeva una marea di libri ed erano tutti parte di lui, come se ognuno racchiudesse una piccola microscopica essenza di se stesso. Difficile da spiegare, ma meraviglioso da provare. Vedere uno dei suoi libri tra le mani di un altro gli creava disagio. Se toccavano loro era un po' come se toccassero anche lui, e Elijah detestava il contatto fisico, gli dava repulsione.
Era già pronto ad avvicinarsi in assetto da guerra, pronto a riprendersi ciò che gli apparteneva, quando si bloccò di colpo.
I suoi occhi chiarissimi si fissarono sulle mani dello sconosciuto e ne seguirono ogni movimento. Amava leggere e amava i libri, lo capiva da come lo stava toccando con la punta del pollice. Rimase un attimo a guardarlo, come se volesse concedergli quel momento di solitudine con il volume che teneva in mano. Teneva in mano un libro che non gli apparteneva, eppure lo stava trattando con cura e rispetto.
Pochi passi lo separavano da quel ragazzo, Elijah li percorse lentamente fino ad arrivargli vicino.
- Ciao, scusa, il libro è mio. Se sollevi la copertina, troverai scritto il mio nome, Elijah Sullivan.
Per il momento non allungò la mano, non amava sentire troppo la pressione addosso e tendeva a non fare agli altri quello che non tollerava lui. Rimase in piedi davanti a lui senza aggiungere altro. Non era proprio di fronte ma leggermente sulla destra del corpo dell’altro, di cui vedeva alla perfezione solo il profilo. Lo analizzò un attimo con attenzione. Era un ragazzo della scuola, ma sicuramente era più grande. Era più alto di lui anche se non di moltissimo e aveva una giacca di pelle che era una meraviglia. Chissà dove l’aveva comprata.
Il Serpeverde sollevò la mano e fece sparire le dita tra le ciocche del ciuffo. Lo ravvivò con decisione come faceva sempre, facendo poi lentamente il movimento inverso. Infilò entrambe le mani in tasca e attese che gli occhi del ragazzo con la giacca di pelle seguissero la sua voce.


 
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view post Posted on 28/4/2018, 10:15
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Horus

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Δ 18 | Δ Headboy |Δ mood: pensive

Il dolce filo dei ricordi fu bruscamente interrotto da una voce che, per quanto pacata, suonò fastidiosa alle sue orecchie. Con estrema lentezza, la stessa di chi si sveglia da un sonno profondo, Horus si voltò verso la fonte del suono. Proveniva da un ragazzo che attendeva con pazienza alla sua destra e, con le sopracciglia ancora corrugate, Horus lo inquadrò.
Nonostante fosse un po' più basso, non doveva essere molto più piccolo di lui: il viso squadrato, gli occhi affilati e l'accenno di barba che colorava la mascella delineata definivano un ragazzo prossimo alla maggiore età. Il suo nome gli suonò familiare e non fu difficile ricondurlo a quello che aveva letto su una pergamena in Ufficio Caposcuola, qualche sera prima. Non sollevò la copertina per convalidare la veridicità delle parole del ragazzo: nessuno —o almeno, quasi nessuno— si sarebbe conteso un libro di Storia. Non era una materia che andava per la maggiore, pensò ironico il Tassorosso. Troppo poco pratica, eccessivamente teorica: tre quarti degli studenti di Hogwarts detestava Storia della Magia, ma Horus, che ce l'aveva nel sangue, non poteva fare a meno di biasimarli. Suo padre gli diceva sempre che la Storia è l'unica cosa che l'Uomo aveva per imparare dai propri errori. E non era poi così sbagliato.
« Sullivan? » Ripeté, trattenendo una smorfia per il cognome a cui il ragazzo, ignaro, rimandava. Il corpo di Eugene O'Sullivan, penosamente scomposto ed accasciato ai piedi di un cipresso, gli tornò alla memoria prima che potesse impedirlo. Il sangue caldo colava dal suo orecchio il cui moncone giaceva a terra. Il ricordo sbiadito di quella terribile notte ad Highgate fu così sgradevole da stringergli le viscere in una morsa e la nausea gli serrò la gola. Eppure, quella non era la prima volta che gli tornava in mente: quando era stato notificato il cambio di staff tra le fila verde-argento, Horus aveva avuto la stessa identica reazione.
« Sei il nuovo Prefetto Serpeverde, non è così? » Era una domanda retorica che, in realtà, c'entrava ben poco con ciò che il ragazzo aspettava; eppure Horus si accorse, piuttosto inconsciamente invero, che stava temporeggiando. Tornò a guardare la copertina del libro. Al di là di un po' di polvere all'angolo in basso a sinistra, il volume era in perfette condizioni; un approfondimento su Storia della Magia? Per quanto riluttante —avrebbe volentieri preferito che il libro fosse orfano di proprietario—, Horus glielo porse, celando la ritrosia con un sorriso cortese, ma freddo.
« Ecco. » Disse affabilmente, attendendo che il ragazzo si riappropriasse di ciò che gli apparteneva. Gli occhi di quarzo del Faraone, anche da quell'angolazione, sembravano penetrargli nell'anima e ancora una volta il Caposcuola provò la sensazione di venir studiato da una silente Divinità. Chi era? Anubi? Osiride? L'enigma di quella Maschera continuava ad assillarlo anche ad anni di distanza, e non era di certo per colpa di Tutankhamon e delle dicerie (alcune neanche troppo lontane dalla verità) che i Babbani ricamavano sulla sua tomba.
« Un libro come quello si rovina facilmente, sarebbe un peccato ed il professor Peverell non sarebbe contento. »
In realtà, quello non sembrava essere un volume particolarmente raro, sebbene la manifattura e la rilegatura fossero indubbiamente di ottima qualità. Smorzò il commento con un sorriso leggermente più affabile; l'angolo delle labbra si curvò da un solo lato, generando una fossetta sulla guancia sinistra. Non poteva esser sicuro che il ragazzo l'avesse abbandonato di sua sponte, pertanto non poteva accusarlo di negligenza. Anche se, a dirla tutta, l'avrebbe preferito: sarebbe stato facile sequestrargli il libro e tante care cose. Benché nella biblioteca personale e nello studio di suo padre venissero custoditi papiri e testi molto più antichi e rari—escludendo tutti quelli a casa dei nonni paterni—, Horus era come uno Snaso con l'oro: più ne aveva, meglio era.

