La gabbianella e il tasso, Si sboccia poveri

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view post Posted on 31/1/2019, 01:51
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«Hai rotto la palla»
Era pronta già da un'ora. Evitava di fissare lo specchio per paura di non piacersi e di dover ricominciare da capo la ricerca del maglione perfetto e dell'inclinazione giusta delle labbra da assumere nei momenti in cui lui l'avrebbe osservata. Aveva cercato di ripetere su di sé ogni dettaglio estetico ideato per il ballo, con un trucco meno pretenzioso e chiaramente sostituendo il vestito da gala, poco appropriato per quell'occasione, con qualcosa di più comodo, di più autentico per lei. Si era persino rischiarita i capelli, leggermente pizzicata dalla paura che il suo nero naturale potesse stranirlo, e aveva anche deciso di mollare in dormitorio il giaccone nero che la faceva sembrare un grizzly un po' più basso del normale, indossando qualcosa di più sottile e sfortunatamente meno caldo. In tutto ciò, nonostante la meticolosa preparazione, le unghia e le labbra erano state mordicchiate fino al sanguinamento. Le era stato detto di farlo aspettare. Voci più esperte della sua consideravano il ritardo cronico femminile la perfetta tattica per farsi desiderare, ma lei non ne era rimasta del tutto convinta. E se se ne fosse andato? Gli aveva scritto di farsi trovare alle sedici all'entrata del borgo, ma, costretta da una compagna di dormitorio che lo faceva per il suo bene, si era piazzata di fronte ad un orologio e aveva aspettato le meno cinque per uscire. «Ti ci vorrà un quarto d'ora per arrivare ad Hogsmeade. Così i dieci minuti di ritardo saranno perfettamente calcolati» aveva detto, e la teneva sottocchio la belva. Non appena la lancetta più lunga si posò sull'undici, KC si fiondò in un batter d'occhio giù dalle scale.
Non percepì né il freddo né i soliti brividi che lo scricchiolare della neve sotto le scarpe le procurava. La mente era altrove, preoccupata per quello stupido ritardo e per le sue possibili conseguenze. In effetti non aveva idea di che tipo fosse Randi. Forse l'avrebbe aspettata e poi glielo avrebbe fatto notare, forse se la sarebbe presa e non l'avrebbe più voluta rivedere, o forse - e in tal caso si sarebbe scatenata l'Apocalisse - era lui il ritardatario. Percorsi in fretta e furia quasi tre quarti del tragitto, improvvisamente si fermò e si disse: "Che diamine sto facendo?". Perciò riprese a camminare normalmente e tentò di fare lunghi e profondi respiri. Fu allora che avvertì il gelo, e dunque si attorcigliò la sciarpa color rosso e oro attorno alla testa lasciando scoperti solo gli occhi e due ciuffetti di capelli chiari ai lati. Di fronte a lei la porta in ferro di Hogsmeade si cominciò a distinguere in mezzo ai fitti fiocchi di neve, ma di Randi Han nemmeno un'ombra. Arrivata fin sotto l'entrata, si girò in ogni direzione per cercare di riconoscere quella testa di rapa fra gli abeti e i massi. La morsa allo stomaco, nel notare che l'intero villaggio sembrava desolato, la fece sentire pesantissima, tanto da credere di star per sprofondare nella neve. Le opzioni erano tre: o il suo ritardo era stato troppo per il ragazzo, o questo non aveva ricevuto il suo gufo, oppure, al solito, Google Maps identificava Hogsmeade con qualcosa che non c'entrava nulla con un villaggio, come un lago, una landa desolata con possibili cerchi nel grano e un paesino disperso della Mongolia.

Purtroppo per diversi problemi on e off ho dovuto aprire anche questa role. Rispetto a "Pelo e contropelo" e a "Just tangle on", alle quali questa è strettamente collegata, si sviluppa qualche giorno dopo. Mi terrò sul vago finché potrò.
 
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view post Posted on 31/1/2019, 18:19
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Auuuu
Alle sedici all’entrata del borgo. Alle sedici all’entrata del borgo!
L’olandese aveva atteso quell’appuntamento così intensamente che il tempo per lui aveva assunto un concetto del tutto nuovo. Le ore, i giorni, erano trascorsi in una danza scoordinata, impiegando a tratti un nonnulla e a tratti l’eternità intera per sgretolarsi come sabbia in una clessidra. Ne aveva avvertito il peso, consolato tuttavia dalla possibilità di riuscire finalmente a rivedere Casey. Le vacanze invernali erano state un disastro. Si era chiesto se, dopo quei pochi istanti passati insieme, fosse stato l’unico dei due a desiderare così intensamente una seconda occasione. Si sarebbe accontentato di poco, un incontro informale, ma le relazioni a senso unico tendevano a spaccargli il cuore in petto. Anche se la loro era ancora tutta da definire - ci mancherebbe -, non sarebbe riuscito ad apprezzarne un solo attimo senza sapere che anche la sua controparte avesse avuto intenzioni serie, seppur contraddittoriamente leggere, nei suoi confronti. Era stata criptica. L’enigma celato nelle poche righe di testo sulla pergamena ricevuta si era rivelato difficile da assimilare. Ciò nonostante, la biondina si era presa la briga di fissare una data e un’ora e ciò gli bastava per sperare. Sapeva come e dove trovarla.
Camillo, o Randi che dir si voglia, si era presentato al villaggio con qualche minuto di anticipo. La discreta nevicata aveva fatto scendere le temperature, già più rigide di quanto avrebbero dovuto in quella zona della Gran Bretagna. Temprato dall’esperienza, il Tassorosso era stato previdente. Saggiamente aveva deciso di vestirsi a strati, senza rinunciare all’eleganza casual che le circostanze richiedevano. Indossava un pesante maglione blu scuro, sopra ad una camicia bianca, sopra ad una maglietta, sopra ad una canotta. Poi un soprabito tra il beige ed il khaki, colore a cui non avrebbe saputo come riferirsi se gli fosse stato domandato, tuttavia semplice e piacevole da osservare, almeno a suo avviso. Jeans scuri, scarpe in pelle, cintura e guanti abbinati. Al collo una lunga e morbida sciarpa che ripescava la tonalità del maglione. Non era proprio il suo stile, ma per una volta avrebbe potuto fare un’eccezione. Ci teneva davvero.
Il Diavolo dei Sotterranei, addentrandosi ad Hogsmeade, aveva ringraziato tra sé e sé le rubriche di moda che seguiva per avergli dato la brillante idea di conciarsi a cipolla. L’aria gelida si era proclamata sovrana di quel pomeriggio, sferzando fiaccamente il suo viso già irritato. Sotto gli occhi, sulla linea degli zigomi, due ecchimosi viola, vecchie di qualche giorno, ormai in via di guarigione, soffrivano la brezza con maggior fervore, scaldando le guance dell’olandese. L’idea di presentarsi così di fronte a Casey lo infastidiva incredibilmente. Era qualcosa che andava oltre il malessere fisico che i lividi gli procuravano, ben più radicato in profondità sul piano psicologico. Se li era procurati a causa una sua insolita bravata. Aveva alzato il tiro ed era stato punito. Gli sarebbe piaciuto mostrarsi al massimo della forma, impeccabile, ma ormai il dado era tratto. Sperava solo che non se ne vergognasse o si preoccupasse inutilmente, allora sì che sarebbe stato un duro colpo per lui.
Un affanno si sommava ad un altro e così la testa viaggiava altrove, lontano da dove i passi lo stavano conducendo. I vicoli in cui si diramava Hogsmeade erano numerosi. Il paesino quasi deserto, spaccato in due dal sentiero principale, dava ai suoi ospiti la possibilità di esplorare un’anima più autentica, tutt’altro che vivace, se questi decidevano di attaccarlo ai fianchi. La cupa tranquillità che lo pervadeva in parte rispecchiava lo stato d’animo dello studente. Quieto e pensieroso marciava verso la sua meta, in attesa di poter rivedere la sua vittima.
Non gli ci volle molto. Puntuale, almeno quanto era stata lei, lo studente riuscì ad arrivare nei pressi del punto d’incontro. Sbucato da una costola del paesino, tra le mura di due edifici quasi adiacenti, posò per primo lo sguardo sull’altra, potendo notare quanto si stava dando da fare per scorgerlo nel nulla più candido. Anche con la sciarpa a coprirle metà del viso era bellissima, esattamente come se la ricordava. Un po’ leggera, per quel che riusciva a discernere dalla distanza, tenendo conto della temperatura locale. Immaginò avesse freddo e gli venne una fitta al torace all’idea di averla lasciata lì ad aspettare, per questo si affrettò a raggiungerla.
Imboccò un percorso un po’ scomodo a lato del sentiero e, con il passo svelto, tentò di avvicinarsi a lei in modo discretamente furtivo. Voleva esser notato, prima o poi. In quel caso, silenzioso, una volta prossimo a lei avrebbe spalancato le braccia, invitandola implicitamente ad accorciare le distanze per farsi stritolare com’era giusto che fosse. Ci aveva pensato e ripensato in quei giorni, glielo aveva addirittura confessato: voleva riabbracciarla. Forse era un po’ eccessivo, ma chiudendo un occhio verso il loro grado di confidenza più che fattibile. Necessario per il suo benessere psicologico. Osava un po’, ma sapeva che la fortuna era solita sorridere agli audaci. Per una volta avrebbe potuto curvare le labbra anche per lui.


