It doesn’t matter how slowly you go as long as you don’t stop , Hyde Park - Privata

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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 23/6/2018, 18:24






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Adorava andare a trovare sua sorella, lei era sempre stata la sua preferita tra tutte e sei. Hannah Sullivan aveva comprato un piccolo appartamento a Londra, molto vicino a Hyde Park, anche se era più corretto dire che l'aveva comprato papà al suo posto. In ogni caso quelle quattro mura erano sue, e spesso Elijah andava da lei il fine settimana per farsi coccolare un po'. E questa cosa resti tra noi ovviamente !! Mai e poi mai uno come lui avrebbe ammesso di aver bisogno di sua sorella maggiore.
Anche quel fine settimana il rito fratello-sorella si era consumato. Hannah l'aveva prelevato fuori scuola il venerdì sera e l'avrebbe riportato il giorno dopo. Ormai mancavano pochi giorni alla fine dell'anno e i giochi erano fatti.
- Dovresti fumare meno, Elijah, lo sai ? - scosse la testa alle parole di lei, mentre - affacciato alla finestra - si godeva il panorama e la sua sigaretta del dopocena. Evitò di rispondere ed impantanarsi in un'inutile discussione.
La mattina successiva sarebbe andato a correre al parco. Sua sorella gli aveva appeso la chiave di casa sua ad una catena d'argento per essere certa che non la perdesse, anche se sapeva benissimo che lui aveva sempre cura delle cose importanti. Gli aveva fatto presente che non poteva aprire la porta usando la magia. La sua vicina di casa era un'anziana e deliziosa signora, con l'unico difetto di stare sempre attaccata allo spioncino. L'imperativo era comportarsi da Babbani fino al pianerottolo, a porta chiusa poi poteva regnare l'anarchia.
Per l'occasione aveva trovato sul suo letto un bel completo da corsa. Non era la solita tuta da ginnastica. Si trattava di un paio di pantaloncini neri aderenti, una maglietta gialla sbracciata e una specie di polsino lungo in cui poter nascondere la sua bacchetta di prugnolo.
Il Serpeverde fece un ghigno soddisfatto, sua sorella riusciva sempre a sorprenderlo. Si vestì di tutto punto, quindi si rimirò nello specchio. Certo che quei pantaloni erano davvero stretti, quasi un seconda pelle. Elijah poteva permetterseli senza problemi, ma la cosa non gli impedì di osservare di nuovo la sua figura davanti nello specchio. Ok, se era così che andavano in giro i Babbani, si sarebbe adattato per non dare troppo nell'occhio.
Appena pronto, uscì e chiuse diligentemente la porta con la chiave, lanciando una rapida occhiata alla sua destra. Se sua sorella non aveva mentito, la signora West era lì dietro a studiare le sue mosse. Appese la catenina al collo e scese in strada senza concederle un minuto in più dei suoi pensieri.
Era una mattina favolosa, sorprendentemente soleggiata per essere Londra. Il fatto di essere ormai in estate aiutava non poco da quel punto di vista. Da un altro invece non aiutava affatto! Faceva caldo, soprattutto per uno come Elijah che soffriva il caldo anche in pieno inverno a Hogwarts. Aveva detto che sarebbe andato a correre e l'avrebbe fatto, era una sfida con se stesso. Percorse a piedi un paio di isolati, entrò ad Hyde Park e partì di corsa verso la parte più interna.
Era davvero enorme, doveva ammetterlo e per questo ospitava la peggior concentrazione di fauna umana disponibile sul mercato. Cominciò a correre sempre più veloce, sperando di trovare una zona più tranquilla. Venne presto accontentato. Un lungo viale alberato si srotolò davanti a lui. Finalmente poteva stare in santa pace senza bambini urlanti, madri isteriche e nonnetti sprint.
Durante il tragitto aveva visto molti Babbani, impresentabili, correre a torso nudo, ragion per cui si tolse la maglietta. Faceva troppo caldo per non approfittarne. Decise di aumentare la sua andatura fino a portarla alla velocità di crociera di uno squalo. Fece la prima curva senza troppi complimenti e andò a cozzare contro qualcosa, o forse qualcosa arrivò contro di lui. Boh!. Il Serpeverde si fermò di scatto quando udì un rumore indecifrabile e si voltò.



 
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view post Posted on 9/7/2018, 21:37
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Era una giornata come tutte le altre, l’estate ormai ai pieni della sua bellezza mostrava ai suoi spettatori le parti migliori, il caldo senza dubbio era però il meno gradito, soprattutto in una città che trascorre l’intero anno nel grigiore e nel bagnato. Le vie di South Kensington, brulicavano di persone che con calma placida camminavano curiosi, osservando con attenzione le vetrine dei negozi e godendo del sole che baciava le loro pelli candide. I turisti, poi, erano la parte peggiore, seppur ogni anno diversi, si poteva osservarli fare tutti le stesse cose e le foto all’interno delle cabine sembrava essere un must.
Megan aveva appena chiuso l’ampio portone alle sue spalle, lasciando l’enorme appartamento al civico 23 di Onslow Garden, in cui da un mese si era ormai trasferita. Elizabeth, rifugiata nel suo dolore, la trattava come se fosse un fantasma e lei, sebbene se ne fosse fatta un cruccio durate le prime settimane di convivenza, ormai ne aveva fatto un’abitudine. La solitudine era una cosa a cui era abituata, era un rifugio dove potersi sentire al sicuro ed il suo dolore era lì con lei. Talvolta raggiungeva il suo vecchio quartiere e se ne stava seduta davanti alla sua vecchia casa, ad osservarla. Chiudeva gli occhi ed immaginava di essere ancora lì, al sicuro, accanto ai propri genitori, cullata dalle loro parole e dal loro affetto. Lo faceva ogni venerdì della seconda settimana del mese, perché quel giorno aveva l’abitudine di preparare la sua piccola valigia e di trascorrere i giorni successivi in una località nuova del suo paese insieme ai suoi genitori. L’ultima volta erano stati a Bristol, magnifica cittadina del Sud-est dell’Inghilterra, aveva visitato il Great Western Dockyard, innamorandosi del famoso vascello a vapore, SS Britain. Aveva assistito all’International Baloon Fiesta, rapita dalle centinaia di mongolfiere che solcavano il cielo terso e aveva camminato lungo la famosa street art, ammirando ogni disegno che lungo muri e palazzi toccava il cuore di chi li osservava. Simboli di amore, libertà, forza e protesta che si ergevano i tutta la loro toccante bellezza. Un ricordo che le sfiorava il cuore, il loro ultimo viaggio, l’ultimo felice.

