A song of Ice and Fire, Privata

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view post Posted on 30/8/2018, 22:42
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Nessun commento seguì al suo tentativo di ispezione, che cadde nel silenzio. Il disappunto però non fece in tempo a presentarsi, in quanto le sue parole non rimasero prive di risposta, non interamente.
I lunghi discorsi, al momento, non sembravano interessare Elijah tanto quanto il tocco delle loro mani; la sua presa sul braccio era lieve, come quella che portò le dita di lei ad accarezzargli il viso. Leggera farfalla bianca, la piccola mano solleticò la ruvidezza della guancia e percorse la linea della mandibola; lo sguardo anticipava i suoi movimenti, mentre quelle terre sconosciute e affascinanti catturavano prima la vista e poi il tatto.
Jolene non aveva idea del perché assecondasse quelle sensazioni con la meraviglia che avrebbe potuto provare di fronte al modello del primo uomo, se nell'universo non ve ne fossero mai stati altri. Allo stesso tempo, però, non trovava nemmeno un buon motivo per non farlo; così, si lasciava guidare dalla testa leggera, dall'atmosfera da sogno e dalla mistica creatura che l'accompagnava in quelle danze in punta di piedi. Mantenere la guardia sembrava superfluo: i fuochi fatui li avrebbero protetti dalle insidie del bosco, potevano permettersi di chiudere gli occhi; ma lei non seguì l'esempio dell'Altro, per quanto ben poco vi fosse di vigile nelle orbite muschiate.
Le sembrava di fluttuare all'interno della sua stessa testa, ma infine ciò ebbe termine; i due tornarono al proprio posto, e le candele persero un po' della loro magia.
«Che tipo di posto avresti scelto, invece?» Era sinceramente curiosa: Elijah non era l'unico a voler conoscere le sue storie preferite. Non aveva nessuna importanza il fatto che quelle di lui non fossero favole.
Rimase piacevolmente stupita di fronte alla sua richiesta: non credeva che sarebbe stato tanto felice di acconsentire. Quel
per favore era stato così genuino che, sul momento, la ragazza rimase senza parole con cui iniziare. Cercò di pensare a quale fosse la sua storia preferita ma, come succede ogni volta che siamo chiamati ad esternare questo tipo di fatti, pescare una fiaba tra quelle che conosceva era come tentare di stringere l'acqua nelle mani.
L'arrivo del cameriere, infine, distolse i suoi pensieri dalla faccenda. L'osservazione del ragazzo a proposito della torta di compleanno mosse qualche segreto ingranaggio nella testa fulva, ma per il momento quel lavorio rimase sotterraneo. Commentare sembrava superfluo, così il discorso proseguì, addentrandosi in una realtà di cui quel fatto era solo la superficie.
Jolene non osava spiccicare parola. I suoi occhi erano fissi in quelli di lui, ora più che mai simili al ghiaccio mentre la voce esponeva, quasi senza emozione di sorta, ciò che aveva significato crescere tra le grinfie di Esther Montague. Quella era la freddezza di chi ripercorre un racconto già macinato svariate volte; ripetendosi a lungo, anche le storie dell'orrore perdono la loro capacità di smuovere.
Ebbene, Jolene non vi era abituata. Per lei quel mondo era inimmaginabile, al di qua degli incubi. Più ascoltava, più sentiva una gabbia stringersi intorno a lei e alla sua esistenza priva di dolori significativi. Cadenzati da un ritmo così serrato da risultare soffocanti, gli schiaffi di quella donna che non era una madre sembravano abbattersi su di lei, al punto che avrebbe voluto gridare che bastava così, nessun essere umano avrebbe potuto sopportare oltre.
Ma colui che lo aveva fatto si trovava davanti a lei, dietro a un velo liquido che cominciava a raccogliersi davanti alle pupille. Gli angoli della bocca gravavano verso il basso in un'espressione che risultava innaturale su di lei. Cercò di deglutire, ma un nodo le stringeva la gola. E più Elijah si avvicinava, più avrebbe voluto urlare con quanto fiato aveva in corpo.
Ma rimase silenziosa, naturalmente. Nascose il viso in quel nuovo contatto, che altro non era se non una richiesta di aiuto. Jolene rispose, lasciando che le sue labbra assaporassero l'amaro di un'oscurità in cui nessuno mai avrebbe dovuto brancolare da solo. Quella era la disperazione che cerca la speranza, e ogni fibra di lei non poteva che accorrere a quella richiesta. Le dita raggiunsero la seta dei capelli mentre una distanza sul punto di azzerarsi le faceva percepire il calore del suo corpo sulla pelle.
Così, per il tempo di un unico battito condiviso, sarebbe rimasta immobile. Avrebbe lasciato che le loro figure si tramutassero in cristallo: entrambe attraversate dalla stessa luce, così folgorante da accecare lo sguardo.
Infine, quando il suo volto gli fu di nuovo visibile in uno spazio che ricominciava ad avere senso, un'unica traccia di rugiada brillava sula sua guancia, tagliandola in due, illuminata dai fuochi del bosco notturno. Una debole parentesi incurvò le labbra, che attesero a dischiudersi, pazientemente silenziose sotto a uno sguardo che, alleggerito, brillava come di speranza.
Cominciò a raccontare.
«C'erano una volta...» Il sorriso si allargò appena. «...tre giovani sorelle così belle che nemmeno le rose più rosse potevano reggere il loro confronto. La loro grazia e sincerità d'animo erano risapute in lungo e in largo, ma attiravano tanto ammiratori e pretendenti quanto invidie e inimicizie.» La voce era poco più di un sussurro, mentre la mancina non si era ancora decisa ad abbandonare il volto di lui. «Sfortuna volle che una strega molto potente e vanitosa prendesse in odio le dolci fanciulle: voleva essere la donna più bella che il sole avesse il piacere di baciare. Ecco che, tramite un sortilegio malvagio, tramutò le tre sorelle in altrettante bellissime rose rosse, costrette a non smuoversi mai più dal loro roseto meraviglioso ma solitario. Una delle ragazze, però, era talmente innamorata, e così sinceramente ricambiata, che di notte il sortilegio veniva spezzato, solo per lei, così che potesse ballare insieme al suo amato fino all'alba, quando doveva ritornare al roseto.» Una breve pausa interruppe quella storia che, in buona parte dei suoi dettagli, era inventata. L'originale era estremamente corta, e lei sentiva che Elijah aveva diritto ad una fiaba di tutto rispetto. «Una notte, mentre si stringeva al suo fidanzato, la ragazza gli disse che, se quella mattina lui l'avesse colta dal suo roseto, l'incantesimo sarebbe stato definitivamente spezzato per lei. Allora sarebbero potuti rimanere insieme giorno e notte. Così, appena spuntò l'alba, l'innamorato decise di tentare. Secondo te, come avrebbe potuto riconoscere la sua rosa tra le decine così simili?»



Edited by Jolene White - 5/10/2018, 20:34
 
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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 2/9/2018, 16:13