 
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view post Posted on 1/2/2019, 12:05
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«Hai rotto la palla»
Dovette ringraziare l'imbottitura pelosa della sua giacchetta, unico motivo per cui non si era ancora congelata. "Stupida, stupida, stupida", continuava a ripetersi sia per quell'abbigliamento da pomeriggio di metà ottobre sia per quello stupido ritardo. «Per esser belle bisogna soffrire!» la voce della belva del suo dormitorio continuava a rimbombarle nella testa, più sbatacchiata qua e là come un cubetto di ghiaccio per il tremore. La prossima volta le avrebbe riso in faccia. La prossima, se ci fosse stata. "Forse è meglio che io me la svigni" si disse all'ennesimo giro su se stessa, senza alcun apparente motivo. Che senso aveva mutare totalmente la sua quotidianità per parlare con quel tipo? Perché doveva sentirsi in imbarazzo e farsi vedere da lui in quello stato di insensato nervosismo? Strinse i pungi dentro le moffette, si voltò un'altra volta verso il villaggio e, per l'impatto, le sue gambe si attaccarono al terreno come un pezzo unico. Lo vide sbucare da una stradina che costeggiava l'ufficio postale, col suo imperturbabile sorriso e le braccia spalancate. KC invece si era fossilizzata nella sua posizione iniziale, come se il ragazzo da lontano le avesse scagliato una fattura paralizzante. Se la piccola faceva la solita spavalda testa calda in giro per i corridoi, adesso sotto l'aura protettiva della nuova spilla, in tali occasioni la sua autostima si rifugiava sottoterra, il cervello si spegneva in un blackout generale degli impulsi sinaptici e la sua espressione facciale si congelava in quella tipica di uno stoccafisso steso ad essiccare al sole. Per riflesso aprì anch'essa le braccia e si lasciò avvolgere da lui, sconvolta e tremante per il freddo. Il contatto col suo corpo forse avrebbe potuto non solo scaldarla ma anche toglierle via di dosso un po' di intirizzimento emotivo, ma le sensazioni emanate da quell'abbraccio le fecero spalancare ancor più gli occhi per la confusione, coronata da un fulmineo ripasso di quel che le aveva scritto nella lettera e un solo pensiero: "Oh mio Dio, fa sul serio". A quella consapevolezza la sua mano lo batté delicatamente sulla schiena per ben due volte con un pat pat, il massimo di vicinanza fisica ed emotiva che fino ad allora aveva sperimentato. Non che le dispiacesse tutto ciò, come se non ci avesse pensato e ripensato da quando si erano lasciati al ballo. Era confusa su quali fossero le vere intenzioni di Randi. Quella sera l'aveva punzecchiata, quasi derisa, le aveva detto che aveva «rotto la palla» - sì, era talmente rancorosa da riuscirselo a legare al dito - ; poi avevano ballato in maniera strana, lei era fuggita e lui l'aveva riempita di storie sconclusionate nella sua prima e ultima lettera che culminava con un «mi manchi» e un «mi manca poterti stringere tra le mie braccia». A lei non tornava nulla del loro breve percorso insieme per quanto in realtà fosse già chiaro. Il suo problema era che a lei Randi piaceva, ma non si fidava: era tutto troppo.
Non appena la stretta si sarebbe allentata KC avrebbe cominciato a percepirne la nostalgia, probabilmente per il calore del suo petto, ma soprattutto perché si era appena resa conto di non essersi lasciata andare. Perciò, come rimedio del tutto irrazionale, si separò da lui per guardarlo in volto ma la sua moffetta sinistra lo cingeva ancora. Quando finalmente si ritrovarono faccia a faccia, oltre all'ondata di ansia che le travolse lo stomaco per la vicinanza, nel notare le due chiazze viola sotto gli occhi di lui, si allarmò ulteriormente. Sembrava che avesse due grosse fette di melanzana sugli zigomi e, prevalso quest'ultimo problema su tutto il resto, la mano destra si posò istintivamente sul suo volto. «C-cosa ti è successo?» chiese preoccupata. Inclinò varie volte la testa per analizzarlo da diverse angolazioni e poi aggiunse pensierosa: «Sembra che tu abbia fatto a botte». Assunse un tono sorpreso. Effettivamente le aveva parlato di un incontro poco piacevole con un falco e di uno con un suo compagno di scuola, e l'atteggiamento mostrato al ballo poteva esser stato l'avvisaglia di un carattere iroso. Per un istante se lo immaginò a capo di una gang armata di coltellini, pronto a scontrarsi con dei rivali nei quartieri più puzzolenti della City. «O che tu abbia scalato l'Everest» disse poi sorridendogli «dimmi, hai ancora tutte le dita dei piedi?».
 