A passi veloci, si affrettava a raggiungere l’Hyde Park, la distanza dal suo appartamento era di circa un chilometro dall’entrata sud. Come ogni mattina avrebbe affrontato la sua corsa liberatoria, l’unico sfogo che poteva avere in assenza della magia di cui sentiva tremendamente la mancanza. Camminava lungo la Old Brompton Road superando le centinaia di vetrate che sfilavano lungo le pareti delle eleganti strutture, superò la metro aggirandola per poi proseguire sull'Exhibition Road fino ad arrivare all’entrata del parco.
Attraversò la soglia sorpassando il vialetto che anticipava la lunga striscia di asfalto e accelerò il passo fino ad abbandonarsi ad una corsa dapprima leggerà poi sempre più veloce, seguendo il ritmo della musica che le rimbombava nelle orecchie.


«Papà un giorno sarò forte come te vero?» con il pugno destro stretto, ruotò il busto che caricò la forza necessaria nell’assestare un colpo contro il punch mitts; le mani del padre, chiuse all’interno di quei cuscinetti, paravano incoraggiando a colpire ancora.
 Un’ultima sequenza di pugni andò a concludere un ripresa e mentre cercava di riprendere fiato, riuscì ad evitare un gancio sfiorarle lo zigomo. Si tirò indietro per qualche attimo scossa dall’imprevedibilità, per poi concedersi un sorriso di sfida.

«Bambina mia, tu sarai meglio di me.» le accarezzò la testa avvicinandola al fianco 
«Forza, si riprede a correre!»



I piedi poggiavano con forza sull’asfalto caldo e rapidi seguivano il percorso. Megan scrollò la testa per liberarsi da quel ricordo, nonostante ciò l’immagine della figura di suo padre non l’abbandonò tanto facilmente, la vedeva correre con sguardo serio e concentrato, mentre inspirava ed espirava seguendo una cadenza ben precisa. I suoi occhi scuri non lasciavano trapelare alcuna emozione: era sempre stato un uomo freddo ma capace di dimostrare affetto quando ce ne era bisogno.
Si lasciò rapire da quell’immagine cercando di imitarla, di seguirne i passi ed i movimenti. Successivamente chiuse gli occhi per un istante provando a calmarsi ma una lacrima inevitabilmente le solcò il viso. Sentiva il vento accarezzarle il volto come a consolarla ma prima ancora che potesse riprendere a guardare la realtà, il presente, perse l'equilibrio e l’urto violento contro un’altra figura la scaraventò a terra.



L’impatto fu tremendo, con il viso rivolto verso il terreno, sorretto dalla spinta delle mani che andarono a parare la caduta, ansimò di dolore fino a quando non riprese lucidità e ruotando il busto verso il cielo andò a scorgere la figura che i piedi fronte a lei la stava fissando.


«Cazzo!»
 il volto le era ancora sconosciuto, coperto dalla luce che le infastidiva gli occhi e che cercò di coprire con la mano insanguinata; quella libera invece, andò a toccare nuovamente l’asfalto cercando di sollevare il suo esile corpo.

*che male!*

 
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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 23/7/2018, 11:33






