A song of Ice and Fire, Privata

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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 1/8/2018, 11:03







L'espressione sul volto del Serpeverde mutò appena lesse lo sconforto nelle parole di lei. Non avrebbe mai dovuto mostrarle quel segno tra le costole, doveva far finta di nulla e mantenere il silenzio. Era stato un incidente e basta, non era colpa della ragazza. Che stupido! Sarebbe dovuto tornare a casa, chiamare Hannah e farsi rimettere in sesto da lei. Maledizione! Era stato un debole che si era solo frusciato nel desiderio di farsi aiutare da lei, e non perché avesse effettivamente bisogno di supporto, ma solo perché era lei.
Rimase per un attimo in silenzio. Le sue labbra si aprirono appena per prendere aria. Non doveva sentirsi in colpa, lui non voleva. Non riusciva ad ammetterlo nemmeno con se stesso, ma quel ruzzolone gli era piaciuto. Era stato così...fuori dagli schemi?
- Ehi! Ehi! - si piegò verso di lei mollando la maglietta al suo destino - sto bene, anzi benissimo. Le mani del Serpeverde andarono senza indugi a prendere quelle di Jolene. Non voleva vederla con quell'espressione preoccupata. Lei era bella, bellissima, ma quando sorrideva diventava splendida. Come mai la vedeva così meravigliosa? In fondo era una ragazza come le altre, oppure no? Che cosa aveva di diverso? Appoggiò le mani della ragazza sulle sue spalle - Guardami...è solo un livido, una sciocchezza - aggiunse mentre le mani raggiunsero la vita di lei e la cinsero appena. Elijah si abbassò verso Jolene senza però azzardare di nuovo quello che aveva fatto prima. Era stato solo un bacio, no? Eppure… Le sue labbra carnose le arrivarono vicino alla guancia e poi si allontanarono di nuovo ad una distanza di una decina di centimetri. Cercò gli occhi di Jolene e fu una rovina assoluta, il gesto sbagliato al momento sbagliato. Le sue palpebre scesero a coprire gli occhi, un disperato gesto di difesa. Provò a respirare e sentì come un "crack" nei polmoni. Non era un problema dovuto alla caduta. Le palpebre salirono piano, scoprendo gli occhi chiarissimi, cercando la luce. La trovarono. Elijah rimase completamente spiazzato dallo scontro tra le loro iridi così diverse. Le sue mani imitarono le movenze di Theo, scivolando in modo lento e quasi impercettibile sulla schiena di lei. La strinse appena, lasciando che il suo viso si nascondesse sopra alla sua spalla, immerso nei suoi meravigliosi capelli.
- Ora va meglio...ora ma molto meglio… - mormorò mentre chiudeva gli occhi. Aveva bisogno di un attimo di tregua, quello che gli serviva per avere di nuovo il controllo delle sue azioni, anche se quel contatto non lo aiutava affatto. Restò in silenzio per circa un minuto.
Era pronto e si staccò da lei completamente. Fece una piccola smorfia spingendo le labbra in fuori e strizzando gli occhi - Credo che per andare a cena dovrò tornare a casa a cambiarmi. Ho i vestiti tutti stropicciati - provò a guardarla, ce la poteva fare - Vorrei portarti in un bel posto, Scintilla.
Doveva cambiare argomento, doveva assolutamente farlo.

 
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view post Posted on 3/8/2018, 09:59
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Prima che se ne rendesse conto, era lui a consolare lei: come se i lividi fossero di Jolene, come se fosse lei a sentire il dolore. Tanta sensibilità da parte di Elijah la lasciò spiazzata: ecco che le si mostrava l'ennesima sfaccettatura, l'ennesimo cambio di melodia. Provò genuino stupore di fronte alla vastità di un mondo a lei ancora sconosciuto, in cui convivevano gli aspetti che aveva avuto modo di osservare e gli innumerevoli che ancora non le erano stati svelati. Aveva sempre desiderato conoscere nuove realtà: e questa era così autentica da spaventarla e attirarla allo stesso tempo.
Queste considerazioni sopirono per il momento i sensi di colpa, la cui trasparenza li aveva portati ancora una volta vicinissimi. Il contatto visivo sembrava non saziare Elijah, che la cercava come se ormai fosse divenuto indispensabile. Era davvero lo stesso ragazzo che al momento delle presentazioni non aveva nemmeno accennato a stringerle la mano? Cosa mai era cambiato da allora? “Niente”, rispondeva il suo cervello; ma sapeva che non poteva essere vero. Si era intromesso qualcosa che andava oltre ai meri fatti, ma ancora non riusciva ad afferrarlo.
Il suo tocco, pur essendo ancora una novità – e per questo spiazzante – conservava al suo interno un cuore di naturalezza che le faceva socchiudere gli occhi e le rallentava il respiro. Si lasciò accarezzare, docile e curiosa, ogni centimetro di pelle sensibile al più leggero dei contatti. Dietro al collo di lui, le sue mani si mossero languidamente, andando a sfiorare il manto dei capelli. Aspettarono: avvolta in quell'abbraccio appena accennato, Jolene chiuse gli occhi e si concentrò sui loro respiri, che si andarono incontro fino ad esalare all'unisono.
Dopo tutto non era successo niente di grave: il livido era insignificante, il bacio non aveva distrutto nulla e tutto si era svolto normalmente, nell'unico modo in cui fosse possibile. Sapeva che i pensieri l'avrebbero tormentata senza tregua e senza pietà, ma quello era ancora un attimo di pace.
Infine, si staccarono. Gli occhi poterono rincontrarsi: il muschio sereno di lei, il ghiaccio tormentato di lui. Un sorriso nacque spontaneo di fronte alla sua affermazione: allora aveva seriamente intenzione di invitarla a cena.
«D'accordo. Però ti ordino di approfittarne per metterti una pomata, o comunque fare qualcosa per i lividi. Ci penserei io, ma non è il caso con tutti questi Bab...ehm, con tutte queste persone intorno.» Quasi fossero stati evocati dalle sue parole, due ragazzini entrarono in quel momento nello spogliatoio, fissandoli con tanto d'occhi mentre entravano sgraziatamente nella sezione maschile. «Intesi?»
Pochi minuti più tardi si trovavano in strada, pronti a separarsi per il breve tempo necessario a rimettersi in sesto. Concordarono che Elijah sarebbe venuto a prenderla di lì a un'ora, quindi gli dette l'indirizzo prima di salutarlo. «Allora a tra poco.» Rimase un attimo interdetta su come congedarsi; alla fine, si limitò a sfiorargli la mano come per caso, il volto sollevato ad incontrare il suo in un ultimo sguardo prima di avviarsi verso un angolo abbastanza nascosto da permetterle di Materializzarsi a casa.

***



«Sei già tornata?»
La voce roca di Virginia la raggiunse mentre saliva a due a due i gradini che portavano al secondo piano e alla sua camera. La donna fece capolino con la testa dalla porta della cucina, l'espressione accigliata come ogni volta che la figlia faceva baccano con i trampoli che si metteva ai piedi.
«Come mai così di corsa?»
«Tra un'ora devo essere pronta per andare a cena.» Gridò per farsi sentire, avendo ormai raggiunto il corridoio. Normalmente avrebbe parlato più in dettaglio con i propri genitori, ma non c'era tempo: un'ora era davvero il minimo sindacale che si potesse concedere a una donna per prepararsi, ma non aveva osato contrattare. Avrebbe sopportato molto più volentieri la fretta dell'impazienza.
Spalancò la porta della sua camera e vi fece irruzione come un vento ciclonico, indecisa su dove andare prima. In qualche modo riuscì a togliersi le scarpe senza sedersi, e prese a vagare come un'anima in pena tra l'armadio e il tavolo da trucco, rischiando di inciampare in Emerald che, incuriosito, le si aggirava in mezzo alle gambe, apparentemente ignaro del pericolo.
Infine, si risolse a fare una doccia veloce: sotto all'acqua calda l'agitazione evaporò dalla sua pelle, permettendole di tirare un lungo sospiro mentre rilasciava la tensione che chissà come si era impadronita di lei. Ora che i pensieri potevano fluire nuovamente senza ostacoli, si rese conto che era andata a quell'appuntamento con l'intenzione di pattinare, ma non aveva nemmeno toccato il ghiaccio. Le venne da ridere di fronte a quella considerazione, ma presto l'ilarità lasciò lo spazio a pensieri meno lieti. Mentre si preparava – scegliendo con cura il trucco leggero, l'abbigliamento e gli accessori – si ritrovò invischiata nella palude della sua stessa mente. Si domandò come fosse arrivata a baciare una persona che a malapena conosceva, mentre l'ultima volta che aveva deciso di lasciarsi andare aveva terminato col ricevere una cocente delusione. Da allora si era ripromessa di diffidare dei ragazzi che si mostrassero troppo sicuri di sé e delle loro capacità di conquista. L'atteggiamento iniziale di Elijah corrispondeva a questa descrizione, eppure… Eppure qualcosa era mutato, esattamente nel momento in cui lei aveva fatto quella proposta semiseria – scandalosa, azzardata; accidenti, che cosa aveva nel cervello, farfalle? -, e aveva avuto l'impressione che lui avesse perso il controllo della situazione. Il suo non era il comportamento studiato di chi persegue un obiettivo, ma lo sbandare di chi si lascia guidare da qualcosa che va oltre il suo controllo. Ed era proprio questo ciò che le era piaciuto di più, capiva ora.
Le sue elucubrazioni erano ben lontane dall'essere terminate, ma ormai Elijah sarebbe arrivato da un momento all'altro. Jolene controllò un'ultima volta lo specchio: la chioma fulva scendeva in morbide onde sciolte sul blu notte del velluto che aveva indossato; si trattava di un abbigliamento piuttosto audace, che aveva scelto a dispetto di tutti i suoi ripensamenti. Una goccia di profumo, e si apprestò a scendere le scale.




Edited by Jolene White - 5/10/2018, 20:40
 
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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 4/8/2018, 12:29







Elijah Sullivan
Prefetto Serpeverde
17 anni

Sciogliere quell'abbraccio fu la cosa più difficile di tutto il pomeriggio, molto più complicata di sollevarsi da quella pista di ghiaccio. Sentiva le sue mani sul collo che si muovevano con tutta la dolcezza che la caratterizzava, ogni capello che lei toccava. Respirò piano, sempre più piano. Voleva solo godersi il momento.
Sorrise appena quando lo ammonì di curarsi le ferite, scuotendo un po' la testa. Le ciocche del ciuffo si mossero appena, ma rimasero diligentemente al loro posto.
- Intesi - un soffio di fiato che sanciva il loro accordo. L'avrebbe fatto, su quello non doveva affatto dubitarne. Non l'avrebbe spinto il desiderio di non soffrire, ma la ferrea volontà di godersi a pieno la cena che li aspettava. Non aveva alcuna intenzione di stare lì a contorcersi ad ogni boccone. Annuì, senza dilungarsi in ulteriori spiegazioni e rassicurazioni.
Memorizzò l'indirizzo di casa di Jolene e si lasciò cullare dai suoi occhi. Un tocco fugace e inaspettato gli raggiunse la mano, un tocco a cui non ebbe tempo di reagire. Rimase ad osservarla mentre si allontanava, un sorriso sghembo sul volto. Si strofinò la barba sulla guancia. Sì, doveva andare a casa anche lui altrimenti avrebbe fatto tardi e non era da cavalieri far attendere una ragazza.

