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view post Posted on 31/10/2018, 14:55
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When the snow falls, the fox tries to survive.

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Aiden Weiss

▵ Auror ▵ Ex Grifondoro ▵ 27 anni ▵ Irlandese


Strani pensieri affiorarono nelle mente dell’Auror: per chissà quale strana e arcana ragione, Thalia stava temporeggiando. Era stato invitato ad incontrarla nuovamente per assisterla, aiutandola in qualcosa che - in un modo o in un altro - la stava turbando nel profondo, ma di cui ne ignorava ancora l’esatta natura. Più la rossa prendeva tempo, evitando di rispettare la parola data quasi un’ora prima, più il Mago di Galway iniziava ad indispettirsi e a sospettare di lei.
Ben presto la pazienza sarebbe andata in fumo e poi solamente gli Dei sapevano come il fulvo avrebbe potuto reagire, palesando un lato di sé che voleva a tutti i costi risparmiare a Thalia, perché - nonostante tutto - non se lo meritava e di certo non avrebbe giovato a nessuno dei due. Iniziò a maturare una certa reticenza, indeciso se continuare quella farsa oppure se alzare i tacchi e andarsene; eppure, sebbene sentisse la necessità di piantare un paletto tra loro, interrompendo quel ritmo a dir poco fastidioso, Aiden non poté fare a meno di assecondarla, oltre ogni sua umana aspettativa.
Perché si sentiva come inchiodato sul posto, a rispettare i termini di un’adolescente che preferiva parlare dei problemi dell’Auror piuttosto che dei propri? Perché Thalia, semplicemente, non parlava e basta? Doveva cavarsi quel dente marcio, lo sapevano tutti e due, eppure lei preferiva prendere altro tempo, come se realmente servisse a risolvere qualsiasi cosa la stesse tormentando fino alle radici più profonde dell’anima.
Weiss non riusciva a concepire l’idea di abbandonarla, non dopo che erano state spianate quelle prime basi tra loro, non dopo averle dato la sua parola d’onore che sarebbe rimasto al suo fianco, qualsiasi cosa lei desiderasse davvero da lui; dubitò, però, che ella volesse davvero parlare più del fulvo che di sé stessa. E allora cosa stava tacendo? Cosa stava nascondendo all’Auror?

Abbozzò appena un sorriso, apprezzando l’interesse finalmente sbocciato in Thalia per quello strumento che si era ritrovato a rivelarle. Lo aprì lentamente, volgendo lo sguardo alle pagine che prese a sfogliare con estrema attenzione e delicatezza, quasi fossero fragili e pronte a frammentarsi tra le sue dita. Cercò una specifica data di suo interesse, quel 29 Aprile in cui sapeva vi fosse riposta una busta contenente una delle tante lettere che aveva intessuto un puzzle durato nel tempo.
«Questo è il diario di una mia antenata, nonché amica della Veggente che mi ha lasciato la Profezia. L’ho scoperta così, in un certo senso, anche se in realtà è molto più complicato e non credo sia il caso di parlarne proprio ora.» spiegò brevemente, la voce piatta mentre afferrò tra le mani sicure la busta e aprendola. «Questa è una prova, Thalia. Una prova ed un indizio al tempo stesso, perché solo seguendo i vari messaggi che mi sono stati lasciati nel tempo ho potuto risalire alla Profezia vera e propria.»
Dispiegò quel pezzo di pergamena ingiallita e lessa ad alta voce.



Colui che reca il simbolo dell’Arpa di Boru sul suo corpo è destinato a trovare il messaggio.
29 Aprile 19XX



I lineamenti di Aiden si indurirono all’improvviso, mentre gli occhi vennero attraversati da una scintilla colma di rimprovero e severità. Si era incupito a seguito delle parole di Thalia, così cariche di incredulità ed incomprensione che per poco mandarono in bestia il fulvo. Lei si era aspettata tutta la sua comprensione e Aiden, di certo, si era aspettata la sua. Perché nessuno si decideva a ricambiare?
Con un moto di stizza, Aiden serrò la mascella. «No, Thalia. Hai travisato le mie parole.» mormorò con un tono di voce pacato, misurato, stemperato da quella che era la promessa di una tempesta e quella non era altro che la quiete che la preannunciava. Thalia poteva evitarla oppure provocarla, tutto dipendeva solo ed esclusivamente da lei. In ogni caso, l’Auror avrebbe tentato di agire tramite vie gentili e diplomatiche, ma se fosse servito allora avrebbe usato il pugno d’acciaio. «Non è né l’inizio né la fine. E’ solo una fase... passeggera, probabilmente, ma terribile e significativa.» Poi prese ad ingranare la via per la rabbia, ormai accesa e ardente quanto il falò davanti a lui, solo che bruciava con più insistenza e bramosia di essere liberata. Serrò i pugni sopra le ginocchia, sopra lo stesso libricino che ancora custodiva sul proprio grembo con estrema devozione e attenzione, mentre le nocche presero a sbiancarsi. «Te l’ho già detto che voglio vivere!» sibilò con voce rauca e dura quanto una sbarra d’acciaio. «Non ho potuto fare altro che accettarlo, Thalia, mi è stato del tutto inevitabile; e questo perché altrimenti verrei preso alla sprovvista. Capisci che non posso permettermelo? Pensi che non abbia paura? Pensi che mi renda felice essere parte di un chissà quale oscuro e macabro piano del Destino? Pensi che non sappia che rischio di diventare pazzo? Ma la verità è che io soffro per questo! Soffro e ho paura, anche se la nascondo dietro una maschera!» La rabbia ormai aveva raggiunto i cancelli e fu sul punto di sfondarli con arroganza, per poi liberarsi nell’aria come una malattia, finché…
La voce di Thalia sembrò penetrargli nel cervello come un ago incandescente, mandandolo in uno stato di tilt assoluto. Aiden aveva percepito una nota chiara nel timbro di voce della ragazza, sovrapponendosi al linguaggio del corpo, che lo indusse a tradurre l’intero quadro in pochissimi e brevi istanti: la rossa era giunta al limite e le lacrime, miste a dolore, l’aveva travolta in pieno quanto la rabbia fu sul punto di portare via l’Auror. Se da un lato lui era riuscito a placarsi prima che fosse troppo tardi, dall’altro lei non sembrò altrettanto fortunata.
Veloce come un fulmine a ciel sereno, il Mago scattò in piedi - incurante nel lasciar cadere a terra il diario dell’antenata - e raggiunse in poche falcate la ragazza. Non volle saperne di riflettere sulle proprie azioni, si sentiva già abbastanza in colpa per come le aveva parlato per pensare anche solamente a come avrebbe potuto reagire lei a quanto lui si accingeva a fare. Era più forte di lui, una costante indelebile, quella di accorrere non appena una fanciulla accennava a sprofondare nel pianto. E così, intenerito da quella fragilità da parte di Thalia e pentito per essere stato lui la causa di ciò, Aiden la avvolse in un abbraccio consolatorio, protettivo e disperato senza nemmeno chiederle il permesso, ma infondendo in quel gesto una silente richiesta di perdono.
«Ci sono io ora… Va’ tutto bene. Ci sono io...» mormorò. Quelle furono le sole parole che riuscì a dirle, mentre prese a cullarla tra le proprie braccia, nella speranza che ella potesse assorbire una porzione della propria forza e la facesse sua.
Non l’avrebbe abbandonata.


Piccolo upgrade della musica :flower:



Edited by Aiden Weiss - 1/11/2018, 05:44
 
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view post Posted on 1/11/2018, 23:02
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Non avrebbe potuto accorgersene nemmeno se l’avesse voluto, troppo impegnata ad ascoltare le parole riguardo quello strano ed oscuro libretto. Se poco prima vi aveva riversato interamente la propria attenzione, ora - con il verso di un gufo all’improvviso in sottofondo - non riusciva a pensare ad altro che non fosse il desiderio di piangere.
Non avrebbe versato una lacrima se avesse potuto, troppo orgogliosa per farlo e troppo spaventata all’idea di ammettere la sofferenza che le aveva colmato il cuore in quei pochi e fuggevoli istanti.
Aiden aveva già smesso di raccontare, persino di leggere, i dettagli della sua storia e di quella Veggente, pronto ad investirla con quella rabbia che tanto malamente stava cercando di nascondere.