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Dopo l' impatto inaspettato, Elijah si toccò la spalla. Il gesto non fu a causa del dolore, ma piuttosto qualcosa di istintivo dovuto alla sorpresa. La mano si mosse da sola ad accarezzare il punto dell'impatto, giusto il tempo per realizzare che stava meglio di prima. Solo in quel momento gli occhi chiarissimi del Serpeverde andarono a cercare ciò contro cui era andato ad impattare. Dato che aveva il dono della parola, dove essere un babbano. L'ultima cosa che voleva in quel momento era lanciarsi in una discussione senza costrutto. I babbani era speciali per complicarsi la vita anche quando non era proprio il caso. Si spostò leggermente e vide che era una ragazza. Peggio mi sento!! Gli avrebbe attaccato una filippica senza fine e l'unico desiderio che aveva lui era di rimettersi in marcia e dileguarsi il più velocemente possibile. Un attimo!! Non era una ragazza qualsiasi, lui quella faccia la conosceva...era...era...Megan?!! Si guardò intorno quasi incredulo. La testa voltò a destra e poi a sinistra, come se la fila di alberi lungo la strada avesse potuto dargli una risposta.
- Come é possibile che stia correndo nel mezzo del nulla e mi ritrovo a sbattere contro un altro Prefetto? - in effetti era davvero assurdo. Si era rintanato nelle profondità di un parco babbano, allontanandosi il più possibile dalle zone frequentate dai comuni mortali e si era ritrovato davanti una compagna di scuola. Probabilmente lei aveva fatto lo stesso ragionamento e trattandosi della Haven era poco ma sicuro. Fece un sospiro rassegnato, dimenticando completamente l'imprecazione della ragazza. Il suo essere un cavaliere impenitente lo portò a chinarsi verso la Corvonero. Si accosciò davanti a lei e le allungò il braccio per permetterle di rimettersi in piedi. Solo in quel momento mise a fuoco i particolari del volto, concentrando lo sguardo sugli occhi di lei. Erano bagnati. Elijah rimase attonito, le sue labbra si aprirono leggermente. Non pensava di averle fatto cosí male. Sí, l'impatto era stato bello forte, la differenza di stazza era notevole, la velocità anche, ma nulla che potesse causare una reazione del genere. No, quelle lacrime non erano dovute all'impatto. Il Serpeverde tese le lunghe dita verso il viso di Megan e ne raccolse una con la punta dell'indice, voleva verificare che non fosse solo un mero gioco di luci, che quelle lacrime fossero vere. Megan non gli era mai sembrata un tipo da lacrima facile, anzi. Strofinò la piccola goccia salata contro quella del pollice, lasciando che svanisse.
- Niente e nessuno merita le tue lacrime. L'ho imparato sulla mia pelle. Quando non riesci a controllarle allora fai in modo che diventino la tua forza. Per me é stato cosí, ogni volta che mia madre mi picchiava diventavo piú forte, poi non mi é piú servito. Credo che ora abbia paura a mettermi le mani addosso, ma continua a torturarmi in ogni modo. L'unica cosa che riesce a scatenare è la mia rabbia.
Lo disse senza problemi, non era lui quello che doveva vergognarsi. Aveva solo tre anni quando sua madre gli aveva mollato il primo ceffone che gli aveva sfregiato il viso. Per fortuna le amorevoli cure di sua sorella avevano fatto in modo che non gli rimanesse mai un segno sulle guance. Hannah aveva sempre avuto una grande abilità come guaritrice ed ora lavorava come Medimago a San Mungo, con grande disappunto di sua madre che aveva programmato per lei una florida carriera al Ministero come Auror. Le doveva molto e non solo per aver cancellato i tagli che sua madre gli infliggeva sul viso. Hannah aveva combattuto quella guerra insieme a lui, giorno dopo giorno, non l'aveva mai lasciato da solo in un angolo, anche se Elijah avrebbe voluto starci. Il Serpeverde aveva sempre avuto un carattere strafottente fin da piccolo, aveva sempre sfidato sua madre cercando di apparire molto più forte di quello che dovrebbe essere un bambino di tre anni. Hannah l'aveva aiutato ad ottimizzare quella sua forza, mai aveva preteso che suo fratello fosse diverso. L'aveva sempre spinto a sputare fuori quello che lo faceva arrabbiare in modo che Elijah non ne fosse rimasto sepolto. Se era quello che era, un briciolo di merito andava attribuito anche a lei.
Si sedette a terra di fronte a Megan, evitando di guardarla. Sapeva bene quanto potesse dare fastidio a quelli come loro essere fissati nei momenti di debolezza.
- Penso di amare e odiare mia madre allo stesso tempo. Difficile da credere, ma è così - i suoi occhi chiarissimi si fissarono in alto su uno spiraglio di sole che tagliava il ramo alto di un albero. Gli piaceva osservare la natura anche se detestava disegnarla. Doveva ammettere che aveva una diversità che lo intrigava profondamente, ma soprattutto ne ammirava la forza. Elijah si sdraiò a terra, incrociando le braccia dietro la testa, scoprendo che l'erba che gli solleticava la pelle della schiena nuda gli piaceva un casino.
Non disse altro. Lascio che il silenzio serpeggiasse tra loro. Forse avrebbe fatto crollare la barriera che li divideva, o forse l'avrebbe cementata. Non stava a lui decidere.


