Si maledì per la fretta da cui si era fatta guidare mentre, sconvolta, usciva a ritroso dal numero 23. Non aveva dato il tempo a May di spiegarsi a dovere, aveva creduto di aver sentito abbastanza per sopportare oltre e che avesse ragione o meno, ora si mordeva le mani per non avere tutte le risposte alle domande di Killian. E non perché volesse ripagarlo dell'ospitalità con chissà quale notizia, ma perché lei per prima avrebbe voluto placare tutta la serie di quesiti che iniziava ad ammassarsi in un angolo della mente. Sapeva di avere lo sguardo dell'Auror puntato addosso e per una volta non desiderò che fosse diversamente. Fin troppe volte aveva sognato le iridi grige posarsi su di lei, a volte con affetto ed altre - il più delle volte a dir il vero - con disprezzo, con rabbia e, negli incubi più tormentati, anche con odio. Eppure la neutralità che l'accoglieva ora era quasi il più caloroso dei benvenuto. Non sapeva quanto sarebbe durata, ma rimpianse ogni battito perso nella speranza di allungare il silenzio calmo ed accogliente. Perché più a lungo quello durava, più lei temeva di potersi abituare alla sensazione che scaldava il cuore così tanto, e meno desiderava appellarsi alla ragione. Lei, rigida sul suo scranno d'argento, osservava la piccola strega come fosse l'ennesima sciocca in procinto di perdersi ancora in una selva minacciosa ed ignota, una moderna "Alice" a cui non sarebbe spettata alcuna meraviglia. Ma la rinnovata Amber, lottava invece per far valere il diritto di crescita acquisito nei mesi e l'esperienza nell'affrontare il suo personale labirinto di rovi, antri oscuri e creature leggendarie. Poteva farcela.
Attese con pazienza che l'annuire del padrone di casa desse origine ad una frase, ma questa arrivò anche troppo in fretta e, sebbene il sapore dolce di un'imposizione - non imposizione - piuttosto gentile, non poté non percepirlo come un congedo. Il congedo. Ma aveva torto? No Lo stato in cui aveva lasciato Johnathan era a dir poco indescrivibile e, colpita dalla verità più assoluta, piombata su di lei sotto forma di un senso di colpa pulsante, non poté che annuire di rimando. Lo sguardo serio di suo padre, rivolto alla donna che per prima aveva gettato nell'abisso il suo lavoro, era stato sostituito da una maschera di dolore che aveva iniziato a sgretolarsi, ma lui era già di spalle e la figlia era già fuori casa. Poteva essere preoccupato per lei, ne aveva motivo. Logico sarebbe stato ascoltare quel soffio al cuore che suggeriva di pensare al povero mago che forse aveva già smesso di sfogare l'angoscia su Mayline ed aveva iniziato a cercare sua figlia. Aveva così tanto pelo sullo stomaco per aggiungere preoccupazione all'uomo che già di per sé non si capacitava di quanto udito? Le iridi verdi vibrarono di intensa consapevolezza, a tratti triste, segnata dalla colpa che sapeva di avere, ma non solo nei confronti di John. Lo sguardo passò da Killian ai suoi piedi, scalzi. Avrebbe dovuto recuperare i suoi stivali, e l'atavico istinto era già pronto a chiederle dove avesse lasciato la bacchetta, prima che muovesse anche solo un muscolo. Eppure Amber non agì. Non allungò lo sguardo oltre il divano in cerca delle calzature dai lacci intrecciati, non impose alla mente di individuare l'ultima volta che aveva ricordato l'uso del catalizzatore in sorbo. Lo scoppiettare di una fiammella, nel fuoco in lenta morte - per abbandono? Un tronchetto sembrava ormai non avere più nulla da bruciare - rimbombò nelle sue orecchie come fosse l'unico suono presente nella stanza, e fu così che la ragazza si convinse a parlare. Impossibile ignorare il cuore balzatole in gola in un istante. Da dove cominciare? Con la ragione e la consapevolezza erano arrivati anche i ricordi e di certo non aveva scordato il motivo, il secondo, per cui aveva deciso di rimanere nonostante l'assenza di Killian. «Forse dovrei, io, non l'ho mai visto così...»
Inespresso ma intuibile, un "ma" sembrava farsi strada oltre le incastonature dorate in quell'iride più colorata, che ora tornava a cercare le Nubi di Londra. "Killian deve sapere", aveva sussurrato un secondo prima di abbandonarsi all'oblio di un sonno senza sogni. Killian deve sapere. Sempre ferma nella sua posizione, Amber si riappropriò delle mani, scese lungo i fianchi, affinché l'una fornisse all'altra il sostegno necessario per continuare. Il modo in cui l'Auror l'aveva ascoltata fino a quel momento, sembrava rendere più stabile il terreno su cui la studentessa si sarebbe mossa da lì a poco, ma niente - e lo sapeva bene - era certo. Ci erano volute settimane per capire gli errori commessi, ma era bastato un secondo per essere sicura di essere nel torto. La mente, di nuovo rinchiusa nella stanza di Eveline, fece riemergere l'amarezza che tutta la situazione aveva portato e la dipinse ancora sul volto già sconvolto di Amber. Liquide e inarrestabili, come la vodka che era scesa lungo l'esofago, incontrastata, le prime parole fluirono lasciando - in seguito - la ragazza perfino stupita della solidità del tono mesto usato. «Avevi ragione, Killian.» Ma poi si arrestò. Voleva capire, voleva leggere nelle iridi opposte la consapevolezza del cambio d'argomento, forse perfino a tradimento. Al contempo non lasciò eccessiva replica e proseguì. «Io ero troppo ostinata per vedere.» a quel punto sospettava che l'intuito di Killian ed i ricordi - terribili - l'avrebbero condotto lì dove lei voleva fosse. Non c'era ripicca, non c'era aggressività e nemmeno un briciolo di spavalderia. Al loro posto un pentimento sincero, quasi adulto, che stava sfruttando per assumersi le colpe che sapeva avere. Non chiedeva perdono, non sperava accadesse, quello andava guadagnato e lei era sicura di aver perso il diritto di farlo. Ma non poteva andarsene senza parlargli davvero. Tra le tante cose che si recriminava, una frase si ergeva oltre misura e da lì doveva iniziare. Strinse le mani tra loro. Non mosse nessun altro muscolo. Non un passo avanti per affrettare i tempi, né uno indietro per sminuire le intenzioni. «Non avrei dovuto dirti che non potevi capire. So che non era vero, e forse eri uno dei pochi che avrebbe potuto farlo sul serio.» Tutto tristemente declinato al passato, quando con un colpo di spugna avevano cancellato il futuro. «Mi dispiace.» Asserì, sincera. Contò i battiti. La lista dei suoi errori si allungava più di così, ma non sapendo cosa avrebbe seguito la confessione si fermò.
❖Amber Hydra❖
Prefetto Tassorosso - 18 anni - Outfit