| Il legno era scuro e nodoso. Emanava un’aria di venerabilità e autorevolezza. Ispirava un sentimento quasi sacrale che costringeva a parlare a bassa voce e a camminare in punta di piedi. Le mille increspature della superficie, gli innumerevoli solchi e le miriadi di quelle piccole imperfezioni proprie dei prodotti della Natura accoglievano il visitatore che vi si fosse trovato davanti. Quanti studenti avevano potuto ammirare i segni lasciati dal Tempo sulla porta? Quanti erano stati fatti entrare attraverso quel varco? Quanti lo avevano fatto con il capo chino in attesa di una punizione e quanti, invece, con il sorriso derivante dalla certezza di un premio? Quanti ne erano usciti, contrariati o entusiasti? Quanti famosi maghi e celebri streghe avevano varcato quella soglia per parlare con i presidi della Scuola? Ora sarebbe stato il suo turno. Sarebbe diventato una delle migliaia di esistenze che avevano e avrebbero segnato quel luogo. Abbassò la mano destra, tenuta per qualche attimo a mezz’aria nell’atto di battere un discreto colpo che annunciasse la sua presenza. Forse era in anticipo. Meglio aspettare qualche minuto, ancora. Prese dalla tasca destra la lettera del preside, accuratamente ripiegata in quattro parti. La aprì, la rilesse con attenzione da cima a fondo. Ormai la conosceva a memoria. “Gentile Caleb, buona domenica, da non troppi piani più in basso…” e così via. Non era cambiata per magia. Il testo era sempre quello. Teneva fra le mani l’invito del preside Peverell per un tè nel suo ufficio.
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L’arrivo del gufo aveva segnato uno spartiacque nella vita scolastica di Caleb Elliott, studente del primo anno della casa dei Grifondoro. Aveva creato un “prima” e un “dopo”. “Prima” Caleb si era ambientato a Hogwarts e aveva iniziato a studiare con impegno. “Prima” si sentiva uno studente come tanti, piacevolmente immerso nell’indistinta turba studentesca del primo anno. “Prima” parlava con pochi studenti, non aveva stretto legami con nessuno. L’oscurità del suo nome era per lui una sorta di mantello dell’invisibilità. Riusciva a passare inosservato, camminava nel castello senza suscitare interesse alcuno in docenti e studenti. Nessuna grande gioia, nessuna seria fonte di ansia o preoccupazione. Nuotava nella routine scolastica come un pesce nell’acqua di un placido stagno. Nel “prima” stava iniziando, seppur lentamente, a sentirsi a proprio agio nel nuovo mondo magico in cui era stato catapultato pochi mesi prima. Era un comodo bozzolo nel quale stava crescendo. L’arrivo della lettera aveva invece squadernato la sua vita. Di più: l’aveva fatta esplodere, deflagrando come una granata. Non cercava notorietà, non avrebbe voluto attirare su di sé troppe attenzioni. Ora la sua crescente preoccupazione per il colloquio inaspettato gli giocava tiri mancini. In attesa del temuto incontro aveva iniziato a dormire sonni agitati. Non si godeva i pranzi nella Sala comune. Era sovrappensiero durante le lezioni, anche quelle delle materie che seguiva con maggiore entusiasmo, come Storia della Magia e Pozioni. In testa due domande: che cosa mi dirà il Preside? E io, sarò in grado di rispondere e non fare brutta figura?
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Era arrivato davanti all’ufficio di Peverell con larghissimo anticipo. La comoda poltrona su cui aspettava l’ora giusta per recarsi all’incontro si era fatta, man mano che le lancette dell’orologio battevano i minuti, sempre più inospitale. L’attesa nella sala comune dei Grifondoro si era fatta intollerabile. Ora camminava nervosamente su e giù davanti alla famigerata porta che conduceva alla scrivania del famoso mago. In quegli istanti rimpianse amaramente di aver ottenuto buone valutazioni in Storia della Magia. La Storia lo aveva sempre affascinato, anche durante i suoi studi nella scuola babbana. Non era mai stato un ragazzo particolarmente diligente o dotato di conoscenze solide, derivanti da una buona istruzione familiare. Studiava ma non tanto da addormentarsi sul libro. La sua famiglia gli aveva insegnato a comportarsi correttamente verso gli altri e gli aveva trasmesso una certa dose di curiosità, nulla più. Caleb si impegnava nello studio per senso del dovere, che a volte però non bastava. Si annoiava spesso a morte, infatti, nell’affrontare argomenti e materie in cui a prevalere era il nozionismo. Voleva scoprire, non tanto sapere. Si sentiva spesso in soggezione davanti allo sfoggio di erudizione di alcuni suoi compagni, a Inverness come a Hogwarts: sapeva che lui non sarebbe mai arrivato al loro livello. Era però perspicace e curioso, pronto all'esplorazione del passato e all'analisi dalle sue ricadute sul presente. Ecco perché Storia della Magia lo affascinava: perché la sua passione veniva declinata ora in un mondo, quello magico, totalmente nuovo. Era una terra da riscoprire. Nonostante ciò ora, davanti all’Ufficio, desiderò per qualche attimo di poter tornare indietro, avere tra la mani i suoi compiti e farli retrocedere alla stato di pacifica mediocrità alla quale aspirava. Che cosa avrebbero detto di lui, se avesse preso una sfilza di “Accettabile” arricchiti da una manciata di “Eccellente”? “Caleb Elliott...sì forse mi ricordo di lui...uno studente come tanti”. Ecco, era quello il suo ideale. Essere uno come tanti, per non essere nessuno in particolare. Non spiccare per non costituire un’eccezione. Ora avrebbe voluto farsi piccolo, rintanarsi in qualche oscuro angolo del castello ed essere semplicemente dimenticato dai più. Pensò addirittura di disertare l’incontro, darsi malato, rintanarsi sotto le coperte del dormitorio maschile dei Grifondoro e fare finta che il mondo non esistesse. Avrebbe significato tuttavia solo rimandare l’inevitabile, prolungare il supplizio. Eppure...eppure dentro di lui qualcosa si agitava, indefinito. Si muoveva e lottava per uscire fuori, per avere forma e contorni chiari. Che cosa era quella spinta che sentiva dentro, quel moto dell’anima che lo premeva, acerbo e che battagliava aspramente contro la sua volontà di inazione, lasciandolo sfinito? Orgoglio per quei buoni voti conseguiti da lui, studente di origine babbana proveniente da una famiglia operaia? Senso di rivalsa nei confronti di quelli che lo avevano schernito e inconsapevolmente umiliato già sull’espresso per Hogwarts? Volontà di scoprire qualcosa che andasse al di là dei binari su cui voleva razionalmente far scorrere, placida e senza bruschi strappi, la sua esistenza? Non lo sapeva. Si fermò. Era nuovamente davanti alla porta. L’ora dell’incontro era ormai giunta. Non poteva più indugiare. Capì che quella era una prova da affrontare, non tanto da superare. Il suo esito avrebbe, comunque fosse andato il colloquio, dato un’indicazione su quale strada intraprendere nella sua esistenza. Inspirò ed espirò, quindi batté tre volte sul legno della porta, dapprima lievemente poi con più decisione. Aspettò che la porta si aprisse. Sperava solo, ora che il passo era stato fatto, che l’ufficio non fosse disabitato.
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