 
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view post Posted on 3/8/2018, 16:16
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Non appena i raggi del sole furono coperti dal palmo della sua mano, Megan poté scorgere la figura di Elijah di fronte a lei.
*Ma che diav-*
Lo osservò senza dire una parola portando la mano ferita sul ventre, cercando di nasconderla, mentre l’altra frenò la sua spinta. Rimase a terra, stordita e confusa ma nello stesso tempo sorpresa da quell’inusuale incontro. Non sapeva che il Prefetto verde-argento fosse di Londra né che praticasse attività fisica, perciò quell’incontro non poteva che essere una decisione dettata dal fato.
Quando il ragazzo si avvicinò Megan non oppose resistenza, tuttavia il contatto inaspettato la fece sussultare e ciò che ne derivò fu uno scostamento repentino, seguito da uno sguardo confuso.
Lo lasciò parlare, per educazione e rispetto non comprendendo affatto il perché stesse rivelando quelle cose proprio a lei. Non avevano benché la minima confidenza o comunque non quella necessaria per affrontare determinati argomenti, era rimasta spiazzata, perdendo totalmente la parola: cosa ne poteva sapere lui di ciò che stava passando? E come poteva sapere se a lei fosse importato qualcosa di tutto ciò che stava dicendo? Eppure, nonostante il muro in pietra che aveva costruito, Megan riuscì a sentire il cuore riscaldarsi appena; era consapevole che ognuno avesse i propri demoni da combattere e non le era passato inosservato lo sguardo spento del ragazzo, i suoi occhi blu profondo avevano molto da dire, ma lei non era brava a dare conforto, o meglio ciò che le riusciva bene era rimanere in silenzio ed ascoltare, perché a volte non serve altro.
«Mi dispiace
Non riuscì a dire di più, i suoi occhi avrebbero parlato per lei.
Lo osservò sdraiarsi sulla distesa verde, abbracciato dal morbido tappeto d’erba, il torso nudo veniva sfiorato dai lievi raggi solari che tra gli alberi si facevano spazio e Megan non poté che osservarne la perfezione.
Distolse lo sguardo tornando a guardare il terreno, non aveva mai provato una difficoltà simile e l’imbarazzo aveva sorprendentemente fatto il suo ingresso senza alcun permesso; lo sentiva nella mente e man mano aumentare lungo l’intero corpo, lasciando solamente l’impellente desiderio di allontanarsi.
Sollevò la mano ferita, osservando il sangue che, ancora fresco, le scorreva lungo il polso. La terra sporca ed i sassi avevano ovattato la bruciatura che le dava sempre più dolore.
«Devo trovare una fontanella…»
Con l’altra mano si spinse alzandosi lasciando libera la strada e con passi decisi passò davanti al ragazzo.
Si sentì pervadere da un senso di angoscia, dato dall’ incredibile controllo che l’aveva spinta a non reagire e forse a far vedere troppo di lei, anche senza aver detto alcuna parola. Elijah l’aveva vista piangere, l’aveva toccata asciugandogli quella lacrima di cui rimaneva solo una traccia bagnata e non lo accettava, non riusciva proprio a farlo, per quanto quel gesto fosse stato carino lui aveva giocato la carta sbagliata.
«… goditi il sole.»
Cercò di controllare il tono di voce, freddo e distaccato. Parte della sua intimità era stata sfiorata e non solo se ne vergognava, lo avrebbe preso a calci dalla rabbia.

 
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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 5/8/2018, 17:13






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Aveva parlato troppo, come sempre quando si trattava di sua madre. Aveva un potere particolare quella donna. Riusciva a tirargli fuori il meglio ed il peggio con un colpo solo. Ma non poteva dire che fosse sua croce e delizia perché lei era solo croce. Gli occhi chiarissimi del Serpeverde contavano le foglie che gli ondeggiavano placide sopra alla testa. Il vento le cullava e riusciva a regalargli, sorprendentemente, un momento di pace. Gli occhi si chiusero senza problemi, senza farsi nuove domande. Era il silenzio della natura, le voci lontane degli uccelli e quelle vicine dei grilli. Il vento fresco che gli accarezzava la pelle e gli ovattava il cervello, donandogli un meraviglioso senso di torpore. Un sorriso gli tese le labbra. Si sentiva tremendamente forte quando riusciva a spazzare via il pensiero di Esther Montague senza il minimo sforzo. Lei era solo male, solo veleno. Nell'immediato non ne aveva bisogno anche se un buco nero lo stava consumando fin nelle viscere. Era come un universo solitario che cercava la luce. Difficile da spiegare, ancor più difficile da comprendere. La sua ricerca non aveva un piano preciso, ma era volta a qualcosa di profondamente diverso da lui. Come uno Yin che cerca il suo Yang, non per sancire la trasformazione da notte a giorno, ma per vivere quell'istante che lo precede, il miracolo dell'albeggiare. Per il momento non si sarebbe spinto oltre ma avrebbe semplicemente chiuso gli occhi. Voleva sperimentare ogni tipo di luce, ogni sfaccettatura che si scostasse dal suo modo di vedere le cose. Non avrebbe imposto nulla a se stesso, navigando senza vela in mare aperto, mentre il vento lo faceva muovere il giusto. Avrebbe lasciato che le cose seguissero il suo corso e che quell'albeggiare gli sbattesse contro. Sì, era quella l'idea e lui ci sarebbe riuscito. Non sapeva come e quando, ma lui sarebbe stato il protagonista di quell'impresa per l'unica vera ragione che smuove tutto e che si chiama volontà. Sapeva anche che aveva bisogno di un catalizzatore altrimenti sarebbe stato tutto inutile. Lui di Yang non sapeva assolutamente nulla, era esattamente questo il suo problema principale al momento.
Sospirò ad occhi chiusi senza replicare minimamente al rammarico della Corvonero. Era abituato, ormai ci aveva fatto il callo, il dolore era solo un ostacolo che andava semplicemente scavalcato senza troppe cerimonie, perché non ne faceva a nessuno. Era quello il punto focale. Non andava aggirato bensì scavalcato. Forse per qualcuno non cambia la sostanza della faccenda, ma di fatto le cose sono profondamente diverse per innumerevoli motivi. Quando scavalchi un ostacolo prosegui dritto sul tuo cammino, continuando a seguire la traiettoria che ti sei prefissato. Se, invece, lo aggiri allora cambia tutto perché modifichi la rotta e la allunghi, e tutto questo fa perdere del tempo prezioso. Per questo amava essere diretto in ogni circostanza. Essere diretti non vuol dire non essere diplomatici o essere maleducati, no. Semplicemente vuol dire essere veri.
La seconda parte del discorso di Megan raggiunse il traguardo, gli fece aprire gli occhi. I raggi del sole gli trafissero le pupille ed Elijah abbassò di nuovo istintivamente le palpebre mentre si metteva a sedere. Ma non mi dire? Davvero lo stava facendo, lei, davvero stava… Sorrise mentre si alzava da terra, un leggero ghigno stampato sul viso appena sudato. La maglietta smanicata dondolava appesa nei suoi stretti pantaloncini da corsa. Non se ne preoccupò, era troppo concentrato sul suo bersaglio del momento.
- Non devi trovare una fontanella, tu stai scappando - sentenziò senza alcuna pietà. Una come Megan non aveva bisogno di essere consolata ma di tirare fuori la rabbia. Aveva davanti la persona giusta, lui se ne intendeva piuttosto bene.

