Quel succo di pera [s]corretto., Privata

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view post Posted on 21/10/2018, 13:41
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"Aveva bisogno di Lui in quel momento come dell'aria che non riusciva a trovare e che non soddisfava i respiri esigenti ed affannati dei suoi polmoni in fiamme"[frammento]

Non aprire...

Aveva ritratto la mano con sguardo allucinato non appena si era resa conto del danno fatto. Poteva chiamarlo diversamente? Febbrilmente l'indice infreddolito aveva sostato sul pulsante del campanello - forse anche più del dovuto - come se dovesse indicare l'arrivo alla fine di una maratona, ma le iridi chiare della ragazza sembravano trasmettere tutto fuorché la gioia tipica di chi arriva primo. Come sfere spente, luci offuscate, avevano fissato i movimenti di un corpo che non rispondeva ai comandi della padrona. Ed in effetti il "guscio umano" di Amber aveva smesso di muoversi secondo i dettami della ragione da quando la ragazza era scappata di casa. Non sapeva quante ore fossero trascorse da quando aveva lasciato il viale di ciottoli ben organizzato e pulito del Villaggio ed era arrivata lì, a Rosegarden Street, ma il tempo non aveva per questo lasciato indenne la sua esile figura. La punta del naso era arrossata tanto quanto le falangi erano gelide e poteva giurare che vi fosse ancora una mezza lacrima incastrata tra le ciglia dell'occhio destro, come una stalattite pronta a pungerle la cornea. Tremava per l'allontanarsi del Sole dalla Terra, e perché il cappotto con cui aveva creduto di farsi scudo non era poi così caldo, a poco avevano giovato anche le recenti piogge. Ma nell'impeto del momento la cosa che più le era importata era andarsene il più lontano possibile da casa. Aveva afferrato la prima cosa che le era capitata perché di certo l'autunno a Londra non aveva pietà di nessuno, e nonostante tutto nemmeno la corsa l'aveva scaldata. Un barlume illuminò appena il suo sguardo nel momento in cui - rapido ed appuntito come uno stiletto - il ricordo della mano calda di Killian sulla sua tornò a farle visita. Scosse il capo per farlo uscire, perché non avrebbe più potuto avere un momento simile. Eppure rifugiarsi in quei ricordi sembrava l'unico modo per sopravvivere, o così voleva dirle il cuore che, a ritmo incalzante, l'aveva ricondotta davanti ad una delle persone che avrebbe meno apprezzato la sua presenza. Ma dove avrebbe potuto andare? Il suo nido, il luogo sicuro che l'aveva protetta dal frammentarsi del cuore, era stato invaso da una piaga più deleteria del Vaiolo di drago. Mayline era stata l'untore designato, era entrata nella pace che a fatica padre e figlia si erano costruiti e l'aveva avvelenata con crudeltà inaudita. Senza più una base su cui fondare anche più il insignificante dei pensieri, Amber aveva creduto di non poter più respirare ed il resto non era più stata capace di controllarlo. Guardò le dita gelide della mano destra come se anche loro l'avessero tradita risvegliando il Basilisco che abitava dietro il portone del numero 9. Non era pronta ad affrontare nemmeno le sue paure, come poteva affrontare ancora una volta quel... Lui? Non era certo sfumato il ricordo di come si erano scontrati, di come i loro sguardi si erano rincorsi finché l'uno non aveva incendiato l'altro e di come le ceneri dei loro spiriti avessero cosparso il campo di battaglia di sangue e vetro. Strinse il petto con le braccia e si costrinse a non fissare ossessivamente il pomello della porta. Non aveva nemmeno iniziato a pensare a cosa dirgli e come farlo, che quello si mosse. O forse fu un'allucinazione, ma tanto bastò a farle battere il cuore. Quell'ingrato infedele non ne voleva sapere di stare al suo posto. Lo sguardo si fece indecifrabile, emotivamente instabile e confuso, il corpo non nascose un fremito. Era troppo tardi per ogni cosa, perfino per fare fisicamente un passo indietro.

Volle illudersi di poter reggere il duro colpo che il rivederlo dopo così tanti mesi le avrebbe inferto. Ma tra le tante illusioni quella fu la più misera, non durò che un soffio perché il riverbero della memoria del cuore le mozzò il fiato non appena la porta si aprì. Istintivamente Amber aveva guardato in alto, nel punto in cui supponeva sarebbe spuntato lo sguardo di un ragazzo alto quanto Killian, ma non avendovi trovato nulla ebbe un moto di panico glaciale. Più in basso... decisamente molto più in basso, si stagliava invece la figura variopinta della Signora McCramble, la babbana padrona di casa. Aveva i capelli candidi montati a neve, occhi cerulei ben evidenziati ed ingigantiti dagli spessi occhiali con montatura rotonda, un vestiario invidiabilmente floreale con abbinamenti di colore a dir poco inverosimili che sembrava portare con una sicurezza incredibile e per finire - perché Amber non poté evitarsi di guardarle - due pattine rosa shocking dalla punta impreziosita con piume e pelo finto. Non era cambiata per nulla.
La donna, intuendo il profilo della ragazza, aveva esibito sin da subito un largo sorriso di benvenuto. Probabilmente l'avrebbe assalita con i più calorosi ed inopportuni saluti se solo prima di aprir bocca non avesse riposizionato gli spessi occhiali sul naso adunco, rendendosi conto solo allora di quanto scossa appariva la giovane. Interdetta, ma abbastanza pronta di spirito per celare la sorpresa nel venderla così, chiese con la sua voce simile a un miagolio: «Cara, stai cercando Killian, vero?». Prima ancora di rispondere, la strega annuì mentre gli occhi le si inumidivano per quel misto di delusione e sollievo nel non avere proprio lui davanti a sé in quel momento. Si chiese se comunque non fosse lì, nell'ombra dietro l'ingresso, aveva più di una ragione per non volerla vedere. Ogni parola morì in gola. Le labbra rese secche dal rossetto vistoso che la McCramble indossava si strinsero in una smorfia indecifrabile: sembrava trattarsi di disappunto che ovviamente era rivolto all'indirizzo del giovane assente di cui stavano parlando. La verità era che si stava proprio chiedendo quanto l'aspetto distrutto della ragazza avesse a che fare con lui, ma invece di indagare -dovendo frenare la sua curiosità con gran fatica- si affrettò a rispondere a quel appena accennato: «Non è in casa. A dirla tutta non lo vedo rientrare ormai da due giorni » Il brontolio in quelle parole era evidente «Di solito non resta via così tanto, potresti aspettarlo in mia compagnia, cara... Amanda» Un brillio negli occhi cerulei: la sua memoria inossidabile aveva colpito ancora, ai danni della povera insegnate di musica. Con la gola ancora più secca, Amber fu veramente tentata a quel punto di fare un passo indietro. Per quanto la dolcezza, nascosta dagli strati d'abbigliamento vintage, dell'anziana la invogliasse a cedere all'invito, il fatto che lui non fosse in casa era un deterrente. Strinse la stoffa del cappotto come se potesse così ricavare una risposta dal tessuto. Temeva di finire in una qualche sorta di trappola celata dietro gli occhiali grandi della vecchina che per di più ancora credeva che lei fosse Amanda, l'insegnate di musica dai costi esagerati. A quel richiamo avrebbe volentieri sorriso, ma il ricordo - così come tutti i suoi simili - si era tinto di malinconia al punto tale che invece non fece che pungerle la coscienza. Doveva voltarsi, ringraziare per l'invito ed andarsene, perché era evidente che il destino non la volesse lì e che a maggior ragione la stesse avvisando di essere davanti all'ultima possibilità di salvezza a sua disposizione. «Ah... veramente io-» doveva solo aggiungere due parole: "devo andare" ma oltre il tono basso con cui scandì le prime, il suono non veicolò nient'altro. Il motivo, la ragione per cui non riuscì a dire addio una volta per tutte a quel numero 9 in ottone fuori dalla porta, furono proprio le parole della babbana. " non lo vedo rientrare ormai da due giorni" e "di solito non resta via così tanto" che aggravarono la situazione della ragazza, aggiungendo un nuovo tipo di ansia nel suo arsenale. Era preoccupata ed il suo sguardo non evitò di sottolinearlo.

C'erano troppe cose su di lui che la vecchina non sapeva - e dovette ammonirsi anche solo per averlo pensato perché nemmeno lei lo conosceva così tanto - e nessuna di quelle ben si sposava con l'assenza del mago. Angosciata, si guardò i piedi per qualche istante, prima di trarre un sospiro e decidere di dover entrare solo per accertarsi che lui non avesse abbandonato la donna o che invece non toccasse a lei constatare che... che forse non sarebbe più tornato. Non voleva credere nemmeno ad uno dei pensieri terribili che la mente, scossa, proponeva e fu per metterli a tacere che stringendo le palpebre aggiunse un flebile e sconfitto: «Ok»

❖Amber Hydra❖
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view post Posted on 23/10/2018, 11:44
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Il misero “ok” ricevuto in risposta rese Azalea McCramble più che soddisfatta poiché anche nel caso di un rifiuto la donna avrebbe saputo come trasformarlo in un sì. Poteva diventare estremamente persuasiva quando voleva, anche se i modi difficilmente avrebbero abbandonato l’allegria e la gentilezza propri della sua personalità. «Allora entra, tesoro! Sembra che tu stia congelando là fuori». Primissima bugia o parziale omissione di verità, che dir si voglia: la figura stravolta della ragazza immobile sul pianerottolo restituiva sicuramente l’idea di un malessere, ma l’intuito tutto femminile dell’anziana le suggeriva che il freddo fosse l’ultimo dei problemi della malcapitata. Al momento però doveva solo pazientare non potendo subissare Amanda con le mille domande curiose che le frullavano in mente, perciò si limitò a farsi da parte lasciando l’ingresso principale libero in attesa che la giovane si fidasse del suo dolce sorriso e muovesse quei pochi passi che la separavano dall’interno. Avvenuto lo spostamento, Azalea richiuse il pesante portone e i rumori della strada vennero tagliati immediatamente fuori dal luminoso atrio del n. 9 in cui ora si ritrovavano entrambe insieme alla strabiliante quantità di flora che era stata stipata là dentro. Piante e fiori di tutti i tipi avevano preso possesso di ogni spazietto e per non rischiare di urtare con i propri passi vasi e vasetti variopinti si dovevano seguire due contorti “sentieri” di pavimento ancora libero. Uno conduceva alle scale e dunque al piano superiore riservato a Killian, l’altro curvava attorno ad un grosso bonsai e permetteva di lasciare illesi la giungla dell’ingresso per approdare nel regno della McCramble. «Di qua, cara», cinguettò la regina di quel caos naturale posandole delicatamente una tozza mano sulla spalla e guidandola con essa fino alla porta del suo appartamento, rimasta socchiusa. Dopo l’esplosione di verde che avevano appena attraversato, il salotto che le attendeva fu tutto un rosa. Anzi, non uno, ma quante più sfumature del colore era possibile accostare nello stesso luogo senza dare la nausea. Le pareti pesca delimitavano una stanza piuttosto ampia dove pizzi e merletti crescevano rigogliosi esattamente come la vegetazione che si erano lasciate alle spalle, ricoprendo praticamente ogni superficie insieme ai più deliziosi e inutili soprammobili. Nel complesso l’ambiente era accogliente, ma risultava un po’ carico. Un po’ troppo, come la proprietaria, che tuttavia sapeva come farsi apprezzare.
«Siediti pure dove vuoi», la pregò indicandole con un gesto della mano impeccabilmente smaltata le poltroncine rosa confetto o il divano davanti ad – ed in tinta con – esse, o ancora le sedie attorno al tavolino di legno nell’angolo della sala. «Io ho avuto una brillante idea: sai che facciamo ora? Chiamo quell’irresponsabile e con la scusa di voler avere sue notizie gli chiedo quando ha intenzione di rientrare». Facilitata dal modo docile e forse spaesato con cui la ragazza aveva seguito le sue indicazioni, la vecchina era già a metà dell’opera che aveva annunciato. Quella donna pareva un vulcano, o un tornato, o qualunque forza della natura avesse il potere dell’inarrestabilità. Si era diretta a passo marziale verso il tavolinetto rotondo di ferro battuto a lato del divano dove spiccava sulla sommità un telefono fisso nel pieno stile zuccheroso del luogo. Frazioni di secondo e aveva già composto il numero premendosi la cornetta sull’orecchio appesantito dall’ingombrante pendaglio appeso al lobo.

«Squilla! Già è qualcosa: dove lavora la linea non prende mai bene», le lamentele vennero bruscamente interrotte sul nascere: «Ah, ecco! Pronto, Killian?». Poi, con una nonchalant unica, discostò il ricevitore in modo che la giovane ospite potesse seguire la conversazione. Qualcuno l’avrebbe potuta considerare una violazione della privacy visto che non aveva alcuna intenzione di avvisare l’altro interlocutore della presenza della spettatrice, ma il cuore della McCramble si era subito sentito solidale con la semi-sconosciuta senza che ne comprendesse i motivi.

«Signora McCramble, che succede?». Anche se metallica, stanca e vagamente preoccupata, la voce del Resween tuonò nel grazioso salottino forte ed inconfondibile.

«Non ti vedo da giorni e mi chiedevo che fine avessi fatto», fece le fusa lei in una performance da attrice provetta per nulla intimorita dal saluto privo di convenevoli dell'uomo.

«Ah...sì, sono stato un po’ impegnato con il lavoro», il fare sbrigativo con cui Killian cercava di tagliare corto lasciava intendere quanto fosse tutt’ora indaffarato, ma Azalea sapeva che se le aveva risposto un minimo di tempo poteva dedicarglielo: in caso contrario il telefono avrebbe semplicemente squillato a vuoto, come innumerevoli altre volte.

«Quando pensi di tornare? Per cena sarai a casa?». E qui, una gran profusione di ammiccamenti cospiratori rivolti all’indirizzo di Amanda.

«Credo di sì, ma non glielo prometto. In ogni caso non si preoccupi e non mi prepari nulla da mangiare”»

«D’accordo caro, non fare troppo tardi»

Un brevissimo saluto da parte di entrambi e la cornetta fu rimessa al proprio posto mentre una trionfante vecchina annunciava: «E’ fatta, dice sempre che non garantisce nulla ma sono sicura che sarà qui massimo tra qualche ora. Nel frattempo sarà mio grande piacere intrattenerti: posso offrirti qualcosa? Che ne dici di un succo di frutta?»

La parlantina dell’ultrasettantenne era invidiabile, ma probabilmente ora non faceva altro che stordire la povera ragazza finita nella sua ragnatela di pizzo San Gallo. Non aveva nemmeno atteso la risposta che già si era diretta verso la porta a vetri che evidentemente divideva il salotto dalla cucina. La aprì e l’equilibrio – ammesso che Azalea avesse consentito alla signorina di trovarne uno con quel susseguirsi febbricitante di iniziative a senso unico – fu di nuovo frantumato da una piccola tempesta di neve che sgusciò tra le gambe grassottelle della donna per mettere a soqquadro il salottino. Fu su di Amanda in un batter d’occhio permettendole di appurare la sua reale natura: un cucciolo di cane dal manto immacolato che aveva iniziato ad annusare tutto ciò che di lei riusciva a raggiungere con il tartufo mentre la piccola coda dritta fremeva nell’estasi del momento.

«Oh, ecco, bene. Mentre preparo da bere, ci penserà Milkshake a fare gli onori di casa!»

E sparì, lasciandola lì con quel terzo inquilino mai incontrato prima e con tutta probabilità insieme a tutti i pentimenti del caso per l’aver anche solo bussato al n. 9 di Rosegarden St.

❖Killian Resween❖
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view post Posted on 25/10/2018, 20:23
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"Vattene finché sei in tempo"
Gridò, muta, la coscienza.