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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 30/4/2018, 23:10






Elijah Sullivan


🐍16 Anni 🐍 3° Anno 🐍 Serpeverde 🐍


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Elijah era sempre stato un attentissimo osservatore e ci mise lo spazio di un secondo per notare la particolare voglia sotto all'occhio del ragazzo. Sul serio aveva visto bene? Si, aveva visto bene eccome. Il ragazzo con la bellissima giacca di pelle aveva una voglia così particolare da sposarsi così bene al suo occhi da creare un perfetto occhio di Horus. Uno dei primi libri di Egittologia che aveva letto era quello sulle divinità e l'aveva decisamente affascinato, come tutto ciò che riguardava il popolo delle piramidi. L'occhio di Horus era il simbolo del potere regale e doveva ammettere che quel ragazzo lo portava anche con un certo stile.
Lo guardò dritto negli occhi - come faceva con tutti - e poi scese di nuovo sulla copertina del libro. Vederlo viaggiare in sua direzione fu un vero sollievo. Ci teneva a quel libro, ci teneva da morire per una serie di motivi che sono facilmente intuibili.
- Si, sono io - affermò tranquillo mentre le sue mani vennero fuori dalle tasche, pronte ad accogliere il volume che gli apparteneva - Ti ringrazio.
Sentir nominare Peverell e i libri, lo riportò con la mente a quel pomeriggio nel suo ufficio. Non era mai stato tanto affascinato in tutta la sua vita. Quella del Preside era la biblioteca più bella che avesse mai visto. Volumi rari e preziosi facevano bella mostra di sé su degli scaffali di solido legno. Elijah era rimasto senza fiato davanti a quella meraviglia e aveva fatto di tutto per poter mettere le mani su quei libri. Non aveva l'ambizione di potersene portare uno nella sua stanza ai Dormitori e poter leggere con calma. Si sarebbe accontentato di poterli sfogliare e tuffarci dentro i suoi occhi chiarissimi avidi di sapere.
Si era offerto di pulirli e sistemarli, ma non era riuscito ad ottenere nulla di concreto. Una cosa era certa. Quei libri erano lì che lo chiamavano, lo attiravano come il miele una mosca, ragion per cui non si sarebbe arreso. Molto presto sarebbe tornato a bussare all'ufficio del Preside, chiedendogli di poter leggere uno dei suoi libri, non importava se seduto sul pavimento vicino al pesce rosso.
-Rovinare un libro sarebbe un sacrilegio in ogni caso - affermò con sicurezza nella voce - ma questo non è del Professor Peverell. E' un regalo di mio fratello, perché sono un appassionato di Storia soprattutto quella antica.
- Mi sembra di capire che sia un argomento che interessa anche te - poche persone osservavano i libri di Storia come lui e quel ragazzo di cui ancora ignorava il nome.
- Devo ancora finire di leggerlo, ma posso prestartelo quando l'avrò terminato. Sono certo che ne avrai la massima cura.
Elijah era tremendamente geloso dei suoi libri e non li prestava nemmeno sotto tortura. Erano come un'estensione di se stesso e voleva essere l'unico a maneggiarli. La cosa che lo infastidiva di più era l'idea che tornassero al mittente con le pagine piegate o strappate. La cosa peggiore era copertina piegata. Molti avevano il vizio di piegare la copertina dietro ai libri, deformandoli in modo irrecuperabile. A tutte queste cose di pessimo impatto visivo, si aggiungeva l'idea che qualcuno potesse voltarne le pagine leccandosi prima le dita. Quella era una cosa che detestava.




 
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view post Posted on 5/6/2018, 22:14
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Horus

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Δ 18 | Δ Headboy |Δ mood: pensive

Sullivan non diede segno di impazienza, né di fastidio per la trattenuta del suo libro. Un altro forse avrebbe strappato il volume di mano con una certa urgenza e si sarebbe defilato, forse per quel naturale senso di antipatia che insorge quando vediamo le nostre cose nelle mani altrui senza permesso; o forse per la semplice paura che gli altri possano rubare quello a cui teniamo. Nonostante le premesse con cui aveva sempre convissuto —e cioè che certi hobby erano tutt'altro che comuni—, Horus non si stupì nell'apprendere che il ragazzo fosse un appassionato di storia antica e, anzi, ne fu lieto. Non era una passione che prendeva piede con facilità e quasi tutti quelli che la coltivavano possedevano una certa sensibilità ed una tendenza —questo non poteva affermarlo con certezza, ma ne era comunque convinto— all'isolamento che solo la lettura poteva allietare. Per quanto lo riguardava, trovare nelle storie passate delle risposte a delle questioni prettamente attuali lo risollevava e lo tranquillizzava, quasi il libro di storia fosse un vecchio e saggio consigliere cui poteva rivolgersi nei momenti di crisi. Nella battaglia del Peloponneso fra Maridi e Umani si trovava la risposta al rischio pericoloso del razzismo, nella vicenda di Olivander si intuiva l'importanza dello studio e della perseveranza; sarebbe andato avanti per ore.
Tuttavia, il lieve peso del libro lasciò presto le sue dita e tornò dal proprietario, mettendo in secondo piano quelle elucubrazioni per lasciare il passo al presente. Horus non rivolse più lo sguardo verso gli occhi di pietra incastonati nella maschera di Tutankhamon, ma si concentrò piuttosto sul viso del Prefetto. Accennò un sorriso, di difficile interpretazione, e per un lungo momento Horus rimase in silenzio vagliando le possibili risposte da dargli. Sullivan aveva involontariamente azzeccato tre affermazioni su tre, sulla cui base però non poteva esserne completamente certo. Cosa lo aveva spinto a formularle? Probabilmente, si disse il Tassino, il Serpeverde si era accorto di lui molto prima di quanto avesse fatto Horus stesso. Si portò quindi la mano libera al mento, sfiorandolo pensieroso con le dita.
« Mi sembra di capire che è un regalo a cui tieni. » Evitò di chiedergli come avesse, allora, potuto perderlo ma accennò con un cenno del capo al volume che lui stringeva. Un dono del fratello, aveva detto, non era così? Doveva essergli molto caro.
« Non hai paura a prestarlo a qualcuno che non conosci neanche? Potresti non rivedermi mai più. » Non c'era malizia nel suo tono di voce ma, piuttosto, era ben riconoscibile una nota di sincera curiosità. Era assai improbabile che non si sarebbero mai visti, frequentando la stessa Scuola ed essendo entrambi membri dello staff scolastico. Tuttavia, Sullivan non lo aveva riconosciuto e non poteva di certo saperlo. La verità era che atti così generosi, e soprattutto di pancia, non erano gesti che gli erano affini perciò gli veniva inevitabile indagare e chiedersi cosa spingeva a volte le persone a fare quel che poi facevano. Certo, questo sempre se...
« A meno che tu non fossi ironico. » Aggiunse poi, ruotando il viso facendo scivolare la mano lungo il fianco; l'angolo sinistro del labbro si arricciò in un sorrisetto a metà fra l'imbarazzo e il divertimento. Gli venne spontaneo, ora che vedeva il giovane non più di scorcio, ma frontalmente, cercare di coprire la voglia sull'occhio con i capelli — le dita ebbero un impercettibile spasmo—, ma si trattenne. Non aveva più undici anni.

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Sono tornato, a rilento, un po' meh meh, ma sono tornato. :flower:
 
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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 9/6/2018, 07:15