Quando arrivò a casa di sua sorella, i pensieri gli avevano ribollito in testa così tanto che stava per dare di matto. Entrò alla ricerca di Sarah e la trovò, per fortuna, sdraiata a leggere sul divano. Per fortuna non doveva andare alla Gazzetta quel giorno.
- Hai un unguento per le contusioni? - voce quasi trafelata.
- Già di ritorno?
- Ce l'hai? - insistette lui guardandola negli occhi come un pazzo.
- Si...te lo prendo, ma che è successo? - Sarah Sullivan storse il naso. Che folle idea andare a pattinare senza "i pattini sempre in piedi"! E suo fratello, poi, aveva una faccia.
- Io la tenevo in braccio, siamo caduti e per non farle far male mi sono buttato sotto. Quando siamo atterrati mi ha piantato il gomito tra le costole - indicò il punto incriminato sollevandosi la maglietta che non si era preso nemmeno il disturbo di asciugare con la magia - Sarah, mi serve, devo riuscire fra meno di un'ora, la porto a cena e...
- Calma, calma, calma! - un sorriso ironico e decisamente malcelato iniziava a comparire sul volto della ex Corvonero - voglio sapere tutto, e quando dico tutto, vuol dire tutto - incrociò le braccia in risposta al volto sempre più teso di lui - altrimenti non ti metto l'unguento.
- Sei una …
- Si, lo so! E mi piace un casino, soprattutto in questi momenti - lo fissò gongolante - Vieni in bagno e togliti quella maglietta bagnata. Dovrai rifarti la doccia, lo sai?
- Ma non mi dire - grugnì lui di rimando mentre la seguiva nell'ultima stanza della casa. Sarah rovistò in un cassetto così pieno di barattolini e fiale che Elijah non sarebbe mai riuscito a trovare quel coso da solo. Sua sorella immerse le dita in quello color crema e iniziò a spalmargli l'unguento semisolido sul livido. Nel frattempo, lo costrinse a farsi raccontare ogni minimo particolare della faccenda. Vi lascio solo immaginare quando lui arrivò al momento…
- L'hai baciata??? Elijah, davvero? - lui sollevò gli occhi al cielo e Sarah ridacchiò di gusto - allora dimmi qualche altra cosa a parte il suo nome , che già conosco. Bionda o mora?
- Rossa - rispose lui senza alcuna enfasi, deciso solo a togliersela di torno e buttarsi sotto la doccia.
- Per le giarrettiere di Morgana!! Sul serio?? - squittì sua sorella in preda ad un attacco di giubilo - Casa?
- Corvonero - l'accontentò lui freddo, mentre finiva di spogliarsi.
- Cos..?...Amo questa ragazza!! Voglio conoscerla!!
- Ma nemmeno per sogno, scordatelo!! - aprì la doccia e entrò - Pensi di lasciarmi un momento solo o vuoi anche insaponarmi?
- Va bene - voce melodiosa mentre i piedi scalzi l'avvicinavano alla porta - comunque, fratellino, sei veramente un bel pezzo di ragazzo, uno spettacolo per gli occhi. Se vuoi lo dico a Joleeeeeneeee - non smise di ridacchiare nemmeno mentre si chiudeva la porta alle spalle.
- SPARISCIIIII!!!! - le urlò dietro, sbuffando per lo sconforto.

Finalmente solo. Finalmente, o purtroppo. Aprì l'acqua alla massima potenza e la fece scorrere quasi gelata, molto più fredda del solito. Aveva bisogno di calmarsi, di raccogliere le idee. I pensieri gli battevano in testa troppo forte, aveva bisogno di metterli a tacere. Appoggiò le mani contro il muro della doccia, la testa le segui. Lasciò che l'acqua scorresse veloce, che gli disintossicasse i pensieri. Non sarebbe dovuto succedere, non avrebbe dovuto farlo per nessuna ragione al mondo. Ma era successo e lui non sapeva che accidenti fare. Forse avrebbe dovuto mandarle un gufo e semplicemente annullare la cena, ma quanto sarebbe durata quella farsa? Sollevò il viso a cercare il getto gelato, socchiuse appena le labbra. Nonostante tutto lo sentiva ancora il suo tocco. Non esisteva doccia in grado di cancellarlo. Si insaponò con vigore e rimase lí fino a che l'ultimo residuo di sapone sparì nello scarico. Eppure non vedeva l'ora che quei minuti trascorressero per poter uscire. Era un folle! I suoi pensieri ed i suoi desideri continuavano a fargli una rissa in testa ed il Serpeverde sapeva che non gli avrebbero dato tregua. Doveva vederla, aveva bisogno di capire perché non riusciva a mettere a tacere quel casino in testa. Sì, per tutto esiste una spiegazione e lui l'avrebbe trovata anche in quel caso.

Uscì dalla doccia bagnando tutto il pavimento. Sapeva che a Sarah dava fastidio ed era il suo modo per farle pagare le battutine inopportune. Senza preoccuparsi di prendere l'asciugamano, si guardò nello specchio appannato. Allungò l'indice con l'intenzione di scrivere o disegnare qualcosa, ma si bloccò. Scosse la testa, piccole gocce d'acqua volarono in tutte le direzioni. Per tutti i Troll!! Doveva darsi una mossa. Si asciugò con cura e sistemò il ciuffo di capelli. Ora mancava solo l'abito, ma sapeva cosa mettere e questo velocizzava parecchio la faccenda. Entrò in camera con l'asciugamano intorno ai fianchi e lo pescò nell'armadio. Era un completo nero, al quale avrebbe abbinato una camicia dello stesso coloro. Amava il total black, doveva ammetterlo. Ai piedi, niente scarpe scomode, assolutamente no! Un paio di stivaletti dello stesso colore era esattamente quello di cui aveva bisogno. Ne aveva due paia, uno estivo ed uno invernale. Da quando lavorava da Mister Elegant aveva imparato ad apprezzare le finezze di questo tipo. Quando fu completamente vestito, osservò le cravatte e prese la solenne decisione di non metterla. In fondo non era una serata formale. Un'ultima sistemata al ciuffo e al colletto quindi poté affermare di essere pronto. Si avviò verso l'ingresso in silenzio e, per fortuna, Sarah era nella sua stanza.
- Ciao! Io vado - esclamò sgattaiolando fuori dalla porta prima che sua sorella lo potesse vedere. Scese in strada e, come prima cosa, si accese una sigaretta. Era tranquillo, era tranquillissimo. Non stava succedendo niente si strano. Fece il primo tiro e si incamminò a passi lenti verso la sua meta. Come previsto, arrivò in perfetto orario. Si piazzò davanti alla porta di casa di lei, osservando morbosamente la scritta "White" sul campanello. Allungò la mano e suonò. Sì, era un perfetto idiota, era ufficiale.



 
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view post Posted on 5/8/2018, 17:49
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Come era prevedibile, il primo passo fuori della camera da letto annunciò all'orecchio vigile di Virginia che sua figlia non si sarebbe potuta sottrarre alle sue indagini ancora a lungo.
«Jolene?»
Non avrebbe detto altro; era il tipo di persona che sceglie le parole con cura, ponderandole e soppesandole attentamente prima di liberarle. Non si prodigava mai in chiacchiere, e questa caratteristica, a primo impatto, la faceva apparire come una donna severa e diffidente. In verità, questo era il modo di Virginia di dimostrare quanto ci tenesse agli altri: doveva svolgere un grosso lavoro per eliminare tutto il superfluo dai propri discorsi, così che ne rimanesse solo l'essenziale, il cuore pulsante e realmente significativo. Era un gesto d'amore insolito, che Jolene ormai capiva e apprezzava in quanto sforzo di donare agli altri solo la parte migliore di ogni cosa.
La ragazza sapeva che quello era molto più di un semplice richiamo: mille messaggi si addensavano all'interno del proprio nome: perché si era chiusa in camera senza quasi una parola? Avrebbe finalmente raccontato qualcosa? O forse c'erano dei fatti che desiderava tenere nascosti?
Jolene era sempre stata trasparente con i propri genitori: confidava loro tutto, e anche quando aveva tentato di omettere qualche preoccupazione non era mai riuscita a scampare allo sguardo penetrante di sua madre. Era sempre stata una liberazione confidarsi, a dispetto della ritrosia iniziale; sia Oscar che Virginia erano degli ottimi ascoltatori, e condividere con loro il peso dei propri pensieri la faceva sentire leggera come un palloncino.
Man mano che cresceva, però, si erano insinuate in lei sensazioni e riflessioni non completamente formulate che era difficile esternare. Aveva cominciato a cercare la solitudine più spesso di prima, e i suoi genitori accettavano, seppur a malincuore, che una giovane donna serbasse dei segreti anche alle persone che l'avevano cresciuta.
Questo, però, non era un segreto che Virginia o Oscar avrebbero accettato: doveva quantomeno raccontare loro come si era svolto l'appuntamento. Senza comprenderne il perché, si sentì spaventata da questa prospettiva: avrebbe voluto avere il tempo di fare chiarezza in se stessa prima di condividere i fatti con altri, ma ormai solo una rampa di scale la separava dalla confessione.
Che cosa avrebbe potuto dire? Si sforzò di mettere in moto i neuroni, mentre scendeva un gradino alla volta con esasperante lentezza. Poteva incolpare i tacchi alti – non il paio più comodo che possedesse, decisamente -, ma ad ogni modo sarebbe stato chiaro per tutti che c'era di più in gioco. Si morse la guancia, un tic nervoso che l'accompagnava nei momenti di indecisione e stress.
Si trovava a metà della strada, quando il Preludio N.1 di Bach annunciò l'arrivo di Elijah – ebbene sì, gli White non avrebbero mai accettato di avere una banale campanella dal suono metallico e fastidioso all'udito; Oscar aveva modificato l'impianto affinché, al premere del bottone, la casa si riempisse per pochi secondi delle dolci note di pianoforte, udibili attutite anche dall'esterno della porta. Jolene non avrebbe avuto un sussulto più violento nemmeno se avessero suonato un gong al posto del campanello.
«Vado io!» Senza sapersi spiegare tanta fretta, scese velocemente gli ultimi gradini e si fiondò verso la porta d'ingresso. I tacchi risuonarono prepotenti sul parquet, mentre macinava la distanza che la divideva dall'uscio. Solo che… «Oh-oh...» Il tappeto. Come aveva fatto a non pensare al tappeto? Quante volte era inciampata in quello stesso punto, perché quel maledetto coso non era mai sistemato come Merlino comanda? Innumerevoli, accidenti. E, ora, innumerevoli più una.
Stong.
La porta venne scossa dalla sua mole dopo un breve, leggiadro volo in cui tutti i peggiori improperi – decisamente poco adatti a una signorina tanto graziosa – ebbero attraversato in un lampo la sua testa.
«Giuro che questo straccio farà una brutta fine...» Borbottò a denti stretti mentre si ridava un contegno. Aveva portato in avanti le mani e per fortuna solo quelle erano entrate in contatto con l'uscio, ma senza dubbio l'impatto non era passato inosservato dall'altro lato dell'ingresso. Si sistemò una ciocca di capelli nel tentativo di calmarsi, prima di abbassare la maniglia e aprire con studiata lentezza, come se fosse arrivata con tutta la calma di questo mondo.
Aveva preparato un tirato sorriso di circostanza, ma ben presto non fu più necessario: nel vederlo, i suoi tratti si distesero con naturalezza. Lo osservò con attenzione, dal volto al completo nero, ancorandosi negli occhi chiarissimi. Aveva sempre pensato che sembrasse più grande della sua età, ma con quell'abbigliamento gli anni che li separavano sembravano definitivamente dissolti. Era un piacere per gli occhi, vestito con semplice eleganza era un cavaliere di tutto rispetto.
«Ciao.» Non trovò niente di meglio da dire: in quel momento i suoi muscoli si erano rilassati e così aveva fatto la sua mente, tanto che sembrava che fossero passati interi giorni dalla frenesia di pochi istanti addietro. Era come se il mondo si fosse fermato per un momento dal suo incessante girare… Ma non durò molto.
«Ciao!»
Gli occhi di bosco si fecero tondi nel riconoscere che quella voce non apparteneva ad Elijah; così come non era sua la mano che le si appoggiò sulla spalla, né quella che spalancò la porta con un movimento repentino ed energico. Il sangue le si ghiacciò nelle vene: accidenti, ci mancava solo questa.
«Papà...»
«Ciao Jo-Jo cara, sei bellissima.» Sentì la puntura dei ruvidi baffi rossi mentre Oscar le schioccava un bacio sulla fronte. Lei era ancora immobile, lo sguardo fisso su Elijah. Non sapeva cosa fare, ma qualcuno lì non sembrava avere problemi nel prendere le redini della situazione. «Faccio i complimenti anche a te per l'eleganza, ragazzo.» Lo sguardo limpido si attaccò con decisione ad Elijah, scrutandolo con aria indecifrabile. Le iridi erano azzurre come il cielo in una vivace mattina di primavera, mobili e luminose, pronte ad accompagnare l'espressione del volto solcato dalle rughe. «Devi scusarmi.» Non avrebbe smesso di guardarlo per un secondo. «Pensavo di aver inculcato a mia figlia delle maniere migliori. E' questo il modo di trattare gli ospiti, Jo-Jo?» La figlia incontrò il suo sguardo con aria implorante, ma Oscar andava avanti come un treno. «Nessuno verrà mai a dirmi che casa White ha mancato di ospitalità. Prego, entra pure! Senza complimenti, da questa parte. E non ditemi che il ristorante scapperà nei pochi minuti in cui vi fermerete a bere con due vecchi signori.»
Si era già avviato verso il soggiorno, scoccando occhiate significative ad entrambi: non avrebbe accettato rifiuti. Jolene si rivolse ad Elijah, curiosa di decifrare la sua espressione in quella situazione che non aveva avuto il tempo di immaginare. Cercò di sorridere mentre lo invitava ad entrare.
«I suoi modi sono un po' bruschi, ma ha intenzioni sinceramente amichevoli. Ti dispiace? Sarà solo un minuto, te lo prometto.»