C’erano stati momenti, durante quell’incontro, in cui aveva creduto fermamente che potessero andare d’accordo, comprendere i rispettivi punti di vista e valicare insieme gli ostacoli delle reciproche esistenze. Aveva ritenuto l’intera situazione, insomma, come il perfetto trampolino di lancio per un’amicizia, di certo fuori dal comune, che li avrebbe aiutati entrambi a superare le difficoltà. Capiva, però, di essere soltanto una ragazzina ai suoi occhi, un essere umano con le sembianze di una donna, ma il comportamento di una bambina. I loro punti di vista differivano in modo tanto evidente da suggerirle che sarebbe stato meglio non voltarsi per non incrociare il suo sguardo severo ed imboccare la via del ritorno da sola, prima che fossero dette parole troppo importanti per essere ritrattate con naturalezza; tuttavia, mentre lui sembrava urlare di voler vivere ad ogni costo e contro ogni pronostico funesto, non poté fare a meno di volgere lo sguardo nella sua direzione, incrociandolo lì dov’era sempre stato, al di là del fuoco acceso che ora sembrava divampare nel suo cuore. C’era durezza nei suoi occhi solitamente dolci e i suoi modi, sovente accomodanti, avevano spazzato via la calma per lasciare il posto ad una forma di rabbia che Thalia non aveva mai visto né sperimentato in prima persona. Aiden bruciava di orgoglio, rabbia e paura, una commistione tanto pericolosa che fu inevitabile per lei arretrare di un passo e lasciare che la prima - e sperò sarebbe stata l’unica - lacrima, le bagnasse la guancia fredda. Percependone il lento scorrere lungo il naso, volle evitare che lui la vedesse e la mano corse svelta al viso, il palmo aperto e pronto ad accogliere quella prima reazione di timore mista a puro dolore.

Non piangeva per lui né per ciò che gli sarebbe accaduto se la Profezia si fosse rivelata. Avrebbe potuto piangere per ciò che sarebbe stato di lei se e quando la sua sentenza si fosse avverata, risucchiando i suoi affetti in un vortice senza precedenti. Avrebbe potuto - e in segreto lo aveva già fatto milioni di volte, nascosta tra le lenzuola del suo letto a baldacchino -, ma la verità era che piangeva per la rivelazione che ormai, seppur soffocata dalle braccia che la stringevano, stava per essere pronunciata.
«Ce n’è una...» pigolò, la voce attutita dalla stoffa impregnata di lacrime «...una …su di me!»
Sperò che avesse capito, perché non era disposta a ripetere ogni cosa, a rivivere ogni paura, mentre l’ultimo sospiro esalava dalle sua labbra schiuse e le braccia, del tutto fuori controllo, si aggrappavano con forza all’Auror.
Era stato liberatorio, solo a posteriori avrebbe potuto dirlo con esattezza, ma in quel momento percepiva un peso che l’abbandonava ed un altro, immediatamente pronto a sostituire il precedente.
Lo aveva compromesso, lo aveva corrotto. Ora il timore che lui ne facesse parte aveva preso la meglio e capì cosa avrebbe dovuto provare nel dirlo a Mike, a Fiona o a chiunque altro.
Non poteva permettersi di sacrificare nessuno.
Lottò con tutte le forze per sciogliere quella presa, per separarsi da Aiden che non smetteva di cullarla come se fosse stata una bambina spaventata. Piano piano il controllo delle proprie emozioni divenne più facile e spontaneo; così crebbe anche la forza di prendere le distanze da lui e dai fianchi, i suoi palmi si spostarono alle braccia, afferrandone i polsi.
«Non dovevo dirtelo.» sbottò con voce grave «...ma dovevo sapere, dovevo… capire. Capire come… come fare.»
In quel momento decise di tacere, indecisa se proseguire con parole vuote, per lui senza senso, o se aspettare una reazione qualunque.
Forse i suoi Dei avevano le risposte, perché di certo non le aveva lei.

Thalia J. Moran | Prefect | Hufflepuff | 17

 
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view post Posted on 5/11/2018, 14:25
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Aiden Weiss

▵ Auror ▵ Ex Grifondoro ▵ 27 anni ▵ Irlandese


Pentito come non mai, l’Auror capì di aver appena scavato un profondo fossato tra loro, un ostacolo che gli divideva e che portava il nome di difetto. Aiden conosceva i propri limiti, i propri aspetti negativi, ma aveva sperato fin dall’inizio di risparmiarli a Thalia. Rabbia, Orgoglio e Paura erano tre delle cose che dimoravano in lui e che lo consumavano come un cancro, fino a svuotarlo del tutto; eppure, delle tre, quella che riusciva a controllare senza troppi problemi era proprio la Paura, nonché leva del suo immenso coraggio e sangue freddo. Le altre due, invece, erano imprevedibili e a volte si dimostravano difficili da ingabbiare e da trattenere, ma Aiden non mollava mai e cercava sempre di trovare un modo per mantenere il proprio autocontrollo.
Per una frazione di secondo aveva davvero rischiato di far detonare una bomba che Thalia non meritava minimamente, ma che - stranamente - era riuscita a fermare; non era stato solo il tono di voce della ragazza a fermarlo, c’era stato qualcosa in lei che lo aveva indotto a placarsi di botto e ad avviare una sorta di reset generale della parte emotiva dell’Auror.

Quand'ecco la Bestia vide in volto la Bella, e la Bella fermò la Bestia, che da quel giorno in poi, fu come morta.[*]


Le dita della mano che Aiden aveva portato istintivamente alla testa di Thalia, affondarono nella folta chioma rossa, percependone una morbidezza tale che gli sembrò di sfiorare la seta. Con le sue robuste mani le massaggiò il capo con un tocco tranquillo e che non sembrava appartenergli, eppure il fulvo puntò molto nel mostrarsi contrario alla semplice apparenza, enfatizzando una dolcezza che poteva apparire estranea ad un omone della sua stazza.
Mentre ella si lasciava andare contro il proprio maglione, l’Auror le sfiorò la testa con il mento barbuto, in un gesto non troppo dissimile ad un gatto che fa le fusa. Voleva calmarla, farla sentire al sicuro e - soprattutto - trovare un pretesto per chiederle scusa. Quella vicinanza tra loro riuscì a calmare persino lui, come se percepire la figura di Thalia che si aggrappava disperatamente al proprio corpo fosse una sorta di àncora di salvezza, impedendo all’Auror di cadere nel baratro a sua volta: salvarsi a vicenda pareva essere l’unica soluzione possibile.
Le parole che uscirono con difficoltà dalle labbra di Thalia, soffocate dal pianto e dal maglione sul quale erano premute, raggiunsero le sue orecchie come il più flebile dei sussurri, come il richiamo di un fantasma, al che rabbrividì. Non ci volevano dei G.U.F.O. o dei M.A.G.O. per capire il giusto significato di tali parole, per Aiden erano state cristalline come l’acqua del lago poco distante da loro e risuonarono gelide quanto uno spesso strato di ghiaccio.
Avrebbe voluto stringerla a sé come maggiore forza, anche a costo di soffocarla, pur di farle sentire tutta la propria vicinanza e sostegno, ma Thalia lottò per liberarsi in parte di quell’abbraccio consolatorio per poterlo allontanare da sé, imponendo una distanza che Aiden percepì come una ferita sanguinante ma invisibile sul proprio corpo perfetto e tonico. In quel momento realizzò che abbandonarla al proprio Destino era fuori discussione, che aveva fatto bene - fin dal principio - a non essersi voltato e imboccato una strada differente da quella di lei.
No, Thalia Moran aveva bisogno di lui e Aiden Weiss aveva bisogno di lei. E se questo non era stato il Destino a volerlo, di certo era ciò che lui aveva capito e che aveva accettato senza discutere.
Il burattinaio alla fine aveva ottenuto esattamente ciò che voleva: aveva permesso che i fili si attorcigliassero l’uno in quelli dell’altra, in una sorta di grossa matassa caotica e impossibile da sciogliere. E se uno di loro due avesse tentato di strattonare troppo o tagliare di netto i fili, cosa sarebbe successo?
«Thalia...» sussurrò flebilmente, liberando la propria mano sinistra dalla presa della Tassorosso, quella nel cui indice vi era il grosso anello d’argento. Lentamente, come se temesse di osare troppo, posò con estrema delicatezza la propria mano sulla guancia di lei, donandole sia la sensazione di calore che di freddo; rimase fermo, senza prendersi la libertà di accarezzarla più del dovuto. «Quanto sei severa...» Il naso si storse in una piccola smorfia per il tono che lei aveva adottato. «Se non volevi dirmelo, perché mi hai voluto qui? Senti, so che non sono nessuno per te però - nonostante tutto - io ci sono e se sono qui è soltanto per te. Mi avevi chiesto aiuto, perciò è aiuto quello che avrai. Te lo prometto.»
E lui le promesse che faceva, specialmente agli altri, le manteneva tutte.


