| Insieme. Quella parola, ripetuta più volte per convincere Casey riguardo i suoi progetti futuri, poteva sfiorare i timpani come il tintinnio di un lucchetto che si serrava. Camillo aveva un concetto tutto suo per inquadrare i rapporti con gli altri esseri umani. Anni di lavoro da Magie Sinister lo avevano fatto marcire fin nel profondo, portandolo a paragonare equamente la vita di una persona in carne ed ossa ad un bene commerciale, o ad un servizio, che si poteva offrire per ricevere qualcosa in cambio. Il denaro non c’entrava, ma nella sua visione generale di mercato ogni cosa aveva il suo prezzo. In tal senso, il desiderio di sottrarre la Grifondoro a se stessa - e a chiunque altro - per appropriarsene definitivamente, rendeva necessario saldare l’importo con l’unica valuta di cui disponeva. Se lei doveva essere sua e solamente sua, anche lui le sarebbe appartenuto a titolo esclusivo. Con le parti in accordo il contratto diventava vincolante. L’olandese, stringendo tra le braccia la sua biondina, si era reso conto di quanto oscuro e contorto fosse il suo modo di percepire quella relazione. La signorina Bell non era un oggetto. Non era un giocattolo. Per quanto gli piacesse pensare di poterla collezionare, imprigionandola dentro al proprio cuore come in un baule, così da poterne fare ciò che voleva a tempo perso, sul piano pratico non gli risultava fattibile. Avrebbe avuto qualcosa su cui lavorare, per approcciarsi al loro legame con maggiore maturità. «Abbiamo tutto il tempo del mondo.» Avevano tutto il tempo del mondo per conoscersi. Lui aveva tutto il tempo del mondo per capire come affrontare quella relazione da uomo adulto quale era - almeno all’anagrafe. In quel momento, però, non sentiva la necessità di sussurrare altro. Si limitava a godersi un momento di pace assoluta, assaporandolo lentamente. Camillo, con Casey al proprio petto, si era ritrovato libero da tutti quei drammi esistenziali che fino a pochi istanti prima lo avevano costretto a sforzi emotivi non indifferenti. Tutto d’un tratto l’ansia l’aveva abbandonato, rendendolo padrone delle proprie certezze. Sapeva esattamente cosa voleva, sapeva che si sarebbe impegnato al meglio delle sue possibilità per ottenerlo e che mai l’avrebbe data per scontata. Si promise, però, di fare il possibile per non limitare le libertà dell’altra, perché desiderava la leggerezza che il carattere di lei offriva e non sarebbe riuscito ad amarla fino in fondo se lei si fosse sentita soggetta ad una qualsivoglia forma di oppressione. L’avrebbe soffocata, altrimenti. Non doveva succedere. Lo studente accolse il corpo della ragazza, che perdendo le forze era finita per rifugiarsi nell’abbraccio che le stava offrendo. Capì che era suo dovere consolarla, rassicurarla, e che lui stesso sarebbe riuscito a trarre beneficio da quella dolce stretta. Così, spostò le braccia per farle spazio, finendo con il richiuderle all’altezza della schiena di lei. La pigiava dolcemente a sé, lasciando sfuggire qualche carezza su e giù per il dorso, al doppio fine di riscaldarla e confortarla. Poi, in risposta alla domanda che lei gli aveva posto, si sentì in dovere di posare un bacio tra i suoi capelli. Amava il profumo della sua chioma dorata - che d’oro non era per davvero, ma non gli importava -, e fu difficile farlo durare pochi istanti. Inebriato, avrebbe voluto rimanere così in eterno, ma per forza di cose dovette sollevare di poco il viso. «Mi piacerebbe poterti dire di sì, ma la fiducia non è immediata, va costruita poco alla volta. Dovrai capirlo tu. Ciò che posso fare è prometterti la mia onestà assoluta.» Camillo si spiegó, portando la mano libera dal soprabito all’altezza del collo, per elargire un grattino vicino al bordo della sciarpa. Non era capace di lanciare segnali concreti, di facile interpretazione, con il linguaggio del corpo, ma si impegnò per farle capire che prolungare quell’abbraccio ancora qualche istante lo avrebbe reso felice. Nel mentre, ondeggiando lievemente, un po’ la cullava. Aveva qualcosa per intrattenerla. «Ho una tradizione, prima del ritorno ad Hogwarts dalle vacanze invernali