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Auuuu
Mentre esteriormente mostrava calma, un sussulto gioioso attraversava il suo cuore. Ci aveva pensato così tanto in quei giorni da temere una possibile delusione. Le aspettative, trainate dalla fantasia al pari di quanto i cavalli di Elio facevano con il suo carro splendente, erano volate in alto, al punto di rischiare un doloroso tradimento. Quando le previsioni più rosee del giovane impattavano contro la dura e cruda realtà, lo sconforto del mondo tangibile si appropriava di ogni crepuscolo di spensierata gratificazione, trasformandolo in un cupo e amaro insuccesso. Un manto d’ombra che avvolgeva la sua intera esistenza, dono della coerenza con cui si manifestavano le sue abitudini. Gli errori passati si erano sempre dimostrati saggi maestri. Eppure, incurante di ciò che l’esperienza gli aveva sussurrato, non si era lasciato scoraggiare dai presagi sul proprio futuro. Ora era là, immerso in quell’attimo distante che non era tardato a sopraggiungere, con Casey tra le sue braccia, pronto ad apprezzarne ogni sfumatura, fisica e filosofica. Non fu difficile. La sensazione che gli procurava avvolgere la biondina in quella dolce stretta era confortevole e incoraggiante. Amava averla al petto, lì, vicino al proprio cuore. Amava il modo in cui i suoi morbidi e freschi vestiti aderivano alla sua esile figura, compressa ma non schiacciata, salda eppur libera di allontanarsi in qualunque momento. Amava il profumo dei suoi capelli, la delicatezza del suo tocco e l’incertezza con cui si era raccolta a lui, resistenza che non era passata inosservata. Poteva comprenderla, era suo dovere farlo. Lui, al contrario, non aveva esitato un solo istante, perché cosciente sin da subito delle proprie intenzioni.
Quello, avrebbe potuto giurarlo, doveva essere un omaggio del suo aspro destino, un piccolo pegno per farsi perdonare anni e anni di ferite inflitte. Non avrebbe saputo come spiegarselo in un altro modo. Un ricordo indelebile per quanto vivo e profondo.
Randi, quando la sua controparte fece un passo indietro, ancora teneva le mani sui suoi fianchi, pigramente posate per permetterle di separarsi definitivamente da lui nel caso in cui avesse ritenuto opportuno farlo. Dava molto rilievo al rispetto degli spazi personali ed in nessun modo avrebbe voluto che si sentisse costretta a stargli così vicino. Ciò nondimeno gli risultava così difficile abbandonare definitivamente quel contatto. Una volta spezzato sapeva gli sarebbe mancato da morire.
Trovatosi faccia a faccia con la signorina Bell, lo studente riuscì a notare quanto questa si sentisse a disagio. Non era bravo ad interpretare quel genere di situazioni, ma non fu difficile arrivare alla conclusione che per entrambi doveva trattarsi di un momento importante, atteso a lungo. O almeno sperava valesse anche per lei. Inoltre la preoccupazione che traspariva dal suo sguardo poteva dipendere dallo stato in cui il proprio volto si presentava. Le contusioni, al tempo dell’irrogazione, erano state meno dolorose da subire che vederla pensierosa, angosciata per la sua salute in quei pochi istanti di accertamento.
Il Tassorosso aveva ascoltato le parole del Prefetto Grifondoro, senza mutare la sua espressione. Era molto serio per via di alcune questioni in sospeso con lei, ma anche a causa del problema appena rivangato, lo si poteva capire dal modo in cui osservava il bel faccino della studentessa. Silenzioso, con decisione staccò i palmi dai suoi fianchi, per spostarli lentamente sulle mani di lei. Afferrò delicatamente la moffetta che ancora lo cingeva, poi quella che gli sfiorava il viso, intenzionato a cessare momentaneamente ogni contatto con Casey, abbandonandole quindi al vuoto.
Camillo si sfilò lentamente il soprabito, prima lasciato aperto, dandogli una veloce scrollata a lato per eliminare qualche fiocco di neve impertinente adagiato sulla sua superficie. Poi, con il fare di una mamma amorevole che stende una tovaglia, lo fece svolazzare sopra la testa della nanetta, finendo con l’avvolgerla elegantemente dalle spalle. Un po’ stretta, così che non prendesse freddo. In teoria era di qualche misura troppo grande per lei, il taglio gli si fermava sopra la linea delle ginocchia, quindi sarebbe sceso ulteriormente lungo il corpo della ragazza. Ciò nonostante era molto soffice, teneva caldo pur non essendo pesante e profumava lievemente di limone, con una nota molto delicata di lavanda. Pensò che potesse farle piacere. Lui, vestito con millemila strati spessissimi, sarebbe stato bene anche senza.
«Le ho ancora tutte e otto, giuro.»
Il giallo-nero si concesse una battuta, sorridendo imbarazzato. Non era riuscito a lasciarsi troppo andare, di fatto risultava ancora abbastanza serio, pensieriso. Però era dell’idea che in qualche modo avrebbe dovuto rompere il ghiaccio, pur non essendo uno sherpa.
«Non so se voglio parlartene, è una storia divertente, devo dire, un po’ lunghetta e dovrei confessarti almeno cinque reati. Ma vedi…»
Spiegò, accarezzando le braccia della ragazza attraverso il soprabito.
«… mi vergogno molto. Ripudio la violenza in ogni sua forma, mi mette a disagio anche solo raccontarla. Ho paura che tu possa costruirti un’immagine sbagliata di me.»
Fu molto stupido da parte sua confessarle quel timore, considerando il fatto che già stava avendo a che fare con un alterego. A cose fatte si rese conto di quanto fosse stato idiota, ma era troppo tardi per rimangiarselo.
«Ed a proposito, c’è un’altra questione che vorrei affrontare prima che sia troppo tardi. Penso che tu sappia quale.»
Fu lì che vennero a galla le peggiori ansie del giovane, quelle che per giorni lo avevano stretto alla gola con la brutalità di un cappio e che, in quel momento, gli strillavano nelle orecchie di perpetrare il suo inganno fino alla morte. Ma, sebbene la via più facile da percorrere fosse stata quella sul sentiero delle menzogne, Camillo aveva preso una decisione matura, normalmente fuori dalle sue corde. Ogni problema, ogni errore, in qualche modo poteva essere risolto. Per la sua sentenza era necessario armarsi di una buona dose di pazienza, di coraggio ed accettare la possibilità di ricominciare da capo. Oppure abbandonare tutto e chiudere per sempre. Le due prospettive, dai loro estremi, non lasciavano spazio a mezze misure. Scaricando tutto il peso sulla coscienza della biondina, l’olandese iniziò a temere la sua reazione. Era giusto, però, darle un'occasione per gettarlo via come si fa con un giocattolo rotto già all’apertura del suo involucro. Sapeva bene che sulla questione Randi era sempre stata scettica, immaginava non le ci volesse molto per tirare le somme. In caso contrario avrebbe chiarito quanto c’era da chiarire.