 
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view post Posted on 7/8/2018, 21:08
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Aveva fatto appena qualche passo e si era allontanata di pochi metro quando la voce del ragazzo la colpì in pieno petto. Le parole, dure e tremendamente vere la immobilizzarono, concedendole però di respirare profondamente prima di ruotare il busto e tornare a guardarlo dritto negli occhi.
Non riusciva a capire cosa diamine volesse da lei, cosa l’aveva portato a fare ciò che aveva fatto nella maniera più naturale, come se fossero amici da sempre, come se fosse la cosa più giusta e semplice al mondo.
Strinse i pugni trattenendo un lamento di dolore per la lesione che le bruciava tremendamente, e una volta incrociati gli occhi azzurri del ragazzo gli rivolse un sorriso sghembo sollevando la mano ferita.
«Ti basta come risposta?» oscillò il braccio «Ma soprattutto: chi ti arroga il diritto di sentenziare ciò che faccio? Non sai un bel niente, cerca di stare al tuo posto.» aveva fatto qualche passo verso di lui senza nemmeno accorgersene, attenta ad osservare meticolosamente ogni minima mossa del ragazzo.
La tendenza all’aggressività sembrava sempre più in crescita mentre il controllo aveva abbassato la sua resistenza, trasformandola in una piccola macchina da guerra pronta a scaricare ogni singolo colpo prima di essere gettata a terra, priva di munizioni.
«Ora se non ti dispiace cerco di pulire una ferita che mi hai procurato tu, Sullivan.» puntualizzò piegando leggermente la testa verso la spalla sinistra «O meglio, scappo a pulire la ferita. Come preferisci.» stese le labbra in un sorriso forzato.
Nuovamente girò le spalle ma prima di riprendere la strada a passi più veloci, si concesse un’ultima frase, una provocazione a cui non poté rinunciare.
«Vuoi pensarci tu?»
Sul profilo, illuminato dai raggi solari, si evidenziò un leggero ghigno mentre gli occhi fissarono dapprima ciò che incontrarono sulla vasta area e poi il terreno.
Sapeva di assumere un atteggiamento sbagliato, di essere arrogante e pungente, ma non riusciva proprio ad essere diversa da ciò che era diventata.
Per quanto fosse abituata a stare da sola, ora sentiva il peso della solitudine, questo perché era sempre stata lei a scegliere quale fosse il momento adatto per ritagliare i suoi spazi ed impiegarci il tempo necessario; mentre ora si ritrovava in una solitudine imposta dalle circostanze dove l’unico appiglio che aveva era fatto di ricordi. Il dolore non smetteva nemmeno per un istante di lasciarla andare e la trappola in cui era finita era troppo profonda per potersi liberare da sola; tuttavia se così fosse stato, ci avrebbe messo tanto tempo, troppo.
Aveva perso tutto ma non la voglia di rivendicare ciò che era davvero successo all’alba di quel dannato giorno e così la rabbia era cresciuta senza sfociare mai davvero, pronta a dare il meglio di se al momento più opportuno. L’avrebbe distrutta? O l’avrebbe resa più forte? Il tempo piano piano avrebbe esteso le sue radici, scavando affondo e lasciando definire chi sarebbe stata.
In quel momento era solo una giovane ragazza con un muro ancora in costruzione, difficile da penetrare ma non impossibile. Elijah sarebbe rimasto fuori? Certamente quello era il modo giusto per rimanerci.

 
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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 11/8/2018, 16:22





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La sentiva ancora la voce di Hannah, così bene che sembrava fosse lì con lui in quel momento, come se tutto non fosse mai passato. Gli toccava le ginocchia quasi sfiorandolo, mentre gli ripeteva sempre le stesse due parole "Parlami, Elijah".
Lui era solo un bambino, incastrato in un angolo e in una realtà molto più pesante delle sue gracili spalle. La piccola mano premeva con forza contro la guancia. Un male per un male, forse sarebbe sparito in pochi attimi. Non spariva mai "Parlami, Elijah" continuava a ripetere sua sorella, ma il piccolo Sullivan non voleva nemmeno guardarla. Non poteva farlo finchè non ritrovava la forza di mettersi in piedi da solo. Respirava a fatica con il muco che gli scendeva nel naso. Nonostante tutto, nessuna lacrima. Aveva pianto la prima volta, la seconda, poi la terza, ora aveva perso il conto, ora non piangeva più.
Appena Hannah gli sfiorava la mano per toglierla dal viso, i suoi occhi la cercavano con ferocia, come se lei stesse profanando un segreto che era solo suo. I suoi occhi fissi in quelli di lei, come sempre, più grandi, ed ogni volta più chiari. "Dillo!" la voce di sua sorella diventava sempre più impietosa, mentre le lunghe dita affusolate gli spalmavano un unguento sul viso. A quello seguiva la solita pozione della quale aveva imparato ad odiare il sapore. "Dillo!!" Elijah respirava a fatica mentre iniziava ad incanalare la rabbia, lasciando che il dolore prendesse nuova forma e nuova forza. "Dillo!!"
- La odio… - due parole impigliate tra i denti, più potenti di una Bombarda ben eseguita. "Ancora, piccolo, ancora"
- La odio - sosteneva il suo sguardo con la fierezza che avrebbe imparato poi ad ostentare. "Più forte! Buttala fuori da te!"
- IO LA ODIOOOOOOOO - l'aria batteva forte nei polmoni mentre il cuore gli faceva eco. Era un suono di ribellione e di guerra. Una vendetta che prima o poi si sarebbe consumata.