Elijah Sullivan
Prefetto Serpeverde
17 anni

Cercava di non sollevare lo sguardo e ritrovarsi davanti quello spettacolo di lucine inquietanti e insopportabili. Sarah era stata decisamente poco solidale a spedirlo in un posto del genere, essendo totalmente complice con Jolene. Le donne, certe volte, hanno molto più cameratismo degli uomini, e tutto questo era davvero preoccupante, almeno per lui.
- Avrei scelto un posto sicuramente più sobrio – una via di mezzo tra un sospiro ed un grugnito mal celato – ed è strano perché anche mia sorella ha dei gusti sobri...di solito. Non capisco perché mi abbia proposto questo posto, non è proprio il suo genere.
Smise di porsi domande inutili che non avevano risposta e si concentrò solo ed esclusivamente sull’immediato. Quando le loro labbra si incontrarono il Serpeverde si sentì davvero appagato e rilassato. Chiuse gli occhi, lasciando che le ciglia di accarezzassero l’un l’altra. Spense la testa e anche i mille pensieri che aveva chiusero gli occhi con lui, lasciandosi cullare dal quel dondolio di sensazioni che non sapeva spiegare. Aveva le labbra così morbide e ora gli sembravano ancora più calde, forse perché non c’era il freddo che gli alterava tutte le sensazioni. Non si spinse troppo oltre il lecito e lasciò che il loro bacio restasse comunque molto casto, anche se il suo istinto avrebbe voluto aprire di più le labbra, andando a cercare qualcosa che l’avrebbe mandato in estasi. Doveva e voleva controllarsi. Jolene infilò le dita tra i suoi capelli e dalle labbra del Serpeverde sfuggì un lamento così lieve da essere quasi impercettibile. La strinse più forte e il corpo della ragazza arrivò contro il suo. Sentiva il respiro della ex Corvonero che danzava con il suo e le sue mani iniziarono a scivolare sul velluto. Amava quel tessuto da perderci la testa eppure, ora, nella sua testa regnava un controsenso. Perchè desiderava che al posto del velluto ci fosse la pelle di lei? Chissà come sarebbe stato sfiorarle la schiena. La strinse più forte e poi restò immobile, per dei brevi ma interminabili istanti.
Quando si staccarono, vide una lacrima solcare il viso di Jolene e si sentì un misero, molto più misero di come si era sentito in tutta la sua vita. Sgranò gli occhi un momento e poi li fissò sulla lacrima che lentamente si spostava sulla pelle rosea e perfetta. Quando aveva compiuto quattordici anni, aveva giurato a se stesso che non avrebbe più pianto per colpa di quella donna che il destino gli imponeva di chiamare mamma. Non avrebbe più permesso che succedesse, a maggior ragione con qualcuna che non avrebbe dovuto nemmeno sfiorare certi orrori.
- No… - mormorò, le mani che le sfioravano i capelli, scivolando lente tra le ciocche color fuoco – non devi, Scintilla, in nessun caso e per nessuno.
Le mani del Serpeverde le presero il viso e lo trattennero appena, i pollici le sfioravano delicatamente gli zigomi, mentre le altre dita indugiavano alla base dei capelli. Si avvicinò di nuovo , lasciando che la fronte si toccasse – non devi…
Lei sembrò ascoltarlo e una favola, che lui non si aspettava potesse arrivare in quel momento, prese vita tra di loro, raccontata dalla voce di Jolene. Elijah chiuse di nuovo gli occhi, lasciandosi trasportare in un altro mondo, bello, diverso, e del tutto inaspettato. Lasciò che ogni parola gli entrasse in testa per poterla poi ricordare una volta che fosse finito il racconto.
Come al solito, Jolene riuscì a spiazzarlo con un finale a sorpresa. Non c’erano morti o lieto fine, ma una domanda sul finale della fiaba. Doveva essere lui a scoprirlo e la cosa gli piacque moltissimo.
La fissò un attimo negli occhi, compiaciuto e interdetto. Non aveva la minima idea di cosa rispondere, dove essere sincero, ma ci avrebbe comunque provato.
- Non ne ho la minima idea, Scintilla, non sono bravo come Principe Azzurro – le dita si spostarono lentissime dalla nuca sollevandosi. Elijah le spostò una ciocca rossa mentre la guardava – fammi pensare.
Rimase un attimo in silenzio. La guardava, lasciava che le sue iridi chiare si tuffassero nel sottobosco più rilassante che conosceva – Vediamo…
La mano si staccò da lei, rimanendo per un attimo immobile a mezz’aria – La sua rosa è quella … - l’indice del Serpeverde raccolse la lacrima di Jolene sulla punta del dito - ...che ha sui petali una goccia di rugiada..


 
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view post Posted on 6/9/2018, 20:31
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Apparentemente, Jolene non si era nemmeno accorta del sale che discendeva lentamente lungo il proprio volto. Ne aveva sentito la presenza sulla pelle nel momento esatto in cui aveva abbassato le ciglia nel nuovo, inaspettato incontro con le labbra di Elijah. Tuttavia, aveva deciso di ignorare quell'unica lacrima solitaria: avrebbe fatto come se niente fosse, quasi che, obliata da lei, essa dovesse passare inosservata anche all'attenzione dell'Altro. Non fece nemmeno l'atto di asciugarla, forse sperando che un'ombra fortuita ne nascondesse la scia luminosa.
Invece, così non fu. Jolene si immobilizzò sotto al tocco delle mani di lui, e nel sentirsi incoraggiare a mostrare la propria forza d'animo si permise per la prima volta di accorgersi di ciò che era accaduto. La lacrima era reale, in ogni senso. Era densa di fatti realmente accaduti: a qualcun altro, è vero, ma tramite il racconto Jolene si era impossessata di una parte di essi. Era più pesante di un intero fiume versato sopra a delle pagine inchiostrate, e fredda come il metallo degli anelli.
Si sentì barcollare sotto a tanta autenticità: se fosse stata sola, avrebbe scrollato la testa e avrebbe così allontanato quella presenza difficile da accettare; sarebbe tornata alla sua vita di sempre, liscia e trasparente come il cristallo. Però non era sola: accanto a lei, tra i suoi capelli, alla distanza di un respiro, Elijah era colui che sembrava scuoterla per le spalle intimandole di svegliarsi.
In risposta, lei cercò un rifugio che potesse accogliere entrambi: così, prese a raccontare delle rose rosse. Aveva l'impressione di star anelando al confine tra l'abisso e l'etere, dove lei ed Elijah avrebbero potuto camminare in punta di piedi su un unico filo. A dispetto della precarietà in cui trattenevano il fiato, le sue dita sul volto e tra i capelli le facevano desiderare di restare sospesi per l'eternità, in quella terra di mezzo che non era né realtà né fantasia.
Rimase ammutolita davanti alla sua risposta. Gli occhi, che già erano più luminosi del solito, brillarono di una scintilla che era sorpresa, curiosità e ammirazione. Elijah aveva un dono per gli indovinelli: l'aveva dimostrato ad Oscar, e ora ne dava la prova anche a lei. Se fossero stati in una favola, un terzo, finale test avrebbe decretato il suo valore.
«La rugiada è la chiave, ma hai girato dalla parte sbagliata.» Non lasciò il suo sguardo mentre le due mani andavano a racchiudere quell'unica goccia che aveva raccolto. La distrussero senza esitazioni, così come si cancella un brutto ricordo, ed indugiarono nel tepore della pelle di lui. «Di notte le rose, immobili nell'aria umida, sono state ricoperte di gocce di rugiada. Una sola non è stata lì presente, e per questo lui sa che la sua innamorata è colei perfettamente asciutta.» Le dita si mossero in carezze leggere, e Jolene sorrise nell'annunciare il più grande segreto della serata. «E vissero per sempre felici e contenti.» Una pausa, in cui si accigliò leggermente. «Complimenti, al primo tentativo ci sei andato più vicino di quanto avessi fatto io. Ero convinta che la riconoscesse perché aveva ancora il suo profumo addosso.» Una rosa profumata di pelle, muschio e vento notturno – perché sì, per la piccola Jolene un innamorato non poteva che avere quella fragranza – suonava come qualcosa di estremamente affascinante alle sue orecchie infantili. Così tanto, in realtà, che era seriamente intenzionata a mandare una lettera di protesta ai fratelli Grimm – con il pieno appoggio di Oscar, naturalmente.
In quel momento il personale del ristorante tornò ad occuparsi di loro: non c'era da escludere che avessero calcolato di intervenire nel momento più opportuno, forse una sensibilità di quel tipo era necessaria con quella clientela.
«Hanno deciso i signori?» A dispetto dei modi impeccabili, lo sguardo sconosciuto su di sé fece ricordare a Jolene che aveva la guancia ancora umida. Si portò una mano in grembo, e appoggiò il gomito dell'altra sul tavolo per potersi asciugare facendo finta di niente prima di riaprire frettolosamente il menù. Poi si ricordò che quello era un gesto di maleducazione, e fece scivolare il braccio con un certo imbarazzo. Era insolito per lei sentirsi così sulle spine di fronte a qualcuno, ma in quella poltrona larga aveva avuto l'illusione di un momento di intimità in cui, in certa misura, aveva cessato di essere la stessa di sempre. L'intervento del mondo esterno l'aveva lasciata spiazzata, come un animale accecato dai fari di una realtà a lui estranea.
«Certo. Io prendo… uhm...» Dopo aver lanciato uno sguardo ad Elijah, gli occhi saettarono velocemente da una pietanza all'altra, senza focalizzarsi su nessuna. Infine, pronunciò la prima parola che le capitò sotto tiro. «Homard à l'américaine. Per il bere andrà benissimo quello che c'è già, grazie.»
«Oh, ottima scelta, signorina! La cucina francese e il nostro chef sono come canard et orange, se mi capisce.» Sembrava sinceramente soddisfatto mentre scriveva sul proprio blocco: Jolene avrebbe giurato che la sua calligrafia fosse nitida ed elegante come suggerivano i curati baffi neri; avrebbe voluto sbirciare per accertarsene.
Aveva già chiuso il menù, prima di rendersi conto che non aveva la minima idea di cosa esattamente fosse un “homard”.