 
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view post Posted on 2/2/2019, 19:52
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«Hai rotto la palla»
Nonostante il freddo, la preoccupazione per i lividi e l'imbarazzo che le dava il contatto col suo corpo, ci fu un momento in cui lo guardò negli occhi, un attimo da cui riuscì a trarre qualcosa che l'ultima volta le era sfuggito: un tremore impalpabile proveniente da dentro entrambi, uno il riflesso di quello dell'altra, in una continua spirale. Un vibrare in crescendo, lo sfogo dell'insicurezza e della paura che provavano al solo pensiero di confrontarsi. C'era qualcosa di fragile in lui nonostante le apparenze, qualcosa che andava protetto, raccolto e rassicurato. Si sentì quasi un animale ad aver fatto quella battuta, benché non si trattasse di un insulto, e una fitta allo stomaco, il senso di colpa, le fece abbassare le difese e piegare gli occhi tristemente verso il basso. Come colpo di grazia - interpretazione contingente dei fatti utile solo a confermare quanto aveva in testa - lui le prese le mani e le staccò da sé, in un gesto inaspettato ma che poteva solo essere il logico effetto delle sue parole. Allora la fitta allo stomaco crebbe. Crebbe di intensità fino a schiacciarle i polmoni e a rendere quel tremore più visibile e maligno. Furono attimi di dolore puramente fisico, considerato che quest'ultimo era la tela su cui le emozioni di KC si versavano. Un altro passo indietro e tirando su col naso spostò lo sguardo, imbarazzata e senza sapere cosa dire. A disingannarla bastò un secondo: il gesto di Randi, più amorevole di quanto avrebbe sperato, le fece vedere un barlume di speranza e tornò a respirare. Si faceva troppi problemi, davvero troppi. La sua mente andava mille miglia più in là rispetto al dovuto, sempre, ma le violente ondate emotive perlomeno le erano utili a far chiarezza dentro. «Ma non avrai freddo così?». Gli sorrise e una risata argentina fu la sua arma per camuffare i brividi che le dava lo scorrere delle sue mani sulle proprie spalle e gambe. «Grazie» disse cercando di essere più affabile «non dovevi. Stavo bene...». Stava congelando, ma non l'avrebbe mai ammesso.
L'espressione seria di Randi la preoccupava, ora più che mai. Adesso era lui a non lasciarsi andare, afflitto chissà da quali pensieri. Il fatto che non voleva condividere quella storia con lei fu inizialmente interpretato come un'esclusione, ma poi capì che determinate cose non erano affar suo, nonostante la confessione dei cinque reati stuzzicò la sua curiosità e la sua fantasia. «Be', ti capisco. Non devi raccontarmela per forza» disse cercando di sembrargli il più comprensiva possibile «ma se ti va... cioè... non ti devi vergognare con me. Io non ti giudico». Provò a raccattare un modo per farlo sentire più sicuro. L'espressione da burlone menefreghista che aveva visto sul suo volto al ballo era sparita e, per quanto la punzecchiasse, le mancava. Era incerta sul modo in cui si sarebbe dovuta relazionare a quella sua nuova sfaccettatura. Sul momento fu colta impreparata dall'ulteriore rivelazione di Randi. Tutto quel che aveva provato, i contrasti emotivi in seguito ai piccoli gesti, erano riusciti a mandarla nella confusione più totale, tanto da non rendersi conto nemmeno di quanto fosse vulnerabile. «Che intendi?» domandò con leggerezza cercando di smorzare la tensione «In effetti mi sembrava assurda la storia della gabbianella. Ma da dove ti vengono?». Rise nuovamente, ma smorzò l'allegria non appena rivide lo sguardo serio sul suo volto.
 
