Horus aveva seguito come ipnotizzato il movimento della scarpa di Sullivan; il terreno, reso arido dalla mancanza di pioggia dei giorni seguenti, veniva solcato dai grossolani segni della lettera “E”. C’era qualcosa di strano nel modo in cui il Serpeverde parlava della sua famiglia ed il suo sguardo, ostinatamente aggrappato a quella lettera, sembrava urlarlo a gran voce. Per ovvie ragioni Horus non poteva immaginare l’attrito che sconvolgeva la vita del ragazzo, ma ebbe modo di supporlo da quei piccoli gesti che lui gli mostrava. Così alzò lo sguardo dal terreno al viso di lui e sorrise nel sentirlo così risoluto; non poteva biasimarlo, in fin dei conti anche lui stava ancora trovando un’identità.
*Ma ci sto andando molto vicino* Pensò compiaciuto, salvo poi ricordarsi che sarebbe potuto cambiare ancora, così come mutevole era l’aria e l’acqua. In fondo, quante maschere s’era detto di aver indossato e quante ne indossava ancora? L’Horus riservato e rispettoso, l’Assassino, l’Horus che sua madre conosceva, l’Horus che Hogwarts aveva imparato a conoscere, l’Horus che se stesso nemmeno aveva mai conosciuto, il Falco… così tanti frammenti di sé non erano altro che facciate di una gemma molto più complessa e che mai sarebbe stata unica. E questo, ne era consapevole, riguardava anche il ragazzo che aveva di fronte.
« Ad esser sinceri, forse potremmo non saperlo mai. »« Non del tutto almeno. » Si affrettò ad aggiungere con un sorriso sbrigativo. « Ma indubbiamente da qualche parte bisogna iniziare. » Concluse, con un’alzata di spalle. Rimase, poi, sinceramente spiazzato dall’invito di lui ad usare il suo secondo nome. Per quanto lo riguardava, Horus aveva sempre mal sopportato chi lo chiamava Ra: con il pensiero andò automaticamente a Sivra ed un moto di stizza lo spinse a chiudere maggiormente le dita intorno al manico della busta di carta di Bibliomagic —decisamente più pesante man a mano che restavano lì. Lei, aveva sempre pensato, lo aveva utilizzato a sproposito, appropriandosene senza averne realmente diritto: lo aveva mai conosciuto davvero? Assolutamente no, si era sempre risposto lui e anche se erano passati tanti anni —e la sua scomparsa ormai non bruciava più come prima—, Horus non poteva evitarsi quel fastidio che gli pizzicava la nuca ogni volta che ci cadeva con il pensiero. L’unica su quella Terra a cui permetteva di utilizzare quel nome era Emily. A lei lo aveva permesso non solo perché la amava, ma perché le loro anime erano in un qualche modo affini, congiunte. Non era così sciocco da credere all’amore eterno —benché se lo augurasse nella sua splendida ingenuità— ma gli piaceva credere che, qualunque fosse stato il loro destino, lui e Ly avrebbero sempre condiviso qualcosa, una comprensione di loro stessi unica e personale. E tanto bastava.
« Va bene, se è ciò che vuoi, ti chiamerò così. Sarò onorato di essere il primo a scuola, allora.» Capitolò infine, a metà fra il divertito ed il curioso. Sullivan era diverso da lui, questo lo aveva capito in quei pochi minuti in cui s’erano conosciuti. E a tal proposito, si domandò, da quanto erano lì? Diede una rapida scorsa all’orologio da polso e si stupì nel rendersi conto che era passata più di mezz’ora, da quando aveva raccolto il libro e avevano cominciato a parlare. Il tempo era volato e lui nemmeno se n’era accorto. Scoprì in quel momento che di fretta non ne aveva più: per quanto i libri appena comprati fremessero per esser letti, Horus si rese conto di non voler tornare ad Hogwarts, non subito. Guardò il Prefetto per un secondo, poi scoppiò a ridere alla sua domanda.
« Erbologia? Sei matto? La de-te-sto! » Esclamò, fingendo di rabbrividire. « Non c’è lezione in cui una pianta non rischia di ammazzarmi e viceversa. » Ammise con una smorfia.
« Ti va una Burrobirra? »« Così magari Matthew Sullivan mi spiegherà in quale universo l’Erbologia possa essere considerata piacevole. » Rise; era certo che lui non avrebbe rifiutato ed era altrettanto sicuro di aver fatto, quel giorno, un incontro importante.