Edited by Jolene White - 5/10/2018, 20:32
 
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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 8/9/2018, 13:05







Elijah Sullivan
Prefetto Serpeverde
17 anni

L’arrivo del cameriere li riportò bruscamente alla realtà. Sparirono le rose, i baci e le gocce di rugiada. Elijah si allontanò da lei di scatto. Una parte della sua psiche ebbe come la sensazione che qualcuno avesse aperto all'improvviso la porta di una stanza chiusa, facendo irruzione senza troppi complimenti.
Mentre Jolene parlava con il cameriere, diede una rapida occhiata al menu, ma sapeva più o meno cosa ordinare. Molti pranzi di famiglia si erano consumati in ristoranti in cui si serviva cucina francese e nella lista delle pietanze trovò immediatamente quello che cercava.
Sebbene odiasse i banchetti dei Montague, doveva essere sincero sul fatto che quel tipo di cucina non gli dispiacesse. Era ricercata e raffinata, sapeva bilanciare i sapori molto bene, risultando piacevole al palato. Sì, non era il suo tipo di cucina preferito, ma riusciva comunque ad apprezzarla parecchio.
Fece un leggero ghigno alla richiesta della ragazza e poi sollevò lo sguardo verso il cameriere – Io prendo boeuf à la mode, una porzione di formaggi e una di profiterole – Non aggiunse altro in merito al vino.
Attese con calma che il cameriere si defilasse con la comanda e tornò a concentrare la sua attenzione sulla sua compagna di tavolo – Non ti facevo tipo da aragosta – una constatazione che sembrava quasi una sentenza ma non lo era affatto. Ormai era quello il filo conduttore dei loro incontri, lo stupore. La rossa era fantastica in questo, ogni volta che lui pensava che non potesse più riuscirci, lei lo stupiva di nuovo. Scosse appena il capo e allungò la mano verso la bottiglia di rosso. Ne versò una discreta quantità nel bicchiere di Jolene, facendo attenzione a non farne cadere nemmeno una goccia, e lo stesso fece con il suo. Li sollevò entrambi e, con la mano sinistra, porse il calice alla ragazza.
- Credo che sia il caso di brindare.
Di nuovo? Oh, si! Dopo il poderoso cicchetto che avevano consumato a casa White per mano di Oscar, andare avanti, e mischiare quella bomba alcolica con il vino era giusto la miglior cosa da fare. Aggiungiamoci che non avevano ancora cenato. Elijah non aveva problemi a ingurgitare alcolici, ragion per cui non si fermò nemmeno un attimo ad interrogarsi sul problema. Era abituato ad una semplicissima equazione. Ho voglia di bere, bevo.
Avrebbe atteso che Jolene avesse preso il suo bicchiere, quindi avrebbe avvicinato il suo, lasciandoli leggermente tintinnare l’uno contro l’altro.
- A noi
Il cervello non fu affatto consapevole di ciò che la bocca aveva appena prodotto. Esisteva davvero un “noi”? E se esisteva, che classe di “noi” era? Ovviamente il Serpeverde non voleva porsi alcuna domanda, per non essere così obbligato a fornire alcuna risposta.
Sorseggiò il suo vino francese, lasciando che l’aroma sublime l’avvolgesse e lo cullasse. I piccoli piaceri della vita che aveva imparato ad apprezzare dato che ne aveva, al momento, davvero pochi. Abbassò le palpebre mentre deglutiva e gli occhi gli caddero sulle gambe della ragazza. Bontà divina!! Ora che era seduta la gonna era anche più corta. Non se ne era accorto mentre erano in taxi perché era distratto da altre faccende, ma ora la natura chiamava in tutta la sua prepotenza. Deglutì il vino e poi deglutì a vuoto. Gli occhi chiarissimi erano piantati a delle latitudini che erano ancora concesse allo sguardo, ma il Serpeverde non sapeva se esistesse qualche trattato che gli avrebbe permesso di andare oltre quella maledetta linea di confine.
Ebbe la sensazione di essere totalmente ubriaco, ma non lo era affatto. Non era mai stato tanto sobrio e tanto confuso in vita sua. Fece un altro sorso e si ritrovò quasi a boccheggiare come un pesce fuori dall’acqua. La stava fissando e non smise di farlo nemmeno un attimo. Il braccio si allungò oltre il piatto e poggiò il bicchiere poco lontano dal piattino del pane.
Doveva ammetterlo, era davvero meravigliosa e lui ne era attratto come il ferro da una calamita. Si spostò di nuovo verso di lei, cingendole la vita con il braccio che poco prima reggeva il cristallo. L’avvicinò a sé ed infilò il volto tra i capelli color fuoco, effettivamente stava ardendo. Il profumo che avevano, ebbe su di lui degli effetti sorprendenti. Elijah fece un respiro profondo e poi con le labbra si spostò a sfiorarle appena la guancia.
- Perdonatemi, signori, la vostra cena è servita.
Fine dei giochi. La voce del cameriere pervenne forte e chiara ed il Serpeverde abbandonò il suo rifugio per tornare di nuovo a pensare alla cena. Tra le due cose sapeva bene cosa avrebbe scelto, ma l’idea di mangiare in fondo non gli dispiaceva.


 
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view post Posted on 13/9/2018, 17:40
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Il ghigno che vide accennato sulle labbra di Elijah di fronte alla sua ordinazione la mise in allarme: il ragazzo sembrava sapere qualcosa che a lei sfuggiva, forse che quel piatto fosse una scelta tanto insolita? Ebbe l'istinto di riaprire il menù e leggere la descrizione della misteriosa pietanza, ma il proprio braccio, come un'estensione estranea alla sua volontà, aveva già teso la lista al cameriere dai baffi lucidi.
Rassegnata a rimanere nell'oscurità fino al momento in cui si fosse ritrovata il piatto di fronte, si rivolse al suo accompagnatore. Aragosta?
Aragosta!
«Ah!» Un'esclamazione di difficile interpretazione le sfuggì dalle labbra dischiuse come per sbaglio, seguita da quello che aveva tutta l'aria di essere uno sguardo colpevole. Probabilmente avrebbe dovuto serrare i denti e non proferire più parola circa quell'argomento: così, forse, avrebbe salvato la facciata della donna adulta che ci si aspettava di trovare in lei. Ma, al momento, Jolene era più sincera che matura, e non riuscì a non confessare la propria vergogna. «In realtà non avevo idea di cosa avessi ordinato. Il cameriere mi ha colto alla sprovvista, in queste occasioni mi capita di fare blackout.» Si accigliò un istante, pensando che era difficile che un Mago Purosangue conoscesse quell'espressione. «Cioè smetto di pensare, e di solito faccio qualche sciocchezza.» Una risata leggera seguì quella confessione, nel tentativo di mitigare l'imbarazzo che provava nel farla. Se ne avesse riso, mostrando di non prendere la faccenda sul serio, essa automaticamente si sarebbe scaricata di importanza. No? «Così, ti intendi di cucina francese?» Chiese per cambiare argomento.
Osservò le mani di Elijah mentre erano alle prese con bottiglia e bicchieri, e rimase ipnotizzata dallo scorrere del rosso dentro ai cristalli. Un campanello di allarme suonava in lontananza alla vista dell'alcool, ma era lontano ed attutito, e lei non vi badò.
Sollevò il proprio bicchiere: un sorriso caldo accolse l'idea del brindisi, aprendosi definitivamente nel sentire quelle due, brevi parole.
«A noi.»
Le sembrò la cosa più naturale che si potesse fare: mostrare di apprezzare un momento condiviso, il piacere di stare insieme in una situazione che, per quanto avvolta da contorni indefiniti, era indubbiamente piacevole.
«Alle rose rosse.» I fiori della serata, le belle fanciulle dannate per l'eternità ad avvolgere nel proprio profumo dame e cavalieri, dando così la sensazione di condividere lo stesso sogno. Lui brindava a loro; e lei brindava a ciò che avevano creato, per quanto fragile e volatile potesse essere.
Il primo sorso del vino dolce ed aromatico fece definitivamente tacere qualsiasi campanello di allarme; la sensazione di calore che raggiunse lo stomaco era piacevole, affatto minacciosa, e le profondità borgogna nel bicchiere la invitavano a distendere anche l'ultimo dei muscoli. L'imbarazzo che avrebbe potuto provare nel sentire lo sguardo glaciale su di sé venne definitivamente smorzato, e Jolene sorrise dentro di sé di fronte a quelle attenzioni. Non fece nulla per nascondersi, ma scelse di non agire nemmeno nella direzione opposta.
Nel sentirsi cingere dal braccio di Elijah, si abbandonò contro di lui: il bicchiere ancora in mano, mentre un sorriso che non sapeva di celare dentro di sé si palesava a scoprire appena i denti. I loro profumi si mescolarono, e nel sentire quello di lui Jolene decise che, anche se non sapeva di pelle, muschio e vento notturno, era comunque la fragranza perfetta.
Vennero nuovamente interrotti: Jolene si sistemò meglio sulla propria parte di divano, e ringraziò il cameriere prima che si defilasse verso altri tavoli e altre storie che avrebbe avuto il privilegio di intuire. Pensò che il suo lavoro dovesse essere interessante ma solitario, nel suo ruolo di perenne estraneo, integrato talmente bene nella propria uniforme da assumerne l'identità.
Jolene tirò senza tanta convinzione il sottile filo del palloncino che era la sua mente, e cercò di concentrarsi sui piatti che aveva davanti. Quella era a tutti gli effetti un'aragosta, mentre la pietanza di fronte ad Elijah sembrava manzo.
«Sembra tutto delizioso.» Commentò: nella voce si era insinuata una nota più alta del solito, ma era appena percettibile.
Era sul punto di allungare una mano e prendere le posate, ma si bloccò, folgorata da un ricordo improvviso. Voltò la testa verso il suo cavaliere, una domanda sulle labbra distese in una piega obliqua.
«Non sono abituata a cenare in posti eleganti, quindi non conosco l'etichetta. Che dici, è troppo tardi per inculcarmi delle buone maniere o vuoi provarci?» Ricordava quanto i preparativi del ragazzo l'avessero colpita alla loro prima cena insieme; allora le era sembrato di guardare un affascinante scorcio di una realtà estranea, ma adesso desiderava avvicinarvisi e poterla osservare dall'interno.