Edited by Jolene White - 5/10/2018, 21:01
 
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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 6/8/2018, 14:04







Elijah Sullivan
Prefetto Serpeverde
17 anni

Appena il polpastrello di Elijah fece pressione, dall'interno della casa arrivò una cosa assurda. Ma che accidenti di campanello avevano i White? Sembrava di stare al Teatro dell'Opera. Rimase per un attimo perplesso a guardarsi il dito. Era stato lui? Siamo sicuri? Quella musica però non fu l'unica cosa che arrivò al suo orecchio. Un tonfo indistinto lo raggiunse da dietro la porta e quest'ultima che si mosse leggermente non fece che confermare i suoi sospetti. Che avessero anche un cane oltre al gatto? O era Mr. Butler a generare tutto quel trambusto? Era lì in attesa...in attesa...Lui in attesa fuori dalla porta di una ragazza per un…allontanò immediatamente quel pensiero fissando lo sguardo sullo zerbino. La porta si aprì e vide subito le scarpe dal tacco vertiginoso. Riconobbe la voce. Lo sguardo del Serpeverde si sollevò piano sugli stinchi e, da quello che riusciva a vedere, tutto lasciava presagire che Jolene avesse indossato una gonna. I suoi occhi chiarissimi salirono ancora a cercare questa gonna, ma nulla. Arrivarono al ginocchio, anch'esso scoperto, e continuarono il loro percorso sulla coscia. Ma dov'era questa gonna? Quan...quanto era lunga corta ? Finalmente, dopo lunga ricerca, le sue pupille trovarono la stoffa ed era...No! No, no, no...non era velluto, vero? Trattenne il respiro, deglutì e cercò di concentrare meglio la vista. Per la barba di Merlino, velluto blu. Era una certezza, non sarebbe arrivato in fondo a quella serata sano di mente. Lasciò che i suoi occhi lo esplorassero ancora mentre salivano e apparve qualcosa che non sarebbe dovuto apparire, almeno non così presto, non a quelle latitudini. La pelle bianca di Jolene brillava alla luce timida del tardo pomeriggio. Nonostante tutto il Serpeverde non vacillò. Rimase incredulo e perplesso per un istante, ma lasciò che i suoi occhi chiarissimi si muovessero ancora verso l'alto, ancora po' e fu sufficiente. Quello che vide gli incendiò il sangue all'instante, Elijah deglutì di nuovo, o almeno fu quello che tentò di fare. Aveva l'impressione di aver appena ingoiato la lava di un vulcano in eruzione e che quella si fosse solidificata all'istante impedendogli di respirare. Aveva bisogno di guardare altrove e cercò gli occhi. Vacillò. Per la prima volta, vacillò. Gli occhi verdi di Jolene lo avvolsero più del solito e Elijah si ritrovò a fare un respiro profondo mentre la guardava completamente imbambolato.

Socchiuse le labbra e un sorriso appena accennato apparve su di esse. La stava ammirando. Gli occhi così verdi, le ciglia così lunghe e folte.
-Ciao... - riuscì finalmente a dire prima di fare la figura del maleducato oltre che del perfetto idiota.
Una voce inaspettata li raggiunse, una decisamente non prevista, soprattutto perché era maschile. Elijah la vide sgranare gli occhi, divennero ancora più enormi. Era suo padre che, a quanto pareva, si dilettava a fare gli onori di casa. Rimase prima in silenzio quindi rispose con tono pacato - Buonasera...La ringrazio Signore.
Elijah rimase incredulo e silenzioso ad ascoltarlo, piedi sempre piantati sopra allo zerbino. Non riusciva a credere alle sue orecchie e ai suoi occhi. Provò rabbia e pace allo stesso tempo. Rabbia per quello che non sapeva potesse esistere, e pace per quello che gli stava regalando. La pace ebbe il sopravvento ed il Serpeverde sentì ogni muscolo rilassarsi. Per questa ragione, non ebbe difficoltà a far arrivare bene al cervello l'ultima parte della frase dell'uomo che riguardava due vecchi signori. Perfetto! Mamma in avvicinamento da chissà dove.
- Direi che il ristorante non si muoverà di un centimetro, Signore. Accetto molto volentieri - aggiunse il suo vocione, sperando vivamente che il padre di Jolene non gli propinasse del succo di zucca. Fece il primo passo per avvicinarsi a lei, mentre Mr. White si dirigeva di spalle verso il soggiorno e le parole della ragazza lo spiazzarono molto più di quelle di suo padre.
- Brusco? Tuo padre? - mormorò avvicinandosi a lei - Dovresti incontrare mia madre per imparare a riconoscere il demonio - si avvicinò di più - però devo dire che tuo padre è un po' bugiardo...non sei bellissima...ma meravigliosa.
Le mostrò la mano aperta perché la stringesse - Non facciamolo aspettare.