[*]: Citazione del film King Kong (2005).



Edited by Aiden Weiss - 9/11/2018, 10:55
 
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view post Posted on 17/11/2018, 15:45
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Era troppo.
Fu quello il pensiero in grado di dominare la sua mente devastata dalla paura. Era stato troppo azzardato, troppo semplice e liberatorio, troppo doloroso e troppo stupido. Si maledì con tutte le forze, cercando di pensare velocemente ad un modo per defilarsi e allontanare da sé quella sensazione di oppressione alla bocca dello stomaco, provando con ogni fibra del proprio corpo a resistere all’impulso di fuggire via attraverso la fitta boscaglia.
Si era dimostrata la ragazzina che era, cercando la persona giusta a cui raccontare i propri segreti e pentendosene subito dopo. Avrebbe potuto rimediare, ma non era certa che un incantesimo di memoria avrebbe scacciato dalla mente di Aiden la promessa di quell’incontro e quanto accaduto in seguito. Non aveva potere su di lui e, a quanto pareva, nemmeno su se stessa; avrebbe potuto evitarlo, se l’avesse voluto, ma la verità era che non poteva più tacere.

Ripensò a quanto fosse stato difficile mantenere il proprio oscuro segreto per tutti quegli anni, comportandosi come una persona normale, fingendo che nulla potesse disturbare la quiete di una vita in apparenza perfetta. Davanti ai suoi occhi, velati di lacrime, le sembrò quasi che Aiden fosse sparito e, al suo posto, fossero comparse nuovamente le sue sorelle. Fiona e la sua espressione atterrita, Iris con il suo cipiglio severo e un po’ saccente. Erano loro le persone a cui avrebbe dovuto parlare e capì di aver sbagliato ogni cosa.
Si sentiva in balia di se stessa, delle emozioni contrastanti che in quel momento - sotto lo sguardo spaventato di Aiden - la sopraffecero e comprese di non potersi fidare di se stessa, al punto da aver quasi timore di sé. *Che cos’ho fatto?*
L’aveva resa reale, ne aveva parlato. Non ne aveva tracciato i contorni foschi né aveva avuto modo di sondarne la complessità, eppure sentiva di averle dato un corpo e uno spessore che, prima di allora, non aveva mai avuto. E quell’aspetto, più di tutto il resto, la terrorizzava.
«Ho sbagliato.» mormorò duramente, la voce arrochita «Non dovevo dirti nulla. In realtà… credo che nessuno possa aiutarmi.»
Aveva percepito la verità sottesa a quella rivelazione sin dall’inizio, sapendo in cuor proprio che Aiden fosse l’ultima persona a poterla aiutare. Se lui aveva abbracciato il suo Destino, di certo avrebbe potuto farlo anche lei, ma l’unica grande differenza era la sua immaturità: era soltanto una ragazzina in confronto all’Auror e nulla avrebbe potuto contro una minaccia mortale come quella descritta da Oliver. Che cosa aveva creduto di ottenere coinvolgendo quel povero ragazzo?

Lasciò andare il polso di Aiden, facendo ricadere il braccio lungo il fianco e scostandosi lentamente dal tocco leggero della sua mano. Prese le distanze da lui, questa volta accertandosi che lui non potesse colmare facilmente lo spazio tra loro, e gli voltò appena le spalle.
«Non fraintendermi. Io… ti sono… grata. Il punto è...»
*Sì, qual è il punto?*
«...il punto è che è una cosa che devo fare da sola. E’ che speravo… speravo di capire come… come scendere a patti con questa cosa. Forse devo arrivarci da sola, perciò… perciò tutto questo è stato inutile.»
Era arrabbiata e confusa, ma il desiderio di scappare lontano era ancora lì.

Thalia J. Moran | Prefect | Hufflepuff | 17

Perdona il ritardo :flower:
 
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view post Posted on 21/11/2018, 12:03
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Aiden Weiss

▵ Auror ▵ Ex Grifondoro ▵ 27 anni ▵ Irlandese


Se Aiden avesse saputo che da lì a poco le sue stesse parole sarebbero state vanificate, rendendo quella promessa priva di consistenza e valore allora si sarebbe volentieri risparmiato un duro colpo al proprio Onore. Tuttavia il Mago non poteva vantare del dono della Vista, né di qualsiasi altra forma di Divinazione a portata di mano, perciò come avrebbe potuto immaginare che tutta quella faccenda stava per prendere una piega inaspettata?

Al dì là dei propri limiti, nonostante possedesse una discreta dose di empatia, l’Auror riusciva a percepire la paura di Thalia come se fosse la propria. Quell’emozione così forte in lei, così radicata e determinata a non volerla mollare nemmeno per un secondo, stava turbando il rosso in modo alquanto fastidioso; avvertiva infatti una sorta di ostacolo tra loro, un freno che impediva all’uomo di essere un valido strumento di supporto e impedendo alla ragazza di ragionare con lucidità. In un certo senso quella stessa paura gli stava allontanando e Aiden non aveva idea su come superare una simile paura e raggiungere Thalia per farla rinsavire. Sapeva soltanto che entrambi ne sarebbero rimasti danneggiati, forse in maniera irreversibile, oppure che avrebbe richiesto tempo da ambo le parti.
Aiden fissò Thalia con sgomento, come se qualcuno si fosse divertito ad assestargli un poderoso calcio tra le gambe, costringendolo a crollare a terra e ad invocare il nome della madre, sperando che ella arrivasse per alleviare le sue pene. Non riusciva a credere, a tollerare quel cambio improvviso di rotta della rossa e questo lo indusse ad indurire i lineamenti del proprio volto con una repentinità tale da guadagnarsi - in tutto e per tutto - il nome di vero erede di Annabelle O’Brien-Weiss. La mascella quindi si contrasse in uno spasmo che per poco indusse l’osso a spaccarsi in due, gli occhi divennero severi come mai prima d’ora e l’avrebbero trapassata da parte a parte se solo avesse voluto, senza alcuna pietà.
Non era sua intenzione assumersi un ruolo che neanche lontanamente gli apparteneva, né poteva dirsi degno di esso o che ne avesse anche solo il minimo diritto; eppure Weiss non riuscì a trattenersi nel guardarla come un genitore deluso dal comportamento del proprio figlio. Nemmeno poteva considerarsi un Maestro che tentava di riprendere un allievo troppo indisciplinato o duro di comprendonio. Tuttavia Aiden non poté evitare di guardarla con severità e delusione, cercando di non mostrarsi nei panni sbagliati, ma restando semplicemente un uomo che era rimasto ferito dalle parole di una ragazza ancora adolescente e con una paura alquanto pericolosa.
«Il tuo unico sbaglio, Thalia Moran, è tentare di invertire la rotta per ritornare sui tuoi vecchi passi.» Tagliente e freddo, la voce dell’Auror assunse una sfumatura imprevedibile e che mai avrebbe voluto usare; probabilmente, quando e semmai fosse riuscito a ritornare padrone di sé stesso, a tornare calmo, allora si sarebbe di certo pentito. In quel preciso momento, però, Weiss fu ben lontano dall’essere scalfito dai sensi di colpa, troppo ferito per accorgersi dei propri eccessi. «Non sono saggio, ma nemmeno voglio sembrare saccente tanto da innalzarmi al di sopra di qualsiasi altra persona. Tuttavia, non mi lasci altra scelta e il mio senso dell’onore mi impone di parlare in maniera onesta e diretta.» Emise un piccolo sbuffo, le narici che si dilatarono con fare minaccioso. In realtà era solo un modo per l’uomo di contenere la rabbia crescente, impedendo che essa investisse Thalia in tutta la sua potenza. «Non lasciarti divorare dalla paura, Thalia, essa è la tua più grande nemica. Non lasciarla vincere, combattila!»