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view post Posted on 6/2/2019, 19:05
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Non avere le più pallida idea di come approcciare il problema si era rivelato un malus sociale assai pesante da metabolizzare. Camillo, che non si era mai trovato in situazioni simili, avrebbe dovuto dar fondo alla sua sincerità per poterne uscire. Era più difficile di quanto immaginasse. Per anni ogni suo scherzo, ogni sua menzogna, non era mai arrivata al punto di necessitare una giustificazione. Agiva sempre e solamente con le migliori intenzioni, con il solo scopo di suscitare ilarità ai suoi amici e ai suoi conoscenti. Quando però le sue vittime erano persone a lui estranee, prive di quella confidenza che gli avrebbe permesso di decifrare i suoi assurdi comportamenti, la situazione tendeva a complicarsi. La via più facile, quella che lo esonerava dall’imbarazzo, era la fuga. Sparire dai radar, non farsi più rivedere. Ormai aveva perso il conto delle sue interazioni occasionali concluse in quel modo. D’altro canto, in quelle circostanze, la volontà di approfondire la conoscenza di Casey era tutt’altro che assente. Darsela a gambe non era un’opzione valida, non fu difficile arrivarci.
Mentre il cervello del tassorosso si scioglieva, cercando di architettare lo stratagemma più indolore, che gli avrebbe permesso di togliersi di dosso la maschera di Randi, con la vista e con l’udito studiava il comportamento della studentessa. Si era dimostrata disponibile a comprendere le sue ragioni, almeno per quanto riguardava la questione dei lividi. Per questo lo sbarbatello sperava potesse dargli retta senza scandalizzarsi una volta vuotato il sacco, riferendosi al tema che più lo interessava.
Inutile dire che ancor prima aveva ignorato la domanda sul suo stato di benessere, aggiungendo inconsciamente una carezza alla moltitudine che già avevano attraversato spalle e braccia del prefetto, prima momentaneamente interrotte. No, non aveva freddo. Aveva fissato lui il luogo dell’appuntamento, conosceva bene il carattere capriccioso degli inverni di Hogsmeade. Per quanto il gelo avesse voluto imporsi, gridando a gran voce per catturare l’attenzione del giallo-nero, a lui era bastato qualche strato in più addosso per zittirlo.
«Ti prego, ascoltami.»
Camillo era serio e, per quanto i suoi timori potessero trasparire dall’impostazione tremolante della voce, l’autorevolezza dimostrata dal suo sguardo confermava l’importanza di quel passaggio.
«La gabbianella non c’entra, ce l’ho davvero. Io- »
Contemporaneamente ad una pausa nel discorso, l’olandese interruppe il contatto con la Grifondoro, lasciando cadere pigramente le braccia lungo i propri fianchi.
«Sarebbe più facile per me se controllassi nella tasca destra del soprabito. Ci sono delle foto.»
Lo studente si riferiva alle due polaroid che aveva deciso di portarsi con sé. Due scatti immortalati a casa con la macchinetta del fratello. In una era ritratto mentre cercava di dare un bacino sulla testolina nera dell’animale, nell’altra, di qualche istante successiva, la bestia lo beccava su una guancia per ripicca. Non aveva mai avuto un buon rapporto con i pennuti, ma quei due momenti di vita avevano un significato affettivo abbastanza forte per il marmocchio. In fin dei conti, anche se non erano amici da più di qualche settimana, voleva bene a “E il gatto?”.
«E c’è anche la mia patente di smaterializzazione. Non mi chiamo Randi e non sono un babbano, avrei voluto dirtelo prima.»
Un approccio originale alla questione aveva permesso al falso imbucato di arrivarci senza correre troppo. Andava un po’ per gradi, sperando di rendere più facile all’altra il compito di assimilare quell’informazione. Camillo tendeva a farsi troppi problemi. Non era nemmeno sicuro fosse stato tanto importante per Casey. Avrebbe addirittura potuto prenderla bene: più cose in comune, più tempo da trascorrere insieme, meno giri di missive per tenersi in contatto. Non ci contava, ma era una possibilità che andava considerata.
«Lo avrei fatto alla festa, ma sei fuggita così in fretta e avevo paura che, rivelandotelo nella lettera, non avessi più voluto vedermi.»
Un sorso del magico drink dal sapore fruttato e dall’insolita piccantezza aveva preceduto un finale vagamente burrascoso della loro piacevole serata. Gli sarebbe piaciuto bruciare ogni momento disponibile, come il fuoco che lentamente aveva divorato la catasta di legname posto al centro della sala da ballo, ma quell’opportunità gli era stata negata. Un po’ lo rimpiangeva. Rimuginandoci sopra si era reso conto che avrebbe dovuto fermarla quando ancora ne aveva la possibilità, ma era anche giusto, per come la vedeva, lasciarle assoluta libertà su come impegnare il suo tempo.
«Ti ho rifilato una balla sulla mia identità, ma sono stato sincero su quello che provo. Desidero essere del tutto trasparente con te, non voglio prenderti in giro.»
Stava cercando di dirle che, anche se aveva fatto lo scemo, dalla prima occasione utile si era messo d’impegno per ripartire col piede giusto, facendosi carico delle sue responsabilità. Per quanto gli era risultato difficile era il minimo che poteva fare, se ne rendeva conto.
«Quindi se pensi ci sia una possibilità per noi… ricominciamo. Altrimenti sbarazzati di me ora, prima che mi abitui all’idea di un futuro insieme.»
Troppo tardi. La fantasia dell’olandese si era proiettata in avanti, anni e anni oltre la data che correva. Era fatto così, quando gli capitava qualcosa di bello si innescava un meccanismo automatico che generava nella sua mente scenari distanti, dall’alto contenuto di zucchero; piccole sequenze di vita quotidiana e grandi progetti facevano a gomitate per contendersi un posto d’onore in cima alla sua personalissima lista delle cose da fare. Se non altro, però, le esperienze pregresse gli avevano insegnato come incassare batoste emotive di quella portata. Avrebbe potuto accettare un no come risposta e sapeva che con il passare dei giorni avrebbe fatto sempre meno male, fino a diventare un altro ricordo aggiunto ai tanti della sua collezione. Era la possibilità che più lo spaventava.
Con le mani a pendere lungo i propri fianchi e lo sguardo fisso, sprofondato negli occhi della fanciulla, il tassorosso si zittì, rimanendo in attesa di una reazione della controparte. Aveva detto ciò che si sentiva in dovere di dire, spiegando le sue ragioni senza omissione alcuna. A quel punto Casey si era ritrovata la spada del boia tra le mani.