 
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view post Posted on 7/8/2018, 22:41
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Jolene era abbastanza a suo agio con il proprio corpo da non provare vergogna e, anzi, mantenere la consueta naturalezza anche con qualche centimetro di pelle scoperto; eppure, avere addosso quegli occhi di ghiaccio le fece percepire una leggera timidezza, che andava a mescolarsi al piacere che prova ogni donna nel sentirsi ammirata. Insieme, contribuivano alla sensazione inebriante che l'aveva colta sull'uscio di casa, e che raggiunse l'apice nel momento in cui le loro iridi tanto diverse si incontrarono ancora una volta.
Con l'arrivo di Oscar, e una volta avuto il tempo di digerire la sorpresa che lo stesso evento le aveva suscitato, la sua mente tornò a vigilare con chiarezza. Capì come la tranquillità dei modi di Elijah e la sua mancanza di reticenza avessero fatto una buona impressione su suo padre.
Mentre i passi di questo ultimo risuonavano dietro di lei, si rivolse al giovane con espressione sorridente mentre indietreggiava per accoglierlo nell'ingresso. La serenità del volto traballò nel sentire le prime parole di lui: gli occhi le si fecero improvvisamente seri, scrutatori, mentre inclinava appena la testa da un lato. Già durante il loro primo incontro le era stata rivelata una condizione famigliare complessa e dai caratteri piuttosto oscuri; con quell'asserzione Elijah non faceva che ribadire quel fatto, caricandolo di ulteriore gravità e accrescendo il desiderio della ragazza di fare luce su quei misteri.
Solo che, certo, non era quello il momento. Un piccolo sorriso deliziato le si tratteggiò sulle labbra discretamente dipinte, mentre la mano bianca incontrava quella calda di lui e la stringeva per un attimo.
«Allora non sfigurerò accanto a te. Ho un debole per i look total black, sai?» Le dita libere si alzarono a sfiorare il colletto della giacca; una piega immaginaria da raddrizzare, l'attrazione irresistibile di una calamita invisibile. «Andiamo. La questione non è di non farlo aspettare, ma di non dargli il tempo di preparare una delle sue trovate.» Scosse la testa ridendo. «Ti do il benvenuto nella dimora White!» Esclamò con fare cerimonioso, spalancando le braccia ad abbracciare il piccolo ingresso mentre si faceva strada sul tappeto – quel maledetto.
L'ingresso si affacciava sulle scale, mentre a destra delle porte a vetri semiaperte lasciavano intravedere la cucina; a sinistra, un'entrata gemella dava accesso al soggiorno, dove guidò Elijah.
«Sentiti libero di curiosare, se vuoi.» Gli disse da sopra la spalla. «Dopo vent'anni anche io a volte mi chiedo che cosa diavolo abbiamo in casa.»
La sua affermazione sarebbe stata senza dubbio compresa una volta che avessero messo piede nella grande sala. Nonostante le sue notevoli dimensioni, mobili, oggetti e decorazioni abbondavano al punto da dare alla stanza un'aria intima e avvolgente. Le tende erano in parte tirate, mentre alcune delle numerose lampade sparse qua e là gettavano una luce calda tutto intorno – probabilmente era stato Oscar a pensare a quel tocco in più, nel suo genuino desiderio di fare colpo sul “giovanotto che portava sua figlia fuori”.
Le luci e le ombre danzavano sui mobili, che erano scompagnati, ma condividevano tutti la stessa aria antica, come se fossero stati tramandati per generazioni in famiglie diverse. Alcune librerie tappezzavano le alte pareti, ospitando tomi Magici e Babbani, di qualsiasi genere e periodo. Saggi scientifici posavano accanto alle opere di Shakespeare, le fiabe di Beda il Bardo erano infilate tra un romanzo moderno e una raccolta di poesie classiche, senza nessun apparente criterio. Dove mancavano gli scaffali, i vuoti erano riempiti da quadri di diverse dimensioni: una collezione che andava dalle imitazioni di Monet e Chagall agli originali di pittori sconosciuti. Due divani, tutt'altro che nuovi ma confortevoli, avrebbero accolto gli ospiti insieme a diverse sedie, quasi tutte raggruppate intorno a tavolini così ingombri dei più disparati oggetti da dare l'impressione di stare per cedere sotto al loro peso. Incensieri, servizi di porcellana, statuette africane, matrioske da collezione, quelli che sembravano strani strumenti musicali: erano solo alcune delle piccole meraviglie, di origine incerta tra Magica e Babbana, che tappezzavano quello che sembrava più un antiquariato che una abitazione. Nemmeno le piante mancavano: un'orchidea bianca era posata su un tavolino, mentre alcuni rampicanti riversavano le proprie cascate di foglie dall'alto delle librerie.
Mezzo nascosto dalle ante di un armadio, Oscar stava trafficando al suo interno, producendo di tanto in tanto qualche tintinnio cristallino. Ad accoglierli fu Virginia, che posò gli occhiali e il libro che aveva in grembo e si alzò da una sedia imbottita ricamata a fiori.
«Benvenuto, Elijah.» Le lampade illuminarono un sorriso moderato ma gentile mentre la donna faceva un passo verso l'ospite. «Io sono Virginia, è un piacere conoscerti.» Gli tese la mano: se il ragazzo l'avesse stretta, avrebbe sentito una presa ferma e decisa, ma anche in caso contrario la donna non si sarebbe scomposta.
«Oh, ma guarda.» Jolene lanciò un'occhiata in direzione di suo padre. «Si parla tanto di buone maniere, ma non vi sembra che manchi la presentazione di qualcuno?»
«Oscar! Sono Oscar! Lieto di fare la tua...Ah, ecco dove era!»
Jolene ridacchiò sotto allo sguardo di finto rimprovero di sua madre. «Vado ad aiutarlo. L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è che mandi in frantumi tutti i bicchieri.» Si allontanò a passi svelti, quasi presagendo il disastro.
Una volta rimasti in quella solitudine imperfetta, l'attenzione di Jolene si concentrò su Elijah. Lo guardò con curiosità, studiando la sua reazione all'essere stato catapultato senza molti complimenti all'interno di un mondo a lui sconosciuto.
«Ecco, ecco.» Oscar fece irruzione interrompendo qualsiasi scambio di battute potesse esserci fra i due; posò sul tavolo, uno dopo l'altro, tre bicchieri scintillanti, mentre Virginia si avvicinava con il quarto e una bottiglia contenente un liquido ambrato. «Ora, mio caro ragazzo, ti farò assaggiare niente di meno che il nettare degli dei.» Le due donne alzarono gli occhi al cielo, divertite. «Credimi, credimi sulla parola. E' un gusto a cui ho lavorato io stesso… Hai l'età per bere alcolici, vero?» Jolene avrebbe voluto essere Schiantata sul posto.




Edited by Jolene White - 5/10/2018, 21:11
 
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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 9/8/2018, 12:28







Elijah Sullivan
Prefetto Serpeverde
17 anni

Lasciò che quel vento intriso di gioia lo travolgesse. Ogni cosa dentro casa White gli dava un senso di pace e di benessere, anche uno dei ninnoli senza senso che troneggiava in bella mostra. Elijah si guardò intorno stupefatto, i suoi occhi si dilatarono appena e le labbra di schiusero in un sorriso. Era come ritrovarsi catapultato in una realtà sconosciuta e meravigliosa. Quando vide la libreria, un'altra e poi un'altra non poté fare a meno di avvicinarsi. Era enorme. Sfiorò il dorso dei volumi del ripiano che aveva proprio davanti agli occhi. C'era di tutto, più li accarezzava e più nasceva in lui la voglia di leggerli. Volumi sia magici che babbani, uno più bello ed interessante dell'altro. Lui e Jolene avrebbero dovuto fare uno scambio culturale.
- Hai una casa bellissima, è calda e, per inciso, tu non sfigureresti mai vicino a nessuno, Scintilla - si fece scappare, sperando che suo padre non cogliesse l'ultima parte - dovrò comprarmi tutta roba nera.
Stava lì per confessargli che anche i boxer erano dello stesso colore, ma una seconda voce lo interruppe. Era una voce femminile questa volta. Era arrivata in salone anche la madre di Jolene, e sorrideva. Elijah non poté non fare i confronti con la sua. Si sforzò ma non riusciva a ricordare un sorriso di sua madre, nemmeno uno. Esther Montague non sorrideva mai, nemmeno per sbaglio.
- Grazie Mrs. White è un piacere ed un onore conoscerla.
La mano tesa, ma in questo caso non era un problema. Il Serpeverde sollevò le dita della donna sopra alle sue e le sfiorò appena il dorso della mano con le labbra. In quello sua madre era servita a qualcosa.
- Anche per me, Mr. White - rispose come in trance. Gli girava da testa e non perché fosse in imbarazzo o perché si sentisse male. Per la prima volta si trovava davanti una famiglia, una famiglia vera. Aveva sempre creduto che suo padre fosse una persona espansiva, si era sbagliato su tutta la linea. Si, Joel non era mai stato cattivo con lui, ma nemmeno un padre...un padre come Oscar. Suo padre sarebbe rimasto seduto in poltrona a bere il suo caffè, gentile ma imperturbabile.
Jolene non aveva idea della fortuna che avesse.
- Io sono Elijah Sullivan - si presentò anche lui in modo completo, dato che loro conoscevano già il suo nome di battesimo. Guardò in silenzio la donna che si avvicinava ad Oscar, in un clima di totale gioia e serenità.
- Hai una bellissima famiglia, Jolene, tu non immagini quanto - le disse sottovoce mentre si voltò a guardarla, ma con un tono che lei l'avrebbe sentito alla perfezione. Quella casa era calda e deliziosa proprio come i suoi occhi. Le sfiorò la mano con la sua, la carezzò dal polso alle dita, mentre un brivido gli percorreva la schiena. Era una sensazione strana, come camminare a piedi sulle nuvole ma senza paura di cadere. Con l'altra mano si accarezzò piano la barba, dal mento fino all'orecchio, forse per convincersi che quello che stava vedendo fosse tutto vero.
Il ritorno dei genitori di Jolene, armati di bottiglia e bicchieri, contribuì a scaldare ancora di più l'atmosfera. Elijah fece un sorriso sghembo. Era davvero così evidente che lui fosse appena appena più piccolo di sua figlia? Annuì.
- Si, Signore, sono maggiorenne - non che il non esserlo l'avesse mai fermato. Ricordava ancora la sua prima bevuta, aveva solo undici anni. Vagnard von Kraus, capitano della squadra di Quidditch di Serpeverde, gli aveva fatto il grande onore di poter bere con lui un paio di bicchieri delle sua riserva privata, quella che conservava gelosamente pena la tortura per i profanatori. Il primo sorso di whiskey incendiario che gli era sceso in gola l'aveva quasi messo a tappetto, mandandolo con un colpo solo in cima alle Torri. Elijah era rimasto imperturbabile sotto gli occhi attenti di Vagnard, ma l'effetto dell'alcool era stato piuttosto evidente. Sorrise appena ripensandoci, il suo battesimo del fuoco, sia con gli alcolici che con il fumo. A differenza di molti, non aveva mai temuto von Kraus, lo ammirava.
- Il colore promette molto bene - e lì si fermò per fortuna. Non era il caso di esibire in quel modo le sue conoscenze in fatto di alcolici - sono certo che il gusto non sarà da meno.
E non erano false lusinghe quelle. Qualsiasi cosa albergasse in quella bottiglia aveva una trasparenza che rasentava la perfezione. Non presentava strati di torbido, ma era così cristallino che potevi vederci attraverso. Elijah si bagnò le labbra con la punta della lingua, mentre accarezzava ancora la mano di Jolene. Era troppo preso da tutto il resto per rendersi conto che non aveva mai smesso di farlo, nemmeno davanti ai suoi genitori.