La bestiolina che aveva appena scoperto essere nata dentro di sé, guaì di dolore quando Thalia scelse di voler prendere le distanze da lui.
Aiden non avvertì più la calda e morbida guancia di Thalia contro il proprio palmo, non percepì più quelle lacrime bollenti che le avevano solcato il viso qualche istante prima. Non avvertì più nemmeno la stretta di lei sul suo polso e tutto questo infastidì lui mentre la bestiolina era in piena agonia. La sua mente, il suo stesso spirito focoso lo indussero ad ignorare qualunque lamento proveniente da un qualsiasi angolo recondito del proprio essere.
Quando Thalia gli diede le spalle, l’Auror avrebbe voluto urlare tutta la propria frustrazione per quel disonore che lei gli stava provocando senza nemmeno accorgersene o volerlo davvero. Percepiva un malsano desiderio di graffiarsi nel disperato tentativo di evitare dall'esplodere come un vulcano, di fare del male a lei con le sue parole furenti; perché le parole ferivano peggio delle azioni, a volte in maniera profonda e irreversibile. Questo Aiden voleva evitarlo, anche se sentiva il proprio Onore infangato.
«Come puoi dire una cosa genere?» sibilò a denti strettissimi. Avrebbe formulato quella frase in modo diverso se non avesse avuto ancora in pugno il proprio autocontrollo, ne era certo. «Come puoi infangare così il mio onore? Io ho risposto alla tua richiesta di aiuto, io ti ho ascoltata, io ti ho dato la mia fiducia e il mio supporto ad occhi chiusi. IO ti ho fatto una promessa, consapevole che avrei fatto di tutto pur di mantenerla, perché sapevo di poterlo fare. IO ti ho trattata come mia pari senza giudicarti in nessun modo. Come mia pari! Non come una ragazzina, non come una bambina, ma come una donna!» Semmai la propria ragione fosse stata accecata totalmente da quel furore, probabilmente le avrebbe urlato di crescere, ma non lo fece.
Vomitò quelle parole mentre la sua faccia si tingeva di un rosso scuro che avrebbe facilmente virato al viola e infine al nero se solo avesse voluto. Aiden Weiss aveva detto il vero però: aveva trattato Thalia come un’adulta perché aveva visto in lei più di quanto trasparisse o più di quanto la stessa rossa poteva ammettere. Del perché avesse deciso di invertire la rotta all’improvviso, di rinnegare quanto aveva appena condiviso con lui, della fiducia che avevano cercato di donarsi a vicenda, l’Auror proprio non lo sapeva, se non che stava permettendo alla paura di domarla. A rimetterci però era proprio l’Onore del Mago, che con tanta bontà e gentilezza le aveva teso una mano senza aspettarsi nulla in cambio se non un minimo di gratitudine; una gratitudine che lei diceva di provare per lui, ma per come la vedeva l’Auror, non sembrava. Perché non accettava il suo aiuto e basta?
«Ti ho dato più di quanto si potesse immaginare, più di quanto non avrebbe fatto un qualsiasi altro sconosciuto… Non mi aspettavo nulla in cambio, sai? Assolutamente nulla, però non accetto il disonore! Io non sono inutile!» Quell’ultima frase la ringhiò nel medesimo momento in cui si voltò a sua volta, per poi andare velocemente a recuperare i suoi oggetti. Raccolse il diario della sua antenata, spolverandolo e controllando che non vi fossero danni ingenti, per poi rimetterlo al sicuro in una delle tasche interne della giacca; infine raccolse il mantello e spense il falò con un colpo di bacchetta.
«Ti riporto a valle...» E con quelle parole, il rosso sembrò mettere la parola fine a quella storia. Se Thalia voleva continuare da sola, l’avrebbe lasciata andare, anche se ormai sentiva il bruciante desiderio di impuntarsi e vegliare su di lei nonostante tutto, pur di dimostrarle che valeva qualcosa.


Ahia…:secret:



Edited by Aiden Weiss - 21/11/2018, 19:31
 
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view post Posted on 22/11/2018, 11:26
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Non cedeva all’ira facilmente, nemmeno quando le circostanze l’avrebbero richiesto. Provava la rabbia di qualsiasi adolescente di fronte alle ingiustizie a suo dire immeritate, ma mai e poi mai avrebbe risolto una disputa alzando la voce. Credeva esistessero modi migliori per esporre le proprie ragioni e si sarebbe aspettata che un uomo grande e grosso come Aiden non avesse bisogno di rivolgersi a lei in quel modo, come se le sue parole avessero scavato profondi solchi nella sua anima ferendolo mortalmente.
Strinse i pugni, mentre le braccia circondavano il proprio corpo esile e non capì dove Aiden volesse arrivare con quello sfogo immotivato fino a che il numero di “io” pronunciati a gran voce non raggiunse il limite massimo che la sua pazienza le consentì di sopportare.
Stretta nel cappotto imbottito, Thalia fece di tutto per trattenersi dal pronunciare parole di cui si sarebbe pentita un attimo dopo; provò a isolare la voce di Aiden, paragonandolo ad un ronzio insistente e di sottofondo e cercò persino di fissare un punto ben preciso davanti a sé pur di non voltarsi ad affrontare l’Auror. Non poteva permettersi di reagire, non voleva cedere alla rabbia che aveva sostituito la paura.
*Egoista e cocciuto. Non hai capito un accidenti di quello che volevo.*
Era furiosa e fingere di non esserlo sarebbe servito solamente a prolungare l’agonia di quell’incontro. Le sembrava di essere stata chiara, usando parole comprensibili e un tono distaccato, ma esaustivo. Aiden, invece, aveva travisato ogni cosa e l’aveva indotta a confessare il suo più grande segreto; col senno di poi, Thalia avrebbe ammesso - di fronte alla propria immagine riflessa in uno specchio appannato dal vapore di un bagno caldo - che lui non l’avesse affatto costretta a fare nulla.

Era il suo l’orgoglio ferito, sua la colpa per quell’incomprensione; senza considerare che quello fosse l’ennesimo indizio di un rapporto basato sui motivi più sbagliati che potessero esistere, Thalia sapeva esattamente che cosa dovesse essere fatto e non avrebbe atteso un minuto di più.
«Quindi l’onore ferito è il tuo?»
La sua voce calma, ora libera dal pianto e dalla rabbia, aveva pronunciato poche e semplici parole. Una vena di ironia amara aleggiava su di esse ed era certa che l’Auror avrebbe ben presto compreso quale sarebbe stato l’esito di quel suo finale intervento.
Si voltò lentamente, mantenendo una posizione di difesa - le spalle strette e le braccia conserte, come se avesse voluto proteggersi dal freddo e non solo -, avvicinandosi di un passo alla sua posizione. Lo trovò chino a raccogliere il diario dell’antenata e nei suoi gesti nervosi lesse la stessa rabbia che albergava in lei.
«Tu. Sempre e solo tu. Tu hai dato fiducia a me. Io ti ho recato disonore.» ripeté quei concetti assurdi, sfidandolo e punzecchiandolo come mai si sarebbe permessa di fare prima di quel momento. «Ti sei mai chiesto che cosa volessi io? Che cosa desiderassi ottenere da questo incontro? Era, anzi… E’ un mio problema. Non tuo. Mio.»
Esalò quelle parole con l’ultimo rabbioso respiro, certa che l’uomo avrebbe avuto qualcosa da dire in propria difesa. Non gli avrebbe concesso sconti di sorta né che osasse rivolgersi a lei in quel modo arrogante e supponente.
«E per la cronaca... Io non ho mai detto che tu fossi inutile. Te lo sei detto da solo.»

Si rese conto del peso di quelle parole soltanto dopo che Aiden ebbe spento il fuoco con uno svolazzo della bacchetta e la sua espressione mutò, inesorabilmente.
*Non mi hai lasciato altra scelta.* pensò, guardandolo intensamente e sperando che a quelle parole non seguisse un nuovo rimprovero. Lo aveva ferito, ma lui aveva attaccato lei per primo. Era stato logico, almeno all’inizio, fargli notare quanto poco avesse capito di quell’incontro. Aveva sbagliato a riporre la sua fiducia in lui ed ora il peso della sua decisione era innegabilmente d’intralcio alla sua serenità. *A quella di entrambi.*
Prima ancora che lui muovesse un passo sulla via del ritorno, Thalia era già a metà strada, pronta ad insinuarsi tra i cespugli oltrepassati poco prima.
«Non ho bisogno di una guardia del corpo, signor Weiss. Me la cavo benissimo da sola.» e, così dicendo, scostò i rami bassi di un ontano, prima di sparire nel fitto sottobosco e nell'oscurità.