Debole, Amber non riuscì ad assecondarla, perché in fondo sapeva benissimo cosa voleva: accertarsi che Killian stesse bene - era lì perché non si era dimenticata di lui - e poteva farlo solo seguendo quella donna. Era così stanca di lottare internamente su più fronti che aveva scelto semplicemente di smettere di farlo, aveva alzato bandiera bianca. Aveva già dato il peggio di sé, aveva già rovinato tutto quanto, il fatto che poi se ne fosse pentita era tutt'altra faccenda e non le avrebbe dato comunque il diritto di pretendere che le aprisse la porta, perché lui non lo sapeva. Ma le sarebbe andato bene anche parlare attraverso un muro, purché lui fosse dall'altra parte anche solo ad ascoltare senza dire nulla. Una frase, gli avrebbe detto quella frase e poi se ne sarebbe andata, pronta a smettere di tormentarlo per sempre. Oh, non era pronta per niente ma doveva sforzarsi di esserlo. Forzare una capacità che non aveva, quella di dimenticarlo, la stava lentamente distruggendo. Aveva condiviso ogni passo di quel percorso con lui e doveva convincersi di non aver davvero ucciso a mani nude la possibilità di rivederlo. Le braccia aumentarono la stretta attorno al busto quando la vecchina la accusò di avere freddo. Non aveva torto, e forse era meglio che scegliesse quello come motivo principale per la sua aria stravolta, si era detta, piuttosto che cercare di indagare più a fondo. Chiaramente non conosceva Azalea McCramble. Con l'aprirsi del portone si mosse in automatico superando di pochi passi la padrona di casa che, prontamente, richiuse l'uscio alle spalle della bionda. Scacco Matto. Da quel momento Amber poteva dirsi realmente in trappola, ma doveva indicare se stessa come unico colpevole. Aveva visto chiaramente quella morsa aperta sul terreno, praticamente l'aveva messa lei lì e poi ci aveva infilato il piede con fin troppa facilità. Il primo impatto con l'ingresso però la privò di ogni ulteriore pensiero: da quando c'erano tutte quelle piante? Era passato più di un anno dalla sua ultima visita e - per quanto la McCramble non contenesse la passione per la flora - l'androne non era mai stato così affollato, come poteva trovare la via di casa? Quel posto era diventato una giungla! La foglia larga e spessa di un ficus le sfiorò il collo costringendola ad arrestare i passi un attimo prima di inciampare sul vaso della stessa pianta. Da qualche parte, tra un bonsai e l'altro, c'era il punto esatto in cui si era lasciata andare ad uno sfogo disperato e che nessuno, per fortuna, aveva visto, ma che lei ricordava benissimo. Lo cercò con lo sguardo ferito di chi sa di infliggersi dolore gratuito. Le si strinse il cuore; quella volta aveva creduto di aver impresso la parola "fine" al rapporto con l'Auror, era stata un'ingenua anche allora, incapace di prevedere che li avrebbero attesi giorni peggiori. Se già al tempo la flora "locale" le era sembrata ostile, quella giungla non sarebbe stata da meno. Fu la mano della donna, che aveva capito di doverla guidare, a farla trasalire più di tutto. Annuendo, la seguì lungo il sentiero che sembrava essere l'unico in grado di farle uscire dal labirinto. Il raggiungimento della porta avrebbe potuto significare un bel traguardo, ma la bionda non riusciva a convincersi di aver fatto la scelta giusta. Cosa avrebbe pensato Killian se l'avesse trovata lì, per di più in compagnia di quella babbana che fin dal principio sembrava averlo tanto a cuore? Temeva di scoprirlo.

Osservò l'interno dell'appartamento della donna, dai colori delle pareti fino a quelli delle poltroncine, per non parlare del pizzo che sembrava il Re di quel reame tanto caotico. No, non c'era niente che lei avrebbe salvato in quell'arredamento, ma nonostante l'insieme improbabile di gradazioni cromatiche impossibili, non riuscì a non sentire il tepore di un'accoglienza vecchio stampo. Era fuori posto, sembrava un blocco di ghiaccio in un vulcano in piena attività, eppure non c'era altro luogo per lei se non quello e non c'era nessuno pronto a parlarle che non fosse una babbana dal sorriso gentile ed i modi stravaganti. In parte era come se il mondo intorno a lei si muovesse a velocità doppia mentre ancora faticava a mettere a fuoco il vero motivo che l'aveva spinta a non rifiutare l'invito. Masochismo? Si rese conto di quanto stava accadendo nel momento in cui la McCramble con un'aria particolarmente soddisfatta e cospiratoria le accennò il suo piano - nemmeno il tempo di fermarla che già lo stava mettendo in atto. Come intendeva chiamare Killian, e cosa avrebbe voluto dirgli? «Non serv-» non ebbe modo di accorgersi di quanto roca suonasse la sua voce, quasi non parlasse da anni, che la donna aveva già preso in mano un aggeggio comunicativo babbano, molto simile a quello che si trovava nella cabina dell'ingresso per gli ospiti al Ministero. La Tassina doveva solo sperare che non si potesse percepire anche la sua presenza in quella stanza attraverso il corno lilla. Avrebbe voluto allungare la mano e fermare la donna, o almeno specificare che non avrebbe dovuto dirgli che "Amanda" si trovava lì, ma con la propria velocità la vecchina aveva vinto su tutta la linea. Il braccio le ricadde lungo il fianco. Stava accadendo tutto talmente velocemente che per poco non sentì mancale il fiato, come se stesse correndo all'impazzata da ore. Senza minimamente nascondere la sua espressione, mosse un passo verso la donna talmente piano da non infrangere il silenzio di quei tre secondi d'attesa prima che Killian rispondesse. Oh, ma quando lo fece, quando la voce - seppure meno realistica ma riconoscibile - del ragazzo la raggiunse, per lei fu come sprofondare in un abisso di emozioni represse; gli occhi le si velarono all'istante, le labbra tremarono ed un brivido le scosse il corpo mentre le iridi si coloravano di un verde più intenso. Non lo sentiva da così tanto che sembravano passati anni. Ma era lui, non aveva alcun dubbio e l'effetto che quelle parole, il cui contenuto le importava poco oramai, le fece non fu che l'ennesima conferma: le era mancato e si vergognava ancora di più ad ammetterlo all'interno delle pareti strette della sua mente. Avrebbe voluto parlargli ed allo stesso tempo aveva una paura folle di farlo, perché tra i tanti toni che le aveva riservato consapevolmente, l'unico che si sarebbe meritata era l'ultimo: duro ed implacabile. All'improvviso sentì il bisogno di sedersi, ma la conversazione era solo agli inizi e di quella voce non ne avrebbe mai avuto abbastanza, anche se nessuno di quei pensieri espressi era rivolto a lei. Attimi rubati con lui totalmente inconsapevole, che non facevano che farla sentire una ladra, ma per un attimo, un solo dannatissimo attimo si sentì una ladra felice. La mano destra strinse il polso sinistro nel vano tentativo di ricordarsi di non essere sola ed anzi; di essere sotto osservazione da parte di una commediante nata! Azzardò un tiepido sorriso di circostanza quando la vecchia chiese a Killian se sarebbe stato a casa per cena, ammiccando verso Amber. Che doveva fare? Non poteva cedere all'emotività che premeva con forza sull'onda della stanchezza. Ora aveva capito che stava bene, doveva farselo bastare. Un pensiero sciocco quanto concreto seguì lo scambio successivo: c'era una dinamica affettuosa non indifferente tra i due inquilini del numero nove, chi era lei per romperla? Chi era lei per minare la fiducia che i due avevano costruito negli anni?

Come una lama affilata, la consapevolezza di doversene andare il prima possibile la trafisse. Una morsa di invidia le chiuse la gola quando si rese conto che tra le tante cose che non avrebbe mai potuto avere c’era anche quella: una conversazione normale con lui. Tranquilla, stabile, basata su una fiducia solida e qualche rimbrotto affettuoso. Dopo la riconsegna degli anelli ogni possibilità di comunicare con il mago a voce era andata in frantumi, come un vaso prezioso posizionato un un tavolino preso di mira da mille incantesimi. Doveva immaginare che si sarebbe rotto, ma non era stata in grado di prevede in quanti pezzi. Abbassò lo sguardo sfidando così la soddisfazione comparsa sul volto della babbana. Un'ora era un tempo accettabile? Il suo stomaco si stava già torcendo come il migliore dei contorsionisti, le falangi si erano ulteriormente raffreddate ed il corpo era scosso in maniera invisibile da piccoli e costanti fremiti. Non tornare, Killian, si ritrovò a pensare, in netto contrasto con il supplichevole Mi dispiace, torna... che aveva tenuto in mente per mesi. Doveva una risposta alla donna che la stava ospitando, però quella se n'era andata oltre la porta a vetri e prima ancora che Amber potesse prendere una decisione un fulmine di pelo candido le si era fiondato addosso. Sopraffatta dall'esaltazione del cucciolo, da quel tartufo umido e dalla codina che si muoveva a ritmo costante, si ritrovò a sorridere con una dolcezza spezzata solo dalla sua anima frammentata ed ancora distante. «Ehi... e tu chi sei?» il tono gentile fu accompagnato da una carezza sul morbido pelo di Milkshake che non fece che permettere al piccolo inquilino dell'appartamento di agitarsi ancora di più e richiederne altre. Le piacevano i cani, anche se gli unici con cui aveva contatti erano a villa Hydra, ma quel batuffolo metteva seriamente a rischio la stabilità fragile che si era imposta per poter camminare fin lì. Venne inseguita fino al tavolino e, prima che potesse sedersi sulla sedia - continuava a dirsi che sarebbe rimasta lì solo il tempo di un bicchiere di succo - quella era già stata occupata dal cucciolo, che era pronto a metterle le zampe sullo stomaco per allungarsi e poter raggiungere il suo collo così impunemente. Quando la porta a vetri si aprì, gli occhi nocciola del nipotino peloso si puntarono verso la babbana, quasi volesse confermarle che si sarebbe preso cura lui di Amber, fiero e felice, guadagnandosi un occhiolino complice che la bionda non fece in tempo a vedere. «Amanda, quanti anni hai detto che hai cara?» «Diciotto, ma per-» «Siediti, siediti» Aveva risposto istintivamente mentre ancora dedicava le sue affettuose attenzioni al cagnolino. C'era qualcosa di profondamente sbagliato nello sguardo della giovane strega, e benché un barlume di felicità fosse comparso all'arrivo di Milkshake, il sorriso stonava con il messaggio che gli occhi tristi mandavano... ma per sua fortuna Azalea non mancò di notarlo. Era già pronta a portare il vassoio ricoperto di merletti al tavolo, ma proprio l'aria affranta di Amber la costrinse a fare marcia indietro. La ragazza non poteva saperlo, ma la vecchina aveva corretto di poco la caraffa di succo con qualche goccia - un terzo di bottiglia - di vodka, e vedendola più sconvolta di quanto ricordava fece dietrofront per svuotare una parte più consistente del liquido trasparente dentro il succo di pera. "Meglio abbondare, la situazione mi sembra tragica..", borbottò a se stessa. Soddisfatta delle proporzioni finali, fece il suo ingresso attirando l'attenzione del cucciolo che finalmente lasciò libera la sedia su cui la bionda poté sedersi. «Ecco qui, non fare complimenti» proseguì Azalea condendo il suo tono con una dolcezza quasi serafica, qualcosa che l'altra non riuscì a cogliere, la sua mente era diventata l'esatta rappresentazione della giungla all'ingresso... solo che nessuno si era ancora presentato per condurla oltre la giusta soglia. «Dai avanti, tu non ne hai bisogno!» borbottò l'anziana al cagnolino già pronto a balzarle sulle ginocchia con poca grazia e rubarle il bicchiere, cosa che tentò poi di fare anche con Amber. Seria, sebbene con la mano sinistra continuasse a regalare sporadiche carezze a Milkshake, la ragazza afferrò il vetro colorato e si sforzò di non fare scena muta davanti alla gentilezza un po' scorretta della donna. «Grazie, signora McCramble, ma non rimarrò molto.» doveva ripeterselo, se avesse atteso troppo l'avrebbe salutata magari lasciando solo un biglietto sotto la fessura della porta del ragazzo. «Sciocchezze, sciocchezze! Inganneremo l'attesa e passerà in un attimo» una mano ingioiellata tintinnò quando la scosse con noncuranza per rigettare l'idea della giovane che trovava assurda. Quando le sarebbe ricapitato di poter indagare sui misteriosi passatempi di Killian? Ignorava il fatto che la biondina ne potesse sapere ancora meno di lei, ma tanto valeva provare. «Ma ora dimmi: non è un bravo allievo, vero?» Gli occhi cerulei brillavano di curiosità ma erano ben attenti a non rivelare il puntuale controllo del consumo di succo-non-propriamente-succo. D'un tratto non Amber si perse, lo sguardo replicò l'idea di "bersaglio centrato" che rievocò quella domanda. Cosa rispondere? E se la donna non l'avesse più fatta uscire da lì? Bevve il primo sorso, forse anche troppo di fretta, per evitare di rispondere a quella domanda che a bruciapelo andava ad indagare quell'identità di copertura oramai sepolta. «No veramente lui..» Lui cosa? Non aveva idea di come finire la frase ma non poteva nemmeno rovinare qualsiasi rapporto Killian avesse con l'anziana sbugiardandolo. Fortunatamente il sapore vagamente alcolico - possibile? - del succo la costrinse a celare un colpo di tosse inatteso. Strinse gli occhi mentre un sapore più pungente sovrastava quello della pera. «Con cosa ha detto che è questo succo?» Alla donna sovvenne il dubbio di non aver adottato una buona strategia vedendo la reazione di Amber al primo sorso, ma quel pensiero se ne volò via con la stessa rapidità con cui era venuto: "a mali estremi, estremi rimedi" era sempre stato un suo motto. «Oh è succo di pere freschissimo » si affrettò ad informarla sbattendo le pesanti palpebre con fare innocente dietro gli enormi occhiali. «...E una piccola correzione di alcool che mi sono permessa di aggiungere, così, per gradire... Sono piuttosto brava a creare ogni genere di bevande, voglio credere che Killian ti abbia offerto qualcosa di mio almeno una volta, o è stato così scortese? » Rispondere attenuando e schivare magistralmente: forse il Resween aveva imparato dalla sua padrona di casa? O magari era viceversa? Ed Amber come aveva fatto a non capire cosa ci fosse di sbagliato nel succo? O meglio, perché non aveva capito subito che di pera c'era ben poco? Lo sguardo soave che le aveva rivolto la McCramble la lasciò interdetta. Probabilmente a lei sembrava normale, oppure l'aria della ragazza le aveva dato da comprendere di quanto supporto avesse bisogno. La bionda si rabbuiò; era davvero così palese lo stato in cui versava? Aveva smesso di preoccuparsene al secondo isolato percorso con il cuore in gola. La voce di Killian poi aveva aggravato la situazione, l'aveva percepito ad un livello tanto intenso da non riuscire ad evitarselo, era entrato così in profondità che solo a quel punto poté capire dove affondavano le radici del loro rapporto, erano così profonde che... forse un bicchiere non avrebbe fatto male a nessuno, si disse. Gli occhi le si inumidirono di nuovo quando venne gentilmente costretta a ricordare l'offerta dell'infuso alla Ciliegia, anni prima, il cui ricordo ancora le scaldava il cuore - nonostante tutto. Ma proprio rammentare la gentilezza che lui le aveva riservato la ferì tremendamente e desiderò con tutta se stessa di essere sola, di nuovo. Ma le circostanze e la sua testardaggine l'avevano messa in una situazione terribile ed ora doveva dare l'ennesima risposta. «No lui.. è stato gentile, quella volta.. io mi ricordo bene l'infuso alla Ciliegia, era buonissimo. » la voce ridotta a un filo, le era impossibile dimenticare. Strinse il bicchiere e ne osservò il contenuto verdognolo. «.. solo uno» disse, rivolta a se stessa, mentre il sorriso soddisfatto di Azalea non mascherava l'espressione più preoccupata, era chiaro sempre di più anche alla padrona di casa che qualcosa non andava.

[...]