 
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view post Posted on 11/8/2018, 15:40
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Non aveva bisogno di guardarsi intorno per sapere quello che stava vedendo Elijah in quel momento: era cresciuta in quella stanza e, anche se era soggetta a cambiamenti nella disposizione degli oggetti, alla comparsa di nuove curiosità e all'archivio di altre, l'aspetto generale rimaneva sempre lo stesso. Gli occhi di Jolene, quindi, si fissarono sul ragazzo e sulle reazioni che quel particolare scenario avrebbe suscitato in lui. Guardò affascinata le sue lunghe dita sfiorare i dorsi delle copertine di quelli che non erano solo semplici libri, ma autentici compagni della sua infanzia. Sotto al tocco del Verde-Argento scorreva la storia stessa della ragazza, le innumerevoli avventure di cui si era profondamente appropriata e che avevano contribuito a forgiarla.
Era capitato che si sentisse invasa, soffocata dagli occhi estranei che nel corso degli anni avevano ispezionato il suo personale paradiso. Alcune persone – che fossero amici suoi o, più probabilmente, dei suoi genitori – semplicemente non vibravano sulla stessa lunghezza d'onda di quella strana dimora. Non vi vedevano altro che una stanza ingombra di oggetti vecchi e insignificanti, ninnoli raccolti in preda a una sorta di convulsa ossessione. Ma qualcosa le diceva che Elijah possedeva la sensibilità per dare un significato al suo mondo, per guardarlo dalla giusta prospettiva.
«Hai una casa bellissima, è calda...»
Il sorriso le nacque spontaneo, nel sentire quella prima impressione così azzeccata. Il resto non le fece meno piacere, ma Virginia si presentò prima che avesse il tempo di ribattere.
Naturalmente, i modi di Elijah erano perfetti, lavorati dall'esperienza e – ma forse era solo una sua impressione – ammorbiditi dall'atmosfera in cui era immerso. Sapeva che questo avrebbe fatto piacere a Virginia che, dalla sua espressione gentile e pacata, scrutava attentamente ogni dettaglio.
Quando la donna si allontanò, il sussurro di Elijah la fece voltare per guardarla mentre raggiungeva il marito: le ante dell'armadio erano a malapena aperte, e si stavano chiudendo su Oscar come se volessero inghiottirlo. La donna ne spalancò una, salvando il marito dal mostro di legno e vetro.
Jolene non poté fare a meno di sorridere.
«E' tutto quello che ho, il mio mondo intero.» Una vena di tristezza a contaminare quel mormorio, mentre una forte emozione le stringeva il petto. Jolene non aveva mai temuto di perdere ciò che aveva, fino a poco tempo addietro. Sapere che una avvenimento del genere fosse possibile l'aveva spiazzata completamente, e in quel momento sembrò aggrapparsi alla mano di lui, nella stretta che per un istante si fece forte.
Si disse che non era il caso di fare simili pensieri proprio allora, quando l'unico obiettivo era quello di far immergere Elijah in un'atmosfera che forse non aveva mai assaporato. E a proposito di cose da assaporare…
«Allora ci limiteremo a fare una bevuta legale e innocente, che peccato.» Oscar scosse la testa, come mortificato. Virginia non commentò, ma Jolene rise e trascinò Elijah, la cui mano ancora stringeva la sua, a prendere posto sul divano. Sotto a uno sguardo discreto ma indagatore di Virginia, avrebbe ritirato la mano per posarla sul ginocchio, come se niente fosse.
«Fammi indovinare, papà. Hai tirato le tende proprio sperando che i vicini non assistessero alla nostra cattiva influenza su un povero minorenne.»
«Accidenti, Jolene, lo davo per scontato.» Strizzò l'occhio in direzione di Elijah. «Sembri saperne qualcosa, di liquori. Scommetto che mi darai più soddisfazione di loro due messe insieme.» Nel frattempo aveva stappato la bottiglia e aveva iniziato a versarne in contenuto in generose porzioni.
«Andiamo, non abbiamo mai detto che non sia buono. Solo… un po' particolare.»
«Devi sapere, Elijah, che Oscar cerca l'aroma di whisky perfetto da anni, ormai. Fino ad ora questo sembra essere il suo esperimento meglio riuscito.» Virginia prese posto su una poltrona, portandola più vicino al tavolo sul quale troneggiavano i bicchieri ormai riempiti. Erano ospitati da un minuscolo spazio vuoto al centro del mobile, mentre diversi ninnoli erano stati spostati da parte per fare loro posto.
«Papà è un chimico.» Soggiunse Jolene. «Per lui la scelta degli ingredienti, il loro dosaggio e il tempo di reazione sono come i pilastri di una religione.»
«Modestamente, sarei un ottimo pozionista, se fossi dei vostri.» Concluse lui con tono gioviale, porgendo i bicchieri. Prima all'ospite, poi alle donne di casa; infine, afferrò il proprio, portandolo in alto. «Ti direi con cosa l'ho aromatizzato, ma sarebbe banale. Sarai tu a dirmi gli ingredienti, dopo aver assaggiato. Che ne pensi?» I baffi rossi nascondevano in parte la piega sghemba che avevano preso le sue labbra, mentre negli occhi ammiccava una luce divertita che si rifletteva nello sguardo della figlia, anch'esso puntato sul giovane.




Edited by Jolene White - 5/10/2018, 21:15
 
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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 12/8/2018, 13:33







Elijah Sullivan
Prefetto Serpeverde
17 anni

La curiosità di assaggiare la miscela di papà White lo trascinò immediatamente, soprattutto alla luce del fatto che gli avesse appena lanciato una piccola sfida da superare. Elijah adorava le sfide. Una sugli alcolici poi...cosa poteva chiedere di più?
- Grazie - prese il bicchiere e si sistemò sul divano a fianco a Jolene. Notò subito che lei aveva allontanato la mano. Era probabilmente in imbarazza davanti ai suoi genitori. Il Serpeverde non voleva che lo fosse, lui non si era mai sentito in pace come in quel momento.
- Chimico? Davvero? Deve darmi qualche lezione, Signore - anche se si trattava di una materia babbana, sapeva quanto questa andasse a braccetto con le Pozioni e l'Alchimia. Elijah adorava le Pozioni, era sempre stata una delle sue materie preferite insieme a Storia della Magia. L'anno successivo si sarebbe dedicato anche ai segreti alchemici e doveva confessare che avere una preparazione a 360 gradi non gli dispiaceva. La Chimica, nella fattispecie, faceva proprio al caso suo. Se il padre di Jolene non fosse stato disponibile a dargli qualche dritta sul campo, sarebbe andato in libreria a cercare qualcosa sull'argomento. Guardò Jolene e allungò il braccio per riprendere la sua mano. I suoi genitori non avevano fatto commenti quando si erano avvicinati mano nella mano, non li avrebbero fatti nemmeno dopo. O meglio, avrebbero potuto farli, ma non sarebbero stati sgradevoli. Quelli di solito ti arrivano subito addosso. Gli sembrava una cosa davvero strana, eppure quel contatto lo faceva stare bene.
Strinse la mano della ragazza quel tanto che bastava per portarla sul divano nella sua, nel piccolo spazio di stoffa che in quel momento li separava. Rilassò il corpo, sistemandosi bene sullo schienale - Adoro le Pozioni - un lieve sorriso sghembo all'indirizzo dell'uomo - vediamo di dare un senso ai miei voti.
Portò il bicchiere vicino alle labbra, ma non assaggiò al momento. Inspirò lentamente avvicinando le narici al bordo del cristallo.
- Cannella - il pollice si mosse lentissimo sul dorso della mano di Jolene, senza che lui se ne rendesse conto. Il gesto fu dettato dal suo stato emotivo del momento probabilmente, dalla mente sgombra dai soliti orrori che l'albergavano. L'aroma di quella spezia pungente gli arrivo dritto in testa, coprendo forse anche gli altri. Chiuse gli occhi, per permettere all'olfatto di andare a fondo. Inspirò con ulteriore cura - Chiodi di garofano - riaprì gli occhi chiarissimi cercando quelli di Oscar - tenuti in infusione a freddo però. Se l'avesse fatto a caldo, l'aroma sarebbe stato molto più intenso e decisamente poco piacevole. In effetti era proprio quello il trucco, ma eccedere perché si rischia di mandare a rotoli qualcosa che potrebbe essere perfetto. I chiodi di garofano poi erano una brutta bestia, quel tipo di ingrediente che si poteva definire intrigante ma pericoloso.
Portò il bordo del bicchiere alle labbra, il primo sorso è sempre il più importante specialmente se non sai cosa ti aspetta. E...accidenti se era buono quell'intruglio!! Aveva ragione a chiamarlo nettare degli dei, perché gli andava davvero molto vicino. Lasciò che il whisky gli invadesse ogni angolo della bocca, ma lo fece con discrezione assoluta. Aveva sempre detestato quelli che, per atteggiarsi a grandi esperti, si esibivano in volgarità incommentabili.
- Una punta di liquirizia - era sorprendente come riuscisse a domare alla perfezione il gusto potente della cannella. Quell'uomo aveva decisamente buon gusto in fatto sapori e, soprattutto, di liquori. Mandò giù il primo sorso e rimase interdetto per un momento. C'era altro, sì, ma cosa? Fece un altro sorso, che ingoiò velocemente. Non era interessato ai sapori di testa, ma al retro gusto. Lasciò svanire dal palato gli aromi predominanti e si concentrò sul sapore che accarezzava la bocca quando tutto finiva. Conosceva quel sapore, ma cos'era? Un altro sorso dopo il quale restò in silenzio. Chiuse gli occhi ancora un attimo e …
- Ci ha messo l'Aconito, Signore? - possibile? Eppure sembrava proprio quello. Elijah aveva comprato da Toobl un pacchetto di sigarette all'Aconito e quello che sentiva in bocca in quel momento, era lo stesso che gli lasciava quel tipo di fumo.
- Signore, il suo whisky è speciale - strinse appena di più la mano di Jolene - ma non è l'unica cosa in questa stanza.
Lasciò le parole galleggiare tra loro, senza lanciarsi in ulteriori spiegazioni. Ognuno dei presenti era libero di interpretarle come meglio credeva.
- Sono sfacciato se le chiedo un secondo assaggio? - sì, lo era decisamente ma era quello il suo modo di rendere onore al lavoro di Oscar - dopo, credo che io e Jolene dovremo avviarci altrimenti perderemo la prenotazione.