Thalia J. Moran | Prefect | Hufflepuff | 17

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Aiden Weiss

▵ Auror ▵ Ex Grifondoro ▵ 27 anni ▵ Irlandese


Questo non sei tu. Torna in te, caprone, prima di farti odiare! Non fare lo stronzo, non sei così. La voce della propria Coscienza tentò di raggiungerlo, in una qualsiasi maniera possibile, cercando di farlo rinsavire; Aiden però era sordo, non riusciva ad ascoltare, ormai saturo del proprio furore e orgoglio.
Ma cosa c’era peggio di un mulo cieco e sordo?
Non si era mai sentito un’egoista prima d’ora e la sensazione lo schifò e soddisfò allo stesso modo: era disgustato all’idea di essersi abbassato ad un simile livello, di aver messo da parte il benessere di Thalia per far valere il proprio ego, emerso nel momento e luogo più sbagliato in assoluto, apparendo ai suoi occhi come l’uomo peggiore del mondo; eppure dall’altra parte si era sentito - in minima parte - in pace, perché aveva messo al primo posto sé stesso e le proprie emozioni al dì sopra di qualsiasi altra cosa, persino prima di quelli di qualcun’altro.
Già, quello era proprio l’egoismo: mettere sé stessi prima degli altri.
Thalia però non meritava quella specie di vile tradimento, non quando aveva fatto di tutto per soddisfarne le aspettative. E allora perché si era comportato come un sporco ipocrita? Nella propria e cieca convinzione, Weiss ancora non arrivò ad imputare la colpa solo ed esclusivamente a sé stesso, nonché vero artefice di quell’incomprensione senza capo né coda. In quel momento soffriva per le parole di Thalia, le quali pesavano come un macigno e lo faceva sentire inutile.

«Sì!» aveva replicato, secco, mentre prese a cercare con stizza i lacci del mantello. Era talmente nervoso che sembrò avere le mani impastate di burro, facendolo sembrare un impedito. Sì, l’onore ferito era il suo e per poco non schiumò letteralmente dalla rabbia: sentiva di essere agli sgoccioli, ormai. «Sì!» ripeté nuovamente a seguito delle parole pungenti di Thalia quanto il pungiglione di uno scorpione. «Per la prima volta, sì… ci sono anch’io.» Non ci voleva di certo un genio per tradurre quella frase, il significato era piuttosto chiaro e tangibile: non era mai stato incline all’egoismo prima d’ora; tuttavia poteva anche essere facilmente interpretata come un: “Fino adesso ho pensato solo agli altri, stavolta invece esisto pure io.” Era poi così sbagliato pensarlo?
«E’ stato il mio pensiero fisso, miss Moran, fin dall’arrivo della tua lettera!» ringhiò a denti stretti, la mascella che minacciava di spaccarsi con uno schiocco secco dopo aver pronunciato quelle parole con una durezza simile a quella dei sassi sui quali camminavano. «Per le corna di Cernunnos, Thalia! Ho lottato con forze invisibili pur di non deludere le tue aspettative, ma poi ha voluto vanificare tutto perché non eri soddisfatta della mie risposte! Cosa avrei dovuto fare? Mentirti forse? Volevi che ti dicessi che le Profezie sono solo un mucchio di stronzate campate da qualche fanatico degli incensi e delle sfere di cristallo?» Mandò il mantello alla malora quando capì di non avere propria la testa per compiere il più semplice dei nodi, troppo focalizzato a rispondere a tono alla ragazza. Ma perché si ostinava a non vedere l’impegno che lui ci aveva messo pur di esserle d’aiuto? Sospirò pesantemente, producendo una nuvola di fiato condensato per via delle temperature ambientali che si stavano rigidamente abbassando vertiginosamente.
Da uno stato di puro furore e frustrazione, Aiden sembrò raggerlarsi sul posto, sbigottendosi di fronte alla verità che Thalia gli aveva sbattuto in faccia senza troppe cerimonie; fu come ricevere uno schiaffo in pieno volte e scoprì, suo malgrado, che era stato lui a costruirsi quel castello di sabbia. Nonostante la propria Coscienza stesse lavorando nel farlo rinsavire, nel fargli notare con nonchalance della scritta “Coglione!” che stava sfoggiando a lettere cubitali e lampeggianti sulla propria fronte, l’orgoglio di Weiss era decisamente più forte.
L’espressione era granitica, le labbra paralizzate in quello che dovette essere un principio della parola “Cosa?”, mentre tra le mani aveva ancora il mantello che minacciò di sfilarsi dalla sua presa. Aiden non riuscì a reagire, né a dare una voce ai suoi pensieri. Qualcosa in lui sembrò mutare…

Mentre seguiva il profilo esile e longilineo di Thalia, intenta a mettere più distanza tra sé stessa e l’Auror, al fulvo parve udire la voce di suo fratello Richard, venata dallo scherno e dalla malizia. «Il grande Aiden Weiss zittito da una donna!» Era quasi certo che suo fratello avrebbe dato tutto l’oro che possedeva pur di assistere ad una simile scena, in cui una donna lo scavalcava con facilità e maestria, facendolo sentire un vero idiota. Aiden non poteva di certo vantarsi di essere un asso nel approcciarsi con le donne, anzi, era solo bravo a rovinare i rapporti sul nascere e questo spiegava perché era sempre stato quasi sempre solo.
La scintilla di tale pensiero sembrò animare il fulvo, il quale strinse maggiormente il mantello e si mise a correre dietro a Thalia. «Ah, na mná! Caithfidh siad iad féin a fháil i gcónaí!»[1] borbottò in gaelico a mezza voce, cercando di colmare la distanza tra loro con poderose falcate.
Non appena la raggiunse, Weiss rallentò e proseguì con lo stesso ritmo di lei: non l’avrebbe mai lasciata vagare da sola in quei boschi che non conosceva, non con il buio sempre più crescente e diversi animali feroci nei paraggi pronti ad aggredirla se l’avessero percepita come una minaccia. Provò addirittura ad immaginarsi la rossa alle prese con una femmina di cinghiale, decisamente più feroce del maschio e di notevole pericolosità; anche se non era una creatura magica, il cinghiale non era da sottovalutare. Avrebbe riso, se solo avesse voluto farlo per davvero, ma rimase serio mentre camminavano in silenzio, finché…
«Sai una cosa?» grugnì all’improvviso dopo aver saltato la zona rialzata, la stessa in cui aveva aiutato Thalia a salire e che ora non sembrava voler tenderle la mano. Mise le mani sui fianchi e la osservò, sperando che capisse che doveva farcela da sola visto che di lui non aveva bisogno, considerando che Wiess aveva ancora in testa le ultime parole di lei, quel “Me la cavo benissimo da sola.”. Ora voleva vedere se lo pensava veramente. «Non durerai molto come Auror se farai solo ed esclusivamente di testa tua. A volte bisogna guardarsi le spalle a vicenda. Però tu te la cavi da sola quindi...» E alzò le mani in segno di resa.


[1]: Ah, le femmine! Devono sempre cavarsela da sole!

Vogliamoci bene lo stesso :flower:


 
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Il tramestio delle foglie alle sue spalle l’aiutò a capire che Aiden le fosse alle costole, come un cane rognoso attaccato ad un succulento osso. Inutile fingere che non fosse completamente irritata dal fatto che, nonostante il suo tono e le sue parole al vetriolo, lui l’avesse seguita senza battere ciglio. Più o meno.
*Testardo come un mulo. E poi parlano degli Scozzesi!*
Non si voltò nemmeno una volta, troppo impegnata ad evitare le radici sporgenti dei grandi abeti intorno a loro e le rocce appuntite ai margini del sentiero praticamente invisibile nell’oscurità. Procedeva a tentoni, ricordando ad ogni passo le insidie celate dal bosco. A guidarla era la memoria, dunque, l’unico vanto e maledizione che più di una volta era riuscito a farla sopravvivere; il profumo di muschio le riempiva le narici, mentre il respiro si faceva affannoso: più Aiden si avvicinava a lei e più la Tassorosso aumentava il passo, immersa nel buio, e rischiando di scivolare più volte lungo la discesa verso il villaggio.
Nonostante le fronde dei pini, delle betulle e degli ontani, Thalia riusciva a distinguere le guglie del Castello in lontananza e le piccole luci tremolanti accese dietro le finestre erano l’unica guida di cui avesse davvero bisogno.
«Bí ciúin!» sbottò alla fine, evitando di gesticolare come una zoticona qualunque in risposta all’esasperato richiamo di Aiden.
*Di sicuro non ho bisogno di te per tornare ad Hogwarts.* aggiunse mentalmente, sperando che Aiden cogliesse al volo l’opportunità di infilarsi in qualche anfratto di quella stupida collina e di non farsi più vedere.