 
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view post Posted on 9/2/2019, 10:22
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«Hai rotto la palla»
Randi sembrava aver preso la particolare abitudine di ignorare metà delle sue domande. Ciò non le dava rabbia, forse le pizzicava un po’ lo stomaco, ma era indice che un pensiero nel ragazzo, come glielo si poteva leggere negli occhi seri, aveva una priorità maggiore. La conferma di questa congettura avvenne dopo poco tempo, quando ormai fu palesato dal suo stesso linguaggio corporeo la necessità di porsi in difesa, magari in previsione di una possibile strana reazione da parte di lei. Più che l'iniziale indifferenza al suo parlato, come un piccolo muro che vien costruito mattoncino dopo mattoncino, fu proprio la privazione del contatto che la fece sentire a disagio. Dopo settimane di assenza e di interminabile attesa, proprio di quel momento l'aria fra loro sembrava congelarsi di minuto in minuto come per abituarsi e venire assimilata dall'ambiente esterno. In più la confusione sulle vere intenzione del ragazzo continuava a tenerla sospesa su una corda di violino, con la paura di poter cadere giù da un momento all'altro ma anche con la bruciante speranza di produrre suoni meravigliosi. Rimase a guardarlo con occhi preoccupati e un po’ da cane bastonato mentre questo si impalava di fronte a lei, rigido come un tronco sospeso sulla parete di un canyon. Fremette al suo balbettare e pronta, a sua richiesta, infilò la mano nella tasca del giubbotto. I polpastrelli sentirono subito la superficie liscia delle foto e anche di un cartoncino più spesso e rigido. Li estrasse e il suo sguardo si addolcì assieme alle labbra sul viso del ragazzo e a quello della gabbianella. «Ah è così? Ti piacciono i volatili?» disse scherzosamente «È davvero carina E il gatto?». Il sorriso le si dissipò dalle labbra. Paradossalmente per alcuni attimi non provò nulla. Come la superficie di un lago piatto in assenza di correnti, lo guardò con ancora le carte in mano, poi spostò lo sguardo sul cartoncino rigido che fino a quel momento era rimasto sotto, sul palmo della sua mano. «P-per noi?». Le scritte parlavano chiaro: Camillo Breendbergh, Londra, 1 novembre, patente di smaterializzazione. Immobile, incerta sul da farsi e dire, percorse con gli occhi il documento, le sue scritte e la foto per un'infinità di volte, finché non avvertì tutto il suo corpo cedere sotto il peso di un enorme sconforto. Era bloccata: le emozioni provate fino ad allora, le aspettative e le parole lette e rilette su quella lettera si erano agganciate a lei e le sussurravano all'orecchio, pregandole di non dare di matto. Non voleva dare di matto, sarebbe stato inutile, sarebbe stato brutto e avrebbe scoperto fin troppo quel dolore. Si sarebbe resa ancor più vulnerabile, e dunque si sarebbe solo tradita. Tra l'altro lo sapeva già, era stato chiaro a lei fin da subito che era impossibile che un babbano si infiltrasse ad Hogwarts, l'aveva chiarificato a se stessa cento, mille volte nell'indagine interiore sul ricordo di Randi. Anzi, di Camillo. Forse era proprio quel particolare ad averla ancor più destabilizzata: aveva mentito pure sul suo nome, e chissà a quale fine. Ma lei lo sapeva, non aveva voluto credergli sin dal principio, però la verità, mostrata così, irritava comunque. Subito le giunsero in mente altri momenti, altre sensazioni di pari intensità a quella: il momento in cui aveva trovato Drinky nel suo nuovo ufficio di Cura delle Creature Magiche, dopo mesi e mesi in cui le aveva tenute nascoste le sue intenzioni di diventare insegnante, evento che, seppur fosse una bella sorpresa, le aveva lasciato una punta d'amaro in bocca; Caleb che ormai da tempo, dopo la vittoria della Coppa delle Case, la evitava in ogni modo possibile e a stento la salutava, e lei non sapeva il perché; Daniel, probabilmente il ricordo più bruciante, che le stringeva la mano al buio, un calore mai sentito prima, che dopo poco tempo le voltava nuovamente le spalle, senza spiegarle il motivo, come se nulla fosse successo e stratificando ancora, mattoni su mattoni, il muro di indifferenza e insofferenza creato negli anni. In qualche modo dentro di lei le sensazioni parlavano chiaro, tutti, uno ad uno - e magari uniti da chissà quale forza cosmica che li faceva marciare compatti contro di lei - era come se avessero deciso di escluderla, di non condividere con lei più nulla se non la superficie dei loro vissuti. Non poteva arrabbiarsi, non aveva senso. Non poteva costringere nessuno a farlo, e non avrebbe fatto scenate come quella in Sala Grande con Anderson per richiedere le attenzioni che desiderava. Lo stomaco si era fatto di piombo, talmente pesante da tirarle giù gli angoli perennemente sollevati della bocca e degli occhi in una espressione di profonda tristezza. L'unica strategia efficace per non sentirsi più in quel modo, si disse, era forse costruirsi addosso un'armatura di indifferenza e, per quanto male potesse fare, declassare ogni sentimento. Si sfilò la giacca del ragazzo di dosso, ormai di un profumo sin troppo intenso che le dava alla testa, e disse: «Grazie, sto bene così». Sul suo viso, che stentava a dimostrarsi freddo, un sorriso affettuoso mentre gli rendeva nuovamente l'indumento. Le mancava il respiro all'idea di perdere ogni minimo contatto con lui, di non sentirselo più addosso, ma era tutto troppo, troppo reale adesso che aveva finalmente aperto gli occhi, e non sapeva gestirlo. «Anche io ti devo dire una cosa» disse guardandolo di sfuggita ma senza riuscire a toccare i suoi occhi scuri «io non sono una bionda naturale». Rise, non tanto per il fatto in sé, ma per la facilità con cui si potevano sgretolare un momento e delle emozioni di così grande intensità. «Ma lo sapevo che non eri un babbano, era impossibile, Randi» non mancò di sottolineare con la voce il falso nome, che ora aveva assunto un suono decisamente aspro. «Va bene così». Si risistemò nella sua giacchetta, chiudendosela e stringendosi i lembi attorno al busto, come per contenere le voci che si dimenavano dentro il suo corpo. Forse sarebbe stato meglio buttare fuori tutto in quell'istante, sfogarsi e dirgli che era uno stronzo, andarsene e tornare da lui dopo qualche giorno fresca come una rosa e pronta a ricominciare, invece di correre il rischio di inghiottire per marcire dentro lentamente; ma l'orgoglio all'ennesima scalfittura disse solo no. «Che vuoi fare adesso? Rimaniamo qui a congelare o ci infiliamo da qualche parte?»
 
