O r p h i c, Concorso a Tema: Agosto 2018

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view post Posted on 29/8/2018, 00:19
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◗ Killian F. Resween

◗ 25 anni

◗ Rosegarden St n.9
«Ecco, prenda»
«Oh, grazie caro!»
«Lo avevano detto che sarebbe stata una notte fresca»

Killian consegnò la grande coperta nelle mani dell’anziana prima di lasciarsi ricadere sulla sgangherata sdraio da giardino che accolse il suo peso con uno scricchiolio metallico affatto rassicurante. La McCramble avvolse la calda stoffa che il giovane aveva recuperato dal proprio appartamento attorno al corpo paffuto e poi si riappropriò con la felicità di una bambina del cannocchiale d’ottone, anch’esso appartenente al mago. Era un bene che il manto stellato sovrastante si fosse reso l’unico centro di attenzione della donna, altrimenti quest’ultima avrebbe potuto notare che le decorazioni della trapunta a cui si stringeva avevano un motivo sin troppo simile a quello del tappeto persiano nel salotto di Killian – era dovuto ricorrere ad una trasfigurazione perché in pieno Agosto coperte e affini erano state letteralmente bandite da casa sua – o che il piccolo telescopio che le aveva ceduto per l’occasione presentava una quantità abnorme di manopole, levette e pulsanti le cui funzioni dovevano rimanere ignote alla conoscenza di una babbana. Per fortuna, invece, gli occhi cerulei ed acquosi della vecchietta sostavano saldamente ancorati alla volta celeste riccamente adornata di piccole gemme luminose che, silenziose, sembravano ricambiare lo sguardo. «E’ bellissimo, vero?», la voce solitamente acuta di Azalea raggiunse Killian come un soffio appena accennato, sfuggito al profondo sospiro di chi riesce a meravigliarsi ancora nonostante l’età e le numerose esperienze. «Hm», un minimo cenno di assenso da parte del venticinquenne che risultò distratto e automatico. In realtà, lui non si era lasciato rapire con altrettanta facilità dallo spettacolo naturale che si apriva infinito ad un palmo dai loro nasi. Piuttosto, l’interesse dell’Auror vagava lì, a terra: sebbene fossero diversi anni che abitava al n. 9 di Rosegarden St non aveva mai messo piede, o quasi, sul terrazzo ricavato tra i tetti spioventi. Lo spazio non era eccessivamente ampio eppure l’arzilla padrona di casa aveva trovato comunque il modo di colmare ogni metro quadro di piante e fiori da far invidia alla più assortita serra di Hogwarts. E così, immerso nella fresca e rigogliosa vegetazione che prosperava sul tetto del proprio appartamento, Killian assaporava lo scenario di una Londra sonnacchiosa e placida anziché quello offerto dalle costellazioni tanto acclamate dalla donna. «Sono proprio contenta che tu sia qui». Lui non aveva difficoltà alcuna a crederle dato il sorriso entusiasta dell’anziana nell’apprendere della serata libera del ragazzo, esibito subito prima della proposta – molto simile ad un ordine inviolabile – di godersi la notte di S. Lorenzo nel loro “attico personale”. «Così riporto alla luce un'abitudine della gioventù: passare questa serata speciale in compagnia di un bell’uomo! E non ridere che ti vedo!». Le labbra scure del mago si erano infatti curvate in un sorriso di affettuoso divertimento per l’accenno malizioso e non troppo vago al passato. Azalea McCramble conservava una personalità spigliata e fresca anche ora che molti anni gravavano sulle sue spalle ossute, perciò Killian si era fatto un’idea ben precisa di chi fosse stata da giovane grazie anche ai numerosi racconti che lei non perdeva mai occasione di narrargli. «Ci ha sempre creduto? Alla storia dei desideri, intendo». Parlando, aveva svogliatamente allontanato con la mano tatuata un insetto che ronzava attorno al suo viso rilassato. Era curioso di scoprire cosa ne pensasse la gente non-magica di astronomia e astrologia: un tempo, quando i due popoli vivevano ancora in comunione, le conoscenze magiche non venivano nascoste come il più grande dei segreti ma anzi condivise. Qualche retaggio persisteva ancora tra i babbani soprattutto sotto forma di tradizione o, nel peggiore dei casi, superstizione. Di certo le sciocchezze che gli era capitato di leggere (ad esempio gli oroscopi che la Signora Darlen della casa all’angolo confezionava