Il pensiero di quanto accaduto poco prima aveva fatto scattare in lei la rabbia più cieca, quella che nemmeno le sue sorelle riuscivano a scatenare nel peggiore dei momenti. Era una persona paziente, piuttosto pragmatica che non esitava mai a tradurre in fatti reali le semplici parole.
Si chiedeva come potesse essere stata tanto stupida da affidarsi ad un uomo grande e grosso, egoista e maschilista. Quella frase in gaelico! Quante volte l’aveva sentita rivolgere alle donne babbane dai mariti o dai figli a Cork! E quante volte le sarebbe piaciuto ribattere al posto loro, mettendo a tacere quelle serpi fatte e finite! Se non fosse stato per sua madre, di certo si sarebbe battuta in difesa di quelle donne; purtroppo Leanne non le aveva mai permesso di uscire dal percorso a lei destinato e già temeva il momento in cui non sarebbe più riuscita a trattenersi con lei e col resto della famiglia.
No, non poteva proprio sopportare che Aiden Weiss si fosse rivolto così proprio a lei, lei che si era ripromessa di non cedere mai di fronte a nessuno, tanto meno un uomo.
Si trovò quindi a riflettere sul proprio coraggio, quella forza innata che l’aveva spinta sin da bambina ad affrontare pericoli ben più grandi di lei; le tornarono alla mente le marachelle in compagnia di Desmond, i giochi forse troppo pericolosi con Fiona e le infinite volte in cui, per conto del C.R.E.P.A., aveva rischiato l’osso del collo.
Ora che era maggiorenne, una strega fatta e finita se non altro per la legge magica, iniziava a capire che oltrepassare i limiti imposti da genitori e parenti in generale non fosse altro che uno sciocco capriccio infantile: la verità, nuda e cruda, era che la vita vera nascondesse molti più tranelli e, tra questi, la Profezia era solamente la punta dell’iceberg. Persino quel conflitto con Aiden, ne era certa, l’avrebbe perseguitata per giorni interi, forse per settimane addirittura.
*Forse potrei farmi Obliviare prima che se ne torni a casa sua. Così magari eviterei di ricordarmi di questa pessima giornata.*

Per qualche istante il silenzio la fece da padrone e contribuì a calmare il suo animo tormentato: tuttavia, ogni qualvolta Aiden gemesse o sospirasse di disappunto e fatica, sentiva montare in sé la rabbia e la decisione di ignorarlo fermamente si faceva sempre più necessaria.
Poi, quando meno se lo aspettava, Aiden la superò, balzando e scomparendo poco più in basso. Giunta sul ciglio del dislivello, questo appariva più alto di quanto non le fosse sembrato durante il viaggio di andata ed Aiden non fece nulla per evitare che il suo malumore si placasse. Scoccandogli uno sguardo gelido ed affatto divertito ascoltò le sue parole, che entrarono da un orecchio e uscirono dall'altro. Non aveva nulla da insegnarle, quindi avrebbe potuto benissimo risparmiarsi i suoi consigli da veterano.
*Ti piace giocare, non è vero Weiss?* pensò, sorridendo maliziosa e gettandolo, probabilmente, nello smarrimento più totale. Aprì velocemente i primi bottoni del cappotto, infilando una mano nella tasca interna. Ne estrasse la bacchetta, di un legno scuro - venato di striature più chiare - e dalle forme dolcemente sinuose. In religioso silenzio, si limitò a tracciare nell’aria - in corrispondenza del dislivello - una parabola, dall’alto al basso e da sinistra verso destra. Si preoccupò di prolungare appena la parte finale del movimento, fino a che la mutazione dello scenario coinvolgesse parte del suolo su cui i piedi dell’Auror si erano adagiati con tanta delicatezza. *Glìsseo.*
A quel punto, anche se l'incantesimo avesse fatto effetto più lentamente del dovuto, Aiden avrebbe dovuto sapere che cosa stesse facendo il Prefetto.
Se oltre a spianare il terreno fosse anche riuscita a farlo finire gambe all’aria, allora si sarebbe ritenuta decisamente soddisfatta.
«Chi fa da sé, fa per tre. Se sa che cosa sta facendo.» annunciò soddisfatta, iniziando a scendere il declivio con tutta la calma e la grazia che, solo poco prima, aveva creduto di aver perso nella radura.


Thalia J. Moran | Prefect | Hufflepuff | 17

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Aiden Weiss

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Non era stato attento a tenere il tono più basso quando aveva proferito quelle parole in gaelico, usando quel tono a dir poco spazientito: cosa che accadeva quando ormai era saturo e tutto gli usciva dalle orecchie e dalle narici; non aveva quindi messo in conto che Thalia avrebbe potuto udirlo e ribattere a sua volta. Cosa che fece, in effetti, intimando il fulvo di starsene bello che zitto nella medesima lingua e sbottando a sua volta. Era chiaro, quindi, che anche lei fosse ormai al limite della sopportazione.
Aiden non amava bisticchiare, entrare in conflitto con qualcuno, specialmente con una donna. Mal sopportava, tra l’altro, essere zittito: non era mai stato ubbidiente, piuttosto si era sempre ribellato a chiunque si fosse preso il diritto di rimetterlo in riga, specialmente sua madre; questo perché la tecnica dell’afferrare un uomo per i cosiddetti così da poterlo rimettere in riga con lui non aveva mai funzionato.
Le aveva concesso una piccola pausa in cui avrebbe potuto farle credere che, con la propria presa di posizione, fosse riuscita ad averla vinta: peccato però che Aiden non aveva mollato la presa, semmai l'aveva allentata così da poter tentare uno strattone decisivo in seguito.

La vide cambiare espressione all’improvviso: l’ombra di un sorriso malizioso attraversò quelle labbra piene e perfette che Aiden ne rimase spiazzato. Fino a prima gli aveva solo riservato sguardi gelidi, perciò cosa diavolo stava tramando la rossa di Cork?
Alzò un sopracciglio confuso quando la vide sbottonarsi qualche bottone della giacca, tant’è che non poté frenare qualche pensiero a riguardo: Ma cosa fa? Cosa pensa di fare? Non ha la minima idea di quanto non attacchi con me? Dovrebbe coprirsi prima di prendere fr--- Oh, ma che cazzo! Gli occhi blu dell’Auror si alzarono verso il cielo con un sospiro pesante, ricredendosi sulle intenzioni di Thalia nel volerlo distrarre o stuzzicare in modo deplorevole i suoi istinti maschili. Avrebbe quantomeno dovuto arrivarci subito, probabilmente per via del fatto che aveva iniziato ad inquadrare la ragazza come una tosta e con dei modi di fare ben precisi. Realizzò dunque quanto fossero simili sotto molteplici aspetti: non amavano farsi mettere i piedi in testa, lottavano per far valere i propri principi con testardaggine e tiravano fuori gli artigli quando si trattava del controllo. Già, il controllo, e al momento l’aveva lei con quella bacchetta in mano…