Elijah Sullivan


🐍16 Anni 🐍 3° Anno 🐍 Serpeverde 🐍


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Ora che il volume era di nuovo nelle sue mani, Elijah lo strinse al petto come se fosse un figlio ritrovato. Durò solo qualche istante, poi il Serpeverde allentò la presa.
Il discorso del ragazzo non faceva una piega, ma era abituato a far aderire le sue convinzioni alle diverse situazioni che viveva, e quella che aveva davanti era la classica eccezione che conferma la regola.
- Non lo darei nelle mani di uno sconosciuto, lo darei in mano a te - l'indice destro accarezzò il dorso del libro, come se volesse dare piú peso a quelle parole.
- Ho visto con quale amore tratti i libri. Non credo di sbagliare se dico che ne avresti cura come se fosse uno dei tuoi e mi verresti a cercare per restituirmelo, appena letta l'ultima parola. Io farei lo stesso a parti invertite.
Era una sensazione, ovviamente, ma difficilmente sbagliava quando provava quelle scosse a pelle.
- Mi é caduto mentre cercavo di evitare la Caccabomba e temevo si fosse macchiato irrimediabilmente - guardò la copertina per un brevissimo istante - per fortuna non é cosí.
Ricordava ancora quando suo padre gli aveva regalato il primo libro. Aveva poco più di sei anni e, quando stava seduto, ancora non toccava con i piedi a terra. Ovviamente, Joel Sullivan gli aveva consegnato la sua copia fiammante de "Le Favole di Beda il Bardo" con tanto di dedica. Era dell'idea che ognuno dei suoi figli dovesse avere la sua copia personale del libro di fiabe più famoso del mondo magico. Elijah ne era rimasto estasiato. Non leggeva veloce, ma cominciava già a destreggiarsi tra lettere e parole. Leggendolo la prima volta, nell'innocenza già infranta di allora, aveva immaginato che - chissà - un giorno l'avrebbe letto ai suoi figli prima di dormire. Si, avrebbe fatto quello che suo padre non aveva mai potuto o voluto fare con lui.
Era buffo pensare che una di quelle storie l'aveva già raccontata a due cuccioli, anche se non erano umani. Winston e Amalia, rispettivamente il gatto e la cagnolina del Preside Peverell, l'avevano ascoltato con attenzione, o almeno così gli era parso. Quel giorno però aveva scoperto di essere un discreto narratore e la cosa non gli era affatto dispiaciuta.
Non lo avrebbe ammesso pubblicamente nemmeno sotto tortura, ma quei due esserini pelosi l'avevano conquistato a modo loro. Molto presto sarebbe andato a trovarli, sperando di convidere una gradevole tazza di the con il Preside. Chissà come stavano quei due combina guai, soprattutto Amalia. In un pomeriggio gliene aveva fatte di cotte e di crude, ma in fondo si era divertito.
Mentre i suoi pensieri scorrevano lenti, il Serpeverde non smetteva di guardare il suo interlocutore. L'aveva già visto e non solo per i corridoi della scuola. Dove l'aveva visto? Accidenti! Eppure era sicuro, sicurissimo.
- Io ti ho già visto a scuola. Tu sei - il ragazzo si voltò completamente verso di lui ed il Serpeverde vide il suo viso a 360 gradi. Rimase assolutamente impassibile - il Caposcuola di Tassorosso.
Pensava che l'avessero preso in giro a causa della sua passione per la Storia. Da quello che poteva vedere, con i suoi occhi in quel momento, era tutto vero. Esisteva davvero un ragazzo a scuola, la cui voglia sotto l'occhio riproduceva alla perfezione quello di Ra. Lui non avrebbe potuto disegnarlo meglio, era perfetto. Elijah fissava il ragazzo negli occhi, lasciando alla sua visione periferica il compito di deliziarsi con tutto il contorno. Mai avrebbe fissato morbosamente quel particolare. Lui al posto del Tassorosso, avrebbe scuoiato vivo qualcuno per molto meno. La cosa che pensò in quel momento andò al di là delle congetture dei comuni mortali. Elijah non si fermò a pensare al fatto che la persona che aveva di fronte avesse quel segno sotto l'occhio, ma a quanto potesse essere esperto di Egittologia.
Poi pensò alla Storia, alla sua Storia, a cosa vuol dire portare su di sé qualcosa di tanto potente e non nell'accezione positiva del termine. Quello era, sì, un segno di grandezza, ma tremendamente pesante da esibire. Lui però lo mostrava con una disinvoltura regale. Sicuramente la sua Storia era piú incasinata di quella del giovane Re nel libro che stringeva. Ogni cosa detta in quel momento sarebbe stata quella sbagliata, ma qualcosa doveva dire.
-Hai mai visitato l'Egitto dei Faraoni? - mosse leggermente il volume tra le mani - A me piacerebbe molto vederlo. Ho letto che la maschera funeraria di Tutankhamon lascia senza fiato.


 
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view post Posted on 10/6/2018, 10:35
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Horus

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Δ 18 | Δ Headboy |Δ mood: pensive

Il sospetto che Sullivan lo avesse visto mentre raccoglieva il libro divenne certezza. Questo lo mise a disagio, non perché aveva fatto qualcosa di sbagliato, ma perché colto in un approccio intimo, personale. Per un volume qualunque Horus avrebbe dimostrato un'attenzione diversa da quella che avrebbe riservato a qualsiasi altra cosa, ma con una certa freddezza propria di qualcosa che non ci appartiene —del resto quel libro sembrava esser stato dimenticato. Invece era accaduto che l’argomento trattato e la maschera familiare del faraone lo avessero attirato con un intenso magnetismo a farla da padrone, spingendolo a trattare il tomo come qualcosa di particolarmente caro, un dono privato giunto da molto lontano. Horus cercò di non badarci, spostando lo sguardo dal viso del giovane alla costola del libro. Sorrise affabilmente e nonostante il disagio provato, fu grato al ragazzo per la cortesia dimostrata. In fondo, era proprio così: una volta terminato, l’avrebbe cercato in capo al mondo pur di ridargli indietro ciò che gli aveva prestato. C'era da dire che lui mai in vita sua aveva prestato un libro, un atto forse egoistico che lo spingeva, piuttosto, a comprare una nuova copia da regalare pur di non dare i suoi preziosi volumi ad altri, per quanto ben conosciuti.
« Allora ti ringrazio per il pensiero. » Aggiunse sinceramente. Annuì quindi all’intuizione di lui; del resto era un Prefetto, era normale che lo avesse già visto in giro, almeno come Caposcuola. Rimase comunque intenerito dalla sua domanda, segno che Sullivan doveva essere uno che solitamente si faceva gli affari suoi. Sembrava una qualità scontata eppure aveva scoperto, nei suoi anni a Scuola, quanto la gente amasse parlare dei cavoli degli altri. La sua storia con Emily veniva ancora chiacchierata di tanto in tanto e girava una strana diceria sul suo conto che raccontava come lui dormisse in un sarcofago. Quando lo aveva saputo aveva riso di gusto ma allo sguardo serio della bambinetta che aveva avuto il coraggio di chiederglielo, era rimasto allibito. Allora aveva chiarito che sì, ovviamente dormiva in un sarcofago e, anzi, faceva strambi riti con i fegati di rana. La pupa era rimasta così schifata che se l’era data a gambe in un secondo.
« Sí... qualche volta ci sono stato. » Rispose criptico, indeciso se rivelare o meno la propria origine da parte di padre. Non voleva dargli l’idea di volersi vantare di uno status che, effettivamente, gli dava là possibilità di sapere cose e avere accesso a luoghi che terzi non potevano raggiungere. Decise tuttavia di non mentirgli né di spegnere il sincero entusiasmo che si avvertiva nella sua voce e nei suoi occhi brillanti.
« Il corredo funerario di Tutankhamon è indubbiamente di una bellezza ipnotizzante, ma ammetto che è la tomba ad avermi tolto il fiato. » Il sorriso che si era affievolito trovò nuova forma nel ricordo della sua prima volta nella Valle dei Re.
« Bisogna riconoscere che ci sono tombe molto più belle, come quella di Ramses IV, ma anche se quella di Tutankhamon è stata fatta in fretta e furia —e probabilmente non era neanche quella ufficiale—, la bellezza di tutti quegli oggetti accatastati, tra cui i piccoli seggi che il faraone utilizzava da bambino, i letti zoomorfi raffiguranti gli Dei, i vasi di alabastro, le iscrizioni sulle pareti ed il telo di lino che riproduceva il cielo stellato posto sopra il sarcofago, dà l'idea di essere nella tomba di qualcuno a noi caro, di un parente, qualcosa di raccolto che ti ingloba nella sua dimensione. » O almeno, questo era quel che aveva pensato per il modo confusionario e frettoloso in cui tutto era sistemato; qualcosa di reale. Certo, quasi tutto il corredo ed il tesoro era sparso in giro per il mondo, fra mostre e musei, ma la Magia permetteva loro di riprodurre il simulacro alla perfezione, com'era prima che Carter ed i suoi scoprissero la tomba. A lui, in realtà era concesso di procedere oltre la camera funeraria, al di sotto del già presente annesso. Non era una stanza molto grande ed in realtà non conteneva alcun oggetto, ma diversi incantesimi d'occulto avevano permesso ai geo-radar Babbani di non rilevarla. Indeciso, alla fine Horus decise di condividere quel piccolo segreto col ragazzo, sicuro che non l'avrebbe divulgato. Non era sicuro che ci avrebbe creduto, ma poco importava.
« In realtà poi... » Si avvicinò di un passo, infilando la mano libera nella tasca della giacca di pelle e rinsaldando quella occupata sui manici della pesante busta del Ghirigoro. « Ci sarebbe un'ulteriore stanza. Non c'è scritto nel tuo libro. Si trova sotto l'attuale annesso, circa un metro, un metro e mezzo ancora più sotto nel wadi in cui è scavata l'intera tomba. Non contiene nulla, ma sulle pareti sono iscritte delle formule tratte da libri di incantesimi del Dio Thot. Hai presente la cosiddetta "Maledizione del Faraone" che sembra circondare la tomba di Tutankhamon a seguito di tutti i decessi ed incidenti dopo la scoperta? Ecco. » Si strinse nelle spalle, abbozzando un sorriso divertito. « Sono tutte fatture, incantesimi oggi sconosciuti che i magi-archeologi stanno ancora studiando. Pare che i sacerdoti dell'epoca, vista la morte prematura del faraone, temessero che la Sventura si sarebbe accanita su di lui e sulla sua tomba, impedendogli di raggiungere Osiride. Così fecero in modo che nessuno potesse disturbare la sua traversata sulla sacra barca, facendo costruire un'intera stanza adibita alla protezione de loro Signore. » Nel raccontarlo, Horus rivide suo padre e un'ombra oscurò le sue iridi chiare; nel castello delle sue memorie, Osiris era lì, bello e alto, con i capelli di un intenso rame raccolti in una piccola coda, intento ad indicargli tutti quei geroglifici a lui sconosciuti. Sorrideva e parlava con un tono basso, quasi reverenziale, mentre lui, in braccio a nonna Bastet, guardava estasiato quei dipinti ed incisioni rimasti intonsi per migliaia d'anni. La pittura usata, derivata da piante di origine sicuramente magica, emanava una lieve luminescenza che contribuiva a dare un'aura di solennità a quel luogo già di per sé suggestivo. Quella tenebra che aveva appannato la sua vista, tuttavia, durò poco, prontamente mascherata da un battito di ciglia.