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Una parte di lui si stava divertendo, doveva ammetterlo. Un'altra, invece, era stuzzicata dall'idea di spingere la Corvonero a limite, come aveva fatto Hannah con lui mille e mille volte. In fondo era quella la chiave di tutto. Le ferite non vanno ricucite subito, devi prima far uscire tutto il male che c'è dentro. Se non lo fai, allora resta lì per chissà quanto tempo e, mentre non te ne accorgi, ti macera dentro. Megan poteva iniziare a guarire un minimo, ma per farlo le sue ferite andavano strizzate dolorosamente. Più facevano male al momento, più sarebbe stato pulito il risultato finale. Doveva affrontare le sue ferite e guardarle negli occhi, solo con la voglia di schiacciarle sotto ai piedi.
Quando la Corvonero gli esibì la mano ferita, Elijah la guardò con un'espressione imperturbabile. Doveva farla arrabbiare, doveva farle buttare fuori quel veleno da una strada che non fossero le lacrime. Quelle no, quelle non andavano bene per lei. Erano uguali, l'aveva capito fin da quando avevano parlato in Biblioteca. Lei aveva bisogno della sua stessa medicina.
- Quante scene per un graffio, Haven - le regalò il ghigno dei giorni migliori, quello che riusciva a mandare in bestia pure un santo - Stai facendo un melodramma per due gocce di sangue.
Rimase impalato a guardarla, mentre la Corvonero tornava verso di lui.
-Uh Uh Uh! Ci sono ancora al mio posto. Guardami, non mi sono mosso di un passo - gli occhi fissi in quelli della ragazza, pronti a far prendere fuoco ad ogni briciolo di rabbia lei avesse in corpo in quel momento - La parola giusta si avvicina più a dovere che a diritto. Il verbo, invece, non ha nulla a che vedere con sentenziare. Acqua, Haven, acqua - Il suo ghigno si allargò in modo indecente - ma non quella della fontanella ovviamente, quella ora non serve a nulla.
Rimase in silenzio a guardarla. Doveva lasciarle il tempo di metabolizzare le sue parole.
- Avanti, lo so a cosa stai pensando - i suoi occhi si strinsero - Fallo! - la esortò, trovandosi per la prima volta dalla parte opposta della barricata - Fallooo!!!
Le fece un sorriso indagatore nella speranza che alimentasse ancora di più quello che sapeva lei aveva dentro. Conosceva quello sguardo, era sempre stato il suo. Era come guardarsi allo specchio.
- Dimostrami che non sei una che piange per una ferita da quattro zellini - divenne improvvisamente serio - e poi andiamo a quella maledetta fontanella. Oh, si che ci andremo e ci penso io a pulirti la ferita, ma come ci andremo, ora, dipende da te.

 
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view post Posted on 23/8/2018, 13:50
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«Si può sapere a che gioco stai giocando Sullivan?»
Si irrigidì voltandosi nuovamente verso di lui. Lo guardava dritto nelle sue iridi chiarissime con lo sguardo serio, pieno di rabbia.
«Cosa diamine vuoi?»
Era tornata indietro adesso, il suo volto distava a qualche centimetro da quello di Elijah. Lo avrebbe voluto prendere a calci in bocca se non fosse stato il migliore amico di Wolfgang. Doveva ritenersi fortunato, molto fortunato, perché se non fosse stato per il Serpeverde, per il quale nutriva dei forti sentimenti, si sarebbe ritrovato quel bel visino tumefatto.
Strinse i pugni, lasciando che le ossa risuonassero una ad una, poi li portò sul petto del giovane e con una spinta lo allontanò da lei.
«Vai al diavolo, hai presente?»
Avanzò ancora verso di lui, cercando di trattenere l’impulso «Credi di sapere cosa mi succede? Davvero credi di saperlo?» di nuovo lo spinse all’indietro, continuando a camminare con i pugni stretti.
«Mi vieni addosso, ti permetti di toccarmi e mi racconti la tua storiella pensando che abbia passato o stia passando la stessa cosa. Non sai nulla e ti permetti di provocarmi? Fai sul serio? Sei veramente così stupido?!»
Si arrestò, incrociando le braccia.
Il fastidio che provava in quel momento era palpabile; lui vedendola in quel modo aveva violato la sua privacy e sentirsi nuda, lei che era attenta ad ogni minimo passo, era qualcosa che andava oltre la vergogna la toccava nel profondo.
Cosa voleva sapere Elijah? Quanto stesse male? Voleva per caso godere del suoi dolore? Perché questo le era sembrato. Era entrato con garbo ed ora stava spingendo con forza, perforandole la pelle, bucandole i polmoni.