Il terreno si smosse, vibrando in ogni direzione così che potesse prendere la forma che Thalia aveva imposto tramite la magia. Sotto quella che fu una leggera scossa tellurica, sebbene improvvisa ed estesa fino alla zona in cui lui stesso sostava, i suoi piedi presero a seguire quel moto ondulatorio, tanto che Aiden Weiss poté essere facilmente paragonato ad un Asticello in preda ad una strana danza. Pur di non cadere e non darle la soddisfazione di averlo mandato con il didietro a terra, il fulvo si aggrappò con tenacia alla corteccia del primo albero a portato di tiro, alla pari di un bradipo avvinghiato ad un eucalipto.
Se prima era stata lei a guardarlo in modo glaciale, ora fu la volta dell’uomo nel fissarla nello stesso identico modo, serrando la mandibola per il furore. La frase che seguì la discesa di Thalia, con tanto di movenze assolutamente aggraziate e tranquille, furono la goccia che fece traboccare il vaso: se prima non era riuscita a tenere Aiden per i gioielli di famiglia troppo a lungo e con una presa salda tanto da evitare una ribellione, ora il tentativo poté considerarsi andato in porto. L’Auror avvertì come una stretta che lo bloccò sul posto, mentre l’orgoglio bruciava come lava incandescente per quell’affronto. Completamente soggiogato da quello strano potere che ella aveva su di lui, la guardò come se fosse sul punto di gemere di dolore per quella presa oltre che per quella stoccata inflitta da quelle parole.
Riconoscendo di non essere più il padrone di nulla, nemmeno di sé stesso oramai, Weiss impiegò qualche secondo per trovare la forza necessaria nel riprendere a muoversi, rimettendosi alle calcagna della rossa. C’era una cosa che poteva fare, però, nel disperato tentativo di riprendersi un briciolo del proprio onore collassato: prenderle qualcosa che potesse addolcire quell’amara sconfitta, come una sorta di premio di consolazione.
Fu allora che delle furiose falcate la raggiunse, superandola e sbarrandole il passo con il proprio corpo massiccio e tonico. La guardò per diversi secondi in quegli occhi grigi e ora spenti dalle tenebre che dimoravano all’interno del bosco, cercando di farle capire quanto odiasse perdere. Poi, all’improvviso, come un fulmine a ciel sereno, l’Auror azzerrò la distanza tra loro e colmò quelle labbra piene e morbide con le proprie. Fu un bacio non propriamente passionale, piuttosto uno di quelli fugaci e un poco prepotenti di cui solo un ladro poteva vantare; tuttavia, sebbene il ladro in questione fosse proprio Aiden, un uomo che nonostante tutto era sempre stato rispettoso delle regole che si era autoimposto e imponendosi di non oltrepassarne i limiti, osò addirittura mordicchiarle il labbro poco prima di staccarsi con un ghigno beffardo. Non sembrò più un uomo, un Auror, ma un Dissennatore: una cosa di cui si sarebbe pentito, prima o poi. «Ora ho in ostaggio la tua anima.» E quello sembrò anticipare il preludio di una rivincita.


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Minare il suo ego le sarebbe bastato, se solo il linguaggio usato dall’Auror non si fosse opposto tanto duramente al suo, al punto da costringerla ad usargli una nuova violenza verbale sotto forma di un sarcastico rimprovero.
«Che modi, signor Weiss!» rimbeccò allora, approssimandosi a lui e guardandolo con aria di sfida. Non c’era nulla da aggiungere, poiché il suo sguardo ostinato e rabbioso fu tutto ciò di cui la strega avesse bisogno per sapere di aver vinto la disputa.
Anche Aiden lo sapeva e l’orgoglio di Auror e uomo adulto doveva gemere di dolore nell’essere stato messo a tacere con una mossa semplice e prevedibile come quella della Tassorosso. Possibile che si fosse tanto beato della sua supposta superiorità al punto da non rendersi conto di chi, davvero, avesse di fronte?
Con un ultimo sguardo divertito, questa volta sinceramente, Thalia proseguì lungo il sentiero, lasciando Aiden solo a leccarsi le ferite.
*Adesso capisco la Alistine.* pensò incredula *Andare d’accordo con lui è impossibile.*
Ripensò alla compagna e alla sera della Festa di Fine Anno, iniziando a comprendere - pur senza conoscerne la ragione - le motivazioni della Alistine. Era stata severa, anche se di quell’evento ricordava ben poco, e Aiden aveva incassato il colpo con dignità dilenguandosi subito dopo.
*E non poteva farlo anche stavolta?*
Evidentemente, non sapeva con chi avesse a che fare.

Lo sentì muoversi dietro di lei, dapprima a distanza, mentre i piedi calpestavano il tappeto di foglie secche e i piccoli ramoscelli; una o due volte pensò addirittura di voltarsi e di fargli capire di lasciarla in pace, ma desistette dal progetto soltanto perché - dopotutto - ignorarlo sarebbe stata la migliore arma da usare contro di lui.
Grande e grosso com’era, Thalia si aspettava che Weiss avrebbe capito l’antifona se avesse continuato a seguirla in silenzio, rispettando la distanza che lei gli aveva imposto. Non poteva pensare che, per la seconda volta, lui l’avrebbe raggiunta e superata.
Per un attimo, pensò che avesse capito e la stesse lasciando finalmente sola. Osò persino respirare a pieni polmoni la fredda aria della sera, convinta com’era di essere libera da ogni senso di colpa per la rivelazione fatta, dai litigi e dagli uomini cocciuti. Il pensiero corse a Mike, che probabilmente in quel momento stava lasciando il negozio in cui lavorava per tornare al Castello. Forse, se si fosse mossa più rapidamente, sarebbe anche riuscita a raggiungerlo.
Vederlo le avrebbe fatto bene di certo: solo lui era capace di consolarla con la propria silenziosa presenza ed un braccio avvolto attorno alle sue spalle. A quel pensiero, con la testa ancora china, sorrise tra sé e fu solo quando vide due piedi ben piantati di fronte ai propri che sollevò il volto, trovando Aiden Weiss immobile.
«Ti sposti?» e in quella richiesta non c’era l’ombra di gentilezza, il sorriso svanito e risucchiato da una smorfia più severa e affatto accomodante.
Lui la fissava in modo impertinente, pensando a chissà quali frasi in gaelico - offensive magari - rivolgerle. Provò a scartarlo, prima a destra e poi a sinistra, ma tra il suo corpo e gli alberi ai lati del sentiero le fu impossibile riuscire a passare.
I pensieri più cupi, a quel punto le attraversarono la mente, e fu allora che l’idea di farlo scivolare di nuovo lungo il sentiero in discesa sopraggiunse nuovamente in suo aiuto. Stava per sollevare di nuovo la bacchetta di salice, quando - seppur celato in buona parte dalle tenebre - distinse chiaramente i lineamenti del suo viso farsi più rigidi. *Ma che--*
Accadde velocemente, troppo per i suoi gusti: a causa dell’oscurità, si era concentrata sul corpo massiccio che sembrava volerla contrastare sul piano fisico. Aveva proteso le mani, con la bacchetta ancora stretta in pugno, per creare una distanza tra lei e il suo aggressore. Era stato strano fin dal principio definirlo in quel modo, visto i presupposti amichevoli che li avevano spinti sin lì, ma era chiaro ormai che i ruoli fossero cambiati e il risvolto non le piacesse affatto.
Fu vedendola indietreggiare che lui colse l’occasione per afferrarla e, quando la barba ispida le irritò il viso, Thalia seppe di non avere vie d’uscita. Le labbra di Aiden premettero sulle sue e non poté farci nulla, se non guardarlo con odio e ribrezzo allo stato puro. Le sue mani premevano sul petto dell’uomo per allontanarlo e quando lui le morse appena il labbro, si scostò con un movimento repentino.
Sfiorò le labbra col dorso della mano libera, indietreggiando inorridita.
Avrebbe potuto rivolgergli la bacchetta al petto, usare un incantesimo e scappare al Villaggio, ma per qualche ragione non lo fece. Non era capace e sentiva che le gambe lunghe fasciate da normalissimi jeans babbani erano preda di una mancata dinamicità dettata dalla paura. Non si era chiesta perché o come avesse potuto permetterglielo, perché in cuor proprio sapeva di non avergli dato alcun permesso. Si era arrogato il diritto di baciarla - poteva davvero definirsi un bacio, quello? - senza chiedersi quali sarebbero state le conseguenze di un atto simile.
Di nuovo, sentì montare una rabbia crescente che nulla aveva a che vedere con quella provata nella radura davanti alle accuse di Aiden; era un’ira diversa, quella dettata dal sopruso operato ai suoi danni. Non c’era incantesimo che potesse risolvere l’accaduto, né Oblivion che potesse cancellare dalle sue labbra il peso del ricordo di quell’atto ignobile.
Lo fissò in silenzio, indietreggiando ancora, e nella sua mente vorticarono le idee più folli ed assurde che la sua mente avrebbe mai potuto partorire. Se le sue gambe non potevano muoversi, del resto, nemmeno il resto del corpo sembrava rispondere ai suoi comandi. Si limitava a fissarlo, l’odio crescente nell’espressione dura delle labbra che lui aveva violato, negli occhi che tante volte lui aveva osservato. Forse le avvisaglie c’erano state e lei non le aveva sapute vedere. Forse non aveva voluto.
Si sentì in colpa, stupidamente, per avergli permesso di toccarla, di superare il normale spazio tra corpi dettato dal rispetto reciproco.
Non solo l’aveva accusata ingiustamente nella radura, ora aveva persino violato la sua dignità.