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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 14/6/2018, 15:03






Elijah Sullivan


🐍16 Anni 🐍 3° Anno 🐍 Serpeverde 🐍


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Elijah trattenne il respiro. Quell'incontro inaspettato si stava rivelando un qualcosa che andava al di sopra delle sue aspettative. Non esisteva niente di meglio. Gli occhi chiarissimi del Serpeverde seguivano le parole del Caposcuola così come facevano le sue orecchie. Non perdeva di vista le labbra del ragazzo mentre raccontava le meraviglie della tomba del Re Bambino. Non c'era solo amore per la Storia in quelle parole, c'era devozione assoluta.
Si lasciò trasportare da quel racconto, come se il Tassorosso avesse aperto un libro del tempo che non era da meno di quello del Preside Peverell. Chiuse un attimo gli occhi mentre l'altro parlava e, stringendo al petto il suo libro, ebbe l'impressione di essere lì.
Non sempre la Magia è quella che si domina con una bacchetta ed un nucleo potente. La Magia è semplicemente qualcosa che ti lascia stupefatto.

Qualche volta, c'era stato qualche volta e quel "qualche" voleva dire che c'era andato più di una volta. Accidenti!! Lui avrebbe pagato di tasca sua per esserci stato mezza volta. Rimase in silenzio assoluto, lasciando che fosse l'altro a parlare. Non riusciva a smettere di ascoltarlo, maledizione!
- Non credo che esista nulla dell'Antico Egitto che non valga la pena di essere ammirato - dire solo visto sarebbe stato riduttivo.
Leggendo il libro di Carter, doveva ammettere che la cosa che lo aveva affascinato di più era sicuramente la parte che parlava della maledizione, ma non era l'unica cosa coinvolgente.
La società egizia credeva davvero in una seconda possibilità, che esistesse davvero un luogo dove riposare dopo la morte.
- Mi piace molto il fatto che gli oggetti personali restassero personali anche dopo la morte. Nella tomba di Tutankhamon c'erano tutte le sue cose, dal suo letto al più piccolo sgabello, apparentemente senza significato, ma era suo e non è più stato di nessuno.
Il giovane faraone era stato sepolto con tutto quello che l'aveva accompagnato nella sua vita terrena, come se la morte per lui fosse soltanto il principio. Era un vero e proprio viaggio in cui il defunto partiva fornito di cibo e acqua in compagnia dei suoi animali domestici. Il momento che Elijah preferiva era quello in cui Anubi metteva il cuore su una bilancia e la dea Maat lo equilibrava con una piuma. Se questo non avesse avuto lo stesso peso, l'anima del defunto non sarebbe stata degna. In quel caso, povero defunto! Il suo cuore veniva dato in pasto ad Ammit, un ibrido con testa di coccodrillo, corpo di leone, coda di serpente, eternamente affamato. Era affascinante per lui che ci fosse un serpente di mezzo.
- "Io mi sono unito alla terra e sono giunto nella parte più profonda del cielo…" è uno dei miei passi preferiti - ammise.
Non se ne rese nemmeno conto, ma quella frase del Libro dei Morti che l'aveva tanto colpito, venne fuori senza che Elijah se ne rendesse conto. Il cuore non rappresentava solo i sentimenti, come si era portati a pensare, ma era l'essenza della vita stessa, qualcosa che andava ben oltre romanticherie fuori luogo. C'erano dei passi che gli erano entrati dentro, come il fatto che il cuore e l'essenza terrena venissero dalla madre, come se sua madre sarebbe stata dentro di lui per sempre. Questa cosa lo disgustava, era come aver acquisito la consapevolezza che non si sarebbe liberato mai di lei, o peggio, lei era dentro di lui fin dentro all'anima.

Era meglio far virare il cervello su pensieri più piacevoli, che non riguardassero la sua cara madre.
Ecco, sì! C'erano i geroglifici, una forma di scrittura così criptica da non avere nulla da invidiare alle Rune. La cosa che gli piaceva di più era che si aprisse a ventaglio in tutte le direzioni. Destro o mancino, basso o alto, nessuno aveva problemi a scrivere in quell'antico linguaggio dove non esistevano limitazioni di alcun tipo per chi fosse in grado di comprenderne la magia.
- Sai leggere i geroglifici? Vorrei comprare un libro per saperne di più e, magari, imparare a decifrare qualche segno - leggere un libro e diventare uno scriba era una pretesa assurda. Il Serpeverde si sarebbe accontentato di fare qualche timido passo in quell'Universo per lui tanto sconosciuto.