 
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view post Posted on 13/8/2018, 23:21
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Jolene avrebbe potuto giurare che alla proposta di Elijah due nuovi soli si fossero accesi nelle orbite di suo padre. Oscar aveva lavorato come ricercatore per diverso tempo, ma la passione per la chimica aveva trovato le maggiori soddisfazioni negli anni in cui l'aveva insegnata in una scuola Babbana. Nulla rende un bell'argomento ancora più significativo del condividerlo con altre menti: l'uomo ne era profondamente convinto. «Quando vuoi, ragazzo. Non hai che da suonare alla porta.» E lo intendeva veramente, in tutta la serata non era mai stato serio quanto in quel momento. La proposta era arrivata inaspettata, e aveva indubbiamente sorpreso tutti gli White.
A cogliere la ragazza ancora più impreparata, però, non furono parole o discorsi; quando sentì che la mano di Elijah la cercava, l'aveva trovata e che loro dita si ritrovavano ancora una volta intrecciate, sentì distintamente come il cuore accelerasse i suoi battiti.
Nel momento in cui si era staccata, poco innanzi, non aveva formulato nessun pensiero concreto a tal proposito; ora si rendeva conto che l'aveva fatto perché era più semplice così: il contatto non avrebbe fatto altro che aumentare le domande nello sguardo di Virginia e le ammiccanti insinuazioni in quello di Oscar. I loro erano occhi che non sapevano l'intera storia: non avevano assistito a ciò che era accaduto sulla pista di pattinaggio, né lei li aveva informati in qualche modo. Erano del tutto ignari della caduta; del bacio; di tutto ciò che, ora lo capiva, si stava smuovendo dentro di lei.
Guardò sua madre: nonostante non mostrasse nessuna reazione evidente – al pari del marito – Jolene credette che in un momento le avesse letto tutto quanto sulle linee del volto, come i fattucchieri scorgono il destino sul fondo delle tazze di tè. Al pari di una divinatrice navigata, Virginia non mostrava nessuna sorpresa sui tratti severi: le acque erano così calme che il polso della Rossa era addirittura irriverente, tanto agitato in una tranquillità altrimenti indisturbata. Jolene avrebbe voluto interrogarlo, sapere perché si fosse risvegliato in quel momento tra tutti quelli che aveva passato a contatto con Elijah. Non temeva il giudizio dei propri genitori; o forse sì? Aveva paura che ci vedessero più lontano di lei, che sotto ai loro occhi la nebbia che ottenebrava la sua vista si dissipasse, rivelando terre sconosciute e per questo spaventose. Si trattava di questo? Ad ogni modo, questa volta non si allontanò; restò, con tutti gli effetti del caso sulla sua testa.
Mentre la piccola prova aveva luogo, un silenzio di attesa calò nella sala. Sei occhi erano puntati sul ragazzo e, fra tutti, quelli di Jolene erano gli unici a non trovare pace. Vagavano tra i dettagli del volto, soffermandosi una volta sulle ciglia, un'altra sulla forma degli zigomi. Quando Elijah finì di elencare i presunti ingredienti, per un attimo vi furono solo i respiri a riempire l'atmosfera.
Oscar non batteva ciglio: nessun indizio nelle sue fattezze, nulla che potesse suggerire se quello che aveva sentito l'avesse compiaciuto o meno. Infine, con lentezza, gli angoli della bocca si sollevarono fino a quando il sorriso non raggiunse gli occhi, che si strinsero nel loro letto di minuscole pieghe. «Bravo, bravo!» Le mani batterono tre, quattro volte, con una solennità scandita dall'intervallo piuttosto lungo tra un applauso e l'altro. «L'aconito è stato una bella trovata, vero? Un ingrediente affascinante, un solo pizzico di troppo e al posto del buon whisky avremmo bevuto nient'altro che veleno.» Sorrise, e le due donne lo trovarono piuttosto inquietante, visti i suoi precedenti. «Ma la chimica è proprio questione di giuste misure. Hai un ottimo palato, davvero eccellente. E ottimi gusti, oltretutto.» Lasciò che quell'ultima esclamazione aleggiasse tra di loro abbastanza a lungo da conferirle più di un significato. Jolene non sapeva come sentirsi di fronte a tutta quella attenzione: quando aveva sentito le parole di Elijah, per poco non aveva mancato un battito. Si limitò a sorridere appena, riservando la sua convinzione alla stretta che cinse di rimando la mano del Verde-Argento.
«Sii sfacciato ragazzo, che diamine, non si può vivere in punta di piedi.» Una risata accompagnò quella massima di vita, mentre il collo della bottiglia tintinnava leggermente a contatto con l'unico bicchiere vuoto. Solo Virginia si era ricordata di bere, e aveva preso solo pochi, minuscoli sorsi da uccellino – non reggeva bene l'alcool.
Ora che avevano tutti un bicchiere pieno in mano, la donna si protese appena sulla poltrona, sollevando il proprio vetro e schiarendosi la gola con discrezione. «Vorrei proporre un piccolo brindisi, se non vi dispiace.» Avrebbe atteso di avere la perfetta attenzione di tutti i presenti: li avrebbe guardati negli occhi a uno a uno, senza riserve, per fermarsi infine nel ghiaccio di Elijah. «Al nostro ospite, perché si senta sempre il benvenuto.» Jolene e Oscar unirono i loro bicchieri al centro dello spazio che li divideva, e per un istante sembrò che la stanza fosse invasa di tanti piccoli campanelli di cristallo che consacrassero, con la loro voce limpida, un momento di calda unione.
Jolene fu l'unica a terminare il contenuto del proprio bicchiere, sforzandosi di riconoscere tutti i sapori che per Elijah aveva saputo così facilmente individuare.
«Potresti insegnarmi qualcosa sui liquori, sai.» Mormorò, dopo che l'ultimo sorso dal gusto forte ma indistinto fu sceso a riscaldarle lo stomaco.
Infine, arrivò il momento di congedarsi: Jolene si alzò, e sentì che la testa era più leggera del solito - il che, per lei, è tutto dire.
«Allora noi andiamo.» Questa volta non avrebbe potuto evitare di allontanare le proprie dita, e Elijah avrebbe capito. Baciò velocemente sua madre sulla guancia, mentre Oscar si rivolgeva al giovane.
«E' stato un piacere, ragazzo. Spero che fossi serio per quelle lezioni di chimica.» Abbassò la voce in un tono cospiratorio. «Sai, se tornassi da queste parti potrei quasi svelarti quale è l'ingrediente che ti è sfuggito.» Gli strizzò l'occhio con l'aria di chi la sa lunga, poi gli tese la mano; ma non si sarebbe limitato a stringerla: senza dargli il tempo di reagire, avrebbe avvolto un braccio intorno alle sue spalle, battendovi sopra con fare benevolo.
Poi, quasi come in una danza, i due giovani si sarebbero scambiati compagno: Jolene avrebbe preso posizione di fronte a suo padre, mentre sarebbe stato il turno di Virginia di salutare la nuova conoscenza.
«Grazie per esserti fermato. Passate una bella serata.» Poche, semplici parole; però i suoi occhi non lo lasciarono nemmeno per un attimo, nella loro muta ma forte presenza. Lo avrebbe fermato dal salutarla con un altro, eventuale perfetto gesto da galateo: invece, avrebbe stretto con entrambe le mani la sua, perché aveva deciso che quel ragazzo le piaceva.





Edited by Jolene White - 5/10/2018, 21:19
 
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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 14/8/2018, 12:48







Elijah Sullivan
Prefetto Serpeverde
17 anni

Il non aver deluso le aspettative di Oscar, lo fece sentire ancora più a suo agio. Ci teneva a fare bella figura con i suoi genitori. Ehi! Un attimo...ci teneva a fare cosa? Lui voleva far bella figura con lei e non con loro, cosa c'entravano loro? Rimase per un attimo perso nei suoi pensieri, mentre finiva di sorseggiare in silenzio il suo whisky. Perché si stava facendo tutti questi problemi? Non era da lui preoccuparsi di piacere o meno a qualcuno. Era sempre stato dell'idea che voleva essere accettato per quello che era, senza problemi o false facciate. La vera domanda era un'altra. Si sentiva se stesso in quel momento? Ci pensò un attimo sbattendo appena le ciglia. Si sentiva bene, si sentiva schifosamente bene.
- Sì, Signore - annuì quando la voce di Oscar lo riportò alla realtà - il gusto dell'Aconito gli conferisce un gusto molto particolare.
Doveva informarsi con Jolene se suo padre fumana. In quel caso gli avrebbe fatto provare sicuramente le sigarette che aveva comprato da Zonko.
Sorrise appena quando Mr. White gli versò il secondo bicchiere di nettare. Si alzò pronto a fare il brindisi con gli altri. Erano così strane e contrastanti le sensazioni che provava. Un senso di ansia mista a beatitudine, miscelate alla perfezione. Anche lì, a quanto pareva, si trattava di una giusta combinazioni di ingredienti. Fece tintinnare anche lui i bicchieri e il suo sorriso si allargò leggermente mentre Virginia parlava.
- Mi sento più che benvenuto, Madame - era vero, era maledettamente vero. Quella era una casa, una famiglia. Elijah avvertì una sensazioni potente alla bocca dello stomaco, così forte che la sua mano strinse un attimo di più quella di Jolene.
Bevve il secondo assaggio quasi tutto d'un fiato, lasciando che l'aroma dell'aconito gli accarezzasse la bocca. Un ghigno accompagnò le parole di Jolene.
- Hai forse intenzione di ubriacarti, Scintilla? - sussurrò appena, in modo che solo lei potesse udirlo.
- Oh, certo, Signore! - proseguì con un tono di voce accettabile - Ero molto serio. Credo che comprerò anche un libro per saperne di più. Spero che le sue lezioni siano accompagnate anche da un terzo assaggio, ne sarei deliziato.
Arrivò il momento dei saluti ed i genitori di Jolene non finirono di sorprenderlo. Quello che ricevette da Oscar gli fece sgranare gli occhi per la sorpresa. Fu una fortuna che nessuno se ne avvide. Suo padre non aveva mai fatto una cosa del genere. Non che si fosse mai comportato male, in fondo aveva un buon rapporto con Joel, ma non era il genere di padre espansivo che ti riempie di complimenti e incoraggiamenti. Se ne stava sulla sua poltrona a leggere e bere suo caffè. Quando gli chiedevi qualcosa, si limitava ad ascoltarti e a consigliarti, ma non c'era alcun trasporto nelle sue parole. Il groppo in gola si strinse di più, chiudendosi definitivamente quando le mani di Virginia strinsero le sue.
- Gra...grazie a lei, Madame - farfugliò per la prima volta in tutta la sera. Si trovava ad affrontare qualcosa a cui nessuno l'aveva abituato, il calore di una famiglia. Doveva uscire, doveva immediatamente uscire, subito! Avvicinò il braccio a Jolene piegando il gomito. Avrebbe atteso che lei glielo cingesse con la mano, quindi si sarebbe avviato con lei verso la porta - Buona serata anche a voi.
Quando questa si richiuse dietro di loro, Elijah si fermò un attimo, voltandosi a guardare al casa dei White.
- Ho ricevuto più affetto dai tuoi genitori in mezzora, che dai miei in tutta la vita - gli occhi chiarissimi la cercarono - Dai, andiamo, altrimenti facciamo tardi al ristorante. Poggiò la mano libera su quella di lei e riprese a camminare. Passò un taxi babbano ed Elijah lo fermò. Sarebbero arrivati tranquilli e senza stancarsi troppo.

Qualche ora prima.
Tra i tanti discorsi che aveva affrontato con Sarah, uno era stato quello che riguardava la scelta del ristorante. Dilemma! Dove portarla? Poteva intuire i gusti i Jolene, solo intuirli, ma non era così ferrato in fatto di femmine da indovinare.
Sarah gli spalmava l'unguento sulla contusione, si bloccò di colpo.
- Ehi! Tu! Sai dove portarla a cena, vero?
- No, non lo so.
- Ma...Elijah Sullivan!! Hai intenzione di fare brutta figura o cosa? - lo sguardo indagatore di tua sorella lo stava rivoltando come un calzino - Ok, ok ! - scosse infine il capo - ci penso io a te.
-Eh?
-Zitto!! - lo ammonì senza lasciargli diritto di replica - Ti prenoto un tavolo in un posto delizioso. Sono certa che la tua Corvonero sarà entusiasta. Ti lascio il bigliettino da visita sopra alle chiavi.
Il Serpeverde sollevò gli occhi al cielo emettendo un grugnito.
Non aveva proprio tempo e voglia per discutere con lei, poi non aveva nemmeno un posto dove portarla. Decise di fidarsi di Sarah, sperando che il ristorante in questione non fosse troppo sopra le righe. Conosceva sua sorella.

Arrivarono a destinazione dopo una ventina di minuti, senza trovare troppo traffico. Molti dei londinesi avevano abbandonato la capitale, diretti ai posti di villeggiatura. Per tutto il tragitto, il Serpeverde tenne stretta la mano di Jolene, lasciando che le loro dita si intrecciassero di nuovo. Ne percepì il calore avvolgente nel palmo della mano. Non lasciò i suoi occhi nemmeno per un attimo, quel verde così intenso era quanto di più bello potessero incontrare i suoi occhi in quel momento. Già aveva rimosso le parole pronunciate davanti a casa di Jolene, per lui non era nulla di eclatante ma solo un dato di fatto. Non disse nulla, ma lasciò che il suo sguardo chiarissimo parlasse per lui. Anche se avesse voluto, non avrebbe proferito parola, dato che non erano soli. Ma stava bene, gli occhi per lui erano tutto.
Aiutò Jolene a scendere dal taxi, pagò e insieme si diressero verso l’ingresso. Dall’esterno pareva una cosa innocua. Tenda rossa, una ringhiera in ferro battuto e dei vasi di fiori. Elijah fece un respiro profondo e finalmente entrarono. Gli prese un accidente!!