per poi propinare agli sprovveduti almeno una volta a settimana) non avevano nulla a che fare con le vere scienze che interpretavano il firmamento, ma costituivano una testimonianza molto importante di come anche le persone prive di magia potessero in qualche modo intuire – o meglio “avvertire” – il mistero intrappolato in quei muti corpi luminosi. I babbani non potevano coglierne l’essenza o il significato, ma ciò era precluso anche a molti maghi. Killian si sentiva indubbiamente uno di questi al punto di arrivare a provare quasi invidia per chi invece sembrava possedere delle risposte … o almeno solide convinzioni. Aveva creduto che la donna affianco a lui, da molto immersa nelle dinamiche celesti di quella notte di metà Agosto, facesse parte della seconda ristretta categoria, ma la sua voce gracchiante inaspettatamente sfatò l’opinione del Resween: «In realtà non saprei». Percependo gli occhi nuvolosi del ragazzo essersi posati con incredula insistenza sulla propria figura avviluppata nella coperta-tappeto, il viso della McCramble abbandonò la volta stellata per rivolgersi in sua direzione e sorridergli dolcemente quasi che dovesse scusarsi di qualcosa come l’aver disatteso le aspettative. «Forse le stelle sono troppo belle e distanti per curarsi dei nostri affari. Possiamo solo ammirarle e comprendere quanto infinitamente piccoli siamo al loro cospetto… e questo può aiutare più di un desiderio affidato al cielo». Ora pure l’Auror aveva il naso all’insù, lasciando che il nero della notte puntellato di astri riempisse anche le proprie iridi in un bagno di sensazioni. L’affermazione finale sfuggiva alla comprensione del mago: benché non credesse nella realizzazione dei sogni espressi alla vista delle stelle cadenti, poteva immaginare la speranza che scaturiva dal gesto. Ormai interessato alla conversazione, non esitò ad indagare: «Come può il sentirsi insignificanti aiutarci?», se non fosse stato una persona disillusa dalla vita, oltre allo scetticismo sarebbe trapelata anche una punta di sgomento nell’interrogativo. Tra le piante odorose si sollevò, sottile quanto la brezza estiva che le carezzava, una pacata risata. «Questa è una domanda tipicamente da uomo». Un cigolio acuto provenne dalle giunture arrugginite della sdraio su cui Killian era seduto quando lui si mosse agitato, nel dubbio di dover considerare le ultime parole un insulto o meno. L’anziana si accorse del fraintendimento e si affrettò a proseguire senza tuttavia rinunciare al sorriso materno e divertito che aveva indossato. «Mi correggo: tipicamente da essere umano, ecco cosa volevo dire. Ci lasciamo incatenare dalla razionalità e dalla logica di cui tanto ci vantiamo. Sentirci persi, per una volta, potrebbe rimpicciolire il nostro ego e allora quelle catene ci scivolerebbero addosso. Più accettiamo di essere minuscoli, meno si fanno strette, lasciando lo sguardo libero di volgersi laddove la presunzione di comprendere tutto ci impediva di approdare». Il tono consapevole che la donna aveva usato celava trame di saggezza che Killian avvertiva vibrare tese tra le parole. Non era solo sorpreso, ma sinceramente esterrefatto sia perché si sentiva colpito in prima persona dalla critica sull’uso dell’intelletto, sia perché mai si sarebbe aspettato un messaggio così pregno di significati mistici e trascendenti, difficili da afferrare. Ragionò sull’ultima frase pronunciata dall’anziana circa il volgere lo sguardo “altrove”: possibile che stesse facendo proprio questo mentre ammirava affascinata il Cielo e le sue innumerevoli argentee Figlie? Il volto giovane del mago appariva teso in una smorfia pensierosa che non nascondeva il leggero sbigottimento di cui era preda. Azalea non ebbe difficoltà a percepire la titubanza che tutto in lui emanava e dopo qualche istante scelse di offrire una personale esperienza per esempio, anche se non la presentò come tale. «Molto tempo fa, è stato Hugo a rivolgermi un discorso simile prima di partire per uno dei suoi interminabili viaggi. Non ti preoccupare se non ti è chiaro subito, anche io ci ho messo un po’ ». Al venticinquenne parve di poter toccare con mano il calore e l’affetto impressi nel pronunciare il nome dell’uomo che l’aveva presto lasciata vedova. L’unica fotografia presente in casa che