 
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view post Posted on 30/6/2018, 10:51
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Horus

Sekhmeth



Δ 18 | Δ Headboy |Δ mood: pensive

La genuinità della meraviglia del ragazzo gli scaldò il cuore. Era la prima volta, in effetti, che si ritrovava a parlare di Storia al di fuori delle mura della propria casa o dell'aula del professor Peverell. E al di là di questo, era la prima volta che si ritrovava a parlare in mezzo ad una strada di Hogmseade con un (quasi) sconosciuto e a non dispiacersene. Lo ascoltò raccontare di ciò che lo aveva stupito, spostando il peso da una gamba all'altra e scostandosi appena per far passare una signora grassottella con le buste piene di libri ed un bambinetto sugli undici anni che le teneva la mano, forse in procinto di iniziare l'anno scolastico il prossimo Settembre.
Mentre Sullivan parlava, Horus scoccò una rapida occhiata al ragazzino che trotterellava di fianco alla madre. Gli arrivava a malapena all'ombelico e l'entusiasmo sul suo volto aveva qualcosa di molto simile a quello che brillava negli occhi del Serpeverde —e nei suoi. Si ricordò improvvisamente di quando era poco più basso di quel bambino, gli occhi grandi, il viso imberbe e una grande eccitazione nel cuore; ricordò allora quel viaggio in treno, quando aveva conosciuto Mya e quando per un solo istante avevano condiviso una passione comune, la Storia, prontamente gambizzata dall'atteggiamento scorbutico della ragazzina.
Faceva strano ritrovarsi sette anni dopo lì, in quella piazzetta affollata del villaggio magico, a disquisire dell'Egitto —un argomento tabù per lui— come se niente fosse. Gli scappò un sorriso malinconico e tornò a guardare il Prefetto.
« È vero, gli oggetti personali rimanevano tali. Questo perché, semplicemente, per loro non si era concluso niente, la Vita proseguiva in un'altra dimensione e sia mai che il Faraone avesse avuto bisogno del suo sgabello o del suo bastone e non li avesse trovati. » Si strinse nelle spalle, mentre socchiudeva gli occhi e annuiva assorto al passo recitato del Libro dei Morti. Quel libro, tuttavia, era talmente prezioso e potente che molti dei suoi passi erano stati protetti da diversi antichi incantesimi e sigilli di cui nemmeno lui, probabilmente, sarebbe mai venuto a conoscenza. Persino sua nonna, una sacerdotessa, non conosceva i passaggi più reconditi O forse sì, pensò Horus, ma semplicemente non voleva confidarglielo.
*Papà di sicuro sa qualcosa...*
[color=#003A57]« I geroglifici? »
Rispose poi, distratto. « Sì, qualcosa so leggere e scrivere, ma sto ancora studiando. Non è semplice, soprattutto quando ormai la lingua parlata si distacca dalla forma scritta. Ma alcune cose sono facili. Ci sono vari modi per leggerli così come ci sono diversi tipi di scrittura, come quella ieratica o demotica. » Si inumidì leggermente le labbra e con la mano libera prese la bacchetta dalla tasca. Quindi cercò con lo sguardo un sasso abbastanza grande per poterci incidere su. Lo trovò e invitando il ragazzo ad attendere un attimo, posò la busta dei libri a terra e andò a prenderlo. Con la pietra in mano, Horus tornò da lui e tenendola bene sul palmo tracciò con la bacchetta un'incisione. Il glifo rappresentava, per sommi capi, un uccello dal becco appuntito.
« Ecco... ora non è bellissimo, mi verrebbe meglio su carta, ma per esempio il mio nome si scrive così, con solo il geroglifico del falco. Mentre... » Poco più sotto tracciò un'altra serie di simboli rassomiglianti a dei geroglifici ma più armoniosi e coerenti; la scrittura andava da destra a sinistra. « In ieratico così. Se invece traccio una linea vicino al geroglifico... così in verticale... vuol dire viso o cielo, ad esempio, e viene utilizzato il suono per definire la parola. Questa tipologia di lettura funziona un po' come gli ideogrammi cinesi. » Porse quindi il sasso al ragazzo, così che potesse vederlo meglio, e si infilò nuovamente la bacchetta nella tasca. « Per farla breve, i geroglifici possono avere sia valore fonetico che simbolico. Col tempo sono diventati di utilizzo prettamente cerimoniale e per scrivere sui papiri si preferiva lo ieratico ed in seguito il demotico. Ci sono poi tanti studi, tanti tipi di scrittura, di registro linguistico, di pronunce... È un gran casino e credo che i soli libri non basterebbero. Mia nonna dice che la migliore scuola è ficcarsi in una piramide e provare a decifrare i muri per riuscire a capire da che parte uscire. Ci ho provato una volta, ma mi sono ritrovato in una stanza piena di coccodrilli morti. Mi sa che ho tradotto erroneamente "uscita" con "crepa ladro". » Rise, infilandosi le mani nelle tasche mentre un venticello tiepido gli scompigliava i capelli che uscivano dal cappello. A dirla tutta, non aveva tutta questa fretta di tornarsene rinchiuso nel Castello.

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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 9/7/2018, 14:59