«Mi ha detto proooooooooprio così:» Annuì esageratamente e poi, indignata, con le guance arrossate, lo sguardo in debole imitazione di quello di Killian di mesi prima ed il tono volutamente greve tanto quanto incredibilmente fasullo, citò le ultime parole dell'Auror in casa Snow. Non si contavano più i bicchieri che si era lasciata riempire. «Sei solo una bambina, Amber». Scosse il capo, incapace - nonostante lo stato in cui si ritrovava dopo un numero incalcolabile di bicchieri oltre quel "solo uno" - di rendere al meglio senza apparirne ferita. Il cerchio alla testa aveva iniziato a stringere, tanto quanto la lingua si era sciolta e la nebbia aveva invaso la mente. Il bicchiere che ancora teneva in mano venne vuotato delle sue ultime gocce e poggiato sul tavolo con troppa forza. Repentina l'espressione della giovane si fece tanto triste quanto prossima al crollo. Non si accorse subito dello scatto agile di Milkshake. Il cagnolino candido che inizialmente si era appisolato sotto la sedia - quando dal primo bicchiere la bionda era arrivata al terzo - poi era risalito da abile ricercatore di coccole fino a sedersi in braccio all'ospite che, senza più alcuna remora, aveva preso ad abbracciarlo quasi fosse un'ancora di salvezza più potente della vodka. Ma proprio mentre quell'imitazione scadente e frutto di troppo alcool in corpo veniva espressa, la bestiolina era saltata giù dalle ginocchia di Amber ed aveva iniziato a mugolare vicino al portone d'ingresso, grattando le fessure con le zampine. Vacuo, lo sguardo della giovane aveva rincorso senza entusiasmo i movimenti del piccolo, ma poi era tornato sulla padrona di casa, quella che certo reggeva l'alcol meglio di lei. «Ma io! Io» si indicò il petto con la mano destra, difficile che Azalea non capisse, ma in quello stato Amber certo non era in sé, forse serviva proprio a lei indicarsi per capire dove fosse! «... le sembro una bambina??!» al domandare gli occhi chiari avevano scelto proprio di donare alla biondina l'aspetto di una bimba a cui non solo era stato portato via il giocattolo ma era anche stato detto non era abbastanza grande per poterci giocare di nuovo. Fu lo scatto da maratoneta della McCramble a schiaffeggiarla in pieno volto. Senza la minima idea di quanto tempo fosse trascorso, quali fossero i punti cardinali, dove fosse suo padre e perché diamine fosse lì, Amber scattò per imitazione in piedi. O meglio: ci provò. Fin tanto che era rimasta seduta non si era accorta di quanto avesse bevuto, ma da in piedi, con l'intero mondo a muoversi attorno a sé, comprese di aver commesso un gravissimo errore di calcolo. La brocca era vuota. I due bicchieri anche, ma il suo sembrava più usato. Senza il minimo accenno di equilibrio, percepì dapprima le gambe pesanti e poi i polsi deboli e dovette reggersi al tavolo per non ricadere seduta. L'espressione incredula si fece spaventata, poi di nuovo indecifrabile mentre si massaggiava le tempie con la mano. Cosa ci faceva lì? Da quando aveva un cane? Appoggiò i palmi sul tavolo e chiuse gli occhi: tutto girava a velocità incredibile, ma quanto era reale? E perché si sentiva così... persa? I volti in successione di Mayline, e poi John, e poi Killian e la vecchia e.. tutti, vorticarono paurosamente sfrecciandole davanti alle palpebre serrate come scope impazzite. Avrebbe voluto urlare ai suoi pensieri di fermarsi, ma non sapeva come fare. Ed allora, quando le iridi vodkamarin acquamarina si fermarono sulla porta in lenta apertura, il silenzio cadde nei suoi pensieri. Un barlume di lucidità. Oh no

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Il comportamento improvviso del candido cagnolino era inequivocabile, soprattutto per Azalea che ne era spettatrice odierna: tutta quell’impazienza ed il grattare sulla porta indicavano senza alternativa che Killian era tornato. In altre situazioni la donna non avrebbe avuto bisogno di quella piccola sentinella pelosa dato che vantava un udito sopraffino anche lei sviluppato grazie ad anni di spionaggio casalingo, ma era stata completamente assorbita dalla performance di Amber – sì, perché aveva appena scoperto non con troppa sorpresa essere questo il suo vero nome – da essersi quasi dimenticata del motivo della loro attesa in compagnia della caraffa galeotta. Aveva già pronta la risposta per la giovane ospite (ovvero che le sembrava una bambina tanto quanto le era sembrata un’insegnate di musica: per niente) quando si vide costretta a scattare dalla sedia con l’abilità di un centometrista. Sapeva che se voleva intercettare il ragazzo doveva approfittare del suo breve transito dal portone principale al piano superiore perciò non c’era un attimo da perdere, nemmeno per lanciare furbe frecciatine come quella che aveva preparato per la finta Amanda.

Dall’altra parte del muro, nell’atrio verde del n.9, stava accadendo esattamente ciò che l’anziana sospettava e voleva impedire: il venticinquenne aveva tentato di rientrare con la massima discrezione possibile ma i rumori causati da Milkshake aldilà della porta della McCramble confermarono il fallimento del proposito di passare inosservato. A quel punto l'Auror aveva allungato il passo riuscendo a guadagnare metà della rampa di scale, ma la sua “fuga” fu presto arrestata da un cigolio di cardini.

«Killian, potresti venire un secondino dentro?»

Gli occhi grigi dell’Ispettore Auror si strinsero fugacemente nella chiara espressione di chi era stato appena beccato con le mani nel sacco; percepiva come quelli acquosi della donna si fossero piantati sulla propria schiena per assicurarsi che non scappasse nella tana sicura alla fine dei gradini. Trattene un sospiro: era grato ad Azalea per la preoccupazione dimostrata non vedendolo rincasare da giorni ed era sua intenzione quella di scendere più tardi a tranquillizzarla, ma al momento solo Merlino sapeva quanto avesse bisogno che il getto bollente della doccia lavasse via la spossatezza annidata in ogni muscolo del suo corpo. Indossando il miglior sorriso di circostanza, il mago si costrinse a promettere di pazientare per tutta la durata dell’interrogatorio a cui la vecchina l’avrebbe sicuramente sottoposto vedendolo in quelle condizioni trasandate con le occhiaie più accentuate che mai e gli abiti "da strada" sgualciti.

«Certo, signora McCramble», rispose rassegnato rivolgendosi agli occhiali tondi e spessi che gli si puntarono contro quando fece dietrofront e scese a due a due gli scalini.

Sorprendentemente, Azalea non si prodigò a squadrarlo dalla testa ai piedi per provare a farsi un’idea di dove fosse stato e cosa avesse fatto. Qualcosa adombrava il volto rugoso segnato dal pesante trucco e nel constatarlo un moto di apprensione assalì il giovane. Cosa aveva combinato stavolta? Che avesse fatto saltare di nuovo una tubatura dell’acqua? Ora che l’aveva raggiunta sulla porta tenuta socchiusa si sentì di escludere quell’ultima ipotesi… L’espressione che esibiva sembrava tradire una certa dose di colpevolezza che in qualche modo ricordava all’uomo l’occasione in cui gli aveva rivelato di aver portato a casa un cane anziché un gatto, lo stesso terremoto vivente che ora scorgeva agitarsi per raggiungerlo dietro al profilo robusto della donna che bloccava il passaggio tra l’ingresso e il salottino alle sue spalle. Killian fece appena in tempo a domandarsi quale altro animale l’anziana avesse accalappiato per il loro zoo quando questa si fece da parte consentendogli finalmente di entrare e verificare con i propri occhi. Un passo verso l’interno e lo sguardo nuvoloso poté abbracciare la sala in tutta la sua stucchevole frivolezza. I merletti, i soprammobili, Milky che freneticamente cercava di farsi prendere in braccio mordicchiandogli i pantaloni scuri e l’orlo della felpa grigia: tutto sembrava essere al posto giusto in quel quadretto familiare. Tutto, tranne una singola presenza che ebbe la capacità di bloccarlo come un Pietrificus perfettamente castato. Persino il respiro venne trattenuto più a lungo di quanto fosse umanamente possibile, o almeno così sembrò al Resween. Ritrovarsi davanti un dissennatore che sorseggiava amabilmente del tè dal servizio di porcellane a fiorellini di Azalea probabilmente l’avrebbe sconcertato di meno.

«Amber »

Un nome. Quel nome. Era sfuggito dalle labbra scure dell’uomo come un bisbiglio, ma lui per primo si stupì di quanto la sua voce fosse risultata forte e, nonostante questo, atona. Come un riflesso troppo radicato in profondità per poter essere soppresso anche dopo un prolungato inutilizzo, ma allo stesso tempo inconsapevole e di dubbio significato. Rivederla così dopo un addio considerato definitivo per mesi interi fu il più deleterio dei rincontri. Però c’era qualcosa di strano. Lei era strana: alcuni elementi come la cascata bionda e le curve gentili del viso, degli occhi e delle labbra non lasciavano dubbi sulla sua identità così come la disarmante bellezza che appariva rinvigorita dal trascorrere delle stagioni. Il modo in cui si reggeva al tavolo, la lucidità che ricopriva le iridi chiare e il rossore innaturale diffuso sulle gote, invece, procuravano al mago la sensazione di avere di fronte qualcuno di sconosciuto. Non era la Amber di casa Snow – questo era certo – ma nemmeno la ragazza che aveva creduto di conoscere prima che andasse tutto a rotoli.
In ogni caso, poco importava quale delle tante sfaccettature di Amber Hydra fosse quella in piedi nel salottino frufrù della McCramble: nessuna di loro aveva il minimo diritto di trovarsi lì.
Dopo l’iniziale e potente spaesamento di cui era stato preda, il volto barbuto iniziò a mutare verso reazioni più che giustificate. La prima ad indurire i suoi tratti fu la collera e non solo per la visita indesiderata della Tassorosso: si sentiva raggirato dalla trappola tesagli da quelle due. All'improvviso anche la telefonata ricevuta un’ora prima assumeva tutto un altro velenoso significato, inserendosi perfettamente all’interno del piano magistralmente architettato per incastrarlo.

«Cos’è questa storia?», abbagliò bruscamente alternando lo sguardo tagliente e tempestoso dalla giovane all’anziana mentre anche Milkshake indietreggiava interdetto per il tono ostile dell’interrogativo.

In realtà non aveva bisogno di risposte, credeva già di sapere come fossero andate le cose: Amber aveva avuto un unico e terribile assaggio di cosa fosse capace il suo orgoglio ferito e questo doveva averla fatta giungere alla corretta conclusione di avere pochissime possibilità di essere ascoltata presentandosi semplicemente alla sua porta. La socievole vecchina costituiva senz'altro un facile mezzo da ottenere e sfruttare per il proprio scopo, rendendola una cruciale alleata. Sarebbe bastato al mago un briciolo di buon senso in più per realizzare quando fuori strada fosse con una simile ricostruzione degli eventi, ma non era nemmeno completamente colpa del ragazzo se la situazione aveva gettato alle ortiche la propria capacità di ragionare razionalmente.
A farlo rinsavire, tuttavia, provvide la signora McCramble stessa che si inalberò orgogliosamente sulle sue pantofole piumate: anche lei aveva qualcosa da ridire visto che Amanda si era definitivamente confermata Amber anche per bocca di Killian. Vedendo la propria padrona di casa così sul piede di guerra, l’Auror fu attraversato dalla consapevolezza tutta nuova (e più vicina alla verità della precedente) che probabilmente era stata la ragazza ad essere finita nelle grinfie benevole di quest’ultima e non viceversa. Intuizione avvalorata, chissà perché, da quei bicchieri vuoti poco distanti dalle mani serrate sul legno della figura che lui stava evitando accuratamente di guardare. Dopo avervi posato gli occhi increduli per un tempo infinitamente lungo come se dovesse appurare che si trattasse solo di un miraggio impossibile, si scoprì incapace di sostenere ancora la vista della giovane donna stretta nel lungo cappotto. Dissimulò ciò che considerava un’odiosa debolezza riportando le iridi di fumo su Azalea, deciso ad ignorare Amber così come negli ultimi mesi aveva negletto i pensieri che l’avevano riguardata.


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view post Posted on 28/10/2018, 22:00
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«Basilisco!», un sussurro privo di senso lasciò le sue labbra prima ancora che lo sguardo si posasse su di Lui; su quel pericolo che albergava dentro le mura del numero 9 e che lei non riusciva a mettere a fuoco. Lo temeva perché era un mostro, o era diventato un mostro perché lei lo temeva? Ma soprattutto: chi era? Perché non riusciva a dare un nome al proprietario della voce vagamente udita oltre il portone aperto? Eppure lei sapeva chi era, lo conosceva benissimo, ed il frastuono del cuore rispose ad un livello inconscio allarmandosi non appena l'Auror e quindi la sua figura, mise piede dentro l'appartamento della McCramble. Le voci di ovatta intorno a lei si mescolavano ai fumi dell'alcol, e la vodka, regina di quel pomeriggio, guardava dall'alto del suo scranno quel che rimaneva di Amber, mentre con polso fermo stringeva i frammenti della dignità rimasta alla ragazza. Oh non glieli avrebbe ridati tanto presto, quello era sicuro! Con le dita a graffiare il legno del tavolo nella speranza di trattenere il barlume della ragione che credeva di possedere, si sforzò - e fu uno sforzo immenso - di sollevare il capo, che volentieri avrebbe desiderato di appoggiarsi ad un cuscino, e volgere a metà il busto verso quella voce. I tamburi nel suo stomaco risalirono fino a piantarsi in gola, là dove il liquido denso al vago aroma di pera l'aveva solleticata poco prima ed aveva liberato lo spirito galoppante degli aneddoti che mai e poi mai avrebbe dovuto rivelare ad una babbana semi-sconosciuta. Ah, ma ora erano compagne di bevute... era una notevole evoluzione del loro rapporto! Lentamente, nonostante credesse di aver guadagnato una capacità motoria non indifferente, riaprì gli occhi. Sollevò le palpebre ma quello non le consentì di mettere a fuoco i singoli attori in scena davanti a lei, tanto che perfino la sua espressione sarebbe parsa totalmente spaesata e forse perfino disturbata dal ronzio incessante prodotto dal caos della mente. I bordi frastagliati di Killian Resween però non impiegarono troppo a rimandare alle iridi chiare il riflesso di quel dolore spinto ai limiti della sopportazione dall'intera caraffa di succo corretto e fu quello il momento in cui, con l'espressione scioccata di chi aveva indubbiamente molteplici colpe - e che le avrebbe piante tutte - lo guardò davvero da cima a fondo. Piegando appena la testa a lato, quasi imitando i gesti di Milkshake che non poteva capire cosa stesse accadendo, non nascose quella radiografia sommaria ed evidente che stava facendo all'Ispettore. Era lui in tutto il suo sfinito splendore, e non le era indifferente nemmeno un po'. Morgana! Sentirsi chiamare per nome ruppe qualcosa all'interno del complesso vetro liquido che l'aveva avvolta come un mantello e la convinse a rispondere senza un minimo filtro. «Tu»
Il tono che usò si divise tra l'incredulo, il ferito - ingiustamente - e quasi l'offeso perché in qualche modo la realtà che stava tentando di recuperare ora era pronta a peggiorare di nuovo. Scosse il capo con forza, con l'unico risultato di uscire ancora più frastornata da quel gesto. In altre situazioni era perfino inutile dire che Amber Hydra non avrebbe mosso un singolo passo né emesso un fiato in un momento simile. Se avesse potuto percepire cosa evocava lo sguardo del mago, avrebbe lasciato l'appartamento in pochi secondi, certa che nessuno l'avrebbe fermata. Ma era comprensibile anche dal modo in cui ondeggiava pur rimanendo ferma che non fosse in sé. Difatti, se i primi istanti i macro sentimenti contrastanti si erano dati battaglia in lei per tenerla a quella distanza di sicurezza, dopo tutto ciò che vide fu semplicemente lui. Semplicemente Killian. La linea retta che l'avrebbe condotta ad un soffio dall'Auror parve illuminarsi davanti allo sguardo incerto che ora troneggiava sul viso stravolto della strega. Nemmeno si era accorta di quanto veloce andasse il suo cuore, troppo per una comune mortale. I capelli stranamente dritti come spaghetti ondeggiarono quando la ragazza scelse sconsideratamente di perdere il supporto ligneo a cui si era affidata per quei brevi minuti. "Pessima mossa", sbuffò la ragione seduta su una spalla. "Coraggio, vai!", la incitò il cuore appostato sull'altra. In piedi non si rese conto che lui non le stava prestando attenzione e, come se una strana aura lo avesse circondato - in mezzo alla nebbia in cui tutto si muoveva a rilento - Killian venne identificato come l'àncora di salvezza, il punto da raggiungere con ogni mezzo prima di collassare del tutto. Non le importava che niente giocasse a suo favore, oh, la poverina non lo sapeva, non voleva comprendere.. d'altronde la ragione era sfumata in una nube di fumo non appena il primo traballante passo era stato mosso. Un respiro le infiammò i polmoni mentre con difficoltà comica e disarmante superava il pavimento in costante inclinazione, possibile che non esistesse un incantesimo per imporgli di fermarsi? Allargò appena le braccia in un gesto istintivo che potesse consentirle di mantenere l'equilibrio ma, quando si rese conto - a modo suo - che il passo successivo l'avrebbe fatta sbattere contro Killian, si fermò. Dapprima mantenne lo sguardo basso; aveva il volto imbronciato per la fatica e l'incredibile ricompensa che sperava di ricevere per non essere inciampata sulla mobilia, non sarebbe certo arrivata ad alleviare la sua espressione. Arrabbiata senza una ragione, avrebbe voluto saper piangere e ridere insieme, perché sentiva l'assurdità della situazione mescolarsi al fremito costante per l'averlo così vicino ed al desiderio di prenderlo a pugni come se non potesse esserci un domani! Non capiva perché dovesse fare almeno una di quelle cose, ma quando alzò lo sguardo e le iridi chiare si scontrarono contro il muro tempestoso di un grigio cielo sopra Londra, si sentì morire. Ancora. La vodka però le venne incontro, sussurrandole l'idea che non potesse davvero trovarsi davanti a quel Killian, al suo Basilisco. Lui l'aveva infettata con qualcosa di talmente pericoloso che ancora non era riuscita ad estirparlo - e non voleva farlo - ed allora, senza il minimo ritegno, quasi sfidando quell'ombra tanto vicina, con il petto che si alzava ed abbassava a ritmo intollerabile, strinse le labbra e puntò un dito al centro del petto dell'Auror. Non smise di guardarlo negli occhi mentre ignorava di non riuscire a mostrare l'espressione sfidante che avrebbe voluto perché perfino le pagliuzze dorate davano l'idea di quanto annebbiata fosse la mente della bionda. Si espresse in involontari sussurri che finirono con un respiro più profondo e finalmente un nome, "il nome" : «Tu. Non puoi. Essere.... Killian» Ed ogni parola venne scandita da un picchiettare per niente gentile, e risoluto sulla felpa del mago. Fu solo quando la potenza di quel nome la sorprese che il respiro le mancò in maniera evidente, perché aprì le labbra e non ne uscì che un sospiro a metà, scosso da un fremito. Fu così che dal posarvi un solo dito, sul petto si aprì l'intera mano affusolata. Ed ancora dopo, il secondo successivo mentre le iridi annaspavano chiedendo aiuto ai più potenti gemelli incastonati qualche centimetro più in su, la mano strinse la stoffa morbida, il contatto visivo venne sciolto. Il capo di Amber, sconfitto tanto quanto lei dall'eccessiva energia utilizzata per affrontare il suo demone dagli occhi grigi, si abbassò fino che quasi la fronte sfiorò la stessa mano ancora aggrappata agli indumenti altrui. Il profumo dello shampoo alla lavanda si mescolava terribilmente con l'odore penetrante dell'alcool di cui sarebbe stato evidente che aveva abusato e lei chiuse gli occhi. Troppo vicina.