ritraeva il marito della donna presentava un giovane di bell'aspetto in divisa scura. Lei l’aveva conosciuto già soldato della marina inglese e indossando quella stessa uniforme era morto prima che potessero costruirsi una famiglia. «Mi disse che per quanto lontano la sua nave lo portasse, se la sera avessi osservato le stelle sarei stata certa di condividere con lui quel momento: mi aveva promesso che l’avrebbe fatto ogni notte». Killian quasi faticò a distinguere la sua voce per quanto questa si era resa fioca, confondendosi con i fruscii del vento. Era carica di commozione e il silenzio del ragazzo si fece più profondo perché non aveva altro modo di mostrare rispetto per la dolorosa malinconia che l’anziana aveva deciso di esternare con lui. «So che è impossibile per tutta quella roba dei fusi orari e degli emisferi e quant'altro, però… osservando le stelle come mi aveva chiesto, io riuscivo davvero a sentirlo accanto. E per lui era lo stesso, me lo scrisse in una delle sue ultime lettere». Una pausa permise alla vedova di impedire che la voce si incrinasse ulteriormente e all'uomo di fingere di non essersene accorto. «Sapevo che non poteva essere lì, ma avvertivo la sua presenza comunque. Penserai che sia una follia, ma-» «No, non lo penso affatto». Era vero, non dubitava della sincerità del racconto anche se ancora non poteva comprendere cosa realmente significasse provare ciò che lei narrava. Era qualcosa oltre la Magia stessa come lui la conosceva. Per un po’ nessuno dei due abitanti del n.9 di Rosegarden St infranse la quiete taciturna che era calata sul tetto alla stregua di nebbia mattutina, impalpabile e avvolgente. Dal modo in cui Azalea riprese ad esaminare il manto della sera finemente ricamato dei lucenti corpi celesti – e ora lui capiva il vero valore che quelle lontane esistenze assumevano per la donna – Killian indovinò l’interrogativo che insieme la tormentava e tranquillizzava: possibile che Hugo mantenesse ancora la promessa, ovunque il suo spirito riposasse? «In ogni caso non capisco proprio come un affascinante giovanotto possa passare una notte così romantica in compagnia delle lagne di una vecchiaccia e non con qualche bella ragazza». La McCramble decretò che era tempo di tornare ad un clima più leggero e dopo essersi schiarita la gola virò su un argomento che avrebbe facilmente permesso loro di riprendere a scherzare. Ma il tentativo di sdrammatizzare prese Killian e in un attimo lo trasportò lontano prima che la sua volontà e coscienza potessero opporsi. Complice il discorso da cui era appena uscito profondamente scosso, la sua mente disegnò tra gli astri un volto a lui ben noto. Ne riconobbe il candore lunare, i tratti delineati con eleganza e precisione e l’oro dei capelli che cadendo incorniciavano il viso perfetto della giovane a cui il suo inconscio era volato immediatamente. Non solo la vista, ma anche gli altri sensi si inebriarono della dolce illusione e così i mille odori sprigionati dalla flora circostante tacquero a favore della fragranza associata alla figura dagli occhi di giada mentre ovunque si diffondeva il riverbero della sua risata cristallina. Era riuscito a non pensare a Lei nelle ultime settimane poiché dimenticarla era tutto ciò che ambiva, ma ora si ritrovava a vederla, sentirla, percepirla proprio lì, vicina e vivida. Era successo anche a lui quello che di inspiegabile aveva compreso essere possibile. Non si chiese come, non si chiese perché. Sentiva che non doveva: semplicemente, lasciò che accadesse. Azalea, non trovando alcuna risposta alla punzecchiatura attuata e reputandolo strano per il carattere del venticinquenne, si volse a controllare lo stato di quest’ultimo. Le iridi grigie si mantenevano fisse al firmamento ma l’espressione esibita le suggerì che erano pieni di qualcos'altro che l’aveva irrimediabilmente rapito. La certezza che le sue parole avessero fatto breccia nello spirito dell’altro la indusse a credere – a ragione – che piuttosto si trattasse non di un “qualcosa” ma di un “qualcuno”. Rimase in silenzio per non infrangere l’intimità del momento, almeno fino a quando non venne suggellato da un bagliore fugace nella maestosità dello spazio che solcò il volto celato nei desideri inespressi dell'uomo come una lacrima iridescente.