Edited by Jolene White - 5/10/2018, 20:31
 
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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 16/9/2018, 15:23







Elijah Sullivan
Prefetto Serpeverde
17 anni

Mentre la stringeva si sentiva in Paradiso, una sensazione così intensa che riuscì a cancellare tutte le altre con un colpo di spugna. Il Serpeverde era troppo confuso per riuscire ad interpretare i segnali che gli stava inviando il corpo. Il suo sistema ormonale era un urlo selvaggio che copriva alla perfezione le voci del coro.
La respirò a fondo, un aroma intenso e dolce. Il suo profumo gli era piaciuto fin dal primo momento e, suo malgrado, faceva sempre più breccia dentro di lui, lavorando come una goccia d’acqua.
La richiesta di Jolene gli strappò un lieve sorriso, in cui le labbra si tirarono appena. Avrebbe voluto tanto dirle che l’aragosta non era l’unica cosa deliziosa al loro tavolo, ma rimase in silenzio, mentre i suoi occhi chiarissimi scavano dentro quelli verdi della rossa. Si avvicinò di più a lei e prese il tovagliolo, nel punto più lontano da lui. Lo spiegò con delicatezza e lo adagiò sulle ginocchia nude di Jolene, afferrandolo solo per gli angoli verso il corpo di lei. Lo fece scivolare lentamente lungo le gambe fino a che non arrivò nel punto esatto che imponeva il galateo. Lì le dita lunghe di Elijah lo lasciarono – Il tovagliolo sulle gambe...- si avvicinò con le labbra a quelle di lei, restando distante circa cinque centimetri - ...sempre.
Rimase fermo a guardarla, beandosi di quella vicinanza. Le fissò le labbra perfette ed ebbe l’impressione che un arpione gli si stesse rigirando nelle viscere. Per la miseria! Ma che gli stava succedendo? Possibile che i suoi istinti fossero diventati così incontrollabili?
Le dita sfiorarono appena la vita della ragazza, quindi si ritirarono diligentemente. Anche Elijah si allontanò di più, la sua ragione glielo stava imponendo.
- Non è difficile – prese la mano della ragazza e l’avvicinò alle tre forchette a sinistra – quella più esterna è dell’antipasto, ma noi non l’abbiamo preso. Quella al centro – prese il dito indice di lei e lo passo lento sulla posata – è quella del pesce – si avvicinò al suo orecchio e sussurrò – questa è quella che devi usare con l’aragosta. L’ultima, la terza vicino al piatto, è quella della carne, devo usarla io.
Lentamente la mano del Serpeverde fece volare quella della ragazza dalla parte opposta dell’apparecchiatura - Il coltello vicino al piatto è della carne e quello prima del cucchiaio, con la punta strana, è il coltello da pesce – le labbra abbassarono il tono, tornando vicinissime all’orecchio – devi usare quello.
La morse appena passando sulla guancia e si allontanò tornando con il corpo dalla sua parte del tavolo. Ma che stava facendo? Doveva essere completamente impazzito, altrimenti non si spiegava. Prese il suo tovagliolo e lo sistemò diligentemente sulle gambe. Aveva assoluta necessità di ristabilire le distanze, non era nella condizione per reggere ancora a lungo.
Portò il bicchiere del vino alle labbra, lasciando che il prezioso liquido gli deliziasse il palato come se fosse il nettare degli dei, e magari lo era davvero. Gli schiarì un minimo le idee dandogli la spinta per iniziare a mangiare.
- Buon Appetito, Scintilla – si voltò verso di lei appena, doveva riprendere il controllo di se stesso quanto prima.
Afferrò la forchetta senza indugi e la tuffò nel suo piatto di carne. Aveva fame, accidenti se aveva fame!! Si piegò verso il piatto affrontando il primo boccone. Fu un vero tripudio di sapori. Aveva sempre apprezzato la cucina francese, anche se non amava tutti i piatti che proponevano come prelibatissimi. Fu l’occasione per soddisfare una delle curiosità di Jolene.
- Non mi intendo di cucina francese, ma ci sono andato spesso con la mia famiglia e molte cose le ho imparate – volente o nolente, avrebbe aggiunto ma preferì non tornare di nuovo a parlare di certi aspetti della sua vita familiare, e soprattutto di sua madre.