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«Che ha detto??»

Gli occhi dell’Ispettore Auror strabuzzarono con insistenza mentre chiedeva conferma all’anziana del sussurro che in realtà aveva compreso benissimo: a parlare era stata l’incredulità, facendogli persino dimenticare che era suo compito mitigare quanto più possibile quello che la ragazza poteva farsi sfuggire di ambiguo alle orecchie di una babbana.

«Basilico, credo. Ma il succo era alle pere, giuro!», Azalea si strinse nelle spalle sinceramente confusa dalla stramba uscita della sua ospite: forse era un nuovo insulto che andava in voga tra i giovani? Il modo in cui era stato pronunciato, effettivamente, lasciava intendere che fosse qualcosa di molto simile a “maledetto”, o giù di lì.

I forti sospetti che l’uomo covava circa la brocca vuota in bella mostra sul tavolo vennero così avvalorati dall’ultima esclamazione della padrona di casa, ma non riuscì ad indagare ulteriormente sulla natura della bevanda poichè un monosillabo fece vibrare l’aria rimbalzando più volte tra le pareti rosa pesca. Il “Tu” scandito in quel modo mandò in frantumi il proposito di ignorare la ragazza in tempi record: lo sguardo del mago tornò a posarsi su colei che aveva reclamato la propria attenzione e trovò il gemello acquamarina ad attenderlo. Amber non sembrava affatto intimorita dalla presenza contrariata o dalla reazione negativa avuta nei suoi confronti, semplicemente – ed incredibilmente – lo stava studiando (per quanto quel termine poco calzasse con le condizioni in cui era ridotta). Killian strinse le labbra scure e serrò la mandibola mal sopportando la scansione visiva alla quale, tuttavia, decise di sottostare in silenzio: non voleva darle alcun pretesto per continuare a vaneggiare, soprattutto davanti alla scaltrissima e pettegolissima Azalea. La rigidità del suo corpo aumentò esponenzialmente quando la Tassorosso ebbe l’audace iniziativa di incamminarsi a passi barcollanti verso di lui: sorprendentemente il rischio di avere un incontro ravvicinato con il pavimento lindo non si concretizzò, ma Milkshake dovette ritirarsi in fretta per non essere investito nel bel mezzo di un nuovo campo di battaglia. L’avvicinamento proseguì fino a che i due non furono ad un soffio di distanza: la scena era terribilmente simile a ciò che era avvenuto l’Inverno precedente, l’ultima volta che si erano visti. Anche in questo caso all’Auror venne naturale aspettarsi un attacco fisico, tanto più per la pseudo-rincorsa che la giovane aveva preso. Se non fosse stato ancora così inebetito dal rapido rovescio di eventi, avrebbe potuto addirittura allargare le braccia per accogliere la furia a cui era scampato mesi prima e che sembrava essere sul punto di raggiungerlo con gli interessi. Invece rimase immobile, senza potersi impedire di trasmettere con gli occhi un audace invito: Avanti, fallo. Non aveva senso sfidare così apertamente una persona non in grado di intendere e di volere, ma si era riaperto un conto in sospeso che andava chiuso immediatamente, in qualunque modo. Forse era proprio quello il tassello mancante che non gli aveva permesso di archiviare completamente il rapporto nonostante gli sforzi.

Niente pugni, schiaffi o spintoni. A quanto pare il venticinquenne si meritava di peggio che quelle grossolane e facilmente dimenticabili forme di violenza. Un solo dito ebbe il potere di abbatterlo più di qualsiasi altra percossa ed ogni picchiettio furioso sul petto andava ad enfatizzare l’aggressione verbale. “Lui non poteva essere Killian”. Che accidenti voleva dire? Era Lei a non poter essere Amber! Che fine aveva fatto la studentessa modello dai modi composti ed irreprensibili? Non riuscì nemmeno a programmare di contraccambiare l’accusa (anche se la domanda, in caso, doveva essere posta alla McCramble, l’ultima persona ad aver visto la coscienza della giovane prima di annegarla nello stramaledettissimo succo di non si sa cosa) che il corpo della poveretta venne sopraffatto dallo sforzo immane che quelle poche azioni le avevano richiesto. Tacque all’improvviso in un fremito, il dito sul petto divenne un’intera mano che successivamente si chiuse ad afferrare la stoffa grezza della felpa del mago. Ma quel gesto aveva un significato completamente diverso dai precedenti non essendo dettato dalla rabbia o da altri sentimenti la cui gestione era ormai all’ordine del giorno per Killian. La richiesta di aiuto che le iridi lucide gli avevano lanciato prima che il capo si abbassasse sconfitto costituiva invece qualcosa che l’uomo aveva creduto di non dover affrontare mai più. Non era pronto ad essere investito di nuovo ed immeritatamente del ruolo ricoperto un tempo e l’espressione sul suo volto (come di uno appena preso a pesci in faccia) non ne era che la conferma più evidente. Deglutì rumorosamente e prese un profondo respiro continuando a permettere che la ragazza si aggrappasse a lui, ma senza ricambiare quel contatto. Doveva agire secondo senso logico, almeno lui che ne aveva ancora la facoltà. Come se nulla d tutto ciò fosse avvenuto, riprese l’intenzione iniziale di provare a capirci qualcosa di più sulle singolari dinamiche che avevano preceduto il proprio arrivo.

«E' ubriaca», la voce ruvida constatò l’ovvio mettendo a verbale la verità scomoda che riguardava lo status di Amber. Dovette sforzarsi un bel po’ per mantenere il tono pratico e non accusatorio che aveva messo a punto sul lavoro quando proseguì con la fatidica domanda:«Si può sapere cosa le ha dato?»

«Te l’ho già detto, succo di pera. E un goccetto di vodka...». Al suono dell’ultimo ingrediente incolore la fronte del Resween si aggrottò pericolosamente e l’anziana (che fino ad allora si era comportata come se le mancassero solo i pop-corn da sgranocchiare) si affrettò saggiamente ad aggiungere qualcosa per placarlo dato che sentiva di non aver messo mai alla prova la pazienza del ragazzo come in quel pomeriggio:«Tu però non fare il solito esagerato: non è ubriaca, è solo un po’ meno lucid- OH! Bontà divina!»

La provvidenza volle che la smentita dell’ultima azzardata affermazione della babbana (di cui comunque era poco convinta anche lei: riconosceva che c’erano minime possibilità che avesse esagerato nelle dosi) arrivò concretamente con il cedimento delle gambe di Amber. Sebbene Killian le fosse praticamente a pochi centimetri di distanza, la rigidità da stoccafisso che si era auto-imposto a quella vicinanza gli impedì di soccorrere la ragazza prima che si afflosciasse al suolo. Il rapido scatto che seguì però evitò che anche il busto finisse sul parquet lucido della McCramble. Aveva già iniziato ad imprecare sottovoce mentre la vecchietta si era avvicinata ciabattando per aiutarlo a rimettere la vittima in piedi che il delirio al n.9 toccò picchi inauditi. Il cagnolino super-eccitato che fino ad allora era stato spettatore ignaro ma felice della situazione trovò l’ultimo accadimento l’occasione perfetta per tornate a giocare con la sua nuova amica. Scodinzolando come un matto, sfrecciò verso il corpo della giovane a terra e arrampicandosi sulle sue lunghe gambe raggomitolate scompostamente tentò di "baciarla" dove riusciva ad arrivare con la sua piccola lingua rosa.

«MILKSHAKE! Non la leccare!»

Killian non ce la poteva fare. Rischiava di esplodere da un momento all’altro per l’assurdità in cui era finito, sentendosi soffocare da essa. Allontanò con mano decisa il batuffolo bianco che si stava approfittando della posizione di Amber per recuperare tutte le effusioni perse, ma che – da bravo bambino – desistette dall'intento non appena il rimprovero brusco del padrone lo aveva ammonito di non farlo.

«Che facciamo adesso?», chiese Azalea passandosi una mano ingioiellata sula fronte sudata quando finalmente riuscirono a far riguadagnare ad Amber la stazione eretta, anche se ancora completamente dipendente dal mago per non rischiare di tornare giù.

«La porto sopra»

La risposta seguì immediatamente, come se fosse stata formulata dalla volontà del venticinquenne già da molto. Almeno una certezza Killian ce l’aveva: qualsiasi cosa si sarebbero detti una volta che Amber fosse tornata in sé, avere una spettatrice pronta a fraintendere tutto e a farsi film mentali (come se lo spettacolino offerto non fosse già fonte di immense fantasticherie) era da escludere categoricamente. Stranamente, la McCramble non ebbe nulla da obiettare, forse riteneva che la propria missione si fosse conclusa col riconsegnare Amber nelle mani del ragazzo, indipendentemente dalle condizioni. Annuì vigorosamente e i fondi di bottiglia dei suoi occhiali traballarono incerti, ma lei se li risistemò mentre spalancava la porta ai due.

«Io prendo questa!», proclamò poi acciuffando il groviglio di stoffa scura che la strega si era sfilata dal collo durante l’amichevole bevuta, come se fosse un dettaglio di vitale importanza. Ovviamente non era che una scusa per continuare ad impicciarsi dei fatti loro.

Anche se l’Auror ora aveva una doppia stretta ben salda sulla giovane essendosi passato l’esile braccio sinistro sulle spalle e avendole a sua volta cinto la vita con il destro, avanzare non fu affatto semplice. Alla difficoltà intrinseca della cosa si aggiungeva la distesa impervia di piante che ostacolava tutto il tragitto, comprese le scale. Data la scarsa collaborazione di cui la non-sobria era in grado, l’impresa rasentava l’impossibile. Testardo come un ippogrifo, il venticinquenne riuscì con la propria buona volontà e una consistente dose di forza fisica a trascinare Amber fino all’inizio della scalata urtando soltanto una decina di vasi qua e là. Mugugnando il proprio disaccordo, la Tassorosso si issò aiutata dall’Auror su per il primo gradino, poi conquistò anche il secondo. Dopo aver pericolosamente ondeggiato entrambi per un passo falso dello stivaletto stringato di lei, altri tre scalini vennero guadagnati a fatica. L’episodio però si ripeté ancora e ci andò di mezzo un vaso di petunie che ruzzolò fino alle gambe grassottelle della proprietaria che li seguiva con la sciarpa in mano. Sul pianerottolo, Milkshake chiudeva il singolare trenino limitandosi a dare sostegno morale uggiolando quando la combriccola rischiava di volare giù dalla rampa. Era una vera fortuna che il cucciolo soffrisse di vertigini o Killian avrebbe dovuto combattere per mantenere l’equilibrio anche con il cagnolino oltre che con la giovane e la sua sbronza.

«Per tutti i papaveri, Killian! Non vedi che non ce la fa? Prendila in braccio, che aspetti?», spazientita (e non per i fiori che venivano inesorabilmente rovesciati un passo sì e l’altro pure) Azalea rimbrottò direttive da capo-spedizione.

Punto sul vivo, il mago ruotò brevemente il capo per lanciarle un’occhiataccia contrariata da sopra la spalla della ragazza che stava sostenendo: «E' colpa di tutte queste piante»

«Guarda che se cade dalle scale sarà solo colpa tua… tra le altre cose. Non credo che abbiamo l’assicurazione per gli infortuni domestici, sai?»

Solo il profondo affetto che nutriva per l’anziana impedì all’uomo di formulare un pensiero simile ad “adesso te lo do io l’infortunio domestico”. Capiva invece che battibeccare come bambini non sarebbe stato di alcun aiuto perciò si concentrò sul necessario cambio di strategia (anche perché quel “tra le altre cose” lo fece sospettare terribilmente che Amber le avesse raccontato più di quanto fosse disposto ad accettare).
In piena crisi decisionale, si arrestò che non erano arrivati nemmeno a metà strada. Per quanto il suo sembrasse più un modo amorevole per girare il coltello nella piaga, Azalea aveva ragione: doveva sollevarla di peso se volevano arrivare incolumi in cima. Uno sguardo indecifrabile si posò sulla giovane semi-incosciente prima di agire.

