Rimase ad ascoltare affascinata mentre l'uomo le parlava del diverso modo di approcciarsi alla natura che egli aveva sperimentato. Non erano idee nuove per lei, da accanita lettrice aveva divorato più di un libro che riservasse qualche passaggio a quel tema. Questa, però, era una delle prime volta in cui aveva modo di ascoltare qualcuno che aveva sperimentato sulla propria pelle quello di cui stava parlando. Era facile per lei, come per qualunque figlio della città, dire di capire; sviluppare il discorso a partire da idee inglobate passivamente, con la convinzione di essere in buona fede grazie alla propria ragione. Jolene, però, non se lo sarebbe permesso mai, consapevole del fatto che la speculazione perde ogni potere di fronte all'esperienza.
«Spero davvero che ne avrò l'opportunità. Fino ad ora non è mai successo, sono nata e cresciuta qui. Anche nel breve periodo in cui me ne sono andata, è stata un'altra città ad accogliermi. Certo, qualche volta sono andata in vacanza in campagna o in montagna, ma è stato come essere semplici ospiti per qualche tempo.» Era un peccato, invero, perché aveva sempre amato la pace che si prova quando si è immersi nel verde. Nella grande Capitale, però, l'esperienza più vicina a qualcosa del genere era una passeggiata in un parco curato e sottoposto ai canoni di bellezza e ordine degli uomini, come quello in cui si trovavano in quel momento. Si stava bene, senza dubbio, ma era solo l'ennesima esperienza artificiale.
Per un momento provò un palpabile disprezzo nei confronti di ciò che fino ad allora aveva ammirato: pensò che tanto valeva che quei fiori tanto ordinati fossero decorazioni di plastica prodotti in serie. Come sempre, si stava facendo trasportare troppo dall'immaginazione.
«Ha ragione, il suo è senza dubbio un lavoro importante per tutti noi.» Poteva sembrare una frase di circostanza, ma era contenta di sapere che Issho, nel suo incarico, fosse mosso da passione e dedizione: le faceva sentire di essere in buone mani, a dispetto di tutto quello che si poteva sentire in quel periodo di incertezza.
«Goditi i genitori.»
La testa si drizzò all'improvviso, mentre gli occhi per la prima volta evitavano lo sguardo del giapponese. Senza volerlo o esserne consapevole, aveva toccato un tasto quanto mai delicato in quel periodo. Il ricordo della minaccia di perdere per sempre una delle persone più importanti della sua vita era ancora fresco nella sua memoria, e la nuova consapevolezza della volatilità dei rapporti umani le strinse il cuore per l'ennesima volta. Si sforzò di sorridere a Issho Fuji-tora: l'ultima cosa che voleva era guastare l'atmosfera di serenità con i propri problemi.
Fortunatamente non ci fu bisogno che cambiasse discorso: l'uomo ci pensò da sé, di sicuro non era una di quelle persone a cui bisogna cavar le parole di bocca con le pinze, tutt'altro. Con rinnovato entusiasmo, Jolene accettò di parlare del proprio lavoro.
«Lei è una continua fonte di saggezza, Mr Fuji-tora.» Affermò con un caldo e sincero sorriso. «Forse non mi è molto chiaro come si possa parlare di vita e di malattia allo stesso tempo, però su un piano più pratico le posso garantire che l'ascolto e il rapporto umano sono aspetti fondamentali del mio lavoro. E, per la verità, sono anche quelli che mi stanno più a cuore.» Chi era passato per le mani dell'Infermiera White poteva confermare che la sua priorità era quella di mettere a proprio agio il paziente: era quell'aspetto umano ciò che le faceva amare la propria attività che, se si fosse limitata a semplici incantesimi e pozioni da somministrare, avrebbe perso ogni significato. «Ho optato per questa professione proprio per poter applicare i principi che lei è andato a spiegare così semplicemente. Immagino che anche il lavoro al Ministero si basi sulla stessa volontà di mettersi a disposizione degli altri, in questo senso siamo colleghi.» Concluse con una breve risata.
Osservava l'uomo senza perdere un dettaglio del suo modo di camminare, di toccare i fiori, di annusarli: era evidente che provava un piacere quanto meno analogo al suo nel trovarsi circondato da quella bellezza – perché sì, nel frattempo aveva dimenticato la momentanea avversione nei confronti del parco. Ma se una cosa simile poteva avvenire a lei, che non aveva conosciuto altro, chissà come poteva sentirsi in gabbia una persona che, come lui, nella propria vita aveva conosciuto la Natura con la N maiuscola.
Infatti, la descrizione che dette di Londra non era delle più lusinghevoli. Sorrise dolcemente nel prendere il mazzetto di lavanda che le veniva porto. «Grazie.» Lo sollevò all'altezza del viso e in un profondo respiro inalò quel profumo che le era diventato tanto familiare. «Hanno un profumo inebriante, non trova? O forse è solo perché lo associo a dei bei ricordi.» Una camera dalle pareti color crema e le tende che svolazzavano dolcemente nella brezza marina che si insinuava dalla finestra socchiusa, andando a mischiare il proprio aroma salmastro con quello lindo della lavanda delle lenzuola. Jolene si permise di tornare lì per la breve durata di quel respiro, prima di riaprire gli occhi sul volto sfregiato del suo compagno di passeggiata.
«La sua descrizione è corretta. Londra è un organismo immenso, ma sembra che possa muoversi indipendentemente dai singoli, minuscoli ingranaggi che la compongono. Indipendentemente da noi.» Incominciò a intrecciare distrattamente i gambi dei fiori, quasi senza guardare. «Però ci sono dei piccoli particolari che cominci a notare solo quando frequenti gli stessi posti alla stessa ora ogni giorno, non so se mi spiego.» Cercò di pensare ad un esempio con cui rendere chiara la sua asserzione. «Una signora sulla cinquantina che ogni mattina fa colazione allo stesso bar, si siede davanti alla vetrina e mentre mangia non stacca mai gli occhi dalla strada. Tutte le mattine, da anni. Ci crede? Chissà chi sta aspettando. Le garantisco che non arriva mai nessuno, ho provato a vedere. Un altro signore, invece, dopo pranzo porta sempre le briciole in un sacchetto con sé al parco, sempre sulla stessa panchina, e si circonda di piccioni fino a quando il sacchetto non è vuoto. Se la panchina è occupata aspetta in piedi lì vicino fino a quando si libera. E se ciò non le bastasse, se mai le capiterà di andare al Paiolo Magico verso le sei del pomeriggio chieda di Mrs Butler e si faccia raccontare di suo marito e di come sia scomparso in una missione contro dei Troll. E' una buona storia, a dispetto delle tristi premesse, glielo garantisco.»
Gli sorrise: probabilmente si stava chiedendo dove voleva arrivare con quelle farneticazioni.
«Per me Londra è questa. Sono le persone che con le loro abitudini e i gesti apparentemente insignificanti riempiono la città di una irresistibile umanità. Certo, non è semplice trovare dei veterani tra tutti questi turisti e persone di passaggio, ma una volta che ci prende l'occhio comincia a sentirsi a casa.»
Riprese fiato, poi si guardò intorno alla ricerca di Ambipom: in mano, la lavanda aveva assunto la forma di una piccola coroncina.
«Dice che c'è qualche possibilità che stia abbastanza fermo da mettergliela in testa?» Domandò scherzosamente, cercando di attirare l'attenzione della scimmietta.