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Auuuu
Ce l’aveva fatta. Camillo aveva ripercorso a memoria alcuni dei passaggi più imbarazzanti della sua vita, rendendosi conto che mai era stato più difficile per lui districarsi da una situazione tanto spinosa. Osservando la vicenda attraverso una lente di oggettività, nessun individuo sano di mente avrebbe potuto attribuirle il peso emotivo di cui lo studente la stava caricando. Pareva così semplice. Un ragazzo e una ragazza si erano conosciuti ad una festa, si erano scambiati un paio di lettere per poi darsi un appuntamento. Tra un contatto e l’altro erano trascorse delle settimane e l’olandese aveva avuto tutto quel tempo a disposizione per interrogarsi. Aveva ponderato attentamente quale fosse per lui il valore di quell’incontro.
La ragione gli aveva suggerito di non prenderlo troppo sul serio. Casey era una ragazza incantevole, dal carattere frizzante, qualità che le conferivano un’abbondante manciata di fascino, ma come lei ce n’erano tante altre. Il mondo ne era pieno. Se fosse andata male a chi sarebbe importato?
Per bilanciare tanto cinismo, il cuore gli aveva tirato una mattonata sul grugno. Sebbene il tempo si fosse rivelato un tiranno impaziente e sleale, con lei si era reso conto di essere felice. Ogni momento trascorso in sua compagnia gli aveva infuso un’indispensabile leggerezza, che per mesi dopo l’attacco al Castello gli era stata sottratta. Se le stava vicino si sentiva in pace con l’universo, come quando si buttava nel letto la sera, lasciandosi alle spalle una giornata pesante, pianificando per l’indomani lo svago più assoluto. Gli era bastato rivederla per rendersi conto di quanto era fortunato e ancora, mentre lo sguardo percorreva i dettagli della sua figura, gli risultava difficile non pensarci. Era deliziosa, tanto che quasi rischiava di divorarla con gli occhi. L’istinto gli aveva suggerito di non limitarsi alla pura e semplice contemplazione, di lasciar perdere la storia di Randi e agire. Il pensiero di allungare le braccia verso di lei, cingerla di nuovo e stamparle una sfilza interminabile di baci tra guance e collo, si era rivelato allettante. Eppure dovette porre un freno alle dimostrazioni d’affetto, lasciando che le conseguenze di quanto rivelato si complicassero nel loro corso.
Si era ritrovato nella posizione di uno spettatore dissociato dal flusso degli eventi. Era riuscito ad alzare di poco le braccia e sorridere per la battuta sulla gabbianella, ma nulla di più, mentre si rendeva conto che la sorte non gli sarebbe stata benevola. La consapevolezza di essere a bordo di una nave in procinto di affondare lo uccideva e silenziosamente soffriva nel vedere l’espressione del prefetto incupirsi. Le aveva fatto del male. Non era una sorpresa, ma schiantarsi contro la cruda realtà gli aveva permesso di comprendere quanto ancora i suoi errori dovessero forgiarlo.
Rapito da qualche grigio pensiero, si ritrovò ad osservare impreparato una scena a cui avrebbe preferito non assistere. Casey si stava sbarazzando del soprabito in cui lui l’aveva avvolta, rendendo esplicito il rifiuto per la prospettiva di un futuro condiviso. Camillo si sentì di colpo tagliato fuori, interpretando quel gesto come l’espressione della volontà di stroncare sin da subito ogni legame con lui, non solo sul piano emotivo ma anche materiale.
*Non farlo, ti sta così bene.* la mente dell’olandese formulò un pensiero istintivo. L’immagine della studentessa arrotolata in quell’indumento, sproporzionato per il suo corpo, gli ricordava lo sticker del pappagallino che spuntava dalla coperta con cui era stato fasciato. Adorava quell’adesivo, lo spammava in ogni chat tutte le volte che ne aveva l’occasione. Anche se non era troppo inerente alla situazione reale che stava vivendo, l’attaccamento emotivo a quell’elemento grafico si era per qualche istante riflesso sulla figura di lei. Stava diventando scemo.
Il tassorosso avvicinò timidamente la mano a quella che gli stava porgendo il capo d’abbigliamento, con cautela, come se la sua fosse stata fatta di esplosivo al plastico grezzo e l’altra di finissima porcellana. Temeva quasi di poterla disintegrare in mille pezzi solo sfiorandola, avendole attribuito un’ingiusta fragilità. Si riappropriò quindi del soprabito, rivolgendo uno sguardo colpevole alla grifondoro.
*Non mi importa se sei bionda o mora o quel che ti pare* ringhió nella propria testa. Non doveva farsi di questi problemi con lui, perché era in grado di apprezzarla profondamente, al di là dei fattori estetici. Prima di soffermarsi sul suo aspetto avrebbe sempre abbracciato la sua mente. Era stato il modo in cui si era rapportata a lui che gli aveva permesso di capire quanto fosse speciale. L’irriverenza sregolata, gli interessi in comune e la dolcezza con cui leniva le ferite che infliggeva, erano qualità che si avvinghiavano come un esoscheletro, meraviglioso ed impermeabile, alla sua sua figura.
Camillo si rese immediatamente conto che a quel punto avrebbe dovuto spiegarglielo. Prenderla alla sprovvista e stroncare qualunque pensiero torbido sul nascere era la cosa giusta da fare. Non riuscì comunque ad aprir bocca. Se ne stava impalato, silenzioso, con l’empatia ad appesantirgli il volto. Percepiva l’afflizione che pian piano si stringeva intorno alle sue membra. Immaginò si sentisse presa in giro, umiliata. Da chi poi? Lui, per lei non c’era mai stato, anzi, era comparso solo per far danni. Avrebbe dovuto etichettarlo come uno spiacevole capoverso della sua vita sentimentale, senza dedicargli più di un paio di righe a titolo di promemoria, per poi voltare pagina priva di esitazione una volta catalogato.
*Non va bene così.* sbraitò poi. *Arrabbiati, gridami contro, fammi del male se devi.* Quello era l’unico momento buono che avrebbe avuto per sfogarsi degnamente, per mettere in chiaro le cose. Non ce la vedeva a pianificare meticolosamente la propria vendetta, servendogliela fredda, come la ricetta suggeriva. Troppo impegno. Si rendeva conto di non valerne la pena. Il prezzo da pagare, per lei, andava saldato con il rancore che per settimane, mesi, si sarebbe dovuta portare dentro. Conosceva quella bestia così bene che si spaventò all'idea di una Casey consumata dall’interno.
Il tassorosso, infine, aveva compreso che la farsa attorno alla quale orbitavano le sue origini non era mai stata un problema per lei. Glielo aveva detto: non c’era cascata nemmeno per un istante. Il nome del suo alterego pronunciato con fare abrasivo era stato un chiarissimo indizio. Avrebbe dovuto dirle subito il suo vero nome, a rischio di essere scoperto. Era stato subdolo lasciarla fantasticare riguardo un’identità fittizia.
«Casey. Non volevo farti del male, mi dispiace.»
Lei non era intenzionata a sbarazzarsi di lui, altrimenti - se l’idea che si era fatto di lei fosse stata anche solo in parte esatta - non si sarebbe trattenuta. Questo pensiero lo aveva rincuorato a tal punto da fargli tornare il dono della parola. L’impostazione segnata dall’immensa ondata di angoscia che lo aveva travolto raccontava una metà del suo stato d’animo. Il sorriso appena formatosi sulle sue labbra, invece, metteva in evidenza la serenità che lo stava rianimando.
«Ho dovuto aspettare di tornare ad Hogwarts per rivederti, non sopporterei l’idea di condividerti con qualche garzone. »
L’olandese formulò una sentenza che sfoggiava tutto il suo egoismo, con la leggerezza di chi confessava un segreto al parroco sapendo che la punizione divina che gli spettava potesse essere scontata con un paio di ave maria. A farla grossa. Era serio, del tutto onesto su quali fossero le sue intenzioni.
«Ti voglio esclusivamente mia. Ti voglio conoscere e voglio che tu conosca me. Non Randi, ma Camillo.»
Lo studente aveva cercato di spiegare al prefetto con chiarezza i propri desideri, mostrandosi deciso, così da spazzar via ogni dubbio prima che questo potesse sedimentare ed incrostarsi. Voleva lei e nessun altro, non gli importava dove e come, ma gli bastava che fossero soli.
«Quindi adesso ti arrotolo come l’ingrediente di una piadina e ci facciamo una passeggiata. Oppure torniamo al castello, al caldo. Oppure mi mandi al diavolo una volta per tutte. Hai tre opzioni, scegli con cura.»
Il tassorosso non sarebbe sceso a patti, come si poteva intuire dal modo in cui si era posto. Avrebbe accettato ognuna delle tre alternative, agendo di conseguenza nelle modalità citate. Nel caso in cui l’altra non fosse riuscita a farsi andar giú la sua compagnia, era determinato a svincolarla da ogni obbligo che li teneva agganciati. Ne avrebbe sofferto, è vero, ma non sarebbe stato da lui rimangiarsi la parola. A volte fare un passo indietro era la decisione giusta per il bene di tutti.