❖Killian Resween❖
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La mano ancora stringeva il tessuto morbido, sebbene quello sembrasse adagiato ad un muro più che indossato da Killian, quando le gambe la tradirono. Fece in tempo solo a stringere la presa in un gesto che aveva ancora nulla di razionale. Tremende, non le diedero modo di dimostrare la forza di cui tanto si era vantata negli ultimi mesi, quando si era illusa convinta di aver superato tutto quanto Lui aveva rappresentato. Quando si era immaginata di incontrarlo e non battere ciglio. A mente lucida avrebbe potuto prevedere tutto, calcolare tutto, ed evitare di bere, eppure certamente qualcosa sarebbe sfuggito al suo controllo, ma ora era la nebbia a comandare e lei l'aveva lasciata vincere senza combattere. L'aveva raggiunto con sforzi inimmaginabili, lungo una via che sembrava di pura lava, pur senza la minima certezza che l'Auror non avrebbe scelto di scansarsi. Era rimasta lì per lui, perché non si fidava più nemmeno di sé. "Aiuto" era quanto scritto a caratteri cubitali, ed annunciato attraverso la giada annacquata con la vodka dello sguardo dello strega, ma niente avrebbe mai dato modo a Killian di capire cosa nascondessero le trame dorate di quelle piccole pagliuzze spente. Uno sguardo, sciocco e impostato con poca grazia, e poi basta. La brilla forza di volontà a cui si era avvinghiata, aveva scelto di tradirla nel momento migliore, quando più le serviva rimanere solida. Udì il tono con cui il mago annunciò qualcosa che agitò il suo petto, ma non fece neanche in tempo a protestare un "non sono ubbbbriaca" bello quanto imbronciato, che le palpebre tremarono per lo sforzo di aprirsi ed Amber non vide più oltre le trame grigie della felpa; un fremito involontario s'impossessò delle sue gambe ed il crollo divenne inevitabile. Sorda al dialogo in corso, aveva lasciato che la stanchezza permeasse nelle ossa e la privasse anche delle ultime energie residue. Si piegò accasciandosi sulle ginocchia, impreparata a qualsiasi urto, e non riuscì bene ad identificare il momento esatto in cui lui - forse rinsavito? - le impedì di picchiare la testa al suolo, o peggio: abbattersi su Milkshake! Il cucciolo era scampato a miracolo dai piedi traballanti della Tassorosso e sebbene lei non pesasse granché, per un batuffolo di pochi mesi sarebbe stato troppo da sopportare. E lei non se lo sarebbe perdonato a mente lucida. Con le palpebre socchiuse riusciva a vedere solo uno spiraglio di mondo, una linea sottile alta non più di un centimetro, era improbabile potesse anche attribuirvi un senso. Metà del suo busto era sorretto dal braccio di Killian, ma non bastò a separarla dal nuovo amore della sua vita: il cane. Il nipotino a quattro zampe di Azalea non se lo fece ripetere due volte, l'accucciarsi della biondina doveva avergli dato il via libera al bacio selvaggio di ringraziamento per le coccole che lei nemmeno ricordava di avergli fatto. Oh Amber si era proprio incollata a quel musino adorabile tra il terzo e l'ennesimo bicchiere, quasi fosse un distributore gratuito di affetto - e in realtà lo era - ma ora anche lui richiedeva qualcosa in cambio. La linguetta soffice ed umida risalì quasi fino al mento della ragazza, tanto che questa con la mente ancora in un campo di nebbia e papaveri allungò la mano stropicciandogli affettuosamente un orecchio. «Anche tu mi piasci» biascicò in un sussurro, prima che la voce del padrone richiamasse il piccolo all'ordine e le evitasse un bacio da mille e una notte. Guastafeste!

Non sapeva il motivo di tanto fermento, in quegli attimi non era in grado di comprenderlo, ma sentirsi issare l'aiutò a prepararsi in qualche modo alla fase successiva: camminare. Doveva proprio farlo? La testa ciondolava pericolosamente seguendo le onde che costituivano il pavimento, se prima era pesante e avvolgente come lava, ora era un mare in burrasca: mosso e incontenibile. Non era sicura di essere mai stata così vicina a Killian, e l'assurda idea le arrossò ancora di più le guance, come se l'alcool non fosse stato sufficiente. L'idea di non essere poi così insignificante le fece cedere le gambe poco prima che raggiungessero e guadagnassero l'uscita dall'appartamento di fiori e pizzo. Anche da incosciente poté capire che in più casi lui l'aveva quasi sollevata di peso per farle fare anche solo un passo, e l'aveva fatto con non poca fatica dato che il corpo di Amber proprio non voleva collaborare. Si sforzò di aprire gli occhi a fatica quando per poco non venne centrata in un occhio dall'ennesima larga foglia di quella giungla casalinga! Grugnì e mugolò nemmeno fosse nel mezzo di un intervento a cuore aperto e senza anestesia. Difficile distinguere gli "ehi" dagli "ahi!" ma di certo lui non avrebbe confuso i "no" che erano seguiti al calpestare piante su piante e far crollare vasi uno dopo l'altro. All'ennesima fermata, quando la voce di Azalea - che guardava la scena con non poca apprensione - la riportò all'ordine (benché avesse ripreso Lui più che Lei), aprì gli occhi di scatto. Per niente lucida, ma dando l'impressione di esserlo, si prese pochi istanti - gli unici che Killian le concesse - per guardarsi attorno. La fatica immonda che avevano fatto non li aveva portati così tanto distante, perché ancora vedeva piante e casalinghe babbane... quante erano? Due? Sette??! Oltre la spalla del mago poté intuire chiaramente però quello che sembrava un occhiolino bello e buono di Azalea, o di una di loro, che sembrava aver già viaggiato con la fantasia come la migliore delle supporter di quella strana coppia. Amber non aveva capito cosa avesse ordinato al ragazzo, ma quando lo vide avvicinarsi lo sguardo allucinato che gli rivolse parlò per suo conto. «NO! no no no!.... N.O.» Inutili le proteste, perché con ben poca voglia di faticare più del dovuto, ed uno sguardo che in altri casi non avrebbe ammesso repliche, Killian la liquidò issandosela sulle spalle con una facilità quasi scomoda per lei. Come fosse passata da : "cammino sulla lava" a "sono un sacco di patate" non se lo spiegava, ma vedere tutto sottosopra non aiutò il suo stomaco a placare le lamentele sorde. «Ma non in quel modo!! Ti sembra che stia comoda? » Le proteste della babbana, che fieramente li seguiva con la sciarpetta in mano, gettando ogni due secondi lo sguardo al cimitero di vasi generato dalla bionda, non fermarono l'Auror, che proseguì fino al varcare la soglia del suo appartamento, e riportare ordine nelle coordinate geografiche di Amber. Sballottata con poca grazia, la strega si sforzò di apparire più imbronciata possibile non appena i due sguardi si incontrarono di nuovo. Non sapeva quando mai avrebbe potuto essergli così vicina, ma sebbene farsi appoggiare sul divano fosse sembrava la parte peggiore, sentirsi incapace di dire anche solo una parola perché inchiodata dagli occhi grigi di Killian fu anche peggio. Aveva ancora le labbra arricciate e gli occhi spalancati quando lui zittì su nascere ogni pensiero con un ordine inequivocabile: «Resta qui.» al quale Amber non rispose.

Ribelle come la peggiore delle ladre, non appena lui fu abbastanza distante da non curarsi di lei, Amber si alzò lentamente in piedi e fu complesso.. anche troppo, ma voleva andarsene perché gli aveva già procurato abbastanza guai. Percepì quei sentimenti enfatizzati dall'alcool riaffiorare alla vista - ora annebbiata - di quel salotto così tristemente familiare. Avrebbe giurato di poter vedere tutte le Amber che vi erano passate attraverso, nel bene ma soprattutto nel male. Inondata da quel pensiero sbagliò presa. Anziché poggiare la mano sul legno del mobile a cui doveva reggersi, afferrò un vaso a due mani. Era psichedelico l'insieme di colori che lo componeva, ma soprattutto era di vetro. Tragicomica, mentre Killian sbrigava le sue faccende a pochi metri da lei, la strega strinse il contenitore al punto da... romperlo. Aiutato da uno sfogo di magia incontrollato, implose in mille e più frammenti che finirono per liberare il terriccio contenuto al suo interno. In lacrime per svariati e sciocchi motivi, tra cui : "ora gli ho anche rotto un vaso, mi odierà così tanto!!!" che spiccava su tutti, non riuscì che ad esprimere lo spavento con un «AH!» dolorante. Gli occhi umidi guardarono in basso, dove una punta di dolore aveva forato la protezione anestetica dell'alcool. Sollevò la mano sinistra, un frammento di vetro si era conficcato proprio al centro del palmo ed aveva reciso un lembo piccolo di pelle da cui sgorgavano due rigoletti di sangue. Una cosa di poco conto, che però catturò le iridi di Amber e fece tremare le sue labbra. Sollevando così la mano, aveva dato modo al fascio scarlatto di bagnarle una manica del vestito ed insinuarsi sotto la stessa, per giocare a contornare il tatuaggio che ormai aveva reclamato il piccolo lembo di pelle sotto il polso. Con un malsano intento - dettato da un orgoglio spropositato - estrasse la bacchetta con la mano dominante e la puntò quasi a contatto con il vetro colorato che spuntava dalla sinistra. Ehi, lei sapeva come curare ferite simili, oh sì! Com'era quell'incantesimo che usava sempre? Diffindo?

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view post Posted on 23/11/2018, 11:45
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Le proteste della ragazza caddero inerti come piccoli sassolini in un acque agitate, dimenticati prima ancora di raggiungere il fondo della consapevolezza di Killian. Senza prestarle il minimo ascolto, provvide a sollevarla di peso stupendosi un poco di quanto gli fosse risultato semplice: aveva faticato molto di più per trascinarla fino a quel punto delle scale tra slalom di vasi ingombranti e rischi di capitomboli. Azalea aveva dato un consiglio azzeccatissimo dunque, benché il ragazzo non volesse darle la soddisfazione di ammetterlo apertamente e gettare alcool benzina sul fuoco del suo spirito peperino. La donna avvolta nella vestaglietta floreale tuttavia non parve soddisfatta nemmeno allora, ritenendo la posizione “a sacco” della sua nuova compagna di merende alticce poco consona ad una signorina come lei. La domanda retorica e lamentosa che gli rivolse rimase però priva di risposa: al mago non interessava che Amber stesse comoda, quanto piuttosto che arrivasse incolume sul divano di casa sua senza mettere troppo alla prova lo stomaco certamente già scombussolato dall’alcol. Desideroso di terminare quel contatto considerato da lui stesso “inadeguato”, salì velocemente i restanti scalini che lo separavano dal piccolo pianerottolo davanti alla porta del suo appartamento e quando la raggiunse posò la mano sinistra sulla maniglia mentre con l’altra manteneva salda la stretta a livello delle ginocchia della strega appesa alla sua spalla destra. Riconoscendo il tocco dell’uomo, la serratura scattò automaticamente appropriandosi di un sospiro di sollievo da parte dei due abitanti del numero 9: la parte difficile sembrava essere terminata.

«Resta qui», le intimò con fare categorico dopo averla scaricata senza troppe premure sul sofà nel salotto illuminato dagli ultimi raggi di sole.

Diede per scontato – errando come non mai – che anche in quelle condizioni di coscienza precaria Amber riuscisse a considerare l’ordine impartitole bruscamente come inviolabile. Sicuro di trovarla dove l’aveva lasciata, quindi, tornò a passi svelti verso la porta rimasta aperta davanti ad un’Azalea improvvisamente tentennante. Si era bloccata sulla soglia e osservava la giovane alle spalle di Killian con una preoccupazione materna che molto stonava con il suo essere l’artefice principale di quel disastro.

«Dia a me». La mano con i tatuaggi nascosti dai mezzi guanti si protese verso la stoffa che l’anziana si era premurosamente incaricata di trasportare come bene di prima necessità, ma le grinfie impeccabilmente smaltate della McCramble non mollarono il bottino senza che lei desse l’ennesima opinione non richiesta.

«Così non va bene…», miagolò pensierosa continuando a guardare Amber per quel poco che gli consentiva di fare la figura dell’uomo che aveva davanti e che le ostacolava la visuale.

«E non poteva giungere a questa vitale conclusione prima di farle scolare una bottiglia di vodka alle sei del pomeriggio?». La pazienza di Killian era molto vicina al terminal ultimo e dovette sforzarsi un bel po’ per mantenere la calma davanti all’incoscienza della sua padrona di casa, che, per giunta, ribatté indignata:

«Vodka E succo di pera », precisò offesa come se le insinuazioni del venticinquenne minassero la sua reputazione di perfetta padrona di casa. «E comunque se non lo avessi fatto lei non sarebbe mai rimasta ad aspettarti, era troppo sconvolta, poverina. Quindi dovresti ringraziarmi invece di- »

L’una non riuscì a portare a termine l’accusa e l’altro non poté nemmeno ribattervi che un gran fracasso di vetro infranto richiamò l’attenzione di entrambi verso una Amber in lacrime spaventata e dolorante. Al Resween occorsero ben pochi istanti per realizzare la situazione e lo sguardo già preoccupato per l’accaduto divenne allucinato sopra ogni limite quando notò il movimento con cui la giovane stava cercando di estrarre qualcosa dalla tasca. Con gli occhi grigi spalancati ed increduli riportati sulla curiosa Azalea, si affrettò ad interporsi completamente tra gli occhiali telescopici della donna e lo spettacolo che la strega sembrava intenzionata a dare. Fortunatamente la stazza dell’uomo garantì che la babbana non vedesse nulla di troppo compromettente nonostante questa cercasse invano di spiare oltre la sua figura.

«Ha ragione, la ringrazio tantissimo, ma ora può andare», blaterò freneticamente mentre con spintarelle gentili ma efficaci riuscì a ricondurla fuori dalla porta.

«Abbonda con la curcuma nel Rimedio!», opponendo un po’ di resistenza con quelle sue gambe grassottelle, Azalea non demordeva. Proprio non ne voleva sapere di abbandonare la sua nuova soap-opera preferita.

«Ci penso io. Non si preoccupi. Ancora grazie» e SBAM, la porta si richiuse a pochi millimetri dal naso adunco della vecchina.

Muovendosi ad una velocità quasi inumana, il venticinquenne raggiunse la colpevole e vittima della piccola esplosione appena verificatasi e con un solo gesto secco le strappò via la bacchetta dalle mani prima che potesse castare chissà quale incantesimo. Sarebbe stata in grado di farli saltare in aria tutti quanti, loro due, Azalea e pure Milkshake. Ormai preoccupato soltanto del taglio evidente sul palmo sinistro della Tassorosso, Killian le si inginocchiò davanti stando ben attento ad evitare le schegge colorate che risaltavano sul parquet scuro. Prendendole l’arto ferito all’altezza del polso, si avvicinò la mano insanguinata per rilevare l’entità del danno che si era procurata ma lei cercò di sottrarsi alla stretta che venne immediatamente rinsaldata dalla mano guantata. Uno sguardo penetrante e minaccioso si conficcò nelle iridi umide della strega ribelle avvisandola che nessun altro tentativo di evasione sarebbe stato tollerato: non poteva rimanere con quel pezzetto di vetro conficcato nella pelle ed era escluso che provvedesse da sola a liberarsene. Era una necessità scomoda per entrambi, ma che altre possibilità avevano?
Tenendo immobile il palmo sfregiato tra i due volti, con la mano libera l’Auror recuperò il catalizzatore flessuoso che poco prima aveva abbandonato sul divano affianco alla proprietaria. Lo indirizzò verso un punto indistinto della sala richiamando nella mente la formula di appello e da quella direzione lo raggiunse fluttuando ciò che aveva tutta l’aria di essere una scatola da cucito. Sbagliato. Killian armeggiò qualche attimo con l’apertura e quando il coperchio fu sollevato all’interno apparvero garze, fasce e boccette varie anziché rocchetti e gomitoli di filo. Aveva appurato come la ferita non fosse né troppo estesa né particolarmente profonda perciò nulla che richiedesse una magia curativa: chissà che il lento e naturale rimarginarsi della pelle non si rivelasse almeno per un po’ un promemoria alla giovane di non combinare più certi guai. Scelta la via della medicazione babbana, il mago la mise in pratica tenendo ostinatamente lo sguardo basso e corrucciato. Dopo aver rimosso con un gesto preciso e rapido il triangolino di vetro, stappò la boccetta contenente il disinfettante aiutandosi con la bocca (era ancora restio a lasciar andare la presa sul polso della ragazza sospettando ulteriori insubordinazioni nonostante l’avvertimento datole). Il liquido ocra lasciato cadere a gocce sull’apertura la ripulì prima che altre gemme vermiglie potessero sgorgare da essa e per scongiurare del tutto quell’eventualità proseguì premendovi un batuffolo di garze immacolate.
Il religioso silenzio in cui quelle operazioni si erano realizzate era tanto intenso quanto la volontà di Killian di non incrociare le pietre acquamarina incastonate nel volto così vicino da poterne avvertire i caldi respiri. Dopo quello che si erano detti quasi urlando in casa Snow, era surreale il modo in cui ora si ritrovavano a doversi fronteggiare senza poter o voler proferir parola. E lui si sentiva più inadeguato in quella situazione che nel ricevere accuse e addii.

❖Killian Resween❖
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Edited by Killian Resween - 23/11/2018, 15:57
 
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Aren't you tired tryin' to fill that void?