Abbassò lentamente il braccio, lasciato a protezione delle labbra sino a quel momento, e rinfoderò la bacchetta nella tasca interna del cappotto. Non smise mai di guardarlo, mentre le dita s’industriavano coi bottoni della giacca per richiuderla e, quando finalmente mosse un passo verso di lui, le uniche parole che riuscì a pronunciare furono cariche di odio e disgusto.
«Non rivolgermi mai più la parola.»
Superandolo, pregò per la sua anima che rimanesse dov’era: se per lui quello era stato un gioco, allora non aveva capito nulla; se non aveva saputo reagire prima, da lì in avanti una reazione di ben altro genere sarebbe stata d’obbligo.
Giunta alla Testa di Porco e dopo aver proseguito in silenzio lungo la via sempre meno affollata, Thalia vide una figura uscire dal negozio di libri. Il pensiero di Mike, del suo viso dolce e dei suoi occhi scuri, le provocò una fitta al petto e le lacrime, questa volta, scesero copiose sulle sue guance infreddolite.


Thalia J. Moran | Prefect | Hufflepuff | 17

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Aiden Weiss

▵ Auror ▵ Ex Grifondoro ▵ 27 anni ▵ Irlandese


Osservò il profilo della mano di lei arrivare a toccare la zona da lui lesa, in senso metaforico, con quel gesto sconsiderato. Ciò fu solo l’anticipazione di una spirale di tormento senza fine, il cui il fido compagno di Aiden si sarebbe affacciato nuovamente nella sua vita come un uragano: il pentimento emerse improvvisamente, come uno schiaffo in pieno volto, nel medesimo istante in cui percepì gli occhi grigi puntati su di lui; nonostante il buio, quello sguardo di ardesia lo stava trapassando da parte a parte come la punta di una lancia e all’uomo non ci volle un diploma per capirne il tipo di sguardo. Arrivò dunque la consapevolezza del suo sbaglio, dei suoi sbagli.
Cosa aveva fatto?
Rimase immobile dov’era, incapace di muovere anche solo il più piccolo dei muscoli, lasciando a lei l’opportunità di prendersi tutta la distanza possibile tra loro, senza accennare alcuna intenzione a volerla fermare o seguire. Gli era bastato percepire i respiri di Thalia per capire che era finalmente arrivato il momento di darci un taglio, che non doveva permettersi di sfilare l’immenso paletto divisorio che era stato piantato tra loro due.
Sei una Bestia! tuonò la sua stessa Coscienza, furente e con rimprovero per aver manifestato l’unica cosa che avrebbe dovuto risparmiare a Thalia. Non si era meritata nulla di ciò, aveva fatto tutto lui e solo in quel momento ebbe la piena consapevolezza di essersi comportato in modo deplorevole.
Dei del cielo… che cosa ho fatto? pensò con una fitta al cuore. La bestiolina che era nata da poco nel suo petto guaì di dolore, mentre affondò gli artigli accuminati nella carne del suo ospite. Aiden percepì distintamente i tessuti lacerarsi per poi sanguinare in maniera copiosa ed incontrollata, tant’è che gli sfuggì un gemito colmo di sofferenza, mentre il sapore acre e pungente della bile sembrò impregnarli la bocca con cattiveria.
Oltre al pentimento, perché si sentiva così male?
Cosa gli stava succedendo?

«Thalia, i-io...» balbettò mentre osservò i movimenti di lei nel rinfoderare la bacchetta dentro la giacca.
Ora che ci pensava bene, si domandò come mai la rossa non avesse tentato di respingerlo con un incantesimo o anche solamente vendicarsi dell’affronto che lui le aveva inferto. Era strano, sì, ma in quel momento poco importava delle ragioni che l’avevano spinta a trattenersi dall’usare la bacchetta; quello che era più fondamentale in quel momento, era capire la natura del proprio errore e scusarsi con lei.
Tutto però divenne inutile nell’istante in cui Thalia decretò la vera fine di quel loro incontro, ponendo un imperativo stemperato dall’odio e dal disgusto che l’Auror avrebbe dovuto rispettare, volente o nolente. Era quindi quello il prezzo da pagare per la sua stupidità? Non parlarle più?
«No...» Quella parola uscì come un mormorio soffocato, pareva quasi il verso di un pulcino strozzato da troppa acqua. Scosse appena la testa, gli occhi velati da una tristezza infinita. «No… Ti prego… Lasciami spiegare, io non---» Non volevo... continuò mentalmente, mentre con lo sguardo seguì l’andatura di Thalia che si allontanava da lui, scomparendo ben presto dalla sua vista. Solo il rumore delle foglie secche sotto i piedi della ragazza furono l’unica cosa che udì per un breve periodo, per poi spegnersi nel silenzio della notte, lasciandolo completamente solo nell’oscurità.
Il suo respiro condensò per via del freddo che permeava l’ambiente, mentre un brivido glaciale lo attraversò da parte a parte. Il sangue smise di fluire totalmente nel cervello e allora la ragione sembrò tornare al proprio posto, così come l’autocontrollo; fu a quel punto che un singhiozzo lo sconquassò con violenza, sebbene fece di tutto per soffocare il pianto.
Era stato Lui, solo e soltanto lui a causare tutto ciò. Aveva frainteso le parole di Thalia, le aveva tradotte nel senso più sbagliato ed era stato il suo dannato orgoglio a risentirne, non l’onore che aveva creduto; e se proprio doveva pensare al disonore, Aiden capì di esserselo causato da solo con il suo stesso comportamento. Si era disonorato da solo, soffocando il suo vero Io, quel suo animo buono e gentile, solo per lasciarsi abbracciare dal fuoco del suo stesso istinto bestiale.
Nonostante avesse travisato le parole della Moran, Aiden aveva reagito il tal senso perché si era sentito superfluo davanti alla frase di lei; non aveva accettato l’idea che il loro incontro si fosse rivelato vano, per quanto avesse apprezzato molto condividere un momento con lei, e questo perché era stato felice che qualcuno si fosse rivolto a lui per un aiuto. Non c’era stata gioia più immensa nell’aver trovato - finalmente - uno scopo, oltre che a fare l’Auror, ed era stata Thalia stessa a dargli una simile felicità. Ora però era si era tutto tramutato in cenere, sotto la potenza dell’ira che albergava nel petto del Mago.
Si scoprì non essere mai stato furente con lei, semmai offeso, ingannato dalla sua stessa mente di fronte alle parole di lei che finirono filtrate in modo errato. «Perché mi sono lasciato sopraffare?» Arrabbiato con sé stesso, il pugno dell’Auror impattò contro la corteccia di un pino, scorticandosi le nocche per via dell’eccessiva potenza del colpo sferrato. Non si curò minimamente del dolore, se la carne ora esposta al freddo pulsava in maniera insistente e fastidiosa, mentre delle bolle di sangue presero ad esplodere una volta impattate con il terreno. «L’ho persa… Ed è stata tutta colpa mia. Tutta colpa mia...»
Si portò la mano sanguinante sul volto, cercando di celare la vergogna, cercando di frenare le lacrime che con prepotenza andarono ad accentuare il bruciore con il loro potere salino. «L’ho abbandonata...» pigolò, infine.

Ciondolò fino a casa a testa bassa, sopraffatto da una terribile vergogna. L’Auror si lasciò cadere di faccia sul divano e lì non accennò a muoversi, mentre nella propria testa ancora riviveva il gesto sconsiderato che aveva compiuto. Quel bacio non sarebbe mai e poi mai nato se fosse rimasto lucido, se fosse rimasto l’Aiden di sempre, perciò fu come se si fosse dannato ulteriormente l’anima.
Con Charity aveva perduto il proprio corpo a causa dell’eccesso d’alcol, con Thalia invece aveva perso una cosa più importante: l’anima. Non era stato lui a sottrarla a lei, ma semmai il contrario. Lì, in quell’angolino recondito del proprio essere, lì dove dimorava la sua bestiolina appena nata, Aiden percepì la verità.
Era bastato un bacio per dannargli l’anima, un bacio per capire che era stato un folle e che ben presto lo avrebbe ucciso… ancora.

Se avessi saputo che sarebbe bastato un bacio per incenerire il mondo,
allora sono perduto. Perduto e solo.
Dov'è la mia Anima, ora?



:flower:

 
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