«Killian, guarda!»


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Edited by Killian Resween - 29/8/2018, 16:19
 
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«L'hai vista, Amber?»

Come avrebbe potuto non vederla? Il volto delicato della diciottenne si era sollevato proprio pochi attimi prima, in un estremo tentativo della ragazza di godere almeno un po' della volta celeste. La notte di S.Lorenzo era fatta proprio per quello ed avere l'ampio giardino di Villa Hydra a fare da sfondo poteva risultare una combinazione perfetta. Certo, eccezion fatta per lei che più tempo passava ad osservare le stelle e meno riusciva a mettere un freno alla propria malinconia. Ovunque volgesse lo sguardo, finiva per sentirsi maledettamente preda dei ricordi; a seguito di un lungo ragionamento era quasi arrivata al punto di capire come il problema fosse lei e non il resto del mondo. Quindi, quando la voce di Zio William la raggiunse, lei non mosse un solo muscolo per fargli comprendere se l'avesse udito oppure no. Si erano volutamente separati dal resto della famiglia, che invece aveva preferito utilizzare l'osservatorio dell'ala ovest, al primo piano del maniero. Amber aveva chiesto di potersi assentare e, su indicazione di John, William l'aveva seguita più come consigliere che come effettiva scorta. Nonostante l'umore nero, la ragazza aveva accolto di buon grado l'imposizione a non muoversi da sola, seppur in quel momento sembrasse ignorare volutamente il "guardiano". Quando la cometa come una lama divina tagliò la volta scura senza alcuna pietà, questa si riflesse all'interno delle iridi chiare della ragazza. Pochi attimi incredibilmente sfuggenti che lasciarono in Amber molto di più. Quell'astro in caduta libera non aveva squarciato impunemente solo il cielo di una fresca sera d'estate, ma si era trasformato in una singolare ferita luminosa su un volto che la strega conosceva fin troppo bene. Una visione a dir poco devastante, ma che non poté impedirsi, trascinata da una forza ben più potente e irrazionale. Gli occhi grigi come le nuvole più ostili di Londra, pronti ogni tanto a liberare il sole, tenuto spesso e volentieri in una dolce trappola. Le labbra sottili, sempre sul punto di regalarle un ghigno invitante. I profili definiti di un viso maturo ma che non per questo risultava sempre duro e impassibile. E la semi luna tatuata che, in cielo, combaciava terribilmente con lo spicchio luminoso di quella reale. Il cuore mancò un battito. Non lo vedeva così nitidamente da talmente tanto tempo che immaginarlo come un qualcosa di lontano fu l'unica opzione possibile, eppure le parve lo stesso ancora troppo vicino. Le ciglia tremarono. Una morsa le chiuse la gola. Il profumo del sottobosco, vicino alla tenuta, la raggiunse avvolgendo tutti i suoi sensi e rendendo ancora più vivida quella visione. Per lei era il profumo dell'Amortentia. Per lo zio, forse, la normalità. «S-si...» Sussurrò appena, distratta ed al contempo ancora scossa da quella costellazione dal volto umano. Non se ne era accorta, ma nel momento esatto in cui l'uomo le aveva indicato il cielo, era diventata il soggetto principale di una metodica ricerca. William non era cieco agli sbalzi d'umore di sua nipote, non lo era mai stato. Sebbene la vedesse poco - e recentemente anche quel "poco" era diventato una rarità - era in grado di notare i cambiamenti espressivi che lei nemmeno sapeva di palesare. Forse il suo rendersi incredibilmente fragile quando arrivava lo zio era un modo per chiedere inconsciamente il suo aiuto, o forse era solo lui che amava raccontarsi quella storia per convincersi di poterla aiutare nei momenti di bisogno. Se molte volte John non riusciva a cavare un ragno dal buco, intestardendosi ad affrontare Amber con una durezza marziale, molte altre era proprio il fratello maggiore ad andare in loro soccorso, avvicinandosi alla ragazzina più di chiunque altro. La studiava senza chiedersi se potesse risultare invadente o meno, a lui avrebbe dovuto essere abituata. D'altro canto, quella sera lei aveva così tanti pensieri attorcigliati l'un l'altro che difficilmente si sarebbe accorta delle attenzioni che le venivano rivolte. O forse semplicemente non erano quelle le attenzioni di cui credeva di aver bisogno. Gli occhi castani del mago seguirono il profilo assorto della ragazza, prendendo nota di come ogni leggera curva potesse sposarsi bene con le flebili luci delle fiammelle incantate per seguirli. Qualunque cosa le passasse per la mente, doveva essere molto importante data l'espressione che imperava sul volto pallido, identica a quella di chi era ancora perso in una dimensione per niente terrena. La radura ampia non imponeva loro alcun limite, e più si allontanavano dalla villa più la volta celeste si espandeva minacciando di inghiottirli per sempre. Forse, si disse lei tornando ad osservare il buio circostante, il cielo le avrebbe fatto un immenso favore isolandola dal mondo. Amara, l'idea che quasi un anno prima aveva avuto sul come - e soprattutto con chi - avrebbe voluto passare quella sera , tornò ad infliggerle ulteriore dolore. Quando finalmente Amber parve tornare in sé, William ne approfittò per indagare. «Allora, hai espresso un desiderio?» La voce incuriosita del mago arpionò la volontà della giovane, costringendola a tornare alla realtà prima che il mare profondo e puntellato di stelle se la portasse via. «No» Rispose con estrema sincerità, quei languidi occhi verdi non avrebbero potuto mentire ed effettivamente non ne avevano un motivo. «Avrei dovuto?» Chiese, inaspettatamente, cogliendo