Elijah Sullivan


🐍17 Anni 🐍 3° Anno 🐍 Serpeverde 🐍


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Il Serpeverde si fece cullare dalle parole del Caposcuola, lasciando che queste lo conducessero in un mondo lontano e misterioso. Era un viaggio indietro nel tempo, un passo alla volta, senza fretta. Dalla voce del Tassorosso si evinceva la stessa calma. Era un dono poter assaporare quei misteri con qualcuno che ne comprendeva il significato. L'Egitto dei Faraoni non era argomento per tutti, l'aveva sempre pensato. Un mondo misterioso e sfaccettato, che deve essere prima di tutto accettato e poi compreso.
- La morte è soltanto il principio - recitò il vocione di Elijah. Gli era sempre piaciuta quella frase, forse perché non aveva mai avuto paura della morte, in fondo faceva anch'essa parte della vita. Era solo una porta da aprire, un confine da varcare, e secondo gli Egizi il cammino continuava anche oltre quella porta misteriosa. Nel momento che prendi coscienza di poter avere infinite possibilità la tua vita diventa migliore. Sai che puoi farcela, sempre. Sai che nulla ti è precluso, perché la scatola delle possibilità è sempre aperta con infinite storie da poter vivere.
Come ho già detto, avere tra le mani il suo primo libro fu un'emozione indescrivibile, ma le sensazioni che accompagnarono il suo primo libro di Storia andarono oltre.
I libri possiedono in sé la Magia, hanno il potere di farti percorrere le distanze e condurti in luoghi che i tuoi occhi non hanno mai avuto il piacere di vedere. Quando leggi, però, tu sei lì, come in un sogno. Affacciato dalle pagine osservi, fremi, gioisci e diventi parte di ciò che leggi. I protagonisti entrano nella tua vita come persone vere, e non è un modo di dire, perché restano con te per sempre. Non si dimentica un libro letto, non si dimenticano i suoi protagonisti, che non ti fanno mai alcun torto, salvo quello di abbandonarti all'ultima pagina. Se, quando chiudi il libro, guardi nel vuoto e pensi " E adesso?" , allora quelle pagine hanno vinto.
I libri di Storia hanno un potere ancora più grande. Non solo sono in grado di vincere le distanze ma anche il tempo. Leggendo provi le stesse identiche emozioni, amplificate però dalla consapevolezza che sia tutto vero. Il primo libro di Storia che aveva tenuto in mano parlava di Roma, dal solco tracciato da Romolo fino alla fuga di Romolo Augustolo. Elijah ne era rimasto affascinato e l'aveva letto quasi tutto d'un fiato. Da lì era partita una ricerca spasmodica nelle librerie babbane di libri che trattassero quel periodo storico in ogni minimo dettaglio. Sì, era per questo che aveva sofferto come un cane a Gerusalemme durante l'evento del Preside, Roma era sempre stato il suo primo amore. In quei pochi minuti che li separavano dalla partenza, in cui Peverell aveva illustrato il periodo storico che li attendeva, Elijah aveva trattenuto il fiato. Le Legioni! Le Legioni oro-porpora che aveva sempre amato. Finire tra i ribelli lo aveva devastato, un po' come trovare un proprio libro con le pagine sgualcite. Un colpo al cuore quando finalmente le aveva viste, pochi minuti prima di essere spazzato via da quella fetta di storia. Era stato come mangiare la torta al cioccolato più grande del mondo usando le mani e non la forchetta. In quel momento era cambiato tutto nella sua testa e nella sua anima. Sapeva che gli eventi organizzati dal Preside non finivano con Gerusalemme, ma era perfettamente consapevole che non avrebbe più visto le Legioni. Quel treno era passato e lui l'aveva perso.
- Mi indicheresti qualche buon testo da cui iniziare a capirci qualcosa? - era già intenzionato a comprare qualcosa a breve giro di posta. Avere davanti qualcuno che non fosse a zero sull'argomento, lo spinse a chiedere un consiglio. Non c'era nulla di male in questo ed era certo che Horus gli avrebbe potuto indicare la via più sicura. Risparmiare tempo negli studi era sempre stata una sua priorità.
Lo seguì incantato mentre disegnava con la bacchetta. Quel disegno che il Caposcuola definiva approssimativo era eseguito quasi alla perfezione, considerando che era stato tracciato su pietra con la bacchetta.
- Posso tenerlo? - chiese senza esitazione. Dentro di lui quel sasso aveva un significato importante, ogni volta che l'avrebbe guardato sarebbe tornato a quel momento. Era una pagina di un libro, un libro in cui era lui il protagonista.
- Una delle mie passioni è il disegno. Faccio soprattutto ritratti in bianco e nero con inchiostro e pergamena, o materiali babbani - confessò candidamente - Ti garantisco che non è facile fare un disegno come questo. Non tanto per il disegno in sé, ma per i materiali utilizzati.
Horus era stato abile e veloce come uno scriba, dimostrando si saper dominare il giusto quell'antica Magia.


 
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view post Posted on 8/8/2018, 17:04
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Horus

Sekhmeth



Δ 18 | Δ Headboy |Δ mood: pensive

La domanda di Sullivan lo colse in contropiede: un libro da consigliargli?
Ripensò a tutti i volumi che aveva a casa, molti dei quali trafugati clandestinamente dalla libreria di suo padre e ben nascosti in un baule sotto al letto. Horus si grattò il mento con aria pensierosa, arricciando un labbro com’era solito fare quando si concentrava. A dir la verità, per lui era stata un’abilità quasi passiva, una necessità di cui aveva sempre sentito il bisogno, quella di imparare a decifrare i geroglifici. Vivendo a stretto contatto con la sua famiglia, Horus aveva imparato a parlare quella lingua antica senza alcun problema, un retaggio del suo sangue antico, ma leggerla era un altro paio di maniche, un processo lungo e complicato; le fonti, del resto, scarseggiavano e ben pochi erano i testi che fedelmente riportavano fonetica e grammatica, Molti di quelli, inoltre, erano nell’egizio moderno, quello che Horus e ben pochi altri parlavano. Ma cosa consigliare a qualcuno che di quell’idioma non era avvezzo? Cosa dire ad un estraneo? Nonna Bastet aveva sempre detto di quanto la loro posizione privilegiata li anteponesse di fronte a tutti quegli studiosi della Magia che non erano in grado di decifrare gran parte dei passi descritti nei preziosi papiri, di come fossero i Sekhmeth, solitamente, ad occuparsi delle traduzioni da generazioni. Non era un caso che tra i suoi recenti antenati si annoverassero magi-archeologi, consulenti, linguisti. Ad onor del vero, c’erano altre famiglie Purosangue in Egitto che vantavano un’antica discendenza, ma loro —diceva la nonna— bastavano ed avanzavano come “concorrenza”.
« Non saprei. » Rispose allora, con un automatismo che lo sorprese. Guardò per un breve momento il ragazzo che aveva di fronte, mordendosi l’interno della guancia. Che c’era di male ad essere appassionati di qualcosa? Tutt’al più se lo si era in maniera genuina, sincera, si chiese a fronte di quei pensieri che gli erano sempre stati inculcati. Strinse appena un po’ di più la presa sulla busta di libri: che cosa sarebbe successo se chi aveva scritto quei volumi che lui aveva comprato, non avesse voluto condividere quel sapere? Se nessuno avesse tramandato le sue conoscenze? *La Storia non esisterebbe…*
Si trovava in un limbo in cui la sua empatia e la sua fedeltà alle origini cozzavano per la prima volta: aveva sempre liquidato chi faceva domande su di lui e sull’Egitto con una certa insensibilità, ma si trovava ora ad un bivio in cui rischiava di spegnere l’entusiasmo di un ragazzo, un ragazzo che non differiva, poi, da lui.
Improvvisamente quel flusso di pensieri fu interrotto da un complimento inaspettato. Horus spalancò gli occhi, sorpreso da quel commento.
« Tu… tu dici? » Mormorò leggermente imbarazzato, la mano libera che scivolava sulla nuca. Non poteva considerare il disegno un hobby, nonostante gli fosse capitato di scarabocchiare qualcosa di tanto in tanto. Ammirava la capacità di ritrarre una persona, un’abilità che non era nelle sue corde e con prepotenza gli tornò alla mente un disegno che lo ritraeva. Sentì le orecchie scaldarsi ed un vago senso di disagio impadronirsi di sé quando il ricordo di Sivra e del ritratto che gli aveva fatto gli tornò alla memoria.
« Devi essere davvero bravo, non è facile ritrarre qualcuno. Io non disegno molto, credo sia una cosa per cui bisogna allenarsi molto ed io non ho tempo. Ma faccio spesso incisioni per lavoro ed è solo questione di mano ferma, tutto qui. Comunque, certo che puoi tenerlo. » Il sorriso che aleggiava sulle sue labbra si ammorbidì, mentre Horus riprendeva controllo di sé e scacciava il viso dolce e umido di lacrime di Sivra in un angolo remoto dei suoi ricordi.
« Senti… i miei libri non hanno autori e purtroppo non posso passarteli. Ma se vuoi… posso scriverti qualche appunto e passartelo, se lo desideri. » Non perse molto altro tempo a rimuginarci su; non se la sentì di negargli almeno quella possibilità e, in fondo, vedeva in Sullivan un ragazzo tutt’altro che superficiale. Avrebbe sicuramente reso onore alla sua lingua e non l’avrebbe sfigurata. La nonna, di cosa avrebbe dovuto temere? Trincerarsi nelle proprie convinzioni non avrebbe cancellato un fatto: la loro Storia rischiava di tramontare e se non l’avessero preservata, non sarebbe rimasta che sabbia. Cosa avrebbero detto, allora, gli Dei? E mentre ci pensava su, ponderando su cosa scrivergli e come organizzare gli appunto qualora avesse accettato, il Tassino fu colto da una consapevolezza.
« Ah, ma io non mi sono presentato. Mi chiamo Horus… Sekhmeth. »

