Please press pause., Contest a tema Ottobre

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view post Posted on 19/10/2018, 17:50
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15 Yemen Road, Yemen

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*È fatta.*
Aveva aggiunto l’ultimo tocco di polvere di pietra lunare, aumentandone la quantità rispetto a ciò che era indicato dalla ricetta perché sapeva che, a dosi maggiori, l’effetto sarebbe stato più potente e totalizzante. Si era spostata nella cucina dei suoi genitori come un’automa, incantata nel ripetere una coreografia che per lungo tempo l’aveva accompagnata. Non provava rimorso, non provava senso di colpa: non provava. Era solo un vaso vuoto, un’entità a cui avevano strappato un pezzo lasciando una voragine che urlava di voler essere riempita e rabboccata. Mancava un’emozione forte che raschiasse quelle altre, così piccole eppure così soverchianti, tanto da cancellarsi ed annullarsi, spingendo al nulla. E quel vuoto, quel maledetto vuoto la trasformava in un’aspirapolvere, attivando un turbine che voleva solo assorbire, mangiare per sfamarsi, incapace di pensare al dopo. Non c’era tempo per riflettere, non c’era tempo per interrogarsi. I pensieri si convertono in agito e le conseguenze non temono considerazione alcuna. Perché a volte lo sai, lo sai e basta che, attraverso quel piccolo dolore che stai per infliggerti, troverai una briciola del piacere che ti manca. Dopo che l’hai provato, non lo vuoi più abbandonare. Diventa un amante che implori di andarsene ma che continui a cercare compulsivamente, e per quanto male faccia o per quanto minacci la tua vita, puoi solo continuare. Se riesci a romperci, dovrai comunque convivere con l’ombra lasciata dalla sua assenza. Una sete che non si placa e che provi a tollerare. Una sete infinita mentre sei immerso nell’acqua potabile e desideri nuotare a fauci aperte, placarla e sentire la bocca che perde quel retrogusto salato. Ma non puoi, non lo fai. E così ogni giorno, ogni mese, ogni anno. Dunque pensi a quanto vorresti anche solo sciacquarti la lingua per illuderti di alleggerire quel bisogno, però resisti: tieni duro perché sai che se ti sfiora, cedi e ingurgiti.
Era stato un periodo particolarmente intenso, scosse non richieste si erano abbattute nella sua vita mettendo a rischio la già presente labilità, fomentando certe voci e certi bisogni contro cui, ormai, lottare richiedeva più sforzo che guadagno. Relazioni finite, responsabilità che si affacciavano, perdite, cambiamenti...
Drinky si apprestò a smembrare in fretta quella scena compromettente, riponendo con cura tutti gli ingredienti che aveva sottratto ai suoi genitori, i quali si trovavano in Irlanda per il solito "giro parentado”. Versò il liquido in un bicchiere e si fermò a contemplarlo in tutta la sua dolcezza, così seducente e invitante. La sensazione che provava non era distante da quella di un potente innamoramento, con i brividi e la voglia irrefrenabile di fare propria l’altra persona, vittime entrambe dell’istinto e della passione. Però con calma: prima si doveva apparecchiare per rendere quel momento ancora più magico e non bloccare subito la danza del corteggiamento. Attenta a non perdere nemmeno una goccia di quel nettare, frenò l’agitazione e si diresse a passi cauti nella propria vecchia cameretta, facendosi strada in quella coccola nostalgica che l’avrebbe cullata per le prossime ore. Si guardò attorno, osservando i poster ingialliti dei gruppi musicali che, da piccola, fornivano degne soundtrack alle sue giornate e le cui parole spesso riuscivano a descrivere i suoi stati interni meglio di chiunque altro. Appoggiò il bicchiere nel comodino di fianco a quel letto rifatto talmente bene da sembrare finto e si diresse verso la scrivania. Il vecchio giradischi, che tanto vecchio non era, necessitava di essere soddisfatto e di ricominciare a tirare le redini del suo ruolo.
*Johnny Cash, dov’è Johnny Cash?*
Rovesciò a terra diversi dischi, incurante della loro sorte, alla ricerca del sottofondo che le avrebbe permesso di godere appieno quella ben nota esperienza. Spesso viene sottovalutato il peso della ritualità, la sequenza dei gesti che si susseguono e si traducono in climax. Il suono graffiante e la voce di Johnny rimbalzarono tra quelle quattro mura, mentre Drinky poteva sentire il sapore che tanto le era mancato, correrle giù nella gola e raffreddarle lo stomaco. Sembrava che le avessero aperto i polmoni e potesse di nuovo respirare. Non ci volle molto per sentirla salire, per accogliere quella sedazione e ricominciare a vedere il mondo attraverso lenti di zucchero filato, con le palpebre pesanti ma il petto leggero e uno strano formicolio in gola. Eppure qualcosa non tornava: perché quel vuoto non si riempiva? Perché aveva voglia di infilarsi le unghie nella carne e di fare uscire tutto? Quando si ha molta sete e non si beve da svariate ore, bisogna fare attenzione a non fiondarsi sull’acqua, trangugiandone dosi sconsiderate troppo velocemente: si rischia di vomitare. La dose di Pozione della Pace che aveva scelto di autosomministrarsi era elevata, era la stessa che assumeva quando la dipendenza si era già insinuata in lei, annidandosi urlante per anni - stava forse avendo un effetto rebound? Le serviva aria. Era molto difficile, per la sua mente, creare dei pensieri completi e sensati. Partoriva solo aborti di immagini e parole che non prendevano forma ma rimanevano vuoti, iniziati ma non conclusi. Il buio che l’aspettava fuori dalla porta la colse di sorpresa: non era primo pomeriggio quando aveva iniziato a prepararla? Chi aveva nascosto il sole? Quante ore erano davvero passate? Aria, doveva respirare. Si smaterializzò nella Isle of Dogs, quella porzione di terra che il Tamigi circondava a ferro di cavallo e che si vedeva base di vecchie fabbriche e uffici. Proprio per questo motivo, in quelle ore risultava un cimitero urbano completamente disabitato e abbandonato a se stesso. Si guardò attorno, cercando di giustificarsi e di trovare una spiegazione al suo aver deciso di smaltire lì gli effetti del Distillato, ma non ce la faceva. Guardava il fiume scorrere, sporco e pieno di scorie, dal colore tutt’altro che invitante. Immaginava di annegarci i suoi affetti, i suoi pensieri, le sue responsabilità e di vederli trascinati via dalla corrente, disintegrati dall’acqua e dalle sostanze chimiche. La realtà era ovattata, ma aveva smesso di essere rosa e le voci che le urlavano cose contrastanti, rimbalzavano da una parte all’altra della sua mente, impegnate in una partita di ping pong che non voleva cessare. Si ritrovò seduta per terra, con la schiena appoggiate ad un muro di mattoni che le lasciava sulle spalle tracce di polvere rossa, e il volto nascosto tra le ginocchia. Voleva silenzio, voleva che tutti stessero zitti e la smettessero di urlarle paradossi. Le palpebre non tennero più.

