Oggi comprendo il mio rimpianto. Nel pozzo dei desideri tramutati in orrori, nel pozzo distrutto, pietra su pietra, senza memoria, solo possibilità e speranza di dimenticare quel giorno. Ma io vedo, Loras. Allora non potevo capire per davvero, oggi posso farlo. "Oliver, tocca a te", disse mia madre. E nella giornata in tuo onore, quel funerale simbolico, piansi le mie lacrime, io che mai piango, io che voglio essere sicuro e forte come te, amico mio. Piansi le mie lacrime e dalle stesse, sulla scia del sortilegio di mia madre, nacquero dei fiori. Petali d'oro, Loras.
Calendule,
xPer un attimo che gli parve infinito, percepì il respiro comprimersi su se stesso, trattenuto in uno spasmo violento, forte, energico. Sentì il cuore fermarsi per davvero e si chiese se non fosse quella la fine che gli spettava, l'epilogo che meritava fino a quel giorno. Non aveva fatto in tempo: un'occhiata in tralice nei confronti della figura misteriosa, un ricordo che affiorava curiosamente alla mente, una riflessione che spaziava dalla fantasia allo studio più intenso, infine si vide lontano più di qualsiasi altro momento. Il calore del sole, dei suoi raggi, era quanto di più bello potesse esserci al mondo. Scivolavano insieme, l'uno con l'altro, sul corpo stanco del Veggente, inebriandolo a nuova esistenza, plasmandolo a nuova eternità. Non avrebbe chiesto di meglio, non una volta. La preoccupazione di essere altrove, in un luogo che lo affascinava, accentuava tuttavia la sua confusione. Il capo rivolto al cielo, gli occhi socchiusi, le palpebre calate, non avrebbe fatto altro che abbronzarsi, placarsi, tranquillizzarsi, in quell'accezione interamente rosea che da lungo andare non conosceva più. Era così giovane, continuava a ripeterselo, e contemporaneamente si sentiva tanto maturo, contro corrente, come se il Futuro fosse divenuto a malincuore già suo Presente. L'esperienza, si convinceva, avrebbe potuto fare la differenza. Ma l'abilità contro il Tempo, contro l'Infinito, aveva poi chissà quale margine di riuscita nell'essere racchiusa in schemi, convenzioni, approcci di studio? Sarebbe stato sempre dannato, alla frenetica ricerca di chissà cosa, di misteri, di segreti, di dettagli appena da svelare per un filo conduttore che potesse dirsi tale, così reale? Aprì gli occhi ad osservare con concitazione l'ambiente circostante e per un attimo giunse a chiedersi se i cavalli al trotto lo avessero già investito, se l'eventualità fosse stata già scritta, se il corso fosse stato già portato a suo termine ultimo. Sarebbe morto, stava vivendo allora la sua fine? Per quale motivo la Vista si concedeva in modo tanto ignobile, perfino cruento? Ma era un posto così bello, ovunque potesse essere. La natura sembrava alla sua apparenza incontaminata, Oliver non scorgeva più l'edicola né sentiva quel suono immane, pari ad un tonfo pesante, a scatenare la terra fino a smuoverla in una lesione del tutto innocua. Si girò di scatto quando le fronde dei cespugli si piegarono alla presenza di qualcuno e quando le figure seminude arrivarono ad individuarlo, il Mago trattenne ancora una volta il respiro. Sbarrò gli occhi, più sorpreso di quanto fosse stato per davvero fino a quell'attimo. Non era possibile, non era affatto possibile. Si domandò se quello scorcio d'anticipo potesse essere un desiderio realizzato o una condanna già sancita, ma fu il chitone, l'abito che aveva imparato a denominare e riconoscere dalle fugaci raffigurazioni dei libri di Storia della Magia - la lezione di Ulisse era ancora impressa a fuoco nella sua mente, così come il suo saggio su Apollo e l'arte mantica -, ad attirare maggiormente la sua attenzione. Stava per aprire bocca e porre a sua volta una domanda, una qualsiasi, quando la tempra del Futuro si dissolse in quella del Presente e il cuore riprese a battere, forte ed energico, come a voler riprendere là doveva aveva involontariamente lasciato. La risposta dello sconosciuto parve ovattata all'udito del Caposcuola, ma fu ancor più confuso per una serie di riflessioni che la mente, indomita, macinava ancora. Due, aveva precisato. Un errore o una rivelazione di sorta? Quel ruolo era di quattro persone, una per Casata, e la stessa malcelata - di sicuro non così offensiva - specifica dell'altro gli diede i nervi.
«Sostenere?» ripeté, tentando di ripristinare il controllo, ancora una volta, di tutto il suo corpo. Avanzò di un passo, come a voler parlare più da vicino all'interlocutore. Chi poteva essere, perché era lì, la coppia di domande si alternava in modo interessante tra i pensieri del Veggente. Se Peverell era effettivamente in ufficio e se al contempo era impegnato, perché lo stesso uomo di fronte non faceva i bagagli, trascinandosi via gatto e cane alla riscossa? Un altro passo, un piede sul gradino superiore e l'altro su quello inferiore, come a mostrare incertezza se proseguire o meno. Non si fidava dell'altro, non avrebbe saputo spiegare il motivo neanche a se stesso: l'incomprensione che vi aleggiava attorno come un'ombra lo insospettiva come mai prima di allora.
«Un peccato non poter incontrare il Preside. Mi-» Mostrò un'espressione tra le più meravigliate, indicando con il rotolo di pergamena poco più avanti.
«Cosa sta succedendo al suo cane e gatto?»Avanza. Abbassati. Agisci. Tre comandi, tre inviti, uno schema che aveva
già realizzato, che aveva
già seguito. La visione di poco prima non era stata dimenticata e per la prima volta da sempre, da quando aveva vera memoria, Oliver si affidò completamente al suo Dono, alla speranza che potesse davvero essere un vantaggio e non solo una maledizione infinita. Se avesse preso alla lettera quanto sperimentato da se stesso, in altro tempo, allora forse il margine di fuga non sarebbe stato vano: si fece più piccolo possibile, sfruttando l'eventuale distrazione dell'altro sulla banale bugia che aveva appena detto. Avrebbe poi avuto modo di confessarsi per quella serie di atti poco nobili, ma la sensazione di essere in compagnia di un mistero in carne ed ossa, parte dello sconosciuto, si era unita irrimediabilmente a quella di incontrare il Professore non solo per la consegna dell'esame, quanto per la ricerca di risposte a più di una domanda personale. Peverell aveva sempre la parola giusta, l'aveva imparato sulla sua stessa pelle in più di un'occasione. Spiccò così un balzo rapidamente in avanti, in direzione della vicina porta: se fosse riuscito a raggiungerla, come nella visione, allora la mano libera avrebbe di scatto trafficato con la maniglia, spingendola giù, per una volta senza preoccuparsi di bussare per quell'educazione che tanto lo contraddistingueva per natura. *Apriti, apriti, apriti!* Un comando, quello, che avrebbe coinvolto tutto se stesso.