 
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view post Posted on 18/9/2018, 21:16
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Rimase pazientemente in attesa delle prime istruzioni, l'espressione distesa in un sorriso che si era allargato nell'incontrare quello di lui. Obbediente, Jolene rimase immobile: perfino il fiato si ridusse ad un soffio appena percettibile che le muoveva il petto ad un ritmo rallentato. Abbassò gli occhi sul tovagliolo un solo istante, catturata invece dal volto che, vicinissimo al suo, appariva quasi sfocato nella distanza insignificante che li separava. Non le sfuggì la direzione dello sguardo d'inverno, ma scelse deliberatamente di fare come se niente fosse; per quanto provasse il desiderio di mordersi le labbra sotto a quel ghiaccio, infatti, giudicò che non sarebbe stato saggio. Il velo attraverso il quale si affacciava al mondo – aveva l'odore pungente del whisky e del vino rosso – era ancora abbastanza sottile da farle percepire, se non esattamente comprendere, il sottile disagio in cui si trovava il suo accompagnatore. Ciò che le interessava in quel momento non era essere provocante: avrebbe soltanto accelerato una danza che avrebbe voluto far restare in punta di piedi, lenta come la marea nelle notti calme.
Quindi lo lasciò allontanare; ad ogni modo, non durò molto, perché il suo tocco gravitava intorno a lei come un satellite. Lo sentiva leggero sulle mani, dove portava nuovo calore alla pelle già accaldata e le faceva desiderare di nascondere il viso contro il suo petto e di rimanere lì fino a quando il mondo non fosse intervenuto a richiedere la loro presenza.
Osservò le loro mani e le posate che indicavano, memorizzandone la forma e l'utilizzo nell'unico modo confuso che le era possibile in quel momento. Se avesse fatto attenzione, Elijah avrebbe percepito il respiro della Rossa bloccarsi in sincrono con i sussurri che le accarezzavano la pelle come gentili brezze estive. Annuiva leggermente.
Non si poteva certamente dire che si fosse abituata a quei contatti; tuttavia, dopo alcune volte che lo stesso rituale si ripeteva, Jolene pensava quanto meno di sapere che cosa aspettarsi, per quanto le sensazioni che provava si mostrassero ad ogni secondo con nuovi, sconcertanti volti.
Elijah, però, le riservava l'ennesima sorpresa: una risata appena accennata scosse l'aria in un trillo leggero che, alle orecchie di Jolene, suonò come la più infantile e stupida delle esternazioni. Si bloccò immediatamente, ma una maggiore calma accompagnò la piccola mano destra, che si era stretta intorno alle dita di Elijah nel momento stesso in cui il riso le si era affacciato alle labbra, dopo essersi sentita sfiorata dalla pressione dei denti.
Sembrava riluttante a lasciarlo andare, ma infine scivolò sulle posate che Jolene aveva appena imparato a riconoscere. Non era il caso di calcare troppo la mano: lultima volta in cui aveva deciso di rispondere a tono a ciò che le veniva proposto dal ragazzo le cose si erano risolte con un bacio inaspettato. Ricordava come avesse temuto che quel gesto potesse aver rovinato definitivamente l'atmosfera, e non intendeva correre lo stesso rischio un'altra volta. Più passi portavano Elijah vicino a lei, più il ragazzo sembrava reticente, come se Jolene fosse una creatura pericolosa.
L'ultima cosa che desiderava era farlo allontanare: per impedirlo, sembrava fosse necessario mantenere le distanze. Rimase muta mentre lo guardava con la coda dell'occhio; le piaceva il silenzio, con la sua musicalità scandita dal brusio del bosco delle fate.
«Buon appetito.» Ripropose con un sorriso, prima di afferrare dolcemente le giuste posate. Prese a maneggiarle con cura, sentendole preziose come le buone maniere. «Sicuramente sapete come mangiare, in famiglia. E' squisito.» Pur attraverso il palato intorpidito, Jolene era in grado di riconoscere ogni sapore con vividezza: gli ingredienti si mescolavano alla perfezione, pur mantenendo la propria inconfondibile identità. Aveva ordinato alla cieca, ma d'altra parte si dice che la dea Fortuna sia bendata, no?
Dopo qualche boccone decise di interrompersi e prendere un sorso di vino; aveva appena preso il cristallo in mano, e usava le dita della mancina per giocarvi distrattamente, quando le sovvenne una questione impellente.
«Hai fatto qualcosa per il livido, alla fine? Mi dispiace non aver potuto fare niente, dopo che siamo caduti per colpa mia. E' stata un'idea stupida...» Si interruppe, desiderosa di rimangiarsi le parole con cui si era tradita. Ormai però era troppo tardi: si risolse a occhieggiare l'espressione di Elijah da sopra il bordo del bicchiere mentre sorseggiava il dolce rosso. Forse non avrebbe fatto caso a quell'ultima parte del discorso.



Edited by Jolene White - 5/10/2018, 20:30

 
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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 19/9/2018, 11:15







Elijah Sullivan
Prefetto Serpeverde
17 anni

Era in silenzio, rimuginando su quello che era appena successo, che lui aveva appena fatto. Il primo boccone del suo piatto di carne fu un vero Paradiso e il Serpeverde lo gustò, assaporandolo. Fece un un nuovo sorso di vino e solo in quel momento ritrovò la lucidità mentale necessaria per elaborare la reazione di Jolene al suo gesto inconsulto. Lei aveva riso, un ridolino delizioso che lo faceva sentire totalmente interdetto, perché sembrava dire “continua, per favore”. Doveva essere sincero. Se non fossero stati al ristorante, probabilmente l’avrebbe accontentata molto volentieri, trasformandosi in una sorta di vampiro. Un secondo sorso ed il bicchiere di media grandezza tornò ad occupare il posto che gli spettava sul tavolo.
Elijah si voltò nell’attimo esatto in cui Jolene parlò e rimase ad osservarla con calma.
- Si, sto benissimo. Mia sorella mi ha messo un unguento e ora è passato tutto – fece un leggero sorriso di approvazione – grazie.
L’ultima frase richiese una valutazione leggermente più lunga. Ascoltata all’inizio all’insegna della normalità più totale, si rivelò essere qualcosa di imprevisto. Cosa intendeva con “siamo caduti per colpa mia” e, soprattutto, “è stata un’idea stupida”? Un’idea stupida...un’idea stupida...voleva dire che c’era della premeditazione in quello che era successo alla pista di pattinaggio. Non erano quindi caduti per un banale incidente, ma perché lei voleva che cadessero. Ed eccola la domanda del secolo...per quale motivo voleva che cadessero?
Per quanto si sforzasse, Elijah non riusciva a venirne a capo. Si concesse di guardala ancora, mentre le labbra di lei sfioravano il cristallo e facevano un altro sorso di vino. Gli occhi verdi lo fissavano ed il Serpeverde ripetè a voce un poco più bassa – E’ stata un’idea stupida?
Pensieri, idee, congetture mentali, tutto venne messo di nuovo da parte davanti a quello sguardo e l’istinto prese di nuovo il sopravvento. Elijah non sapeva chi o cosa governasse quell’istinto, ma c’era, ed era così forte da fondergli il lato senziente del cervello.
La mano del ragazzo si allungò verso il bicchiere di Jolene e glielo tolse delicatamente. Lo trattenne un attimo guardandola. Non disse nulla, ma voltò il calice finché il bordo dove aveva bevuto la ex Corvonero non si trovò dal suo lato. L’impronta delle labbra di lei era ancora lì ed Elijah vi fece combaciare le sue, gli occhi chiarissimi inchiodati sulla sua compagna di tavolo. Bevve, chiudendo per un istante gli occhi, quindi tornò a fissarla seminascosto dalle trasparenze del cristallo. Il vino lo scaldò appena. Nonostante fosse un rosso di ottima annata, lui era abituato a mettere in circolo ben altro. Aveva una potenza etilica pari a quella di un succo di di frutta.
Lo svuotò completamente, posandolo poi dietro al piatto di Jolene. Questa operazione lo avvicinò di nuovo a lei, pericolosamente.
Si ritrovarono di nuovo occhi negli occhi, con i respiri che si sfioravano, il profumo che si fondeva in un’armonia perfetta. Indice e medio arrivarono sullo zigomo sinistro della ragazza, sfiorandolo appena fino sotto al mento. Lì fecero appena un po' più di forza, lasciando che il mento di Jolene si sollevasse e con esso tutto il viso.
- La migliore idea di sempre… - un sussurro sulle labbra che fece accrescere il desiderio che aveva di baciarla. Rimase a guardarla negli occhi finché le sue iridi chiarissime non cercarono le labbra. Di nuovo gli occhi, di nuovo le labbra, in una danza che sembrava non avesse mai fine. Rimasero così in un tempo che gli sembrò infinito e brevissimo, mentre ogni cosa intorno a lui iniziava a svanire. Il lampadario, le luci, i suoni ed i loro vicini di tavolo erano chiusi in una mano che gliene occultava la vista. Elijah ebbe l’impressione di cadere verso di lei, attirato da una forza sconosciuta. Il naso sfiorò quello di Jolene e subito dopo la fronte venne a contatto. Il Serpeverde socchiuse le labbra nel tentativo di restare il padrone assoluto della sua respirazione. Era una lotta che lo vedeva combattere duramente, ma sapeva che sarebbe stato lui il vincitore. Non c’era nulla di forte, no? Era tutto normalissimo, eppure… No, non era lui che si avvicinava, erano le labbra di lei che erano dotate di una forza sconosciuta e lo stavano attirando. Lui ne sarebbe uscito vincitore, ne era certissimo. Fece un sospiro e si allontanò di nuovo da lei. Prese il suo calice, bevendo un piccolo sorso. Lo avvicinò quindi a Jolene, era quasi pieno – Prendi il mio – il vocione del Serpeverde arrivò lento fino a lei. Avrebbe atteso che la ragazza facesse suo il bicchiere, poi glielo avrebbe lasciato tra le mani. I suoi occhi ne delinearono i contorni del corpo, e si ritrovarono sulle gambe perfette, seminascoste dal tovagliolo. Salirono un poco e vennero catturati in una rete come due sardine. Le iridi di Elijah rimasero a sfidare quello spettacolo senza esitazione, studiandone ogni minimo particolare. Gli stava passando la voglia di mangiare, ma aveva sempre più fame.