C'era quasi! Due giri in senso orario, tre in antiorario e... poi? O forse erano una stoccata e un colpo secco? Non bastava un gesto più semplice? Doveva essere sempre tutto così complicato. La bacchetta andava stretta.. forse di quello era sicura, beh in parte. Oh Morgana! Corrugò la fronte, concedendosi un salvifico attimo per pensare - sempre che quel raggruppamento di neuroni persi come Mooncalf al pascolo si potesse definire tale - che fu sufficiente a consentire a Killian di fermare ogni gesto avventato. Se solo la strega avesse avuto modo di mettere in pratica i vaneggi mentali donati dalla vodka, probabilmente al piccolo taglio sanguinante sarebbero seguiti infiniti gemelli ben più pericolosi. Con la prontezza che lei non avrebbe potuto avere in quella situazione, l'Auror la raggiunse in tempo per scongiurare ferite degne del San Mungo. Amber trasalì in automatico quando le dita strette attorno alla bacchetta incontrarono la mano ferma dell'altro, ed il legnetto fedele le venne così sottratto. Non nascose per nulla il volto sconvolto di chi non riusciva proprio a capire il motivo di un gesto. Abbassò lo sguardo, incapace di contenere le lacrime che lo spavento e la sciocca apprensione per il vaso, avevano generato. Quanto poteva valere un oggetto tanto variopinto per uno come lui? Avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma si ritrovò a non riuscire ad aprire bocca ed il suo vocabolario mentale fu così insensibile da non volerle concedere nemmeno una frase di senso compiuto. Boccheggiò inutilmente, come un pesce sbalzato fuori dalla bacinella in vetro e lasciò che lui la convincesse a tornare al suo posto, seduta e lontano dai guai, ma con i cocci colorati ancora a frapporsi tra loro. Non le usò alcuna gentilezza, sebbene lei in parte la desiderasse, nella prima analisi della ferita, quasi volesse ignorare di averla proprio ad un soffio. Una cosa che invece Amber non riusciva a non prendere in considerazione. E nemmeno il cuore in panne che si ritrovava nel petto. Un estraneo in una gabbia d'ossa, ecco cos'era in quel momento! Tenne la schiena scostata dallo schienale del divano per paura di non riuscire a dimostrare quell'indipendenza che si era illusa di possedere anche in quegli stati, ma i suoi occhi chiari non facevano che indagare le iridi concentrate di Killian. Le costò un "ah" sofferto lo strappare con così tanta scomposta forza il polso dalla stretta del suo momentaneo medimago nel momento in cui comprese - o si illuse di comprendere - cosa avrebbe voluto fare lui. Si vergognava di quella ferita tanto sciocca, poteva curarsi da sola! Ma lo sguardo con cui immediatamente venne inchiodata la costrinse a cambiare rotta e lasciare che il contatto con lui durasse tutto il tempo necessario, ma non cedette senza prima aver emesso uno sbuffo di rassegnazione. Non si accorse nemmeno di aver piegato leggermente la testa a lato mentre lui ancora percorreva con le dita i segni che i rivoletti di sangue le avevano lasciato sul polso. I gesti meccanici del mago che disinfettava e fasciava senza una sosta, non fecero che aumentare in lei la sensazione terribile di non meritare nemmeno metà di quelle attenzioni. Oh lo sapeva, ma perché non ricordalo proprio nel momento in cui più si sentiva vulnerabile? E vulnerabile lo era davvero sotto ogni aspetto, anche laddove l'occhio clinico di Killian non poteva raggiungerla. Mugolii ed aspirazioni sofferte accompagnarono tutto il procedimento, senza instillare un minimo senso di pietà nell'altro. Era ancora troppo poco sobria per capire cosa si celava dietro le "sue" Nubi di Londra, ma questo non le impediva di desiderare che si sollevassero e si accorgessero davvero di lei. Ignobile e subdolo, l'egoismo infantile che la vodka aveva liberato prese piede al punto che non riuscì ad evitarsi di sentirsi ancor più ferita dalla freddezza di quella cura. Dovette distogliere lo sguardo per convincersi almeno a smettere di piangere. Il camino era ancora spento, ma i raggi dell'ultimo sole incendiavano i suoi capelli dorati, donando al quadretto in quel salotto un'aura impossibile. E fu quando l'Auror raggiunse i pochi tratti d'inchiostro nero che, come bruciata da un contatto che non avrebbe dovuto avvenire in quel modo, sentì il proprio volto andare di nuovo in fiamme. E il cuore? Fuori controllo.

Fu l'unica volta in cui i loro sguardi si incrociarono in tutto il processo.. e non fu poi uno sguardo tanto lusinghiero quello che sembrava volerle regalare. Per un solo infinito attimo il cielo di Londra si era immerso in una pozza d'acqua di un lago perso chissà dove, ma della profondità a cui era abituato v'era ben poco. Troppi strati di incoscienza coprivano i pensieri della ragazza che una volta era stata per lui un libro quasi aperto. Eppure era così vicino che se solo Amber avesse allungato la mano libera avrebbe potuto sfiorargli l'incavo del collo senza alcuna fatica. Ma era davvero Killian quello che aveva davanti? Certo toccarlo sarebbe stato il modo migliore per accertarsene! Forse farlo era necessario più che conveniente! Il Basilisco poteva ancora uscire da un momento all'altro, strapparsi la pelle e mostrare le zanne sibilando veleno puro. Non poteva essere Killian... ma gli somigliava così tanto. Se il mostro che la fervidissima immaginazione stava trasfigurando nella sua mente fosse apparso sul serio, probabilmente avrebbe potuto avventarsi su di lei senza che la strega facesse nulla per fermarlo. Era priva di qualsiasi difesa, frammentata esattamente come il vaso rotto sul pavimento. Era così stanca che per poco la sua fronte non arrivò pericolosamente vicina a quella di Killian e per fermarsi la mano libera tentò una presa sulla spalla di lui. La cascata bionda, ora infettata dall'aroma alcolico regalatole dal succo della McCramble - dov'era finita quella donna? e il cane?- si mosse in un lento ondeggiare, la lavanda ormai si perdeva, coperta delle note più pesanti della bevanda di cui la giovane strega aveva abusato. Le dita tremarono prima di sollevarsi dal bracciolo in un gesto lento ed incredibilmente preciso, ma non trovarono mai la felpa grigia di destinazione. Perché nel momento in cui l'indice era arrivato ad un soffio dall'obbiettivo, il mago si era alzato lasciandola ad accarezzare l'aria ed obbligandola ad abbassare la mano in velocità. Si costrinse a fatica a nascondere il muso lungo dell'offesa che l'altro forse nemmeno sapeva di averle arrecato, puntando le iridi altrove. Certo che trovava sempre i momenti peggiori per allontanarsi da lei. Lentamente si costrinse ad appoggiare la schiena al divano, lasciandosi avvolgere dall'idea di poter rimanere lì ancora cinque minuti. Dopo se ne sarebbe andata. Sicuro. Lo scoppiettio del fuoco nel caminetto, acceso in fretta da Killian attirò l'attenzione di Amber, quasi non avesse mai visto niente del genere, così come il vaso che lentamente prese a ricomporsi come per magia! Privata di ogni raziocinio, la biondina si perse in una ricostruzione tanto banale quanto ovvia, ma che in quel momento ebbe il grande potere di incantarla privandola anche di quel briciolo di sanità a cui tentava di appellarsi. In verità neanche sapeva perché e come fosse riuscita a rimanere ferma i minuti precedenti, ma forse era stata proprio la vicinanza di Killian a farla desistere dal muoversi. Un secondo in più e sarebbe letteralmente crollata su di lui come una statua sul punto di sgretolarsi dopo secoli di strenua resistenza. Imperativo, l'ordine del ragazzo ruppe il silenzio. Lei già sapeva che non avrebbe disubbidito.
«Aspettami qui e non ti muovere»
Con il padrone di casa in un'altra stanza e fin troppa confusione in testa, Amber si rannicchiò d'istinto su sé stessa. Sfilò gli scarponcini senza slacciarli, procurandosi non poca sofferenza alle caviglie e digrignando i denti come un animale ferito - un po' come aveva rischiato di fare quando le gocce di disinfettante avevano centrato in pieno la ferita del palmo - e raccolse i piedi protetti dalle calze grigie, sul divano. Tenne le gambe strette a sé con la mano fasciata, ingoiando il fastidio che muoverla le procurava. Poi, lo sguardo verde si perse nel danzare delle fiamme, mentre l'alzarsi del fuoco dava origine a nuovi mostri. La mano sana raccolta in grembo ed un'espressione indecifrabile a rendere noto come la ragazza fosse lì solo fisicamente. Se il rossore avesse abbandonato le sue guance, sarebbe sembrata una statua di marmo dagli occhi di vetro, abbandonata in un capanno di legno, ora pronto ad ardere dalle fondamenta.

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view post Posted on 30/11/2018, 23:24
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Il crepitio della fiamma evocata rendeva monotono il silenzio calato dopo l’ultimo e secco comando del giovane. Non vi era altro rumore a scandire il tempo e lui lo sapeva, eppure continuava ad affinare l’udito come se si aspettasse da un momento all’altro di sentirlo provenire attutito dalla sua camera da letto. Il leggero picchiettare sul legno di qualcosa che Killian aveva rinchiuso in un baule credendo di sbarazzarsene per sempre e che ora, tradendo tutte quelle certezze, cercava di fuoriuscirne e tornare presente. Non poteva permetterlo. C’era un motivo se tutto quello che aveva riguardato Amber era andato a finire nel doppiofondo nascosto della sua vita e c’erano altrettante valide ragioni per cui lì andava mantenuto segregato. Doveva semplicemente ignorare quel suono prodotto dalla propria immaginazione, così come aveva finto di non accorgersi di ciò che stava accadendo nella realtà concreta del suo appartamento. Non uno sguardo alle lacrime lente che avevano tracciato scie umide sulle gote imporporate della ragazza e anche quando gli occhi grigi avevano trovato il modo di risalire verso quelli lucidi di lei, si era imposto di pretendere che l’inchiostro nero impresso sulla pelle chiara non fosse affatto affar suo, non più. E su quello si sbagliava alla grande, ma per fortuna che la possibilità di carpire il significato dietro lo strano simbolo gli era totalmente preclusa o sarebbe definitivamente imploso! Al dare di matto ci era andato comunque vicino quando la Tassorosso si era arrischiata a sollevare la mano sana per raggiungerlo, benché il putiferio interiore scatenato dal gesto (era più arrabbiato, incredulo o spaventato da esso?) non si fosse tradotto in alcun cambiamento esteriore nella sua espressione concentrata. La possibilità di inscenarsi completamente ignaro di quel tentato approccio fisico gli era stata offerta dalla tempestiva fine del processo di medicazione, conclusasi con una stretta forse un po’ troppo energica alla benda con cui le aveva fasciato il palmo. Mentre raggiungeva la cucina a passi decisi e con la bacchetta della strega ancora stretta nel pugno, si chiese se lei avesse comunque intuito la volontà di sottrarsi al suo tocco. Probabilmente no, la sua mente era troppo provata dai cocktails micidiali della McCramble per avere una visione lucida di ciò che era accaduto. E poi, anche se l’avesse avuta, era giusto così. La stava aiutando perché non poteva abbandonare un’adolescente incapace di intendere e di volere al proprio destino o addirittura permetterle di girovagare in un quartiere babbano senza il minimo ricordo di quello che era lo Statuto di Segretezza. Erano questi i motivi per cui non le aveva subito intimato di andarsene, senza voler sentir ragioni. In quanto Auror doveva provvedere all’incolumità dei cittadini e impedire che le Leggi fossero infrante. Di questo si trattava. Solo questo. Sicuro.

Da solo nella stanza adiacente, le mani tatuate si poggiarono sul freddo ripiano metallico della cucina scarlatta. In un sospiro rumoroso liberato dalla testa abbandonata verso il basso cercò di racchiudere tutte le difficoltà incontrate da quando aveva messo piede nel salottino rosa pesca della sua padrona di casa. Ancora stentava a credere al terribile agguato che gli avevano teso le due improbabili alleate, ma rimuginarvi sopra non serviva a nulla quindi si riscosse rapidamente da quel breve stallo servito per calmarsi e mettere in ordine i pensieri. Il Rimedio aveva la priorità sul resto. Elencando mentalmente tutti gli ingredienti che gli sarebbero occorsi, il venticinquenne si tolse senza particolare grazia i due guanti privi di dita e la berretta di lana per lanciarli sul tavolo alle sue spalle, noncurante di dove sarebbero andati a finire. Mentre recuperava barattoli, fiale e boccette da scomparti della cucina più o meno nascosti, si sporse oltre lo stipite della porta per lanciare un’occhiata nervosa alla sua ospite indesiderata e controllare che stavolta gli avesse dato retta sul serio. Amber sembrava essersi quietata anche se l’uomo poteva intravedere solo il suo capo oltre lo schienale della poltrona. Nonostante la constatazione rassicurante, Killian si rimise all’opera con una certa fretta: temeva i guai che l’altra poteva combinare quando non c’era lui a supervisionarla e quella calma poteva essere una concessione temporanea. Ricordava bene la procedura che Azalea gli aveva insegnato alla stregua di una pozionista provetta e senza esitazione mescolò in un bicchiere profondo e capiente acqua calda, bicarbonato, succo di limone, zenzero grattugiato e curcuma (tanta, come su consiglio dell’esperta). Non contento dell’intruglio ottenuto, il Resween ritenne necessario apportare quelle modifiche "speciali" che aveva scoperto fossero in grado di potenziare gli effetti contro i postumi di una bella bevuta. Ortica secca tritata e aculei di porcospino in polvere vennero aggiunti al tutto, insieme ad altre due o tre sostanze di pari natura. La brodaglia risultante non aveva un aspetto gradevole, ma il venticinquenne ne era comunque soddisfatto: se fosse riuscito a farlo bere tutto alla giovane avrebbero avuto un problema in meno, quello che andava sotto il nome di “sbronza”.

Tornando nel salotto rischiarato dalle fiamme nel caminetto con il Rimedio stretto nella mano destra, Killian verificò con sollievo che la ragazza era rimasta immobile durante la sua assenza. Per la precisione, si era persino privata degli stivaletti per raggomitolarsi in posizione difensiva e il pensiero acido del ragazzo a quella vista - Non ricordo di averle detto di fare come se fosse a casa sua - venne scalzato da un più profondo senso di … di rammarico. L’essenza fragile e indifesa che la giovane emanava gli rendeva complicato mantenere la sua facciata fredda, ma almeno uno dei due doveva rimanere in sé e agire secondo logica.

«Bevi questo, ti farà stare meglio», brontolò brevemente prendendo posto sul divano a debita distanza dalla precedente occupante intenta a fissare il fuoco ardente. Il braccio del mago era teso e il bicchiere colmo della bevanda giallognola raggiungeva l’altezza delle spalle della destinataria.

Incredibilmente, le nuvole racchiuse negli occhi dell’uomo la stavano guardando. Era una necessità, perché doveva assicurarsi che il contenuto venisse assunto anziché sparso in giro per la stanza, ma anche un lusso che il venticinquenne si stava concedendo per la prima volta in quell’agitato pomeriggio. Vederla sul serio, la Amber che ricordava e non quella incontenibile che la vodka aveva scatenato. Se avesse avuto la prontezza di realizzare ciò che questo comportava nel suo animo, si sarebbe reso conto di quanto fosse più sicuro affrontare la seconda versione visto che non era minimamente pronto ad incontrare di nuovo la prima.

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Or do you need more?
Ain’t it hard keeping it so hardcore?