anche il mago alla sprovvista. Nelle iridi profonde come pozzi con cui la guardò vide non solo lo stupore di un uomo dedito ad una vita completamente razionale, ma anche il calore e l'affetto di uno zio premuroso. Qualcosa che negli anni aveva scordato. L'uomo scostò il braccio dal corpo; era il chiaro segno di come volesse che lei vi si appoggiasse, anche aggrappandosi senza alcun ritegno se l'avesse ritenuto necessario. Non si era mai arreso davanti agli ostacoli che Amber metteva sulla propria strada, così come non aveva mai accettato un suo rifiuto e, pur sapendo che la nipote non apprezzava il contatto fisico nel novanta per cento dei casi, le offrì il braccio. Se proprio dovevano parlarne, tanto valeva che fossero abbastanza vicini. La bionda lo osservò per un paio di eterni attimi, furono troppe le parole che non disse, ma bastò un cenno gentile e rassicurante per farla cedere. Assecondò quel gesto e le dita si strinsero attorno alla pelle ruvida del suo temporaneo accompagnatore. L'attenzione si alternava tra il cielo ed il terreno ben curato, frutto di anni di lavoro del caro Barry Lewis. «Non saprei dirtelo, Serenity...» nell'udire il suo secondo nome, ad Amber si strinse il cuore. Solo lui poteva chiamarla in quel modo e solo lui sapeva cosa significasse farlo. Poco dopo, però, fu lo stupore per l'incertezza ad incatenare lo sguardo della ragazza a quello profondo, cupo e serio dello zio. «Tu ormai sei abbastanza adulta per prendere queste decisioni in autonomia. » La voce calma non si spense di fronte ad una possibile protesta dell'altra «Ma non avrebbe senso! Perché mai una stella dovrebbe potermi aiutare?»che non si rese conto di aver così ammesso di ricercare un aiuto, ma il mago non calcò eccessivamente la mano, concentrandosi invece sul primo apparente problema. Inspirando, non fermò il suo incedere, preferendo proseguire verso il punto che - a detta sua - sarebbe stato perfetto per avere sotto controllo l'intera volta celeste. Afferrò la mano di Amber con la propria, un gesto che portò la ragazza a lasciarsi sfuggire un sospiro sorpreso. Lo aveva sempre rispettato per il modo in cui si serviva della logica e perché lasciava poco spazio ai sentimentalismi - era forse il motivo per cui avevano abbandonato il gruppo d'osservazione familiare insieme -, o almeno così credeva. In verità William Hydra aveva un'intera gamma di emozioni umane che viveva con la stessa intensità che investiva nel proprio lavoro di Avvomago al Ministero, ma sapeva in quali momenti esporsi ed in quali era meglio evitare. Quella notte non aveva alcun senso rimanere sterili, soprattutto se ad accompagnarlo era una nipote che mai come in quel periodo sapeva essere tanto sconvolta. «Vedi, ogni tanto è giusto e lecito abbandonarsi a quelle innocue credenze, quelle in cui i babbani letteralmente navigano, se se ne sente il bisogno.» In cuor suo lei sapeva che avrebbe preferito di gran lunga sentirsi dire che era sciocco e terribilmente irrazionale affidare un desiderio a masse gassose distanti anni luce, ma lo zio non disse niente di simile. Incredula ed incapace di capire, arrestò i propri passi prima che William potesse mostrarle una roccia tonda in un punto preciso accanto al boschetto. Era evidente come quella risposta non l'avesse soddisfatta, eppure il mago non solo non ne fece un cruccio, ma parve canzonarla con quel sorriso astuto che per anni era stato il suo marchio di fabbrica. «Non puoi pensare che io non veda cosa ti sta succedendo, Serenity. Non sono cieco. Nessuno di noi lo è.» proseguì anche quando lei scelse di guardare altrove per concentrarsi sulla fitta erbetta umida. «Non ti sto chiedendo di credere che una stella possa rispondere alle tue domande, o avverare un desiderio. Ti sto dicendo che dovresti abbandonare per una notte la razionalità a cui tanto ti aggrappi ed accettare di essere anche tu... umana.» Il nodo alla gola strinse la propria morsa, minacciando di aggravare ancora di più la situazione. Non sapeva come vi fosse riuscito, ma le parole che aveva espresso l'avevano smontata pezzo per pezzo. Aveva centrato ogni punto con una precisione chirurgica e letale che non poté non spaventarla, non voleva essere così un libro aperto per lui, o per chiunque altro. «Io... non-... non posso.» si sforzò di negare velocemente con il capo, permettendo che il viso venisse oscurato dai capelli biondi. Quando lo zio avanzò per cingerle le spalle, rimase inerte. «Devi. Tu devi lasciare che l'Universo - l'hai studiato, so che conosci le teorie sulla nascita della magia e dell'energia che sfruttiamo - accolga i tuoi pensieri per una notte. Una sola. Togliti il peso che porti sulle spalle, consegnalo alle stelle, ne avranno cura per te.» Una saggezza del tutto nuova, meno razionale e più mistica, aggiunse una nota differente alla voce del primogenito degli Hydra che toccò l'anima di Amber penetrando ben oltre i muri distrutti da una recente battaglia. Indecisa se sentirsi confortata o confusa, alzò di nuovo gli occhi verso la volta scura e trapuntata di stelle. «Così, brava. Lascia che il cielo ti mostri ciò che deve. Accettalo. E... non tornare troppo tardi.» Abbassando il tono, l'uomo si distaccò da lei, non senza guadagnarsi un nuovo urgente confronto con l'espressione indecifrabile della nipote. Quelle piccole sfere color giada, rese vivide dalle fiammelle che volteggiavano, gli mostrarono uno stupore sincero. Cosa sapeva lui della visione che Amber aveva avuto poco prima? L'aveva sperimentata?
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◗ Amber S. Hydra