 
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view post Posted on 21/9/2018, 22:04
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Fortunatamente Elijah aveva avuto modo di farsi curare le ammaccature: Jolene si sentì sollevata da un peso che fino ad allora aveva gravato sul suo petto e di cui, prima di quel momento, non si era realmente accorta.
Era sul punto di scrollarsi di dosso un altro macigno: sotto al tono interrogativo del Verde-argento, le parole non avrebbero atteso molto prima di sfuggirle dalle labbra in una sorta di confessione. Aveva bisogno di alcuni momenti per riordinare le idee, così da non riversare sul poveretto un fiume disordinato di concetti scappati come per sbaglio al suo controllo; a tal fine, si concesse un lungo sorso della bevanda fatata, che le accarezzava ancora le papille gustative mentre allontanava con lentezza il cristallo da sé.
Ma venne spiazzata dal seguente gesto di lui, tanto da dimenticare ciò che era in procinto di sciorinare. Lasciò che il bicchiere le venisse sottratto dalle dita, resa docile da una sorpresa perfetta. Che cosa stava succedendo?
Un pensiero la colpì con la potenza di una scossa elettrica, e Jolene sentì il colorito delle gote accendersi come una lampadina. Possibile che Elijah avesse capito come la testa fulva non avesse bisogno di altro alcool, e avesse deciso di prendere provvedimenti? Che imbarazzo, non era possibile! A quanto pareva, la sua soluzione al problema era scolarsi da solo tutto quel che rimaneva della bottiglia, così che lei non potesse più toccare niente.
Ma no, era un'idea assurda. Lo sguardo che si sentiva puntato addosso non raccontava storie di rimprovero e, al pari del bacio rubato tra le rose rosse, lanciava un messaggio inconfondibile, completamente diverso. La conseguente incapacità di Jolene di spiccicare parola, però, restava immutata. La ragazza si trovava del tutto spiazzata, affascinata e vagamente divertita da un comportamento tanto singolare, che però non arrivava a intimidirla. Al contrario, il suo sguardo era più fermo che mai nel fronteggiare le sfumature limpide di lui. La curiosità si faceva strada in una luminosità che diventava di secondo in secondo più solida, più sicura. Un guizzo che era l'accenno di un sorriso attraversò il verde: alla fine Elijah aveva gradito la sua idea un po' dispettosa, nonostante tutto. Come dargli torto? Aveva portato a una vicinanza che non avrebbe mai creduto possibile; eppure, non era abbastanza.
Il suo volto era così vicino da annullare il resto dello spazio e il tempo; così vicino che era impossibile non condividere lo stesso respiro, in un modo che dava alla testa tanto quanto i fumi alcoolici. Sentiva il suo sguardo incollato alla pelle e, come capita a volte a chi ha alzato un po' il gomito, Jolene fu certa di avere ogni briciolo del più intimo sé esposto sulla superficie. Rimase nel Ghiaccio anche quando l'attenzione era concentrata sulle sue labbra, e pareva pregarlo di guardarla davvero, come non era mai stata guardata. Voleva che percepisse il diamante che costituiva il fondo della luminosità del suo sguardo, e che lo accettasse.
Elijah, però, sembrava più interessato alla sua pelle, su cui lasciava una scia ardente che non era sufficiente. Jolene lo osservò per qualche secondo, cercando di ignorare il battito accelerato che la scuoteva.
«Elijah. Sono qui.» Questa volta fu lei a sollevargli il volto: le dita sotto al mento lo sollecitarono appena a inclinarsi verso di lei e il suo volto tappezzato di segreti. Un sorriso indefinibile si aprì a dare forma alle parole che lo raggiunsero sottovoce. «Quando l'ho fatto… Volevo coglierti di sorpresa perché pensavo che così mi avresti mostrato come sei davvero.» Inclinò appena la testa da un lato; le dita non avevano abbandonato il loro sostegno, ma ora il pollice aveva preso ad accarezzare distrattamente la pelle ricoperta dalla barba. «E ora non capisco se sono più vicina o più lontana dalla risposta.» Alla fine era riuscita a mettere in ordine le parole, ad esternarle con calma glaciale e dolcezza di miele. Tacque, scandagliando il paesaggio invernale in cerca di risposte.



Edited by Jolene White - 5/10/2018, 20:28
 
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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 23/9/2018, 15:17





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Elijah Sullivan
Prefetto Serpeverde
17 anni

Una questione di sguardi, era tutto lì il dilemma. Due paia di occhi attenti che si accarezzavano. Diversi da sentirsi a volte lontanissimi, ma vicini fino a fare male. Ghiaccio che copriva il più verde dei boschi, natura rigogliosa che nasceva sempre da sotto il gelo profondo. Le sue iridi che scivolavano sulla pelle della Rossa, alla ricerca di un sogno che non aveva mai vissuto, poi quell’altro contatto, quello tra le pupille. Lì entrambi cercavano qualcosa nell’altro, forse le cose taciute o mai portate alla luce.
Sollevò di nuovo lo sguardo guidato dalle mani delicate della ex Corvonero, si lasciò muovere dai desideri che battevano nel petto di entrambi. L’anima si gonfiava sotto la spinta del respiro, sempre più irregolare, che il Serpeverde stava cercando di domare con scarsissimi risultati. Lei era lì, lo sapeva, ed era la cosa più bella che poteva gravitargli intorno in quel momento. C’era Magia pura, una Magia così potente che Elijah si sentiva a tratti impotente e a tratti confuso. Nonostante tutto era ben determinato a non fare mai un passo indietro lungo quel sentiero che non si sarebbe mai aspettato di iniziare a percorrere.
Chi era davvero? Era una domanda di una difficoltà assurda, almeno per lui in quel momento. Chi era? Non aveva mai scavato così a fondo da capire certe sfumature che lo riguardavano, o forse non aveva mai voluto farlo perché non l’aveva ritenuto necessario.
Socchiuse le labbra, un lieve respiro sfuggì tra di esse. Il cuore batteva più del lecito ed Elijah fece un respiro profondo cercando di riprendere il controllo. C’erano però quei due occhi inchiodati nei suoi che gli impedivano, ora, di guardare altrove, nonostante quello che stava osservando prima era qualcosa che avrebbe cercato fino in capo al mondo.
Non smise di guardarla, cercando una delle mani. Tentava di pensare ma nella sua testa tutto era avvolto in una nube grigia, tendente al nero. La trovò e la strinse appena, portando il pollice sulla parte interna del polso. Lo fece poi salire lentamente allargando il palmo e con esso la mano che condusse contro il suo petto, dritto al centro. Non era cuore, non era respiro, erano entrambi, fusi insieme a formare l’anima. La sua era complessa e chiusa al mondo da non essere nemmeno identificata. Elijah la spinse forte, sempre più forte sullo sterno, mentre i suoi occhi accarezzavano lo sguardo che lei gli ricambiava.
- Io sono questo – il suo vocione scese ancora più di tono, diventando più profondo e gutturale – e tu?– disse prima di premere la mano di Jolene contro di sé per l’ultima volta.
Ne accarezzò il dorso e abbassò un attimo lo sguardo, come per assicurarsi che fosse ancora lì che non si staccasse dalla sua essenza, o meglio, dall’unica che conosceva davvero.
Il volto della ragazza si piegò da una parte ed il Serpeverde sentì che il suo respiro iniziava ad ammutinarsi di nuovo. Non sapeva cosa fare e nemmeno cosa dire. Sapeva solo di essere incappato in un momento di debolezza che non sapeva gestire, a cui non era preparato e che non pensava di avere. La mano, che prima aveva carezzato il dorso di quella della ex Corvonero, salì tra i suoi capelli e sparì dietro al collo, agganciandone la nuca con una lentezza quasi esasperante. Elijah piegò la testa dal lato opposto, mentre l’altro braccio la cingeva avvicinandola alla sua figura robusta. Le labbra, già socchiuse, sfiorarono quelle di Jolene mentre gli occhi restavano ancorati a quelli di lei. Appena le assaggiò sentì che sapevano di vino o di qualcosa di ancora più inebriante, una sorta di droga che gli iniziava a paralizzare alcuni sensi ma che ne acutizzava altri che nemmeno sapeva di avere. Dopo averle sfiorate per un po', Elijah le fece aderire in modo perfetto con le sue labbra, aiutandosi con la mano che stazionava dietro alla nuca. Non voleva che lei si muovesse, e per questo le accarezzò delicatamente il cuoio capelluto mentre la sua bocca si avventurava in un bacio vero e appassionato. Le ciglia divennero terribilmente pesanti e le palpebre concessero pace agli occhi. Il Serpeverde si abbandonò alle sue sensazioni, ai suoi desideri, lasciandosi andare in un mondo dove l’unica musica che riusciva ad ascoltare era il suo cuore, passato da una semibreve ad un esercito di semicrome senza alcun punto, ed il profumo dell'aria era impregnato dall'aroma avvolgente dei suoi capelli rossi.