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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 13/8/2018, 11:38






Elijah Sullivan


🐍17 Anni 🐍 3° Anno 🐍 Serpeverde 🐍


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Doveva essere sincero, il Caposcuola aveva qualcosa che lo affascinava profondamente, qualcosa che non riusciva a spiegare nemmeno a se stesso. Probabilmente, molto dipendeva dal fatto che condividessero la stessa passione per la Storia. Non era facile per lui trovare qualcuno che non lo guardasse come un alieno quando si infiammava pensando ad un testo antico. Giravano molte voci sul conto del Caposcuola di Tassorosso, ma – a quanto pareva – nessuna di queste corrispondeva alla verità che aveva ora davanti agli occhi. Solo menzogne ben costruite da persone meschine ed invidiose, pronte a screditare una persona senza alcun tipo di fondamento. Del resto, gli erano arrivate diverse favole che lo riguardavano in prima persona, una più assurda dell’altra. Quante sciocchezze! Certe persone dovrebbero dedicarsi più allo studio che al pettegolezzo. In quel caso la Coppa delle Case sarebbe diventata una competizione davvero affascinante.
Strinse il sasso decorato nel palmo della mano – Grazie – gli occhi in quelli del ragazzo più grande. Sfilò la bacchetta di prugnolo dalla tasca puntandola in direzione del sasso. Eseguì un movimento continuo e fluido, dall’alto verso il basso, dritto sopra al suo obiettivo – Reducio
Il sasso ebbe un leggero sussulto e poi cominciò a rimpicciolire, fino ad arrivare alle dimensioni di un fagiolo. Elijah lo strinse di nuovo nel pugno, ma questa volta la pietra scomparve alla sua vista. Infilò la mano in tasca e lo mollò vicino al pacchetto di sigarette, sicuro che da lì non si sarebbe mosso fino a nuovo ordine.
Guardò di nuovo il Caposcuola – Era troppo pesante, così lo porto meglio – si strinse nelle spalle. Era sempre stato dell’idea che usare certi trucchetti non era banale, ma serviva solo a non complicarsi l'esistenza. Loro non erano babbani, la magia gli permetteva di semplificare la vita nelle piccole cose, e non poco.
L’entusiasmo del Serpeverde si riaccese alla proposta del Tassorosso. Socchiuse le labbra, scoprendo appena i denti in un sorriso di estrema e profonda gratitudine.
- Andranno benissimo! Grazie davvero – piccola pausa di riflessione – immagino che tu sia molto impegnato, ti ringrazio doppiamente
Sapeva quanto fossero occupati Caposcuola, il suo lavoro da Prefetto non era niente in confronto ai compiti che spettavano ad uno di loro.
Gli occhi chiarissimi di Elijah caddero di nuovo sul disegno che ornava l'occhio di Horus, ne ammirarono la perfezione e consolidarono in lui la consapevolezza che fosse un segno naturale. Decisamente spettacolare! Lui, tanto per restare in tema, aveva deciso di fare un tatuaggio. Prima non gli era stato permesso, ma ora che aveva perso la traccia, poteva fare da solo le sue scelte. Aveva già deciso il soggetto, niente di troppo appariscente, e sua sorella Sarah gli aveva indicato uno dei tatuatori più in voga a Londra in quel momento. Il disegno del suo tatuaggio l'aveva preparato lui stesso e voleva esattamente quello, senza colori o fronzoli vari.
- Il tuo nome invoca grandezza - sentenziò senza troppi giri di parole - io sarei molto fiero di portarlo. A me invece è toccato quello di un profeta dell'Antico Testamento. Ho scoperto che Elijah ha la stessa etimologia del nome Joel, ma con gli elementi rovesciati. El significa Dio e Yahweh è Dio stesso, quindi Elijah significa "Dio è Yahweh" mentre Joel vuol dire "Yahweh è Dio" , o Yeho che dir si voglia - era rimasto molto affascianto dall'origine del suo nome. Lo faceva sentire forte, potente. Aveva un fascino ed una carica che gli dava la forza per andare sempre avanti, anche se non era al pari di quello che portava il Caposcuola. Non era questa però l'unica cosa che l'aveva affascianto riguardo al suo nome, anche se in famiglia non aveva mai chiesto spiegazioni in merito - In tutto questo non ci sarebbe nulla di strano, se Joel non fosse anche il nome di mio padre.
Era una cosa piuttosto inquietante a pensarci, ma non finiva lì.
- A questo aggiungici che mia madre si chiama Esther, come quella dell'Antico Testamento. Il giorno del Purim a lei dedicato cade esattamente il giorno del mio compleanno - scavò negli occhi di Horus per cercare di capirne le emozioni - Horus, tu ci credi alle coincidenze?


 
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view post Posted on 22/8/2018, 10:34
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Horus