Ma dove accidenti l'aveva mandato sua sorella? In una serra? Si sentiva in un imbarazzo feroce davanti a Jolene e non riuscì a guardarla nemmeno in faccia. Per fortuna il maître gli venne incontro con un sorriso smodato.
- Buonasera e benvenuti. Avete una prenotazione? - chiese tutto impettito.
- Sullivan - della serie una parola è poca e due sono troppe.
- Oh, certo! Mr. Sullivan! Se non ricordo male ha prenotato il tavolo d'angolo con il divanetto.
- Si..?? - pure il tavolo con il divano aveva preso quella disgraziata! Se aveva intenzione di farlo sprofondare per la vergogna, ci stava riuscendo benissimo. Quando fecero il loro ingresso nella sala da pranzo vera e propria, Elijah rischiò quasi di avere un malore. Non era una serra quella, ma il boschetto delle fatine. Tutto il soffitto era ricoperto di fiori che, per maggior cordoglio, erano pure illuminati. Il fuoco ardeva felice nel caminetto sul fondo e, tutto intorno a loro, coppie amoreggiavano senza problemi. Sì, perché quello erano, solo coppie. Voleva davvero qualcosa tra le costole, ma a titolo definitivo.


- Ecco il vostro tavolo! Prego, sistematevi con calma e fra qualche minuto vi raggiungo con il menu.
Elijah divenne rigido come una colonna. Quello non era un divano, ma una poltrona larga!! Loro avrebbero dovuto cenare seduti fianco a fianco, stretti stretti su quel coso? Fantastico! Sarebbe morto prima di finire l'antipasto. Invitò con la mano Jolene a sedere per prima, quindi si accomodò alla sua destra. Sollevò appena lo sguardo verso la sala e si trovò davanti due che si sbaciucchiavano, volse lo sguardo dall'altro lato. Altro tavolo, medesima scena.
I suoi occhi chiarissimi cercarono quelli di Jolene e...per tutti i Troll, i Centauri e chi caspita volete voi!!! Sotto quella luce era splendida, così splendida che una parte di lui avrebbe voluto avvicinarsi di più, nonostante fossero quasi appiccicati. Un interruttore fece click ed Elijah si ritrovò nel bosco delle fate, insieme alla creatura più deliziosa che potesse desiderare. Si girò leggermente su un fianco e le prese la mano - Sei bellissima, Scintilla - i suoi occhi scesero poi sull'abito - ma come facevi a sapere che ho un debole per il velluto?



 
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view post Posted on 15/8/2018, 17:54
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Al momento dei saluti, Jolene aveva mantenuto la coda dell'occhio su Elijah, quindi non si era persa le esternazioni riservatagli dai propri genitori. Nulla di insolito per Oscar, che di fatto era in grado di trattare come un fratello anche il primo degli sconosciuti incrociati per strada; più sorprendente era, invece, il gesto di sua madre, che non faceva mai nulla di superfluo. Doveva aver scorto qualcosa in Elijah, e quel qualcosa doveva esserle piaciuto; l'impressione venne rafforzata nel momento in cui la voce tradì il giovane, anche se quel particolare sfuggì all'attenzione di Jolene, impegnata com'era a scambiarsi qualche battuta scherzosa con Oscar.
Infine, uscirono: oltrepassarono la soglia della casa come perfetti dama e cavaliere, lei al braccio di lui, in un gesto che le era insolito. All'esterno, la sera aveva fatto calare una leggera frescura tra le case che iniziavano a decorarsi delle luci delle finestre; un brivido fece accapponare la pelle della Rossa, ma non avrebbe saputo dire se fosse a causa della folata di aria sulle gambe o delle parole di Elijah.
«Sei piaciuto moltissimo ad entrambi.» Gli disse in tutta sincerità, stringendosi un po' più forte a lui. Lo scrutò in volto, ma non sembrava intenzionato ad aggiungere nulla sull'argomento; presto furono su un taxi diretto al ristorante, la cui identità era ancora un mistero per lei. Non che fosse una grande intenditrice: se anche le avesse detto un nome, probabilmente nella sua testa non avrebbe assunto nessun significato.
Si lasciò cullare nel silenzio che si era venuto a creare, preservandolo come un cristallo prezioso in cui i suoi pensieri viaggiassero indisturbati. L'impressione di avere la testa piuttosto leggera persisteva, e sembrava che la sua mente fosse allo stesso tempo più fluida e più viscosa del normale. Le idee si susseguivano velocemente, ma indistinte: era come osservare una folla da una vetrina stretta, era possibile afferrare solo un'impressione generale priva di dettagli.
«Ho ricevuto più affetto dai tuoi genitori in mezz'ora, che dai miei in tutta la vita.»
La frase continuava a rimbombarle nelle orecchie, un'eco che non le dava tregua. Si sentiva stizzita ad ascoltare quel disco rotto, ancora e ancora: le sembrava quasi un crimine che qualcuno dovesse dire una cosa del genere in perfetta sincerità. Laciò che il ronzio appena percettibile del motore li guidasse verso l'ennesimo capitolo della serata.

***



Ed eccoli arrivati. Come c'era da aspettarsi, non conosceva il luogo. Dall'esterno sembrava un ristorante come tanti: elegante ma non snob, un posticino delizioso in cui poter consumare una cena in tranquillità. Ma era molto di più, come le rivelò il primo passo al suo interno.
Gli occhi della White si spalancarono, facendosi tondi tondi come succederebbe a un bambino che entri a Mielandia. Un ultimo sguardo pieno di stupore rivolto al suo cavaliere, e Jolene venne definitivamente persa.
A malapena si accorse del cameriere che li accolse: si lasciò guidare docilmente mentre il naso vagava per aria senza grande discrezione, voltandosi di qua e di là alla scoperta di innumerevoli meraviglie. La sua fantasia era delle più suscettibili, e si accese come un cerino in quell'atmosfera da sogno. Il suo sguardo era un avventuriero nel bosco delle meraviglie, affascinato dai fiori e dalle luci che li facevano risplendere, pronto a scoprire – o inventarsi, se è per questo – mille magiche storie con cui completare quel contorno da fiaba.
Si sedette senza dare grande importanza a dove si stava accomodando, ma la sua attenzione venne riportata sul presente nel momento in cui sentì Elijah vicino a lei. Si voltò a guardarlo, come se si stesse domandano cosa ci facesse così vicino, prima di accorgersi dove erano stati stipati. Non sarebbero nemmeno riusciti a usare le posate senza sfiorarsi, ma per il momento il fatto non le creava grande imbarazzo. Al contrario, avrebbe mentito se avesse affermato che le dispiaceva sentire il suo profumo con tanta chiarezza.
Era ancora troppo trasognata per fare caso ai muscoli tesi di lui. Gli sorrise: il sorriso smodato di chi si è appena ritrovato nella sua favola preferita.
«Ah sì?» Aveva un debole per il velluto? In effetti, insieme alla seta e al raso, era uno dei materiali su cui amava far scorrere le dita quando entrava in un negozio di abbigliamento. Senza sapere bene cosa stava facendo, si tirò la manica destra fino a coprire a metà la mano e, così fasciata, la sollevò a incontrare il volto di Elijah. Seguì lo zigomo scendendo verso la linea della mandibola, un sorriso che minacciava di trasformarsi in risata a tenderle le labbra.
«Hai scelto tu il posto? E' meraviglioso. Sembra di essere in un bosco incantato» Chiese poi, e abbassò la voce come per condividere un segreto. «Se osservi bene, puoi scorgere le fate mentre intrecciano i fiori in cesti dove raccogliere la rugiada. Ma bada a non guardarle troppo, amano incantare i forestieri.» Si sarebbe probabilmente domandato che razza di effetti avesse avuto il whisky su di lei, ma la verità era che, semplicemente, si trovava abbastanza a proprio agio da esprimere a voce alta i risultati della sua immaginazione. Sì, si sentiva sorprendentemente bene.



Edited by Jolene White - 5/10/2018, 21:21
 
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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 18/8/2018, 11:16







Elijah Sullivan
Prefetto Serpeverde
17 anni

Sua sorella non avrebbe potuto mandarlo in un posto peggiore. Deprimente, imbarazzante e totalmente fuori luogo per l'occasione. Sarah l'aveva spedito in un ristorante per coppiette innamorate e loro non erano una di quelle. Erano solo una coppia di amici che aveva piacere di passare del tempo insieme. Niente di più, niente di meno.
Elijah si sentiva fuori posto in quel luogo e sua sorella sapeva che ci si sarebbe sentito, in fondo lo conosceva molto bene. Per quale diavolo di motivo gli aveva consigliato quel serraglio di favole?
Doveva essere completamente impazzita oppure, cosa ancora peggiore, voleva divertirsi alle sue spalle. Sarah era capacissima di fare una cosa del genere.
Si voltò a guardare Jolene e la vide completamente rapita dall’atmosfera del ristorante. Davvero le piaceva quel posto? No, sul serio, si stava guardando intorno come una bambina. Rimase perplesso, quel tipo di locale era lontano dai suoi gusti anni luce. Tutto ciò rientrava nella sua incapacità di comprendere l’universo femminile. Fece una faccia strana mentre la osservava con il naso all’insù, alzò gli occhi a sua volta, ma li abbassò subito. Per tutti i Troll!! Quel soffitto era raccapricciante. Anche a lui faceva venire la pelle d’oca, ma per un motivo che stava agli antipodi.
Come già accennato, quando si accomodarono al tavolo, la situazione si complicò non poco. Erano vicini, troppo vicini ed Elijah venne assalito dall’incontenibile desiderio di toccarla.
Seguì la mano di Jolene che, guantata dal suo abito, prese ad accarezzargli il volto. Non gli faceva lo stesso effetto che sentiva di solito. Quello che gli faceva effetto era ben altro.
- Non è così che funziona… - si lasciò sfuggire, le labbra carnose appena socchiuse – non per me.
Non era il tocco del velluto su di lui che lo faceva sballare, ma il contrario. Era il suo senso del tatto che andava in tilt quando toccava quel tipo di tessuto, quel tocco che cercava lui stesso con la punta delle dita. Sollevò la mano e la posò sulla spalla della ragazza, mentre gli occhi chiarissimi ne studiavano ogni tipo di reazione. La sfiorò con la punta delle dita, lasciando che queste vagassero senza padrone lungo la schiena fino ad arrivare alla vita. Lì si mossero lente, con piccoli movimenti circolari per assaporare meglio il tessuto.
Si avvicinò all’orecchio di Jolene – E’ così che funziona… - mormorò appena – sono io che cerco il velluto, non lui che cerca me.
Le sue labbra le sfiorarono appena l’orecchio, in un bacio quasi impercettibile – E’ un velluto morbidissimo, Scintilla… - quindi si staccò dal viso di lei, ristabilendo di nuovo le distanze, sebbene lo spazio tra loro fosse pochissimo. Alzò appena gli occhi e vide quelli del tavolo di fronte avvinti come l’edera.
- No, non l’ho scelto io. Non pensavo nemmeno che esistesse un ristorante così orrendo. Me l’ha consigliato una delle mie sorelle – una piccola smorfia gli fece accartocciare le labbra – davvero ti piace?
Era sinceramente sorpreso perché lui non ci trovava nulla di bello in quel posto, anzi.
La frase della ragazza lo lasciò interdetto non poco. Ma cosa? Le fate? I forestieri? Ma che cosa stava dicendo? Lui davvero non riusciva a seguirla. Non capiva se scherzasse o stesse dicendo sul serio. Sollevò lo sguardo e strizzò appena gli occhi, quindi cercò gli occhi tranquillizzanti di Jolene.
- Mi dispiace, non vedo nulla di tutto ciò. Le favole, come le vedi tu, non me le hanno mai raccontate, me le sono sempre lette da solo e non avevano nulla di speciale, erano solo un racconto come gli altri.
Il cameriere tornò al tavolo armato fino ai denti. Consegnò i menu, quindi sistemò di fronte a loro una bottiglia d'acqua accompagnata da vino bianco e rosso. Un sorriso e si allontanò di nuovo.
- Mia madre non mi raccontava le favole, Scintilla - le confessò mentre apriva il menu - a lei piacevano le storie dell'orrore - voltò la pagina - Cosa vuoi mangiare?