faccio sempre qualche stupidaggine, per non limitare le mie esperienze di vita alle mura del castello.» Il Tassorosso confessò un suo segreto, mantenendo basso il volume della voce, ma imprimendo alle sue parole un sentimento di allegria nostalgica. Cercava di allentare la tensione tra loro, di soddisfare la curiosità che Casey, nell'avviarsi del loro incontro, aveva espresso. Così poteva creare un clima più sereno, dando al cuore il tempo di ristabilizzare il proprio battito. «Venerdì scorso, la sera, sono entrato in un bar che mi è stato consigliato da una mia conoscenza. Il suddetto locale è gestito da un anziano di nazionalità giapponese, credo. Mi è stato detto che ordinando un Sakè del ‘96, mi sarebbe stato servito insieme alle indicazioni per raggiungere una bisca per il gioco d’azzardo. Non che sia un assiduo frequentatore eh, ma sai, ogni tanto una partitella me la faccio volentieri!» Spiegò, decidendo freddamente come e dove avrebbe cacciato la prossima coccola. «Quindi mi son bevuto sto vinello, sono montato in bici e mi ci sono fiondato. Quartiere un po’ losco, movimentato, poco illuminato, ma nel complesso abbastanza piacevole. La guardia all’ingresso era restia al farmi accedere, però quando ha visto il rotolino di Elisabette si è automaticamente convinta che avrebbe fatto meglio a lasciarmi passare. Non ti dico quante Elisabette, ma erano regine a tre zeri!» Strinse un po’ di più per un momento, tornando a ricoprirle la schiena di carezze subito dopo. «Sono entrato, son passato per una lavanderia e mi sono trovato nel retro, in una stanza abbastanza ampia, con un tavolo verde, attorno al quale era seduto un gruppo di uomini orientali, non troppo giovani, vestiti bene. Puntavano forte al poker texano. Mi sono accomodato e li ho visti sghignazzare, ma quando gli ho mostrato le Seconde, di colpo l’aria si è fatta più seria e tesa. Io ero tranquillo, sapevo cosa stavo facendo, ma credo mi abbiano scambiato per uno scemo da spennare.» Introduzione assurda, ambientazione da film gangster anni ‘60. Quella storia aveva anche dei difetti. «Allora, senza perder tempo, abbiamo iniziato a giocare. Prima mano, butto le banconote al centro del tavolo, guardo i presenti dritto negli occhi uno ad uno, ma non guardo le carte e chiamo l’All-in. Disappunto sui loro volti, sorrisetto divertito sul mio. Non rischiano e mi prendo i bui, che erano già un bel po’ di spiccioli.» Da quelle premesse Casey avrebbe potuto intuire qualcosa sul carattere del giovane e lui ne era perfettamente conscio. Dava l’impressione di essere un ragazzo impulsivo, in cerca di qualche via assurda da percorrere per raggiungere un tipo di divertimento altresì inaccessibile. Sprezzante del pericolo, ma in grado di vivere serenamente esperienze ansiogene. Puntava forte, all’apparenza senza la ragione a guidarlo, mascherando una strategia precisa in grado di ricompensarlo più che degnamente in caso di successo. Così nel poker come nella vita. «Seconda mano. Faccio lo stesso giochetto, scatenando rabbia e lamentele in lingua madre, ma ancora nessuno mi segue e pian piano inizio ad accumulare un bel gruzzoletto. Alla terza mano le cose cambiano. Io punto sempre tutto alla cieca. Tutti i presenti tranne uno mi lasciano gli spiccioli. Questo qui aveva una coppia di Donne in prima mano, si vedeva che aveva carte buone, altrimenti non ci sarebbe mai stato. Io ho scoperto solo dopo di avere un dieci di fiori e un tre di cuori, orribile. Ma la fortuna mi ha baciato le labbra e quando son state girate le carte mi sono ritrovato con una doppia coppia e l’ho battuto.» Camillo, in preda ad una botta di vita, strapazzò un po’ la sua dolcissima controparte, che fino a quel momento si era ritrovata intrappolata in un moto rilassante. La scosse un pochino, senza esagerare, per destarla dalla tranquillità riservatale. Era, a suo avviso, un gesto d’affetto tutt’altro che convenzionale, un po’ casuale ed inaspettato, ma non ci aveva riflettuto abbastanza per potervi porre un freno. «Non ho mai visto così tanti soldi tutti insieme… lo so che non era una somma impensabile per un adulto con un