Portò le mani al volto cercando di placare la rabbia, la testa aveva iniziato a girarle per la forte tensione accumulata. Più si trascinava in quella situazione più stava peggio ed era consapevole di non aver fatto nulla per cercare di uscirne oltre che tentare di andare via. Invece di voltarsi e tornare indietro, avrebbe dovuto continuare ad andare avanti evitando ogni tipo di provocazione e invece non c’era riuscita, il suo lato aggressivo era uscito fuori senza alcuna forza a contrastarlo. Come poteva fermarlo? Nemmeno le parole di Wolfgang erano servite a qualcosa, ora lui era lontano e lei era di nuovo sola. Sapeva che quando lo avrebbe visto, se lui avesse saputo, avrebbe percepito un velo di delusione sul suo volto per una promessa infranta, per un controllo che non riusciva a gestire a pieno. Ma non poteva farci nulla, avrebbe portato quella ferita per molto tempo e per altrettanto si sarebbe riversata su ogni sua azione.
Portò le mani lungo i fianchi, tornò a guardarlo con un espressione diversa adesso: rassegnata, indifferente. Respirava a fatica, forse poteva accorgersene ma non diede peso a ciò che avrebbe visto lui ora, perché aveva visto abbastanza.
«Con me non funziona così, Wolfgang non ti ha insegnato niente?» una semplice frase che sperava afferrasse, forse una possibilità.
Non amava costruire rapporti sul nulla, raccontare di sé a persone di cui conosceva poco e niente. Lo stesso Wolfgang aveva dovuto aspettare un anno prima di averla, prima di concedersi la possibilità di sfiorarla nella parte più intima e profonda del suo essere, prima di conoscerla veramente. Dava un valore inestimabile ai rapporti per questo impiegava molto tempo prima di aprirsi del tutto a qualcuno. Ciò che stava facendo Elijah era intraprendere una strada che l’avrebbe condotta nella parte opposta; se c’era qualcosa che detestava era l’impertinenza e la mancanza di rispetto. Provocandola continuava ad alzare un muro oltre che ad alimentare una rabbia sempre meno controllabile. Non sapeva fino a quanto avrebbe resistito e se il pensiero di Wolfgang l’avrebbe fermata prima di cadere totalmente nell’errore.


 
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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 28/8/2018, 14:24






MCSBVGT


Elijah rimase impassibile alle sue reazioni, impassibile alle spinte sul petto, impassibile alle grida, impassibile a tutto. Niente di quello che Megan poteva dire in quel momento avrebbe potuto ferirlo in qualche modo. Le offese che lei gli lanciò non lo scalfirono minimamente, era abituato a peggio. Cosa possono fare gli insulti di una semisconosciuta se paragonati a quelli di una madre? Niente, assolutamente niente. Il suo pensiero era ancora lì in quel momento, e questo teneva sotto controllo la situazione. Il Serpeverde avrebbe potuto passeggiare tranquillamente in un’epidemia di insulti, uscendone perfettamente sano.
Il suo volto fu lo specchio di quello che aveva dentro. I suoi occhi chiarissimi la fissavano, sì, ma allo stesso tempo erano persi nel vuoto.
- Sì, ho presente – disse con un alone di gelo nella voce, senza preoccuparsi di bloccarle le mani che continuavano a spingerlo, senza spostarlo di un centimetro. Era tutto come un muro, soprattutto quello che aveva dentro.
- Le cose non sono mai come sembrano, mai. Anche se pensi di fare la cosa giusta, alla fine si sbaglia sempre. Non che mi interessi più di tanto, sinceramente - era diventata una costante nella sua vita, quella. Aveva imparato a conviverci, cercando di procurarsi meno danni possibile.
Non aveva capito niente, niente! Ma soprattutto non aveva capito il perché, sebbene ci stesse girando intorno lei stessa. Si allontanò leggermente da lei e prese il pacchetto di sigarette dal taschino interno dei pantaloni da corsa. Ne accese una e si accomodò seduto a terra senza preoccuparsi di rimettere la maglietta. No, faceva davvero troppo caldo.
Fece un tiro e lasciò che il fumo l’avvolgesse per qualche istante. Tornò a guardare la Corvonero con lo stesso vuoto nello sguardo che l’aveva accompagnato negli ultimi minuti.
- No, non mi ha detto nulla del genere su di te – fece un altro tiro e espirò con forza questa volta. Era proprio Wolfgang il perno di tutto quello che stava succedendo in quel momento.
- Ma lui, mio Fratello, non avrebbe voluto che io ti lasciassi andar via senza provare ad aiutarti – sapeva benissimo che a parti invertite l’altro Serpeverde avrebbe fatto la stessa cosa senza esitare nemmeno un attimo. Lui non era bravo in quelle cose e lo sapeva benissimo, ma nessuno doveva o poteva fargliene una colpa.
- Sono molto bravo ad ascoltare e a parlare di me – un altro tiro per dare una cadenza migliore al discorso – ma non ho mai provato a consolare e non ho mai avuto la pretesa di riuscire ad aiutare qualcuno. Ci ho provato a modo mio, mi dispiace che tu l’abbia interpretato come un’offesa personale. L’ho fatto per Wolfgang. Anche quello che non ho fatto, è solo per Wolfgang. Tienilo bene a mente.
Si sdraiò di nuovo schiena nuda sull’erba, era una sensazione troppo bella per rinunciarci. Strinse appena gli occhi, quando il vento leggero muoveva le foglie e i raggi del sole li colpivano. Gli piaceva anche quello, nonostante tutto. Incrociò una gamba sull’altra all’altezza delle caviglie e fece un respiro profondo. Sapeva che avrebbe dovuto riprendere a correre, ma quel momento di relax – arrivato in modo inaspettato – era troppo gradevole per rinunciarci subito.
- Puoi sederti qui vicino a me se vuoi, non dirò più nulla – non si voltò a guardarla lasciando che gli occhi giocassero con quei raggi dispettosi – oppure puoi prendere la strada da dove sono venuto. Dopo la seconda curva c’è una fontanella, non sarò io a trattenerti. Non mi interessa minimamente.
Sebbene Elijah fosse abituato agli insulti da parte di sua madre sapeva benissimo che la reazione di Megan era passata impunita unicamente per Wolf. Se lei non fosse stata speciale per lui, sicuramente l’avrebbe presa per il collo e sollevata con una mano sola sbattendola poi a terra senza troppi complimenti, ragazza o no. Il legame che c’era tra i due Serpeverde era silenzioso ma forte, e – soprattutto – comportava un codice d’onore che Elijah non avrebbe spezzato nemmeno in punto di morte. Tutto questo la rendeva speciale, anche ai suoi occhi.