◗ 18 anni

◗ Villa Hydra - Londra
Sapeva qualcosa che lei non aveva capito? Aprì bocca più volte senza emettere un suono, ed il sorriso soddisfatto di lui fu l'unica risposta che ottenne. Più tardi, negli anni, avrebbe potuto capire a cosa associare la curva particolare di quelle labbra, ma finì per comprendere solo di non poterla razionalizzare. Inerme, osservò lo zio allontanarsi e lasciarla sola. Non appena la sagoma svanì, la strega si arrampicò sulla grande roccia rotonda e le candele si posarono in cerchio attorno a lei. Incrociò le gambe e si concesse un profondo respiro. Davvero le stelle avrebbero potuto accogliere i suoi pensieri e liberarla da quel peso per un po' di ore? Era sciocco voler provare? In fondo, erano state loro a mostrarle quel volto dopo troppo tempo passato a tentare di dimenticarlo. Si sistemò una ciocca ribelle dietro l'orecchio destro ed in contemporanea chiuse gli occhi, inspirando. Poi, lentamente alzò lo sguardo verso il mare scuro sopra la sua testa. Rimase così, per quasi un'ora, in contemplazione. Sospesa in un limbo tra la speranza di poter rivivere l'estemporanea apparizione di prima e la certezza di non uscire indenne da una seconda visione tanto reale quanto inspiegabile.


Edited by ˜Serenitÿ - 29/8/2018, 11:11
 
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view post Posted on 29/8/2018, 15:34
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