Ad ogni sospiro lieve, l'immobilità delle iridi di Amber cessava per qualche secondo. Pochi e vitali istanti che la distinguevano dall'immagine tragicamente statuaria che aveva assunto. Le pagliuzze danzavano con le fiamme vive, ma nessun pensiero razionale veniva loro in soccorso. Nello spazio destinato alla ragione, non c'era nessuno che rispondesse al citofono o raccogliesse le sue grida d'aiuto che, al pari di molti altri pensieri, risuonavano nel vuoto. Perché era ancora lì?, sembrava domandarsi questo mentre ancora il respiro faticava a regolarizzarsi. Qualcosa di infinitamente triste si era insinuato nei vaghi sorrisi a cui ogni tanto cedeva, calpestandoli come il meno educato dei cittadini. Fare i conti con l'assenza del proprio raziocinio fu deleterio, non era assolutamente pronta a rimanere da sola con se stessa senza la possibilità di dare un senso a quanto accaduto ore prima, non uno logico almeno. Negò con il capo chiudendo gli occhi nella speranza di appellarsi al vuoto cosmico che sarebbe stato ben meno deleterio di un pensiero mal interpretato. Le labbra morbide non erano mai state tanto immobili, incurvate inesorabilmente verso il basso, e più apriva gli occhi e meno il suo sguardo rimandava serenità. V'era solo un accenno allo sconsiderato coraggio che aveva guidato i suoi passi cocciuti verso Killian, nulla più. L'unica cosa che sarebbe stata chiara al padrone di casa era proprio l'entrata di Amber nella seconda fase della sbronza, quella che più silenziosamente si aggrappava alla psiche inerte. Chiudersi a riccio e cercare di occupare meno spazio possibile su quel divano le era sembrata quindi la soluzione migliore. Maledirsi al punto di mettere il broncio anche contro se stesa fu l'unica cosa da fare. Oh, era così brava a peggiorare anche le situazioni di per sé tremende, che aveva dovuto ubriacarsi dalla vicina babbana - quella donna aveva uno sguardò così magnetico che la ragazza non era più sicura che lo fosse! La capiva così bene quando annuiva ai suoi racconti!- di Killian prima di ritenersi soddisfatta, ma vedere la propria mano sfiorare il vuoto l'aveva sconvolta. «Mmmh» mugugnò. Perché aveva bevuto così tanto? Ricordava vagamente (molto vagamente!) il momento in cui aveva oltrepassato la soglia della sobrietà. Con cipiglio deciso, sopracciglio alzato e sguardo fin troppo fiero, aveva indicato alla McCramble di versare il bicchiere del definitivo oblio, e da lì in poi avrebbe faticato a ricordare cosa avesse detto e fino a che punto si fosse spinta con le “confessioni” con quella simpatica vecchia gentile. Di certo lei stessa non avrebbe voluto rivedere la scena in terza persona, perché la sicurezza sciocca che l'aveva convinta che avrebbe potuto reggere si era mescolata pericolosamente con il desiderio di spegnere il caos doloroso che May aveva generato. Fosse stata meno sconvolta fin dal principio, avrebbe compreso come dietro agli occhiali spessi e colorati della vecchina si celassero l’intuito di un detective navigato ed una propensione per il gossip che nemmeno quelle del settimanale delle streghe avrebbero eguagliato! Una fitta alla testa le ricordò di averla sulle spalle, ma la la costrinse anche a piegarla in avanti perché incontrasse la mano sana. Alcune ciocche bionde scivolarono sul tessuto morbido fino a sfiorarle le garze. L'ultima stretta aveva fatto male. Lo meritava? Non ne aveva idea.

Proprio quando avrebbe giurato di aver visto qualcosa muoversi nelle fiamme, percepì l'avvicinarsi di qualcuno e raddrizzò il capo. Seguì i primi movimenti di Killian senza curarsi della vaghezza del proprio sguardo, per poi distoglierlo in fretta e furia appena si avvicinò al divano. Era quasi sicura di essere nei guai ma non aveva idea di quanto seri fossero. Provò il forte istinto di stringersi al bracciolo su cui avrebbe potuto issarsi, ed al contempo il desiderio di avvicinarsi al restio padrone di casa. Non ebbe il tempo di decidersi, perché con un tono che rimarcava i gesti con cui l'aveva fasciata, lui le porse un bicchiere con un contenuto per niente invitante. Fu quello, quando le parole si frapposero tra i due, il momento in cui Amber alzò davvero lo sguardo per incontrare la decisione imposta in quello a troppi centimetri da lei. Le iridi pallide della giovane strega, vuotata di gran parte della sfacciataggine di prima, tentarono di comunicare una sofferenza causata da terzi quasi volessero usarla come scusa per le proprie azioni. Qualcosa l'aveva resa un animale in gabbia, e la gabbia altro non era che il suo stesso corpo. Ma non c'era rabbia da reclusione, piuttosto una cieca rassegnazione al fatto che evidentemente non era destino che le cose andassero bene una volta tanto. L'Amber Hydra che sedeva sul divano a Rosegarden Street era disarmata, tanto che quegli occhi sarebbero sembrati perfino più grandi, liberati da ogni possibile sovrastruttura. L'orgoglio era annegato nei fumi dell'alcool. Ma quando lo sguardo mise a fuoco il liquido "miracoloso" che avrebbe dovuto bere, lei negò all'istante quella possibilità. Con un sopracciglio alzato, incrociò dolorosamente le braccia al petto - tanto che strizzò appena gli occhi d'istinto a gesto compiuto - e scosse ancora il capo. “Io non sto male” sembrava dire quella prima espressione indossata in risposta alla brodaglia gialla, seguita da un “bevilo tu questo” con cui parve voler riprendere Killian. Non serviva pronunciasse nitidamente il verdetto, era praticamente diventata la versione umana della negazione. Ma se l'Amber ubriaca era testarda, l'Auror lo era di più. «Hai accettato da bere fino ad ora da una sconosciuta e ti fai problemi con me?» allusive in un modo che difficilmente la strega avrebbe colto, quelle parole attivarono un meccanismo dimenticato nella sua coscienza, uno di quelli che - in contrasto con la teoria del Basilisco - le imponeva di fidarsi di lui. Ma non sarebbe stato sufficiente un incentivo invisibile in quel frangente. Le braccia non si mossero di un millimetro mentre lo sguardo duro, o almeno un blando tentativo d'espressione seria, puntava al mago. Era adulta, sapeva benissimo come badare a se stessa! Sissignore. E non avrebbe mai mandato giù un sorso di quell'intruglio di dubbia provenienza e dal colore nauseante.

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Aveva sbagliato approccio, decisamente. Presentare l’intruglio come ciò che effettivamente era -qualcosa che avrebbe accelerato i tempi di ripresa - aveva ovviamente ricevuto in risposta una pronta negazione. Avrebbe dovuto mentire e dirle che si trattava di un altro superalcolico creato da quel talento naturale della McCramble, magari presentarlo come un bel grappino al profumo di arancia. E curcuma. E aculei di porcospino. O molto più probabilmente non avrebbe funzionato nemmeno quella strategia visto che il comportamento della Tassorosso era passato in modo fulmineo dallo spaesato (e perso, così Killian sentiva di poterlo definire) al cocciuto alla sola vista del bicchiere, che ad onor del vero non conteneva qualcosa di propriamente invitante. Il modo in cui la ragazza aveva incrociato le braccia al petto rimandava all’immagine di una bimba capricciosa intenzionata a rifiutare le medicine ad ogni costo e in altre situazioni il venticinquenne avrebbe potuto sfruttare il paragone come motivo di scherzose prese in giro e risa, ma ora tutto ciò Amber ottenne con le proprie proteste fu un ulteriore indurirsi dello sguardo nuvoloso. In quegli occhi profondi si era addentrato innumerevoli volte quindi era stato semplice per l’uomo leggervi dentro una sfida aperta nonostante il velo lucido e “appannato” dovuto alla sbronza. E lui non era un tipo capace di lasciar cadere nel vuoto le provocazioni, proprio no. Gran parte dei problemi con la giovane erano sorti proprio per tale ragione, per il suo bisogno spasmodico di spingere le cose al limite. Fin quasi al punto di rottura. Solo che per loro non c’era stato il “quasi” a fare da paracadute ed erano finiti col frantumarsi sul serio. Il tatuaggio sulla scapola sinistra glielo ricordava anche troppo spesso.

Con un gesto quasi stizzito avvicinò ancora di più il bicchiere al volto della strega tanto che il liquido all’interno rischiò di fuoriuscire visto che l’Auror si era mantenuto abbondante con le dosi (doveva essere un vizio comune agli abitanti del n. 9) e il Rimedio lo colmava fin l’orlo. Non solo l’aspetto di quel pasticcio era poco gradevole, ma doveva avere anche un odore allucinante visto che lei volse il viso per allontanarsi dalla brodaglia con un’espressione schifata. Prima che il mago prendesse seriamente in considerazione l’idea di tapparle con una mano il naso per versarle il liquido direttamente in gola, gli venne sin troppo naturale sbottare in un «Non fare la bambina: bevi, avanti! ».

Ecco. Non solo nella frase precedente aveva sentito il bisogno di rimarcare quel “con me” come se avesse ancora un significato particolare, ma ora aveva persino pronunciato la parola tabù con cui le aveva detto addio – o creduto di farlo – nell’inverno precedente. Non poteva dirsene propriamente pentito, ma era una delle cose su cui aveva più rimuginato prima pretendere di dimenticare tutto. Consapevole di ciò che era appena uscito dalla sua bocca, l’espressione dell’uomo fu attraversata da un lampo di preoccupato allarme quando immediatamente suscitò nella ragazza una risposta motoria. Il Rimedio gli venne letteralmente strappato dalla mano con incredibile destrezza considerando che si trattava della stessa persona che aveva sterminato una decina di grossi vasi su per le scale con la propria instabilità. Forse Killian se l’era dimenticato, ma anche Amber non si tirava indietro di fronte alle sfide, nemmeno quando la sua coscienza era annacquata da un litro di squisita vodka alle pere fatta in casa. Bevve fino all’ultima goccia senza che lui dovesse impartirle ulteriori ordini, quasi che fosse seriamente un altro cocktail da scolare in allegra compagnia. Ne fu sorpreso, ma anche compiaciuto. La lotta sul bere/non bere era durata relativamente poco nonostante le premesse. Recuperò il bicchiere vuoto dalla presa della giovane per posarlo sul tavolinetto insieme al vaso variopinto restituito a nuova vita. Nel fugace sfiorarsi percepì quanto le mani della giovane fossero fredde e non poté impedirsi di ripensare al tempo lontanissimo quando aveva ancora la libertà di poterle circondare con le proprie per scaldarle.

«Ora devi riposare. Al tuo risveglio potremo parlare»

Volle distrarsi da quei ricordi pericolosi così, mormorando la sentenza senza guardarla mentre si alzava dal divano, non realizzando quanto anche la promessa di un futuro dialogo potesse compromettere tutto: dall’oblio a cui si era obbligato alla calma apparente e paradossale data dalla sbronza. Allo stesso tempo però non aveva potuto farne a meno perché sapeva che la sua sarebbe sembrata altrimenti solamente una pretesa bizzarra, soggetta a facili opposizioni se priva di “ricompensa”. Dopotutto se Amber era arrivata fino al salottino tutto pizzi della McCramble dopo mesi e mesi di vuoto cosmico non era assurdo credere che avesse dei motivi. Se validi o meno l’avrebbe decretato dopo, per il momento voleva soltanto persuaderla a fare come le aveva detto concedendole la prospettiva di un “poi”. Aveva sempre funzionato così tra loro, no?

Ispezionò con lo sguardo l’intero salottino ma ciò che stava cercando era proprio lì dove si aspettava: sul piccolo cestino all’angolo vicino al caminetto un piccolo aggregato di soffici piume riposava indisturbato nonostante il trambusto che c’era stato fin ora. Senza Nome era incorreggibile e passava gran parte delle sue giornate a poltrire e a far venire la sonnolenza a chi gli stava intorno: stavolta il suo potere sarebbe stato una vera manna dal cielo piuttosto che una seccatura. Senza sprecare altre parole in più a quelle strettamente necessarie, raggiunse il pulcino e lo prelevò dal suo comodo nido di cuscini, sorridendo impercettibilmente al suo indirizzo quando questo aprì appena appena un occhio prima di assopirsi ancora. Rimandando ancora spiegazioni che non sarebbero mai giunte, Killian mollò il piccolo sul grembo della giovane. Il Rimedio miracoloso non era così miracoloso da avere degli effetti immediati quindi l’Auror poteva sperare che la Amber stordita e confusa che ancora si trovava sul suo divano decidesse semplicemente di coccolare il pulcino che le aveva appioppato. A quel punto era fatta, la stanchezza e il sonno avrebbero prevalso.
Amber magari aveva un’anziana pettegola e astuta dalla sua parte, ma Killian poteva vantare Senza Nome come alleato.

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view post Posted on 24/12/2018, 20:37
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Lo scudo alcolico che Madama Vodka aveva appositamente commissionato per l'occasione, aveva un enorme difetto: non funzionava per niente. Era stato calibrato su di un nemico più tangibile, più reale ed aveva in parte respinto le orde fameliche dei pensieri tremendi che la confessione di Mayline Snow aveva aizzato contro la ragazza, ma non poteva nulla contro Killian, né contro quel "con me" che aveva fatto tremare il castello di carta. Sapeva il perché? No, ma era così. Dopo aver combattuto, bicchiere dopo bicchiere, ed aver costretto alla ritirata oltre i confini della mente i primi aggressori, era arrivata stremata davanti a chi - in un modo o nell'altro - aveva sempre avuto la capacità di sorvolare ogni difesa, addormentare ogni guardiano e sfiorare la cella di massima sicurezza in cui era rinchiusa la vera Amber. Oh non era più così certa che la fanciulla segregata in quella stanza non fosse invece un demone, l'ultimo nemico che l'eroe avrebbe dovuto sconfiggere. E non era neanche certa che l'eroe non fosse a sua volta un ladro, qualcuno venuto solo per rubarle qualcosa che non sapeva di avere. Rannicchiata in un ultimo e sciocco tentativo di difesa, avrebbe dovuto capire di non potere niente contro di lui. Ma senza il minimo accenno al senso logico che nei mesi l'aveva tenuta lontana, non avrebbe potuto prevedere nulla di quanto stava accadendo. Non riusciva a pensare al futuro, o al passato quando c'era così poca ragione anche nel presente. L'unica cosa che era certa di sapere e su cui si sarebbe impuntata a vita, era che non avrebbe bevuto l'intruglio nauseante che Killian le stava porgendo. No, proprio no! Era evidente il rifiuto che troneggiava sul suo volto. Cocciuto ed infantile, anche se macchiato da un sentimento quasi indecifrabile. Sembra, infatti, che non volesse altro che mettere a tacere ogni cosa, far sparire tutto e tutti, se stessa per prima. Perché avrebbe dovuto fidarsi di Lui? Perché quella lunga frase era terminata con un "con me" che le aveva stretto il cuore? Non capire, in un momento tanto delicato, l'agitò, inferocendo quel "no" che si era imposta di portare fino alla fine. Convinta di aver assunto un'espressione seria, non si sarebbe mai resa conto della sua vera apparenza. Gli occhi lucidi e grandi, di un verde così reale, erano i fari di uno smarrimento e il tentativo di arricciare le labbra per serrarle definitivamente era fallito.

Quando l'espressione più dura di Killian accompagnò l'avvicinarsi ulteriormente del bicchiere, Amber lo guardò con incredulità. Era mai possibile che non fosse stata così convincente nella sua negazione? Ed era già pronta a ribadire con infantile ferocia che non avrebbe mandato già nemmeno un sorso di quello strano veleno che la memoria arcaica del litigio a Casa Snow la investì in pieno, zittendola. I battiti del cuore seguirono il ritmo di un tamburo di guerra, tanto antico quanto potente. Una sfida. Una dolorosissima sfida. Il ringhio del cucciolo di tigre che si agitava nel suo petto si fece più forte, cancellando per un attimo di febbricitante lucidità lo smarrimento. La giovane cambiò espressione, le fiammelle del camino riflesse nelle pupille scure scoppiettarono. Non fare la bambina Sedici lettere, quattro parole. Ed il rifiuto categorico di Amber si sbriciolò divenendo carburante per una dimostrazione ben più urgente. Ah sì? Ti fassscio vedere io chi è la bambina! Sembrava gridare il suo subconscio alcolista. Consapevole o meno, Killian aveva centrato un bersaglio in piena mostra... e lei non era una bambina. Non c'era bisogno di dire che niente si sarebbe mosso in difesa della ragazza, fino ad allora intenta a stringersi. Gli avrebbe dimostrato in modo assolutamente infantile, come della bambina che era o lui credeva fosse non v'era più nulla. Non avendo alcun briciolo di raziocinio, non si permise di attendere che lo sguardo umido spiegasse fino a che punto quella rimembranza aveva affondato il coltello nella piaga. Andò dritta al punto e con un equilibrio quasi innaturale sottrasse il bicchiere dalla stretta del padrone di casa e, lanciandogli un'occhiata che - a detta sua, sempre - avrebbe dovuto incutere un minimo di timore, ma che in realtà non poteva suscitare altro che dolce ilarità nei più, si portò il bicchiere alle labbra. Chiuse istintivamente gli occhi mentre reprimeva il senso di disgusto che quella melma giallognola rievocava scendendo lungo l'esofago. La bevve d'un fiato, fino all'ultima goccia. E fu nauseante. Riconsegnò il bicchiere vuoto senza impedirsi di esprimere tutto il suo disgusto per quel terrificante intruglio, ma solo dopo aver regalato l'ennesimo sguardo del : "Hai visto? Ho vinto!.. ora stai fermo." che tutto poteva sembrare tranne che logico. Tutta la sua sfacciataggine indotta sfumò quando un nuovo "ordine" venne impartito e Killian si alzò dal divano. Dormire? Lei? Non aveva mica sonno! «Cos--io» Ma non ebbe il tempo di protestare, di sedersi più comoda o anche solo di accendere il lume della ragione - ancora ben lontana dal tornare a casa per cena - che un cumuletto di piume giallo intenso le piombò in grembo. Da quel momento in poi, chiunque altro in quella casa, svanì. Perfino il fuoco perse d'attrattiva mentre la biondina osservava incuriosita il morbido pennuto. Dormiva, quel piccolo esserino, e lei si lasciò ipnotizzare sai movimenti quasi impercettibili della fragile spina dorsale. «Ehi... e tu chi sei?» sussurrò con una dolcezza che non aveva riservato nemmeno a Milkshake, sebbene il cagnolino fosse stato meramente usato come distributore infinito di coccole, anche a tradimento. Un candido sorriso gentile smascherò la compostezza inutile di Amber dandole per quell'istante l'aspetto di una ragazza normale, felice, senza il minimo pensiero a sfiorarle la mente (e quello era effettivamente realistico). Sollevò con la mano ferita il pulcino fino a portarlo all'altezza del suo volto, ed inclinò appena la testa a lato.

