La prima trappola era scattata, compiacendo il desiderio di sangue dell’Angelo. Il velcro di vegetazione rinsecchita, che rivestiva le pareti come carta decorativa, si era contratto preda di un brivido di folle euforia. Innescando un effetto domino, le lance di legno scattate in direzione dell’antimago avevano smosso la natura morta ad esse adiacente, che a sua volta era andata a scuotere la porzione immediatamente successiva. Dunque, seguendo quel moto, tutta la flora aveva compiuto i primi passi di una macabra danza, risvegliandosi da un profondo sonno durato fin troppo a lungo. Domandava sommessamente, con i suoi scatti ed i suoi fruscii, di esser innaffiata con il sangue degli intrusi e già pregustava il momento in cui se ne sarebbe ritrovata imbevuta, pervasa dalla loro energia vitale.
I rami di legno marcio che avevano aggredito Maurizio, come intirizziti dopo un interminabile riposo, non erano riusciti nell’intento di ucciderlo. Qualcosa era andato storto: alcuni si erano protratti a vuoto o si erano inceppati, rallentando e perdendo forza prima di poterlo trapassare da parte a parte; un altro, troppo deteriorato per essere letale, si era spezzato al contatto con il suo corpo. L'unico riuscito a conficcarsi nella carne dell'italiano era finito per essere rimosso tempestivamente, lasciando nel gluteo dell'antimago un lieve solco che già iniziava a guarire. La sua natura di licantropo gli favoriva un discreto vantaggio in quelle circostanze. Le ferite si rimarginavano in fretta, guarivano per conto proprio, senza richiedere una medicazione. Quella sulla spalla, per esempio, già si poteva dare per lenita e poco mancava perché il segno impresso dal buffetto venisse riassorbito dalla pelle (+1PS). Quella sul fianco si era richiusa, tramutandosi in una traccia rossastra, irritata e pruriginosa (+2PS). La più profonda delle tre iniziava a dare i primi segni di ripresa, ma era ancora ben distante dal dirsi completamente curata (+1PS).
L’intervento di Ecate si rivelò provvidenziale. Aggredendo le radici con un sortilegio atto a reciderle, aveva impedito loro di avvinghiarsi con forza alle gambe di Pisciottu. Il diffindo terminò la loro avanzata, eccetto per l’unica sopravvissuta all’incantesimo, che fece del suo meglio per attorcigliarsi alla gamba della sua preda. Non aveva abbastanza forza per stringerla, per arrecargli danno, ma era riuscita a saldarsi intorno al polpaccio e prima di compiere un passo, l’uomo avrebbe dovuto rimuoverla.
Nel cunicolo sembrava vigere uno schema preciso, per quanto concerneva il comportamento della vegetazione. I rami più alti sferravano un attacco, ma subito dopo, se gli era possibile, si ritraevano, quasi come per prepararsi a scagliare quello successivo. In quel lasso di tempo intervenivano le radici, animate solo dal proposito di ostacolare il proseguimento degli intrusi. Così, ancora una volta, come le vibrazioni nel manto rinsecchito della strettoia avevano annunciato, le piante si protesero per la seconda volta. Aggredivano Maurizio, l’uomo che aveva osato percorrere un tratto di strada più esteso, mentre Lia era ancora intenta a raggiungerlo. Un’altra lancia di legno, un ramo, si era staccata furiosamente dalla formazione compatta di cui faceva parte, raggiungendo il malcapitato da sinistra. Si conficcò nel gluteo dell’uomo, di lato, esattamente come la precedente. Pareva quasi che la flora avesse voluto farsi beffe delle sue prede. L’impatto fu doloroso, più del precedente. Il ramo scavò nella carne per qualche centimetro, aprendo l’ennesima ferita (-10PS, -4PC). A seguirlo, un ammasso di liane si allontanò dalla parete, gettandosi come un frustino addosso ai due malcapitati. Le suddette liane colpirono alla rinfusa, ad altezza d’uomo questa volta, trascinando con loro i rami secchi che vi erano rimasti impigliati e che, in quell’occasione, aggravavano l’entità del problema. Alcune cinghiate strisciarono il braccio destro dell’antimago, poco sotto la spalla, lacerando i vestiti e graffiando la pelle (-4PS, -2PC). I frammenti dei legnetti rotti dall’impatto contaminavano la ferita inflitta. Lo stesso valse per Ecate, che si ritrovò ad essere colpita al fianco destro (-3PS; -1PC). Fortuna volle che il corpo dell’italiano avesse smorzato la potenza della swingata o non se la sarebbe cavata per così poco. Tali corde, al termine del movimento, si erano afflosciate come funi lanciate in avanti e si apprestavano a svolgere lo stesso compito che le radici non erano state in grado di portare a termine: immobilizzare la stravagante coppia di soccorritori. Si erano divise in due gruppi, uno da due, dirette verso le gambe di Maurizio, ed uno da tre, che si accingeva a legarsi intorno a quelle di Ecate. Strisciavano, strisciavano e strisciavano ancora, un po' a zig zag per darsi slancio e un po' diritte quando potevano darsi una spinta considerevole. Le loro fatiche non erano vane, si erano dimostrate efficienti e coprire brevi distanze in un lasso di tempo accettabile. Ben presto sarebbero riuscite a intralciare le loro vittime, se nulla le avesse fermate.
Tutti si era svolto in pochi secondi. Le lancette dell'orologio della vita ticchettavano inesorabili e, visto che le si lasciava fare, presto avrebbero indicato l'ora del decesso della bambina. Era necessario darsi una sbrigata, se si voleva salvarla, non sprecare istanti preziosi. Le soluzioni proposte non erano state efficaci a superare l'ostacolo. Per quanto corta, a quel ritmo la strada da percorrere pareva interminabile. Il fato domandava una presa di posizione netta, una soluzione definitiva. Forse, in quelle circostanze, la fortuna avrebbe premiato l'audacia. Sicuramente avrebbe punito l'oziosità dei due professionisti, o almeno questo era quello che suggerivano le evidenze. Che fosse stato il caso di rischiare il tutto per tutto?
Eccoci di nuovo qua, scusate per l’ennesimo ritardo!
La situazione si aggrava, traete le vostre conclusioni e agite di conseguenza.
Prossima scadenza il 02/07/2019 ore 23:59. Per qualunque dubbio, domanda, chiarimento e via dicendo non esitate a contattarmi in pm, sono a vostra disposizione.