 
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view post Posted on 27/9/2018, 15:38
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Qualunque cosa stesse succedendo quella sera a quel particolare tavolo era, per Jolene, misterioso e impalpabile come un paesaggio avvolto nella nebbia. La sua ragione non era in grado di spiegare le intuizioni e le sensazioni che, ben lontane dall'essere miraggio, occultavano la propria sconcertante concretezza dietro a veli opachi. Le fate si erano nascoste tra gli alberi che costeggiavano il sentiero, e avevano lanciato sul loro cammino incanti che li ammaliavano nella vista dell'altro.
Elijah guidò la sua mano conto il proprio petto: alla metà del largo costato, le dita di Jolene parevano piccole e fragili, perfettamente bianche sul carbone della camicia. Si trattava di un nuovo modo di esporsi, di un passo avanti nella danza della conoscenza. Jolene stava toccando il crocevia tra battito e respiro: quello era Elijah. Quelli erano i ritmi che scandivano la sua vita, che davano calore alla sua pelle e luce ai suoi occhi.
Il ragazzo non amava l'abbondanza di parole, o forse non la riteneva necessaria in quella particolare occasione. Le affidava un compito più arduo del semplice ascolto, e di fronte ad esso lei si sentì attraversare da una punta di corrente. Forse era pura vita che, dall'anima di Elijah, si diffondeva in lei.
In quel momento lui le sembrò la creatura più bella che potesse esistere. Era colpita dalla complessità che non necessitava spiegazioni, dalla forza che sprigionava e che la attirava come una calamita.
«Io sono questo. E tu?»
Il freddo le attanagliò il petto a quella domanda. Lei? Lei era lontana atmosfera, il gelo di un'anima che non osa mostrarsi a se stessa. Lei era contraddizione: bambina incantata e spietata cinica, nel tentativo di costruire un'identità ritagliando solo ciò che rispondeva ai suoi desideri. Avrebbe mai potuto esprimere qualcosa del genere?
Quando Elijah la attirò a sé, Jolene si rifugiò in quel calore come se volesse esserne assorbita. Nell'incessante contatto tra le pupille, capì perfettamente ciò che desiderava: non osava afferrarlo, però, e rimase con il cuore in gola ad assaporare l'indugio che li divorava.
Infine, ebbero ciò che anelavano. Elijah annullò la distanza tra le labbra, e lei avvicinò i cuori: una mano dietro alle sue spalle, l'altra che correva tra i capelli corti alla base del collo. Sentì il tessuto della sua camicia contro la pelle sensibile del petto, in un'aderenza che pareva promettere salvezza.
Si perse in quell'esplorazione: più bella delle parole, spontanea come un'esclamazione, dolce come un canto. Il vino le ottenebrava la mente, e le sensazioni sarebbero sfumate in un ricordo confuso; ora, però, Jolene sentiva profondamente. Ed era meraviglioso: desiderare ed essere desiderata. Se si fosse stretta a lui con sufficiente forza, forse, avrebbe raggiunto l'accettazione, l'assoluzione.
Non avrebbe saputo dire quanto a lungo fossero rimasti così, stretti in un modo che andava oltre qualsiasi spiegazione. Non sentiva nessun ticchettio che palesasse la sensatezza del tempo; tuttavia, in qualche modo, si rese perfettamente conto di quando i loro secondi giunsero al termine. Riluttante al distacco, Jolene prolungò il bacio in un morso gentile sul labbro inferiore del ragazzo, prima di ripristinare le loro identità come soggetti separati e indipendenti. Un ultimo sguardo, un sorriso di sbieco, e la Rossa decise che era arrivato il momento di tornare a dedicarsi ai propri piatti.
Ripresa la forchetta in mano, si chinò leggermente verso il tavolo nell'atto di prendere il primo boccone. Si accorse che il tovagliolo si era spostato, e lo sistemò meglio sulle gambe, come aveva visto fare ad Elijah. Lo guardò senza voltarsi completamente dalla sua parte, cercando la risposta adatta alla sua domanda mentre finiva di masticare. Le serviva tempo per riacquistare la capacità di parola.
«Anche se te lo dicessi, sarebbe solo la mia idea. Non cambierebbe quella che ti sei fatto tu.» Una semplice riflessione che le sfuggì troppo schietta, mitigata dal calore di una risata finale. «Le persone sono opinabili.»



Edited by Jolene White - 5/10/2018, 19:03
 
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Elijah Matthew Sullivan
view post Posted on 1/10/2018, 17:43





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Elijah Sullivan
Prefetto Serpeverde
17 anni

Labbra sulle labbra, nel modo più intenso e coinvolgente che avesse mai provato. Le mani accarezzarono i capelli, scivolando a tratti sul viso e sulle orecchie di Jolene. Era ad occhi chiusi e, come un cieco, sembrava avido di scoprire come fosse ogni minuscolo tratto del suo volto. Era strano, ma aveva l’impressione che le mani riuscissero a vedere con maggiore intensità degli occhi. Sentì finalmente il suo sapore. All’inizio era vino rosso, poi divenne solo Jolene, Jolene e basta. Era inebriante come quello il cioccolato ed il Serpeverde ne fu completamente rapito. Dimenticò il resto del ristorante e, con esso, tutto il mondo che vi ruotava intorno. Non se ne rese nemmeno conto, ma si lasciò andare contro la sua bocca, le sue braccia che la stringevano contro il petto, in un contatto che non avevano mai avuto. Non si sarebbe voluto allontanare da lei per niente al mondo, una parte di lui non riusciva staccarsi, forse per il bisogno di calore umano o per un qualcosa che andava ben oltre. Elijah non stava più pensando, era istinto allo stato puro. Il sangue che pulsava veloce nelle vene, così veloce che il cuore si gonfiava di più ad ogni passaggio. Forse sarebbe diventato più forte, forse avrebbe ceduto. Il Serpeverde non era più consapevole di nulla. Nell’immediato aveva smesso di porsi domande, ma non aveva alcun tipo di certezza e non voleva averne. Si staccò da lei di malavoglia e fu in quel momento che Jolene lo stupì. Quel morso leggero gli fece abbassare appena le palpebre. Dopo quel gesto gli occhi chiarissimi di Elijah si sollevarono piano, fino ad incontrare il sorriso di lei. Non sorrise, non riusciva a manifestare alcun tipo di emozione in quel momento. Gli era piaciuto quel gesto? Probabilmente era una delle cose più eccitanti che avesse vissuto fino a quel momento.
Ripresero a mangiare e, probabilmente, era la decisione più saggia da seguire in quel momento. Più saggia, sì, ma ugualmente piena di insidie, almeno per lui. Jolene si chinò in avanti per portare meglio la forchetta alla bocca e accadde quello che Elijah non si sarebbe mai aspettato. Poteva succedere tutto in quel momento, tutto, ma non quello. L’abito della ragazza seguì il piegamento in avanti e si stacco dal corpo. Ecco, se fosse stato un vestito normale, non ci sarebbe stato nulla di strano o di pericoloso, ma un capo con una scollatura di quel tipo non riuscì più a coprire dove doveva e come doveva. Elijah si voltò proprio nel disgraziato momento, ed i suoi occhi rischiarono di andare in fiamme, cadendo a terra sotto forma di cenere. Quello che aveva in bocca, rimase lì senza costrutto, come se al Serpeverde fosse esploso un ascesso improvviso. Sapeva che non era affatto bello che la fissasse in quel modo, soprattutto a certe latitudini. Elijah lo sapeva benissimo, sapeva che era da...da...ma, per tutti i Troll, gli occhi sembravano inchiodati lì sopra. Per quanto si sforzasse, non riusciva a spostarli nemmeno di un millimetro. Non poteva! Non voleva! Stava ammirando la perfezione. Deglutì. La prima volta a vuoto, la seconda il boccone scese tutto intero e senza essere stato masticato. Chissà per quale strano motivo aveva dimenticato di farlo. Fu come ingoiare una scatola piena di spigoli. Ostentare indifferenza, continuare a mostrarsi tranquillo e a proprio agio, anche se un principio di soffocamento era già dietro l’angolo. Un fuoco fuori controllo iniziò a divampargli sul viso, ma Elijah non sapeva se fosse dovuto al boccone che gli prendeva a pugni l’apparato digerente o a quello che i suoi occhi stavano cercando di metabolizzare. Se si fosse soffocato poteva stare tranquillo, aveva un’Infermiera al suo fianco. Consolante, davvero consolante, doveva ammetterlo. Quella sì che sarebbe stata la ciliegina sulla torta.
Socchiuse le labbra e fece un respiro profondo. Gli occhi, quei due maledetti, non rispondevano al suo richiamo e continuavano a stazionare nel posto sbagliato. Non osava sollevare lo sguardo, il che è un modo di dire, perché non ne era proprio in grado. Sapeva però di essersi trattenuto da quelle parti ben oltre il lecito, ed era garantito come la morte che Jolene se ne fosse accorta. Fu proprio quel pensiero che gli impose di chiudere gli occhi, a fatica, come quando si abbassa una serranda arrugginita. Che brutto momento!! Non era proprio da lui scadere in quel modo, eppure si era trasformato in un attimo nel Re dei trogloditi. Avrebbe forse dovuto chiederle scusa per tanta sfacciataggine, ma se lei non se ne era accorta, avrebbe confessato il suo delitto come un fesso. Scelse di tacere. Prese il vino, bevve un sorso abbondante sperando che narcotizzasse l’esofago dopo il passaggio di quella mazza chiodata. Riposò velocemente il bicchiere e cominciò a spostare il tovagliolo che teneva sulle gambe in tutte le direzioni, come se fosse dotato di vita propria. Era chiaro, troppo chiaro, maledizione !! Lo tolse alla svelta e fece finta di pulirsi la bocca mentre con aria indifferente portava la gamba sinistra – quella dal lato della ragazza – sopra alla destra. Cercò di concentrare la sua attenzione su quello che stava dicendo, anche se le parole gli arrivavano mezze distorte.
- Sei – si schiarì vigorosamente la gola - pura poesia – la voce era bassa, ma udibile da lei alla perfezione.
Ma cosa stava dicendo? Cosa?? Doveva essere finito sotto l’effetto di una droga o qualcosa di simile. Che senso aveva quella frase in quel momento? Nessuno. Niente. Zero.