Sekhmeth



Δ 18 | Δ Headboy |Δ mood: pensive

Credeva alle coincidenze?
Horus si concesse un istante per pensarci. Aveva ancora nelle orecchie la voce di Sullivan che spiegava l’origine del suo nome. Doveva ammettere che la storia di lui era piuttosto curiosa; non conosceva bene la religione ebraica (erano gli ebrei a chiamare Dio “Yaweh”? Non ne era sicuro, ma cristiani non dovevano essere), perciò aveva ascoltato con attenzione il suo racconto, stupendosi di come la simbologia fosse forte anche in quel mondo così lontano da lui.
Al contrario di suo padre, ad Horus non erano mai interessate le altre religioni. Faceva eccezione quella di sua madre, cui, però, da piccolo non aveva prestato particolarmente attenzione. Solo negli ultimi anni, anche a seguito del rito di Trasfigurazione compiuto in primavera, Horus vi si era avvicinato. Ci aveva rimuginato su, ascoltando i racconti di Ainsel, e pur non perdendo la fede verso i suoi Dei, aveva cominciato a pensare che in fondo esistessero un po’ ovunque, sotto nomi diversi. Ciò che di difficile gli riusciva credere era l’arroganza di taluni individui nell’affermare un unico Dio, un’unica entità che spazza via tutto il resto. Credeva nella Magia, credeva in un certo senso ad alcune scienze Babbane, ma in lui c’era sempre la consapevolezza che la mano dei suoi Dei regolava l’Equilibrio. Il Caos, l’energia massima che determinava l’origine delle stesse Divinità, era a sua volta regolata, misurata nella sua casualità. Piccoli, troppi elementi per poter essere racchiusi in un’unica, frettolosa spiegazione. Senza contare, pensò con un pizzico di fastidio, a tutto quello che certe religioni aveva attinto da quelle passate, le stesse che rinnegavano, bruciavano, insultavano, condannavano.
Religione e scetticismo non vanno d’accordo, eppure coesistevano in lui, un Mago la cui mente era spesso ottenebrata da una fredda logica. Quanti scettici Babbani avrebbe potuto incastrare con la sua sola esistenza?
Si rese conto che, in fondo, lo scetticismo era relativo, applicabile ad un miriade di fattori diversi per ogni individuo.
Accennò un sorriso enigmatico, tornando a guardare il Prefetto negli occhi. Non avrebbe esposto nessuno di quei pensieri, non in quel momento, non in quella strada affollata. Non con lui, non ora. Forse un giorno, si disse.
« No. Non ci credo. » Trattenne il respiro per un solo secondo, prima di voltare il viso verso il cielo. Le nubi scure si addensavano sopra le loro teste, un tuono bubbolò in lontananza: il temporale non era lontano e sarebbe arrivato sicuramente nelle prossime ore. Alle narici, giungeva il profumo della pioggia, una vaga nota di salsedine che il vento portava con sé e che la sua natura di animale aveva imparato a distinguere anche nella sua forma umana.
Allora il cielo gli riportò alla memoria un nome, udito sulla scogliera di Ceann Mhálainne, e che ogni tanto una voce sconosciuta gli sussurrava all’orecchio, mentre dormiva.
Brénnain.
Era sicuro di non averlo mai sentito prima di quel momento. Chi era che aveva parlato? A chi apparteneva?
Era una coincidenza anche quella, un bisbiglio dell’aria che la sua stanchezza aveva tradotto con un nome curioso?
Dopo due mesi dall’accaduto, Horus era sempre più convinto di no: Cernunnos, o chi per lui, gliel’aveva voluto comunicare. Il motivo era ancora sconosciuto, ma qualcosa dentro di sé gli mormorava che era solo questione di tempo. Quel nome e quella voce erano troppo familiari per non voler dire nulla.
« Un nome che invoca grandezza… Per lungo tempo me ne sono vergognato. Non perché non fossi fiero di portarlo, ma perché mi faceva sentire blasfemo. » Si strinse nelle spalle ed il sorriso sembrò tentennare.« Ora ho accettato la scelta dei miei genitori; ci deve essere stata una buona motivazione per chiamarmi così e non credo sia solo per… questa. » La mano libera sfiorò la voglia rossastra, in un gesto distratto e misurato al tempo stesso. Aveva chiesto innumerevoli volte a sua madre perché l’origine di quel nome così altisonante. “Horus Ra”, suonava pomposo, perentorio, a volte persino terribile. Quand’era un bambino, piccolo e magro, lo spaventava. Ma Ainsel non aveva mai risposto.
“Un giorno ti racconterà tutto, dalle fiducia” aveva detto una volta nonna Bastet.
Quindi Horus piegò leggermente il capo di lato, socchiudendo gli occhi pallidi.
« Hai detto, prima, che il tuo nome “ti è toccato”. È una mia impressione o non ne sembri molto soddisfatto? » Cercò di sondare il suo viso, premurandosi di nascondere bene il suo divertimento. « Non conosco certi termini da te pronunciati, ma posso immaginare che derivino da una tradizione antica e profonda. Tu Credi in qualcosa, Sullivan? » E l’inflessione utilizzata per quella domanda, sussurrata nella battuta finale, non intendeva rivolgersi ad un argomento casuale, ma a qualcosa di molto più complesso di una coincidenza.

❝ Look up at the stars and not down at your feet ❞


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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 1/9/2018, 13:16






Elijah Sullivan


🐍17 Anni 🐍 3° Anno 🐍 Serpeverde 🐍


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Horus non credeva alle coincidenze e per certi versi nemmeno lui. Però gli era sempre piaciuto quel legame che aveva con suo padre e che esulasse in qualche modo da quello di sangue. Era un modo per sentirlo più vicino e presente, quando sapeva benissimo che era un laccio effimero e inesistente. Desideri di un ragazzo che era cresciuto male e troppo in fretta.
- Non lo credo nemmeno io - questa volta si concesse di guardare la voglia sull'occhio del Caposcuola con più attenzione. Non gli stava mancando di rispetto, fissandolo. Ora era lui a volerlo e al Serpeverde andava bene - penso invece che volevano che ti distinguessi dalla massa, che fossi speciale per tutti, perché per loro lo sei.
Non aveva mai avuto modo di conoscerlo prima, ma doveva ammettere che quel ragazzo gli piaceva molto. Aveva un modo intrigante di porsi in cui però non c’era altezzosità o vanità. Tutto il contrario. A modo suo cercava di stare in disparte, anche se quella cosa non gli era concessa dalla vita e neppure dalla carica che ricopriva all’interno della scuola.
- E' il nome del gemello di mio nonno materno e nessuno ha perso tempo a decidere se fosse adatto a me oppure no. Probabilmente è proprio questa la differenza tra il tuo nome e il mio.
A casa sua i nomi non erano mai stati qualcosa di strettamente personale, ma semplicemente una questione di famiglia. Si metteva il nome del nonno, della nonna o dello zio perché era quello che voleva la tradizione e non perché fosse davvero voluto. In quella scelta non c’era cuore, ma sono un’algida imposizione che nessuno dichiarava di fatto e che tutti reclamavano, nessuno escluso.
Elijah non avrebbe mai messo ai suoi figli i nomi di famiglia, pur sapendo che si sarebbe tirato addosso l’ira del ramo Serpeverde della famiglia. Lui l’aveva sempre pensato in modo diverso quel momento, così lontano dal grigiore del suo spirito. Si vedeva seduto vicino alla donna della sua vita, una donna che non aveva ancora volto – mentre sorseggiavano the o cioccolato caldo in una fredda serata invernale. Insieme avrebbero preso un foglio di carta e scritto un nome dopo l’altro, quelli che sembravano più belli, quelli che ognuno vorrebbe avere per sé. E non faceva nulla se faceva freddo, per lui non era mai stato un problema.
Suo figlio, però, sarebbe nato in Primavera inoltrata. Avrebbe sentito il profumo dei fiori e il Sole tiepido che gli scaldava la pelle.
- Chiamami con un altro nome, quello che preferisci. Per favore. Sceglilo tu, purchè non sia da femmina, ovvio. Sarebbe un nome scelto davvero per me. Ti va? – era strana come richiesta, ma aveva il suo senso nella testa del Serpeverde. Nel momento che Horus avesse scelto un nome, quello sarebbe stato pensato apposta per lui, scelto in base alla sua natura. Magari sarebbe stato un nome speciale, o forse no, ma valeva comunque la pena provare. Il Tassorosso aveva la cultura e la sensibilità giusta per fare una scelta oculata. Era certo che non avrebbe buttato a caso il primo nome che gli veniva in mente, ma ci avrebbe pensato con cura e attenzione. Elijah, in fondo, non aveva bisogno di altro.
Fece un ghigno compiaciuto alla richiesta di Horus. Doveva ammetterlo era una delle domande più belle e sfaccettate che gli avessero mai posto in vita sua. Per la prima volta si trovò a pensare davvero ad una risposta, senza seguire l’istinto come faceva sempre. Era una domanda che meritava una risposta completa e precisa, ma soprattutto sincera.
- In cosa credo io? - si portò la mano sulla guancia ispida e la massaggiò lentamente – Credo in quello che vedo e tocco. Credo nel dire la verità anche se faccio male a chi l’ascolta. Credo nel Sole che sorge la mattina e tramonta la sera. Credo nel cioccolato fondente perché non mi ha mai tradito quando ero solo. Credo nei libri perché mi permettono di sentirmi diverso quando so che non potrò mai esserlo, ma soprattutto credo in me stesso, sempre e comunque. E’ quello che mi ha permesso di andare avanti fino a questo momento e che lo farà sempre.
Nessuna presunzione in quel finale, ma solo consapevolezza di quello che poteva aspettarsi da se stesso e da chi gli stava accanto nella vita.
Si sistemò il ciuffo con cura, senza rendersene conto. Piccoli stupidi gesti che lo facevano sentire un po' in pace con se stesso.


 
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