 
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view post Posted on 23/8/2018, 14:54
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«Non è così che funziona...»
Inclinò la testa da un lato, curiosa. Abbassò lentamente la mano fino ad abbandonarla sul proprio ginocchio, mentre il tocco dell'altro le percorreva la schiena in una pressione appena percettibile. La delicatezza che le dedicava ad ogni contatto aveva dell'incredibile, in quel ragazzo che era il doppio di lei.
«Avrei dovuto immaginarlo.» Obbediente all'intimità di quel momento, la voce si alzò in quello che era solo un sussurro. Il brivido che l'aveva percorsa a partire dal solletico causato dal fiato di Elijah si era appena spento alla base della schiena, e da sotto le ciglia gli occhi muschiati cercarono il ghiaccio. «Non sei il tipo che si lascia vivere.» Lasciò che le parole - a cui un sorriso leggermente obliquo toglieva solennità - cadessero nello spazio che li separava, sperando che lui decidesse di raccoglierle per confermarle o smentirle, approfondirle. Jolene desiderava conoscere il suo accompagnatore nel bosco incantato, arricchire le sue impressioni e tessere così la sottile seta dell'identità di Elijah Sullivan. Desiderava, soprattutto, capire che cosa avesse portato le loro due nature, all'apparenza opposte quanto il giorno e la notte, a condividere per la seconda volta una cena alla luce calda di un locale accogliente.
«Lo adoro.» Ammise in un soffio, stupita nel rendersi per la prima volta conto del fatto che il suo apprezzamento non fosse condiviso. Come se desiderasse ricontrollare l'ambientazione, fece scorrere lo sguardo su ciò che li circondava. Non prestò molta attenzione agli altri clienti, ma se fosse stata un tipo diverso di persona si sarebbe domandata se la sorella di Elijah pensasse di aver già trovato una cognata. Per come era fatta, però, vide solo la bellezza mozzafiato del gioco delle luci e delle ombre sui fiori rampicanti; vide fuochi fatui tremolare nei porta candele poggiati sui tavoli, e sentì il mormorio e le risate attutite delle creature misteriose che popolavano quel regno.
Ormai era evidente che Elijah si trovava in uno scenario completamente diverso: erano separati da appena qualche centimetro di divano, ma avrebbero potuto benissimo trovarsi in due mondi contrapposti. Alla base delle loro differenze, due storie che li avevano plasmati in forme complementari. Elijah aveva da poco stretto le mani che avevano accompagnato dolcemente la crescita della ragazza: si era potuto fare un'idea di ciò che doveva essere stata un'infanzia tra le mura ingombre di quadri, dove ogni visitatore era annunciato dalle note gentili del pianoforte.
Dal canto suo, Jolene possedeva solo gli indizi che lui aveva sparso lungo il breve cammino della loro conoscenza: accenni alle numerose sorelle, brevi ma forti riferimenti a una madre rappresentata in tinte fosche e inquietanti.
«Allora dovrò leggerti un paio delle mie favole preferite, una volta o l'altra.» Gli sorrise, la mente che cercava un modo discreto per incoraggiarlo ad approfondire la questione della sua infanzia.
Vennero interrotti dall'arrivo del cameriere. Jolene lo ringraziò e aprì il menù, ma non riuscì a concentrarsi sulla sua lettura. Quasi avesse scorto i suoi pensieri da una fessura segreta, Elijah aveva fatto l'ennesimo riferimento alla donna che l'aveva cresciuto.
«Tua madre...» La pausa di una minima lasciò che i pensieri fluissero silenziosamente dietro allo sguardo che infine, dopo qualche esitazione, riuscì ad alzare verso l'Altro. «...che tipo è?»
Non aveva intenzione di abbassare gli occhi prima che le fosse arrivata risposta. La lista delle pietanze giaceva di fronte a lei, i suoi caratteri eleganti abbandonati dopo essere stati scorti distrattamente per qualche secondo appena.




Edited by Jolene White - 5/10/2018, 21:23
 
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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 27/8/2018, 10:28







Elijah Sullivan
Prefetto Serpeverde
17 anni

Per lui era difficile lasciarsi vivere, non era un qualcosa che rientrasse nelle sue corde. Non avrebbe saputo spiegare nemmeno il significato esatto di quelle parole. Non ne era certo, ma forse lei gli stava chiedendo di lasciarsi andare, o forse la frase era riferita unicamente a lei. Di una cosa però era assolutamente sicuro non voleva approfondire quel discorso. No, non ne aveva proprio voglia. Jolene probabilmente aveva frainteso il senso delle sue parole che non erano riferite a lei ma solo al velluto.
La mano del Serpeverde raggiunse il braccio di Jolene e lo strinse appena. Con l’altra mano scoprì quella della ragazza, riportando il velluto al suo posto. L’avvicinò al viso, lasciando che il palmo di lei gli accarezzasse la guancia ispida di barba.
- Così è molto meglio – confessò.
Chiuse gli occhi, lasciandoli così per qualche istante, godendo a pieno di quel momento che si era concesso. Mollò quindi la mano di lei e si voltò dritto davanti a sè.
Aveva già capito che la location aveva avuto un certo effetto su di lei, ma la conferma fu per lui solo un piacere. Questo non cancellò affatto il disagio che provava in prima persona, lui non era fatto per quel genere di situazioni.
- Io non avrei mai scelto un posto così, ma sono contento che ti piaccia – in fondo lui l’aveva invitata a cena ed era giusto che il ristorante fosse di suo pieno gradimento.
Si voltò a guardarla perplesso ma decisamente incuriosito. Quella ragazza riusciva sempre a stupirlo con le sue esternazioni. Era così spontanea e dolce, non esisteva nulla di costruito in lei. L’ultima dichiarazione era un qualcosa che non si sarebbe mai aspettato. Leggergli una favola, quella sì che sarebbe stata una novità, soprattutto per uno come lui. Chiudere gli occhi e sentire la voce di qualcuno che racconta una storia. Era strano ma non gli sarebbe dispiaciuto provare quella sensazione, anche se fosse stata per una volta soltanto.
- Fallo – le labbra si mossero piano – raccontami la tua preferita. Per favore.
Sebbene sembrasse una sciocchezza non lo era affatto. Per Elijah era un altro modo per cercare di capire come era fatta Jolene, ragazza meravigliosa e dalle mille sorprese. Sorprese che non accennarono a finire quando lei fece proprio l’ultima domanda che lui si potesse aspettare in quel momento.
L’attenzione del Serpeverde venne un attimo distolta dagli occupanti del tavolo di fronte. Una torta atterrò davanti al ragazzo dai capelli corvini e la sua compagna applaudì, augurandogli un felice compleanno. Elijah corrugò la fronte e lui spense felice le sue candeline.
- Io non ho mai avuto una torta di compleanno, nemmeno da piccolo. Non ho mai spento una candelina in vita mia – non sapeva nemmeno lui perché le stesse facendo quella confessione così intima in un momento decisamente inopportuno. Non gli era mai fregato nulla di spegnere le candeline, eppure vedere qualcuno che lo faceva lo aveva colpito nel profondo.
- Mia madre? - la sua attenzione tornò sulla rossa al suo fianco – quella che mi ha messo al mondo dici? - il labbro inferiore si ritrovò tra i denti e lui lo morse appena, prima di lasciarlo andare.
- Mia madre ha iniziato a prendermi a schiaffi quando avevo tre anni, tutti i giorni, senza ragione e l’ha fatto fino a che sono diventato più alto di lei – la voce era calma, di una calma che faceva paura – Ha sempre avuto una passione smodata per gli anelli, quelli con le pietre. Più sono enormi e più le piacciono. Li voltava dalla parte del palmo prima di schiaffeggiarmi, in questo modo mi avrebbe fatto più male, mi sarebbe uscito più sangue.
La punta del dito di Elijah cercò il dorso della mano di Jolene e l’accarezzò con delicatezza.
- Mia sorella mi curava di nascosto perché non mi restassero i segni sul viso con unguenti e una pozione di cui, ora, non posso sentire nemmeno l’odore. Mi fa più schifo del succo di zucca.
L’altra mano le accarezzò invece la guancia, in un gesto che cercava di cancellare l’orrore delle parole che gli uscivano dalla bocca.
- Se parlavo mi prendeva a schiaffi, se non mi sedevo bene a tavola mi prendeva a schiaffi, se non usavo bene le posate mi prendeva a schiaffi, se non prendevo bei voti mi prendeva a schiaffi, se era nervosa mi prendeva a schiaffi, se respiravo mi prendeva a schiaffi, se ero in camera mia a farmi gli affari miei mi prendeva a schiaffi. L’ha sempre fatto solo con me, mai ha picchiato mio fratello o le mie sorelle, solo me. Non so perché, ma lei mi odia ed ora ho rinunciato anche a sapere il perché, non che io non ci abbia provato in passato – deglutì per prendere una pausa – Ora che non può più schiaffeggiarmi, continua a tormentarmi con le parole, parole che sa bene quanto mi fanno male. A lei però non importa nulla di me, non le è mai importato. Quello che ha fatto tua madre con me, la mia non lo ha mai fatto. Lei le mani le ha usate per ben altro. Dice che non sono degno di essere suo figlio e di portare l’anello della sua famiglia che dovrei già avere al dito. Ho fatto di tutto per meritarmi il suo rispetto ed il suo amore, ma per lei non è mai abbastanza. Ho cercato di non mettermi mai nei casini, ho studiato come un matto per prendere dei bei voti, sono diventato Prefetto, ma nemmeno questo è bastato. Continua a dirmi che non sono degno di portare l'anello dei Montague.
Non abbassò lo sguardo nemmeno un attimo, le iridi chiarissime negli occhi meravigliosamente verdi di lei. Si avvicinò al viso della ragazza socchiudendo le labbra. Voleva solo sentire il suo profumo, il suo respiro sulle labbra.
- Jolene… non voglio parlare di lei...non adesso... - le labbra di Elijah si abbandonarono su quelle di Jolene, in un bacio che sapeva di disperazione.


 
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