Save it for a rainy day , Privata

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view post Posted on 10/11/2018, 22:03
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Horus

Sekhmeth



Δ 18 | Δ Headboy |Δ mood: pensive

Sorrise, con forse più dolcezza del dovuto, alla spiegazione che il Serpeverde diede alla scelta dei suoi nomi. Dubitava che Ainsel ed Osiris avessero scelto di chiamarlo così per distinguerlo dalla massa o perché era speciale. A dirla tutta, l’origine dei suoi nomi era sempre stato un mistero per lui. Sin da quando aveva memoria, aveva chiesto ai suoi genitori ed ai suoi nonni perché quella scelta, quei nomi altisonanti che sulle spalle di un bambino fragile ed effeminato suonavano quasi come una condanna. Nonna Meresankh diceva che era destinato a grandi cose, che il simbolo attorno all’occhio era una benedizione degli Dei e come tale dovevano rendergli omaggio: a ben pensarci, non era poi così distante dalla spiegazione del Prefetto. Ma la mamma… la mamma aveva sempre cambiato argomento. “È come dice la nonna” a volte diceva, ma in altre occasioni guardava oltre le spalle di Horus e sorrideva tristemente e poi, scuotendo la testa, diceva: “Un giorno”. Alla fine, aspettando quel fatidico giorno, Horus aveva smesso di chiederlo e non s’era più fatto domande. Tuttavia, mentre Sullivan parlava, una voce lontana e famigliare gli sussurrò alle orecchie un nome che credeva di aver sognato: Brénnain. Spalancò gli occhi, preso alla sprovvista da quel ricordo inaspettato. La voce del Serpino si allontanò di qualche metro ed Horus si ritrovò catapultato fra le memorie di quel giorno, sull’altura. Ricordava il respiro affannato, l’euforia del suo primo volo, il corpo nudo a contatto con la morbida erba. Il nome sconosciuto tornò con prepotenza ad affollare la sua mente, insinuandosi fra le pieghe del vento, così come aveva fatto quel giorno. “Brénnain” aveva sussurrato quella voce che nella piramide l’aveva accompagnato e che ancora non era riuscito a distinguere. Se n’era completamente dimenticato e il nome era rimasto addormentato fra le calde pieghe del subconscio finché quel discorso non l’aveva fatto emergere. Schiuse le labbra, in un istintivo desiderio di condividerlo, di chiedere se, magari, il ragazzo —che sembrava così interessato ed appassionato— conoscesse una divinità o qualcuno che portasse quell’insolito nome, ma poi Horus ci ripensò. C’era qualcosa, fra le spire di quella parola, che gli comunicava un’intensa intimità, un prezioso tesoro da tenere stretto al petto; almeno per il momento. Perciò tacque, mordendosi il labbro e distogliendo lo sguardo verso un punto non ben precisato oltre le spalle di lui. Nel farlo, si paragonò immediatamente a sua madre e ne sorrise.
« Un nome scelto apposta per te? » La domanda del Serpino lo colse altrettanto di sorpresa e, riportato al presente, Horus tornò a concentrarsi su di lui. Lo guardò per un lungo istante in silenzio, osservando il suo volto di giovane uomo. Non sapeva molto di lui: girava in realtà qualche voce, sul nuovo Prefetto Serpeverde. Sembrava che fosse piuttosto bravo con le ragazze e che molte di loro avessero ceduto al fascino dei suoi occhi cristallini e del suo sorriso spavaldo. Gli venne da sorridere al pensiero di ritrovarsi davanti un giovane con una gran passione per la storia e forse un po’ di quell’ingenuità ed empatia che a lui ora mancavano. Un po’ diverso dal dongiovanni che i pettegolezzi descrivevano.
<b>« Io però non so nulla di te. Non so cosa ti piace, al di là di quanto mi hai detto oggi, non so bene chi sei. Un nome dovrebbe essere scelto con cognizione di causa, da qualcuno che ti conosce bene, non pensi? » Non c’era rimprovero nella sua voce ed il suo volto disteso era ora sereno.
<b>« Nessuno ci conosce meglio di noi stessi. E da quel che mi dici, mi sembra che tu creda molto in ciò che è reale e tangibile. Perciò… tu come vorresti essere chiamato? »
Domandò, piegando il capo di lato ed assottigliando lo sguardo.

