| Camminavano per una Londra dai colori artificiali, dove i dettagli si perdevano nelle numerose ombre che i lampioni e le insegne luminose non riuscivano a svelare. Allo stesso modo, la luce che Lia aveva riversato sulla sua storia lasciava Jolene interdetta, incapace di osservare il quadro con chiarezza. Rimase in silenzio durante la loro passeggiata, nel tentativo di destreggiarsi tra quella che le pareva una forma volutamente complessa, volta a nascondere una verità tanto semplice quanto spiazzante. Se Lia fosse stata disturbata dal suo silenzio, se l'avesse interrogata con lo sguardo in cerca ci conferme, Jolene avrebbe annuito con un leggero sorriso, come a dire che aveva compreso e, per il momento, andava bene così. La conclusione a cui arrivò, quando ormai erano sul punto di fermarsi, era anche il primo pensiero che l'aveva colpita, ma che era stata portata a mettere in discussione a causa della stranezza della confessione. Lia era la stessa ragazzina del proprio racconto: colei che era sopravvissuta agli abissi, dopo esservisi abbandonata di propria volontà. Ora, diversi anni dopo, mostrava un'autentica forza nel raccontarsi a lei, illustre sconosciuta. Era stata una mossa spiazzante, un gioco d'azzardo smorzato dalla forma ambigua, unico tentativo di proteggersi da un occhio esterno. Si leggeva un leggero cambiamento nel volto di Jolene, quando arrivarono a destinazione. La ragazza sembrava riservare un'attenzione ancora maggiore all'altra; a parte questo, però, la rossa non palesò nessun tipo di nuova consapevolezza. Avrebbe voluto sapere di più: che cosa aveva scoperto di se stessa, delle possibilità che avevano permesso alla Natura di riportarla in vita. Avrebbe voluto sapere come era stato abbracciare la morte, e che cosa l'avesse spinta a cercare il suo tocco. Sarebbe rimasta volentieri seduta per tutta la serata, ad ascoltare un racconto sincero. Perché, inutile dirlo, la possibilità che Lia la stesse prendendo in giro non la sfiorò neppure. L'ambiente, ad ogni modo, richiedeva che le due assumessero un ruolo diverso: che lasciassero tacere le parole, mentre sarebbe stato il corpo ad esprimersi nel ballo disordinato che era tipico dei locali come quello scelto da Lia. Jolene la seguì senza indugiare, sentendo fin dall'esterno il richiamo di una musica martellante, capace di annullare qualsiasi altra sensazione. Il tocco fermo della donna la guidò immediatamente sulla pista, dove rimase per qualche tempo indecisa, limitandosi ad ondeggiare dolcemente. La Medimaga, invece, pareva già del tutto a proprio agio, tanto che a guardarla, immersa perfettamente nel movimento che la circondava, Jolene sentì allentarsi la tensione dei propri muscoli. Complice anche lo champagne che aveva in corpo, lasciò che prendessero il sopravvento il richiamo prepotente della musica e la presenza elettrizzante di tanti sconosciuti. Nella penombra, Jolene sorrise a Lia. Le posò una mano sulla spalla, avvicinandosi per farsi sentire. «Non se la cava male come guida notturna, Miss.» Non avrebbe smesso di ondeggiare al ritmo della musica e, anzi, avrebbe invitato Lia a ballare insieme a lei, a coordinare i loro movimenti.
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