La luce del sole la costrinse ad aprire gli occhi mentre si sforzava di mettere a fuoco quelle figure incravattate che le passavano davanti camminando, lanciandole sguardi di disprezzo. La nausea e il mal di testa non abbellivano quel quadro triste e non lavavano via i giudizi che sentiva pioversi addosso. Cosa poteva sembrare, vista dall’esterno, se non una tossica? E davvero poteva ripetersi di non esserlo? Aveva fallito: dopo nove anni, aveva infranto la promessa e ci era ricaduta, non potendo far altro, adesso, che odiarsi. Perché era debole, perché era senza spina dorsale, perché lasciava che le emozioni la dominassero senza possibilità di gestirle. La mente proiettava un carosello di volti, persone che se fossero venute a conoscenza di questa sua ricaduta ne avrebbero sofferto e sarebbero state deluse. Incredibile come un solo gesto, una sola azione, sia in grado di cancellare anni di impegno e buona condotta. Gli occhi bruciavano e la vista rimaneva appannata a causa delle lacrime bollenti che con la loro densità, distorcevano la percezione del mondo. Si alzò in piedi e il senso di colpa pesava come un'indigestione: motivo per cui, lo stomaco decise di svuotarsi velocemente, piegandola in ginocchio. Gli sguardi che prima la squadravano con disprezzo avevano virato verso il disgusto. Non riusciva più a tollerarlo. Non riusciva più a tollerarsi. Scattò a fatica verso dei cassonetti nascosti sul retro di uno dei tanti edifici, i muscoli tiravano e dolevano implorando pietà, e giunta in loro prossimità, fu libera di smaterializzarsi.

I Kyoto Gardens, ad Holland Park, sotto la calda luce del sole di una domenica mattina, sfoggiavano i loro colori più brillanti. Drinky si trascinò verso una panchina, pregando che quel luogo sicuro riuscisse a metterla in pace con se stessa. Si guardò intorno: era circondata da una coppia seduta su dei materassini, intenta a compiere complicati esercizi di yoga nel silenzio più assoluto. Dall’altro lato, una nonna diceva al piccolo nipote di non accarezzare i piccioni perché veicoli di orrende malattie. E lei? Chi era? Era la coppia concentrata che faceva yoga? O magari la nonna apprensiva? O il ragazzino curioso che voleva toccare i piccioni?
E’ indubbio che spesso l’istinto ci porti a voler uccidere la propria mente per poter rimanere vivi, ma quando succede il contrario, come se ne esce? Qualcuno ne esce vivo?
*Magari, io non sono.*








Note per il lettore: Drinky ha avuto un piccolo breakdown emotivo :gelato:
Anche io ho avuto un piccolo breakdown emotivo cercando di creare la grafica, quindi chiedo pietà.
 
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