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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 25/11/2018, 19:15






Elijah Sullivan


🐍17 Anni 🐍 3° Anno 🐍 Prefetto Serpeverde 🐍


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Il Serpeverde mosse il piede a terra, prima il tacco, poi la punta della scarpa disegnò l’iniziale del suo nome nella polvere. Non vennero delle linee pulite, ma la lettera era perfettamente riconoscibile. La “E” di Elijah, il suo nome, il suo nome. Non gli dispiaceva in fondo, anzi. Aveva un nome estremamente musicale, poco comune e che aveva un certo fascino ogni volta che veniva pronunciato a voce alta. L’unica cosa che contestava era che fosse un’eredità di famiglia e non qualcosa scelto solo per lui. Molti genitori passano mesi a decidere il nome del nascituro, pensando a come potrebbe sposarsi con il cognome, a come sarà il suo viso o di che colore saranno i suoi occhi. Lui era già Elijah Matthew ancora prima di essere concepito, e questo la diceva davvero lunga. Se i suoi genitori, guardandolo negli occhi la prima volta, avessero deciso quel nome per lui, sarebbe stato tutto diverso. Non sarebbe stato solo un gran bel nome, sarebbe stato speciale.
- Non so dire se conosco davvero me stesso, molto spesso non capisco perché faccio alcune cose o perché ne rifiuto altre. Credo di sapere quello che voglio e ciò che voglio diventare, ma non quello che sono davvero in questo momento – gli occhi chiarissimi di Elijah cercarono quelli di Horus, decisamente più affascinanti dei suoi – non mi importa di sbagliare, non mi importa di farmi male. Voglio andare avanti sempre e comunque così quando, tra qualche anno, mi chiederanno chi sono davvero o se mi conosco, io saprò rispondere.
Elijah era ambizioso e cercava la perfezione, ma non aveva paura di sporcarsi le mani e nemmeno di sbagliare. Quelli che non commettono errori sono quelle persone che non fanno mai nulla, che non hanno il coraggio di mettersi in gioco davvero. Ogni passo che porta al miglioramento richiede sacrificio, e spesso questo sacrificio diventa ben più grande di quello che avevamo messo in preventivo. Per lui non aveva alcuna importanza. Conservava tutte le sue ferite come se fossero oro, erano quelle le vere opere d’arte che abbellivano la sua vita. Lo aiutavano a sentirsi sempre forte anche quando era moralmente a terra. Bastava pensare a quei segni, a quelle fette di vita vissuta, per ritrovare la consapevolezza dei suoi mezzi e rialzare la testa. Era il suo modo di alimentare sempre la sua forza interiore. Mai voleva essere schiacciato o sconfitto, in nessun caso.
- Chiamami Matthew, è il mio secondo nome – gli uscì dalla bocca come se fosse la cosa più normale del mondo, o forse lo era davvero – mi chiama così solo mio fratello, ma nella scuola nessuno.
Era quella l’impressione che aveva guardando Horus in quel momento, non era molto diverso da Daniel. Calmi e riflessivi entrambi, spesso persi nei loro pensieri. Certo, Horus era decisamente più alto, ma quello era un fattore che contava poco.
- Ti piace Erbologia? - era sempre stata la materia preferita di Daniel e lo stuzzicava molto l’eventuale risposta del Caposcuola. Quella era sempre stata una cosa che gli era mancata nella scuola. Non era mai riuscito a trovare un ragazzo più grande da guardare come guardava suo fratello. Sì, ce n’erano alcuni che gli piacevano, ma mai nessuno gli aveva fatto l’effetto del Tassorosso. Moriva dalla voglia di conoscerlo meglio e di imparare da lui, tanto, tutto quello che poteva e voleva insegnargli.