Lo stava studiando. «Devi stare attento al Basi...lisc..o, sai?» il secondo illogico sussurro venne spezzato da uno sbadiglio. L'indice della mano sana seguì la linea spigolosa del piccolo becco, per poi affondare con leggerezza nelle morbide piume del suo sonnifero vivente. Senza rendersene conto, lasciò scivolare le gambe lungo il divano, scoprendo appena le caviglie. La spalla destra si adagiò al bracciolo ed un secondo sbadiglio interruppe l'ennesimo vuoto pensiero. Le palpebre si fecero pesanti ogni respiro. Fu solo quando, ormai distesa, capì di essere sul punto di spegnere i sensi totalmente, che l'Amber senziente riemerse dalle acque del lago di vodka in cui stava affogando ed in un barlume di ultima lucidità la strega strinse appena il povero pennuto «Devo dirglielo! Non.. posso dormire adesso io-!» ansiosa, quella frase cercò si risalire la gola fino a pizzicare le corde vocali, prima che il vaso di Pandora si chiudesse sulla strega. Gli occhi si chiusero, ma lei non aveva finito. Con uno sforzo disumano digrignò i denti e sputò l'ultimo sussurro. «Killian... deve sapere. Io devo dir» e poi, il nulla più dolce. Scivolò ancora, quel tanto che bastava a distendersi ed assumere una posizione che le ossa non le avrebbero fatto rimpiangere al risveglio. I respiri concitati si chetarono d'un tratto, immortalando un'immagine di una Amber finalmente tranquilla, il cui solo movimento era dettato dal lento alzarsi delle spalle, messe in moto dalla cassa toracica. Incredibilmente fragile, totalmente indifesa... profondamente addormentata.

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view post Posted on 28/12/2018, 22:16
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Killian aveva sempre considerato la prontezza della propria mente come un fattore agevolante, non solo nel lavoro ma nella vita in generale. Non aveva mai pensato che la rapidità di pensieri, ragionamenti e associazioni visive generate così spontaneamente dalla sua vivace attività cognitiva potessero costituire viceversa un punto debole. Eppure ciò che avvenne nel momento esatto in cui Amber interagì con Senza Nome non poteva essere definito diversamente che una presa in giro bella e buona del suo intelletto ai danni del venticinquenne stesso: era già accaduto in passato che – più o meno consapevolmente – la ragazza venisse da lui paragonata ad un pulcino per la fragilità e delicatezza che molto di lei comunicava, ma sebbene quelle caratteristiche fossero ancora più accentuate dall’attuale condizione della strega, non c’era momento peggiore di quello per sorprendersi a formulare un pensiero così inappropriato. Il senso di protezione che l’Auror aveva sempre nutrito nei confronti della giovane tornò a manifestarsi fiocamente mentre la osservava chinare il capo per studiare il piccolo grumo di piume gialle in un gesto così dolce dall'essere il contrario del modo rigido in cui lui la stava fissando in piedi davanti al divano. Nonostante la visione generasse tepore in qualche anfratto remoto del proprio spirito, Killian si era categoricamente vietato di ignorare la dura verità dei fatti: in tutto ciò che riguardava la Tassorosso, lui era vulnerabile tanto quanto lei, se non di più, e non solo in relazione al suo dono. Sembrava impossibile, ma anche in quella situazione dove Amber poteva considerarsi totalmente in balia dell’uomo, questi si sentiva esposto ad inauditi pericoli. «Devi stare attento al Basi...lisc..o, sai?», l’avvertimento poteva quasi essere ironicamente scambiato per una raccomandazione rivolta a Killian data la precarietà della propria posizione sulla quale aveva appena riflettuto, ma poi realizzò che proprio lui incarnava il mostro dalla quale Senza Nome veniva messo in guardia. Ora ne aveva la certezza, anche se buona parte era giunta già la prima volta nell’appartamento al piano inferiore (non ci aveva creduto nemmeno un attimo che la parola pronunciata fosse "basilico"). Dunque era così che lo considerava? E perché questo lo amareggiava così tanto? Erano ovvie le ragioni per cui il ricordo di sé lasciato alla strega non potesse essere positivo o neutro, ma l’epiteto affibbiatogli gli parve comunque ingiusto e immeritato. L’insofferenza si tradusse in una smorfia che passò sul viso barbuto come un’ombra proiettata da una nube in corsa: temporanea ed inafferrabile. Non parlò per esprimere il proprio disappunto, sia perché sarebbe stato inutile disquisire con una persona ancora troppo persa nell’alcol, sia perché il potere soporifero della bestiolina stava facendo effetto su Amber e il suo addormentarsi era l’obiettivo più impellente. Il mago aveva preso in considerazione l’eventualità di dover lasciare alla ragazza i propri tempi e spazi per cadere tra le braccia di Morfeo dato che farlo con una presenza immobile e statica come lo era lui in quel momento poteva causare delle comprensibili difficoltà. Invece, con sua grande sorpresa e sollievo, la giovane donna si accomodò sul divano senza ulteriori indicazioni, sempre più prossima a raggiungere la dimensione onirica. Non solo: parve essersi completamente dimenticata della presenza dell’Auror tanto dal riferirsi a lui in terza persona mentre a fatica farneticava le ultime frasi strappate al sonno. Improvvisamente la persona che con tanta convinzione aveva pianificato l’addormentamento della strega dovette combattere l’impulso irrazionale di toglierle Senza Nome dalle braccia per permetterle di proseguire e rivelare cos'è che doveva assolutamente sapere. Durò appena il tempo di un battito perché poi fu l’opposto e il timore di scoprirlo si fece avanti prepotentemente. In ogni caso, i conflitti innescati nell’animo del giovane da quelle allarmanti premesse vennero appianati – o quantomeno posticipati – dal definitivo abbandonarsi di Amber. Il regolarizzarsi del respiro e il rilassarsi del corpo fornivano prove a sufficienza al riguardo, ma Killian rimase per un po’ ad osservare la ragazza raccontandosi di doverlo fare per assicurarsi che il sonno fosse abbastanza profondo da poterla lasciare priva di sorveglianza. In realtà aveva fisicamente e psicologicamente bisogno della pace che l’immagine di Amber dormiente emanava. Il volto inespressivo illuminato dai bagliori caldi del caminetto poteva finalmente essere apprezzato per la sua naturale bellezza, senza che questa venisse riempita di significati come la gioia provata nelle loro “fughe” dalla realtà o il dolore nei numerosi addii, la sorpresa, la rabbia, la tristezza… Un universo intero di emozioni condivise che ora gli apparivano distanti e irraggiungibili quanto la coscienza della ragazza.

Un pesante sospiro si aggiunse a quelli che il mago aveva già lasciato cadere e lo sguardo nuvoloso venne sottratto dalla visione a tratti eterea e surreale. Rimanere a fissarla per tutto il tempo del riposo forzato sarebbe andato contro a tutti i principi che si era auto-imposto per preservarsi da possibili “ricadute”, oltre ad essere estremamente inquietante. Decise che l’effetto-sonnifero del pulcino magico andava sfruttato al meglio quindi l’avrebbe lasciata dormire minimo un’oretta per avere la certezza che il Rimedio desse i propri miracolosi frutti. Nel mentre poteva concedersi la sacrosanta e agognatissima doccia di cui sentiva il bisogno fin nelle ossa. Prima di giungere al n. 9 di Rosegarden St aveva considerato quel momento catartico come il punto di arrivo di una giornata già abbastanza stressante, ma ora sapeva che lo attendeva qualcosa di potenzialmente peggio. Le ultime parole della ragazza, infatti, continuavano a tormentarlo rimbombando nel silenzio del suo appartamento.

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view post Posted on 29/12/2018, 14:35
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Implacabile, il potere del pulcino ammorbidì i lineamenti di Amber, finché questa non smise di combatterlo. Non fu - in verità - una lotta estenuante e memorabile, la giovane strega era talmente stremata che le poche difese rimaste avevano accettato volentieri di licenziarsi. Come il più docile dei cuccioli, si era quindi arresa al calore di un sonno ristoratore, totalmente ignara di come l'intruglio giallognolo agisse. In effetti non aveva la più pallida idea di cosa avesse appena bevuto, ma il solo concetto di averlo fatto ed aver dimostrato il proprio valore, le aveva consentito di sentirsi in minima parte una ... vincitrice. D'altro canto lei era certa di aver perso tutto, una piccola vittoria non avrebbe guastato. Un paio di sospiri lenti, ed anche il cuore smise di agitarsi come un forsennato. Oh, se solo avesse potuto vedere come quella pace irrisoria fosse contagiosa, probabilmente avrebbe ripreso a battere a ritmo incalzante, ma non era ancora arrivato il suo momento. La cascata bionda, ora più un fiume dorato che svicolava tra le curve naturali del busto, si accese con l'ultimo raggio del tramonto, mentre in un nuovo fremito di impercettibile la coscienza abbandonava la strega. La battaglia del suo organismo contro la malefica vodka era appena agli inizi, ma la giovane non si sarebbe svegliata finché questa non si fosse conclusa con una vittoria schiacciante della magia.

Così come allora, nell'abisso di un sonno senza sogni, Amber respirava piano. Innocua.

Non era mai stata una bambina impegnativa, John non avrebbe avuto motivo di lamentarsi di lei. Educata, diligente e particolarmente attenta, fin dai primi anni aveva dimostrato una sensibilità tendente all'introversione più pura, ed invece che imparare dai propri genitori, aveva finito per insegnare loro molte cose. Avevano capito che i suoi silenzi non erano sintomo di problematiche celate, ma piuttosto di uno studio meticoloso e preciso. Ma quando Eve li aveva lasciati, qualcosa in John ed Amber si era spezzato, e non v'era notte, in quei primi anni, in cui lui non si svegliasse per controllare che la bimba respirasse ancora. Lei d'altro canto aveva fatto proprio il silenzio più assoluto, tanto che il respiro - quando si addormentava profondamente - era talmente lieve da dare la reale impressione che i polmoni non fossero in funzione. Provata dall'assassinio a sangue freddo, la bambina aveva semplicemente iniziato a ripetersi un mantra terrificante il cui senso era più o meno questo: "se non faccio rumore, non mi trovano". Perfino il suo organismo si era adattato al punto da renderla naturalmente silenziosa. Così, anche al secondo piano del numero 9 di Rosegarden Street, la strega non emetteva un fiato. Se non avesse avuto alcuna attrattiva, anche il padrone di casa avrebbe potuto dimenticarsi di avere un ospite. Per nulla silenzioso fu invece il tonfo che il piccolo pennuto fece quando - nel cambiare posizione - Amber lo spinse giù dal divano. Un "piii!" di urlato dissenso si levò oltre il becco tagliente, prima che lo stesso pulcino riprendesse nell'immediato a ronfare sul pavimento. Dissolta la bolla di tepore, la strega aprì gli occhi con malcelata insofferenza ed incredibile lentezza. Se avesse potuto, se fosse stata a casa sua, se avesse visto il soffitto della sua stanza... avrebbe ripreso a dormire senza ritegno. Anche solo per allentare il cerchio immaginario che le stringeva le tempie. Inspirò a pieni polmoni, mentre con rapidità disarmante una serie di immagini sconnesse minacciava di spezzarle il fiato. Si guardò attorno anche solo per accertarsi di essere sola, prima ancora di realizzare dove fosse. Annebbiata dagli ultimi fumi dell'alcool riuscì perfino a sedersi composta, abbassando le gambe e poggiando i piedi a terra, prima di rischiare l'infarto. Gli occhi aperti si spalancarono all'improvviso, segno tangibile di come la consapevolezza e la ragione fossero tornate di casa, le maledette però non avevano preavvisato. Di colpo Amber si rese conto dell'entità del danno. Confusa, la valanga di ricordi compromettenti - e non - si rovesciò sulla sua fragile psiche, sovraccaricandola. Il risultato fu che la giovane dovette alzarsi di scatto per tentare di mettere a tacere sensi di colpa, paure, angosce e il retrogusto amaro di una nuova verità. Non riacquistò immediata memoria, forse perché in parte si impedì di tornare indietro nel tempo mentre ancora sostava nel salottino di Killian, ma quel che vide fu sufficiente a farla sentire un completo impiastro. Arrossì per la vergogna, nel trovare il vuoto in un determinato punto della linea dei ricordi. Anzi, in più d'uno. Ma come aveva potuto perdere il controllo così tanto e così in fretta? Non doveva nemmeno chiedersi quanto fosse grave la situazione, perché aveva già la risposta. Ricordava perché era andata lì, però, e c'era qualcosa che doveva fare. Si era convinta che dirsi che lo faceva per "dovere di cronaca" e non perché lo voleva ad un livello imbarazzante, le fosse servito a raggiungere quella via babbana, tanto valeva continuare. Ma con che coraggio avrebbe guardato negli occhi proprio Killian, quando poco prima si era ubriacata - era così assurdo ammetterlo! - con la vicina di casa? Quando la coscienza dello spazio in cui si muoveva aumentò il livello dei suoni che la circondavano, la strega non faticò a capire dove fosse l'Auror; in cucina. Istintivamente si mosse in quella direzione, senza nemmeno indossare gli stivaletti. Sebbene ora la ragione avrebbe di nuovo ripreso le redini della situazione, questa si era ritrovata con un bel po' di arretrati da smarcare prima di ritornare a pieno regime. Amber, d'altro canto, aveva ripreso l'espressone di incredulo sconforto con cui aveva guardato Mayline ore prima, quando l'aveva lasciata in balia di John. Era stato un disastro. Non aveva ancora avuto il tempo di andare d'accordo con la verità messa in luce dall'addio di Killian, che un nuovo durissimo colpo l'aveva messa ancora in ginocchio. Meritava di stare sempre così male?

Un paio di passi e fu sullo stipite della porta che separava cucina e salotto. Lo sguardo chiaro, in lenta ripresa, temette per un istante di incontrare quello - giustamente duro (o così credeva sarebbe stato) - del mago. Fortunatamente, in un certo senso, non fu così perché lui le dava le spalle. In tenuta puramente casalinga, come non l'aveva mai visto prima, con i capelli umidi e scuri e intento a mescolare qualcosa in una pentola a pochi passi da lei, Killian Resween viveva la sua vita e per un attimo - più d'uno - Amber si sentì di troppo. Non aveva diritto di godere della vista di una normalità tanto accogliente, lei che era stata ad un passo dal distruggerla come fosse un vaso vuoto. Non aveva nemmeno il diritto di sentire il così ardente bisogno di abbandonarsi a quel concetto di vita che per una volta l'avrebbe vista protagonista della normalità più dolce, invece che dello strazio più puro. Eppure, lo voleva. Inspirò, incapace di dire se l'avesse udita o meno, e tentò di appoggiare la mano sinistra sullo stipite, non così distante dal resto del corpo ma...«Aah» un sospiro aspirato di dolore le ricordò di avere un palmo fasciato, avvolto da una garza in cui si espandevano un paio di macchie scure. Si distrasse a contemplare quell'insensato utilizzo dei metodi babbani. Poi, il ricordo del vaso rotto, del frammento nella pelle, del sangue, dell'ultima stretta alla fasciatura. Un battito di troppo e ... aveva cercato di toccarlo mentre la fasciava?? Si disse che allora, forse, un senso a tutto c'era, forse il trattamento che aveva ricevuto era stato anche troppo generoso.

❖Amber Hydra❖
Prefetto Tassorosso - 18 anni - Outfit

 
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