 
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view post Posted on 5/10/2018, 19:21
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Intenta a sminuzzare con cura la sua aragosta, Jolene era ignara di ciò che stava accadendo a un soffio da lei. Il suo sguardo si concentrò prima sul cibo, poi sul tovagliolo, sperando che il tempo che rubava a quegli insignificanti oggetti di scena le permettesse di ridiventare la persona che entrambi conoscevano. Quella soffice ragazza dalla calma serafica e i desideri morbidi, che si modellava come l'acqua in forme dolci. Gli spigoli andavano smussati, i movimenti bruschi troncati sul nascere. Il controllo era essenziale.
Quando finalmente si voltò verso di lui, il viso di Elijah si era tramutato in qualcosa che la ragazza non gli aveva mai visto addosso. I suoi pensieri scorrevano con più lentezza del normale, per cui non colse subito il nesso tra la direzione del suo sguardo e quella strana immobilità. Ciò le sovvenne solo nel momento in cui vide le due pozze di ghiaccio nascondersi sotto alle palpebre indugianti e, per reazione, la sua schiena tornò dritta come un lampione.
L'imbarazzo era palpabile, tanto da una parte quanto dall'altra. Il colorito di Jolene, già ravvivato dalle rose rosse, si accese ulteriormente. Accidenti, non l'aveva fatto davvero! Ci sono alcune regole per mantenere la decenza mentre si indossa un abito del genere, e lei aveva fallito miseramente. Come avrebbe ora potuto guardarlo negli occhi? Era un disastro, aveva rovinato tutto. Le sembrava di assistere al crollo drammatico di costruzioni intere, impotente e colpevole. Stava esagerando? Per tutte le calze di Merlino, assolutamente no! Erano faccende serie, quelle. Cosa avrebbe pensato ora di lei? Ma, soprattutto, era ancora in grado di pensare?
«Sei...pura poesia.»
Jolene aveva atteso quelle parole come i pazienti attendono l'ago che bucherà la vena per succhiarne il sangue: rasente il terrore. E, quando arrivarono, gli occhi le si fecero tondi come due biglie. Dimentica di ciò che aveva pensato fino a quel momento, fissò Elijah dritto in viso, incredula. Lo sguardo si assottigliò sotto alla spinta della risata che le scoppiava in petto, e Jolene non fu più in grado di trattenersi. Tra tutte le cose che avrebbe potuto dire, quella era l'ultima che si sarebbe aspettata, nonché assurdamente divertente. Rise per distendere l'imbarazzo, e perché non era più in grado di fermarsi. Si appoggiò allo schienale, e le loro spalle si toccarono. Si portò una mano davanti alla bocca, cercando di ritrovare la calma. Tutta la situazione aveva dell'assurdo: aveva l'impressione di essere tornata a quando aveva tredici anni e ridacchiava stupidamente sotto allo sguardo dei ragazzini della sua età, perché non sapeva come altro comportarsi.
«E'… è più di quanto mi meriti.» Riuscì a sillabare a singhiozzi, e capì che ormai erano agli sgoccioli. Aveva l'impressione che, se fossero rimasti lì ancora a lungo, si sarebbe resa ridicola fino a perdere ogni traccia di dignità.
Jolene ritornò in sé – almeno all'apparenza -, e accompagnò Elijah nel terminare il loro pasto così ingiustamente trascurato. Gusti come quelli meritavano un'attenzione maggiore, meritavano di essere la portata principale. Infine, bevve ciò che restava di quello che era stato il bicchiere di Elijah.
Quando arrivò il momento di alzarsi, Jolene si rimise in piedi con cautela, consapevole del fatto che la sensazione di avere la testa tra le nuvole si sarebbe accentuata. E, infatti, visse come un sogno gli ultimi momenti: il tragitto fino alle casse, i commenti garbati del cameriere dai baffi lucidi, il congedo. Sulla soglia, però, si voltò un momento, trattenendo Elijah per il braccio e facendogli segno di voltarsi insieme a lei.
«Il nostro viaggio nel bosco incantato finisce qui.» Sentenziò solennemente, come un genitore che decanti la morale di una favola. Quale fosse esattamente la morale, non era chiaro.
Sul taxi che presero per tornare a casa, Jolene appoggiò la testa sulla spalla di Elijah e rimase così, assorbita dalla malinconia tipica di ogni fine serata. Pensò che sarebbe stato bello se i suoi capelli avessero assorbito un po' del profumo di lui, ma era un'idea così stupida e sdolcinata che la scacciò immediatamente.
Lei scese per prima: fermi di fronte alla porta, i due si fronteggiarono per salutarsi.
«Grazie.» Dopo tutti i discorsi corsi durante quella giornata, dopo ciò che si erano comunicati i corpi, sarebbe stato superfluo spendere parole nel tentativo di riassumere l'accaduto. Qualsiasi cliché come “E' stata una bella serata” sarebbe impallidito di fronte ai loro sguardi incrociati, che sarebbero stati meglio suggellati dal frinire dei grilli, dalle fusa sommesse del motore del taxi.
Le mani di Jolene si appoggiarono alle spalle di Elijah, prima che le labbra gli schioccassero un innocente bacio sulla guancia. Si allontanò lentamente, prendendosi il tempo di osservarlo mentre la distanza cresceva: una distanza che era luminosità calda, aria riscaldata dal fascio del lampione sul bordo della strada.
«Buonanotte.»
Jolene si allontanò nella frescura della notte, verso le finestre scure della casa. Si voltò un'ultima volta prima di sparire dietro la porta che, richiudendosi, produsse il rumore di un coperchio che cadesse pesantemente sull'apertura di uno scrigno. Ci sarebbe stata una certa solennità, se solo non fosse inciampata di nuovo nel tappeto dell'ingresso.

Quando si infilò a letto, passò diverso tempo a girarsi e rigirarsi sotto al lenzuolo sottile. Non riusciva a trovare una posizione comoda. Qualcosa non andava: una nuova comparsa, o forse un vuoto improvviso. Un cambiamento di forma che non le dava pace nella sua stessa pelle e che la metteva in discussione. Infine, quando si addormentò, un buio di piombo, vuoto e pensate, calò su di lei.


 
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