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view post Posted on 9/12/2018, 20:32
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Horus

Sekhmeth



Δ 18 | Δ Headboy |Δ mood: pensive

Horus aveva seguito come ipnotizzato il movimento della scarpa di Sullivan; il terreno, reso arido dalla mancanza di pioggia dei giorni seguenti, veniva solcato dai grossolani segni della lettera “E”. C’era qualcosa di strano nel modo in cui il Serpeverde parlava della sua famiglia ed il suo sguardo, ostinatamente aggrappato a quella lettera, sembrava urlarlo a gran voce. Per ovvie ragioni Horus non poteva immaginare l’attrito che sconvolgeva la vita del ragazzo, ma ebbe modo di supporlo da quei piccoli gesti che lui gli mostrava. Così alzò lo sguardo dal terreno al viso di lui e sorrise nel sentirlo così risoluto; non poteva biasimarlo, in fin dei conti anche lui stava ancora trovando un’identità.
*Ma ci sto andando molto vicino* Pensò compiaciuto, salvo poi ricordarsi che sarebbe potuto cambiare ancora, così come mutevole era l’aria e l’acqua. In fondo, quante maschere s’era detto di aver indossato e quante ne indossava ancora? L’Horus riservato e rispettoso, l’Assassino, l’Horus che sua madre conosceva, l’Horus che Hogwarts aveva imparato a conoscere, l’Horus che se stesso nemmeno aveva mai conosciuto, il Falco… così tanti frammenti di sé non erano altro che facciate di una gemma molto più complessa e che mai sarebbe stata unica. E questo, ne era consapevole, riguardava anche il ragazzo che aveva di fronte.
« Ad esser sinceri, forse potremmo non saperlo mai. »« Non del tutto almeno. » Si affrettò ad aggiungere con un sorriso sbrigativo. « Ma indubbiamente da qualche parte bisogna iniziare. » Concluse, con un’alzata di spalle. Rimase, poi, sinceramente spiazzato dall’invito di lui ad usare il suo secondo nome. Per quanto lo riguardava, Horus aveva sempre mal sopportato chi lo chiamava Ra: con il pensiero andò automaticamente a Sivra ed un moto di stizza lo spinse a chiudere maggiormente le dita intorno al manico della busta di carta di Bibliomagic —decisamente più pesante man a mano che restavano lì. Lei, aveva sempre pensato, lo aveva utilizzato a sproposito, appropriandosene senza averne realmente diritto: lo aveva mai conosciuto davvero? Assolutamente no, si era sempre risposto lui e anche se erano passati tanti anni —e la sua scomparsa ormai non bruciava più come prima—, Horus non poteva evitarsi quel fastidio che gli pizzicava la nuca ogni volta che ci cadeva con il pensiero. L’unica su quella Terra a cui permetteva di utilizzare quel nome era Emily. A lei lo aveva permesso non solo perché la amava, ma perché le loro anime erano in un qualche modo affini, congiunte. Non era così sciocco da credere all’amore eterno —benché se lo augurasse nella sua splendida ingenuità— ma gli piaceva credere che, qualunque fosse stato il loro destino, lui e Ly avrebbero sempre condiviso qualcosa, una comprensione di loro stessi unica e personale. E tanto bastava.
« Va bene, se è ciò che vuoi, ti chiamerò così. Sarò onorato di essere il primo a scuola, allora.» Capitolò infine, a metà fra il divertito ed il curioso. Sullivan era diverso da lui, questo lo aveva capito in quei pochi minuti in cui s’erano conosciuti. E a tal proposito, si domandò, da quanto erano lì? Diede una rapida scorsa all’orologio da polso e si stupì nel rendersi conto che era passata più di mezz’ora, da quando aveva raccolto il libro e avevano cominciato a parlare. Il tempo era volato e lui nemmeno se n’era accorto. Scoprì in quel momento che di fretta non ne aveva più: per quanto i libri appena comprati fremessero per esser letti, Horus si rese conto di non voler tornare ad Hogwarts, non subito. Guardò il Prefetto per un secondo, poi scoppiò a ridere alla sua domanda.
« Erbologia? Sei matto? La de-te-sto! » Esclamò, fingendo di rabbrividire. « Non c’è lezione in cui una pianta non rischia di ammazzarmi e viceversa. » Ammise con una smorfia.
« Ti va una Burrobirra? »« Così magari Matthew Sullivan mi spiegherà in quale universo l’Erbologia possa essere considerata piacevole. » Rise; era certo che lui non avrebbe rifiutato ed era altrettanto sicuro di aver fatto, quel giorno, un incontro importante.


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Ufficialmente amichetti :flower: Grazie ancora per ciò che sai ♥
 
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