 
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view post Posted on 28/8/2018, 19:16
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Ocean eyes.

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"I want to shelter myself but there’s nowhere I can hide"

Ci fu il silenzio, essenziale, tagliente che sembrò voler mettere fine a quella situazione, spegnendo ogni tipo di emozione che in quel momento aveva legato entrambi, come una spessa corda stretta in un nodo e sciolta tirando solamente un'estremità.
Aveva fissato Elijah senza distogliere lo sguardo, aveva cercato di capire cosa ci fosse dietro i suoi occhi, aveva atteso una reazione che non era arrivata. La rabbia che le scaldava il cuore non era certo causata solo da tutto ciò che stava succedendo in quegli istanti; per questo quando lui rispose senza alcuna emozione ai suoi attacchi verbali provò un senso di angoscia. Forse aveva esagerato, forse aveva riversato parte del suo malessere contro qualcuno che infondo voleva solo aiutarla.
I suoi pensieri furono consolidati da ciò che qualche secondo più tardi Elijah le disse. Lo vide allontanarsi, accendersi una sigaretta e tutto con una tranquillità disarmante. Non poté che soffermarsi su ogni dettaglio, per comprendere realmente ciò che il suo corpo le stava comunicando.
Perché il suono delle sue parole ora gli sembrava così dolce? Perché sentiva un arrendevolezza farsi avanti tagliando ogni tipo di filo che lui stesso aveva cercato di legare attorno a lei? Dannato orgoglio, dannato dolore perché era colpa loro se lei in quel momento si sentiva così: il bisogno di qualcuno, contrastato dalla solitudine era qualcosa che non riusciva proprio a controllare. L’ultima, inevitabilmente, vinceva sempre, distruggendola giorni dopo giorno.
Una coltellata in pieno petto, questo sentì e forse se fosse stata reale le avrebbe fatto meno male. Quando Elijah pronunciò il nome di Wolfgang, poi, d’istinto con le dita si sfiorò le sue labbra. Chiuse gli occhi per qualche momento cercando di trovare in quella scena, che la sua mente stava ripercorrendo, l’ultima vissuta con lui, la tranquillità tanto voluta, desiderata.
Respirò profondamente, forse Elijah avrebbe percepito il cambiamento nei suoi occhi, ora non più in fiamme, spenti da un blu intenso come l’acqua di un mare in tempesta.
Nelle frasi del ragazzo trovò tenerezza, perdono. Forse era stata troppo dura, forse era andata oltre, ma sebbene la consapevolezza aveva iniziato a fare capolino nella sua mente era più forte di lei cedervi.
Le modalità: tutto girava a come le azioni erano state compiute, irruente, provocatorie, tremendamente sbagliate.
Non era difatti arrivato ciò che il ragazzo avrebbe voluto trasmetterle, o forse era stata lei a non volere che arrivasse, a mettere un muro, a tirarsi indietro, ad allontanarsi. Era colpa sua, sì lo era, e tutto ciò che era successo dopo era una conseguenza delle sue azioni.
Avrebbe dovuto accettare quella carezza, sorridergli e ringraziarlo ma questo atteggiamento non le apparteneva più o meglio, se prima poteva anche solamente avvicinarsi ora era impossibile. Se in passato allontanare le persone le riusciva più difficile ora le veniva spontaneo, lasciandola sempre di più in bilico tra la salvezza e le tenebre.
Solo Wolfgang era rimasto e lei sapeva di non meritarlo affatto, eppure aveva promesso di non pensarci di vivere a pieno quel sentimento perché l’unico a farle vedere la luce in fondo al tunnel. Doveva lottare per far sì che non venisse anche essa abbracciata dal buio, doveva cercare di arrivare in superficie, continuare ad avvicinarsi sempre di più e doveva uscire senza voltarsi più indietro.
Ci stava provando e ci provava con tutta sé stessa, ma lo scudo era impenetrabile e preferiva fare del male piuttosto che riceverne altro. Quella era la spiegazione del suo comportamento, l’unica e la sola, e sebbene provasse dolore perché consapevole di sbagliare preferiva quel tipo di sofferenza.
Difatti, il suo cuore in quegli istanti stava cercando di scaldarsi ad ogni parola pronunciata dal Serpeverde, la mente però la conduceva nel lato opposto.
Avrebbe voluto dirgli che le dispiaceva, che stava apprezzando, che se fosse stata la Megan di un tempo si sarebbe seduta al suo fianco probabilmente. Invece era rimasta immobile con in volto uno sguardo amaro, accentuato dalle labbra chiuse ed increspate.
Le scuse che le furono rivolte poi la spezzarono totalmente, perché avrebbe tanto voluto dirgli che le stava apprezzando ed invece nessun suono fuoriuscì dalla sua bocca.
Ancora una volta un pezzo di sé si stava distruggendo e per quanto si sforzasse nel tenerlo stretto, alla fine lo lasciava sempre sgretolare. Temeva di farlo anche con Wolfgang un giorno, una continua paura che la tormentava.
Ingoiò le parole, come un sorso d’acqua, poi voltò le spalle al ragazzo: non riuscì a fare altro se non andare via.

 
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