buon lavoro e dei risparmi. Ma io, studente, non sono mai stato così ricco in vita mia, stavo già pensando a cosa avrei potuto farci! E siccome sono dell’idea che, in certe occasioni, è meglio smettere finché si vince, ho iniziato a raccogliere ció che mi ero guadagnato. Poi mi sono alzato, ho fatto in tempo solo a dire 哥哥.» L’olandese smise di muoversi, tornando ad abbracciare la fanciulla con una discreta staticità. Dalla pausa, dall’impostazione seria della voce in contrapposizione a quella carica di gioia che fino ad allora aveva accompagnato la narrazione, si poteva percepire l’arrivo di una confessione più cupa. «Un loro scagnozzo, chiamato a gran voce da un giocatore irritato, mi ha preso alla sprovvista. Dovevi vederlo, era un ciccione immenso, altissimo, mi ha fatto venire una strizza che non ti dico. E sapeva menare le mani. Mi ha preso per le spalle, mi ha voltato come una trottola, neanche fossi stato leggero, e mi ha tirato un colpo di Karate con il palmo sulla guancia che stentavo a crederci. Ne ho prese di sberle in vita mia, ma mai così forti. Mi ha fatto malissimo, ma ero solo felice che non mi avesse spaccato il naso. E credo ci fosse andato piano, solo perché sono un ragazzino, aveva tutte le carte in regola per pestarmi di brutto se solo avesse voluto. Poi mi ha ributtato sulla sedia e lì ho capito che dovevo perdere qualche zero prima di potermene andare.» Breendbergh sghignazzò. Non c’era molto da ridere, ma la storia non era finita lì. «A questo punto ti starai chiedendo “Camillo, ma se ti ha tirato solo un cartone nel muso, perché sei gonfio da ambo i lati?”. Domanda lecita, stellina mia. La risposta è che sono scemo.» Il vizio di parlare da solo lo aiutava ad arrivare al punto più in fretta. «Due secondi per riprendermi ed ero già in piedi. Mi sono voltato di nuovo verso la guardia, l’ho fissata con sdegno negli occhi e gli ho ringhiato: “Lasci o raddoppi?”. E sbeeem, mi ha tirato una pizza dall’altra parte che avrei preferito morire. Poi mi ha trascinato di peso e mi ha sbattuto fuori dalla lavanderia, piantandomi lì senza un soldo bucato, nemmeno quelli che avevo prima di arrivare.» Camillo lasciò scivolare l’ennesima carezza sulla schiena della Grifondoro, prima di dare un senso a tutto quanto. «Senza un soldo.» Ribadì. «Ma mentre mi accompagnava dolcemente verso l’uscita io mi sono un po’ ribellato eee… e niente. Avrà anche potuto conoscere l’arte del Kung-Fu, ma io conosco l’arte del borseggio, che penso sia altrettanto valida nella capitale inglese! Gli ho sfilato l’orologio e una catena d’oro senza che nemmeno se ne rendesse conto. Poi me li sono rivenduti e sono andato in pari con la mia somma iniziale, più un paio di pranzi all’all you can eat di fiducia.» Concluse, posando l’ennesimo bacio tra i capelli della biondina. Sperava che non si fosse annoiata troppo, così come sperava gli desse retta. Le aveva promesso onestà e onestà aveva ricevuto. «Assurdo, vero? Ed è solo una delle tante disavventure strampalate che mi capitano nella vita. Quindi insomma, ora che te l’ho raccontato mi vedo come un demente, ma sentivo di doverti mettere in guardia. Questo sono io.» Avrebbe capito se avesse avuto dei ripensamenti sulla loro relazione. La signorina Bell aveva tutto il diritto di piantarlo in asso, specialmente nella fase iniziale del rapporto. Se proprio era necessario lo avrebbe preferito. Temeva di trovarsi il cuore spezzato in petto più avanti, dopo essersi convinto per chissà quanto tempo che le cose funzionassero. Il cuore, per l’appunto, durante il monologo si era ripreso, assestando un battito più stabile di quello sperimentato uno o due minuti prima. La regolarità delle pulsazioni cardiache era una conseguenza della sincerità con cui si era confidato. Sapeva che lei poteva ascoltarle, serrata in quell’abbraccio, quindi pregava che anni di colesterolo a mille non gli avessero giocato brutti scherzi. Però, per come la vedeva, siccome era stato lui a farsi avanti, spettava a lei il compito di accettarlo o respingerlo. Avrebbe rispettato la sua decisione.
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