 
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view post Posted on 21/2/2019, 01:19
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«Hai rotto la palla»
Sentì improvvisamente di esser ancora una volta sul punto di congelare. Il calore trasmessole dalla giacca di Camillo era stato un dono prezioso che non avrebbe mai pensato di desiderare di nuovo così ardentemente. La sensazione dell'abbraccio, della vicinanza, erano in procinto di dissiparsi dalla sua pelle lasciando un vuoto glaciale. Si mosse, distolse totalmente lo sguardo da lui e cominciò a saltellare goffamente sul posto per fargli intendere di voler andare via da lì, oltre che per riscaldarsi. «Ti ho detto che va bene così» disse quasi sbuffando nel tentativo di apparire ancora una volta in totale pace con se stessa «andiamo». Se fosse stata fredda, dura come il marmo delle statue che popolavano il castello, se avesse dato in escandescenza e urlato per l'indignazione, gli avrebbe dato soddisfazione; se avesse lasciato trasparire le emozioni sforzandosi di essere indifferente, ergo comprimendo le lacrime fra le palpebre e faticando a parlare fra le contrazioni della gola, gli avrebbe assicurato una posizione di dominio nei suoi confronti. Rendergli chiaro quanto ella in quel momento fosse dipendente dalla sfumatura di ogni sua singola parola, sguardo, gesto, quanto ogni cellula del suo corpo bruciasse, scoppiando l'una dopo l'altra in una reazione a catena, secondo per secondo, restando davanti a lui, ferma, a subire le angherie delle sue paure, sarebbe stato un suicidio. Rimanere naturale, saltellare sul posto per scrollarsi via di dosso i fiocchi di neve appena caduti dai nuvoloni sopra le loro teste e gli invisibili residui dei racconti sconclusionati di Camillo, sarebbe stato peggio, una punizione arguta e totalmente meritata. Andava contro la sua natura senza dubbio: lei doveva allenarsi, riuscire a modellare come cera il suo corpo e il volto a suo piacimento, secondo i rigori della sua mente, e non delle emozioni che l'attraversavano. Riuscire ad essere una perfetta attrice poteva essere l'obiettivo della sua vita, magari scavalcando il punto medio e passando da un estremo all'altro, dall'emotività più dura alla razionalità più malleabile. Mantenere il controllo di tutto. E sarebbe stato così se egli non avesse continuato a parlarle, chiedendole, fra le righe, di lasciarsi andare. Consegnato schiettamente il suo imperativo cominciò ad incamminarsi per andare oltre il ragazzo ma, presa in contropiede dalle sue ultime affermazioni, dovette nuovamente arrestarsi. Il cuore prese a pulsare ferocemente, tanto forte che probabilmente le sue gote invece di arrossire si erano macchiate di sangue. Lo guardò attonita, aggrottando le ciglia e serrando la mascella nel tentativo di rimanere impassibile. Ma non vi riuscì. Il controllo le sfuggì nuovamente.

*Ti voglio esclusivamente mia. Ripetilo. Ancora una volta, finché non mi entra nel corpo e non mi scorre nelle vene. Finché non sento che questa è la realtà, la mia realtà ultima. Finché non ti credo.*

Spostò lo sguardo sulla neve ancora una volta, disgustata. La nausea non era per quelle parole - le desiderava, ne voleva ancora in maniera così folle, in quel momento più che mai, mal voluta dalla sua tutrice, dai suoi amici, da tutti - ma per se stessa e il bruciore che le lambiva lo stomaco a causa del suo traballante stato emotivo. Ogni singola parte di lei voleva andare verso di lui, sfiorargli la bocca, il collo, le guance - che in quel momento apparivano così invitanti e lui così bello, più di quanto si ricordasse - ma la paura la bloccava.

«Non ti credo». *Ripetilo.*
Due parti coesistevano e non si davano tregua, quella maschile e quella femminile. A sua detta, la mascolinità, la forza tanto bramata dal suo essere, voleva sputare per terra e strapparsi via di dosso la paura lacerandosi la carne, levando gli strati di pelle abrasa dalle parole; l'altra, la luna d'argento del suo femminile, sentiva il bisogno di farsi abbracciare e di trovare conferme, di farsi proteggere lasciando tutto il lavoro sporco all'altro. Nella visione dei sessi della fanciulla, nella confusione del cosa volere e cosa non volere, anima e corpo combattevano. Rimanere immobili era la manifestazione del limbo. Dunque esitando riprese a camminare. Non si chiese nemmeno se la stesse seguendo, e non perché non ci tenesse, ma perché era troppo. Era tutto troppo.
Avrebbe percorso dieci passi prima di arrestarsi ancora, quando assieme alle parole di Camillo il respiro le si arrestò del tutto e non andò in apnea. La fitta al diaframma la travolse violentemente, con la sensazione di una camicia di ferro che le costringeva la gabbia toracica, del più totale annichilimento. Non c'era più spazio per l'aria lì dentro, solo per la rabbia, e sentì prosciugarsi i polmoni quando ne trasse fuori l'ultimo respiro per urlargli contro. «Nessuno può dirmi cosa fare» disse «chi cazzo ti credi di essere? Randi? Camillo? Sei un presuntuoso!». Si portò una mano all'altezza dello stomaco, annaspando e con la crescente paura di cadere sulla neve. Le ginocchia cominciavano a piegarsi pericolosamente come le palpebre, pronte a chiudersi per la vergogna sotto il peso delle sue lacrime salate. L'ultima emissione, la più flebile, fuoriuscì soffocata. Ed era la verità più schiacciante e, in qualche modo, la più dolorosa.

«Io non sono di nessuno».



Edited by Keyser Söze. - 21/2/2019, 01:43
 
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L’olandese, investito come da un torrente inesorabile di emozioni controverse, faticava ad interpretare il comportamento e le parole della sua controparte. Se da un lato sentiva di doverla rassicurare, dall’altro voleva che lei si rendesse conto da sola di quanto significasse per lui. Voleva abbracciarla, ma anche scuoterla per le spalle per farle tornare il senno. Lui stesso avvertiva una stretta al petto, come un presagio che con la sua fredda mano gli si aggrappava al cuore per strapparlo dalla sua sede. Casey non era ancora sua, ma non voleva perderla a causa della propria inoperosità. Immaginava che per lei fosse altrettanto difficile analizzare con freddezza tutto ciò che stava accadendo, specialmente se come lui era alle prime armi con quella condizione. Pensò addirittura che soffrisse con maggior intensità, perché in quel contesto era stata la vittima di un grave errore che egli aveva commesso. Non era mai stata sua intenzione ferirla. E no, per l’ennesima volta, non andava bene così. Certe faccende andavano sistemate per tempo.
Così Camillo aveva osservato la studentessa compiere qualche passo, per vagare oltre l’ostacolo che la sua presenza costituiva. Quel gesto simbolico, erroneamente interpretato dal giovane, era parso come il colpo di grazia a tutte le speranze che aveva riposto nel loro futuro. Si sentiva calpestato, spezzato e calciato via come un ramo caduto sul suo sentiero in terra battuta.
La voce della Grifondoro lo riportò alla realtà. Quel grido stracolmo di rabbia gli aveva riacceso una fiamma nella cassa toracica, annientando con audacia l’oscurità che poco prima vi si era espansa. C’era un lato del carattere di Casey che il Tassorosso amava più di ogni altro, la forza che d’improvviso metteva in moto il suo spirito, neanche avesse voluto prendere l’universo intero alla sprovvista. Bastava poco per scatenarla, ma una volta avviato il processo non c’era nulla che potesse arrestarlo. L’aveva imparato al ballo e ne era rimasto piacevolmente colpito. D’altro canto era una Grifondoro: il coraggio che mostrava la faceva apparire come una maestosa leonessa ai suoi occhi, nonostante l’aspetto da gattina indifesa. Sapeva che dentro la sua mente si nascondeva un mondo intero da esplorare. Se avesse potuto esprimere un solo desiderio avrebbe chiesto di poter esserne nomade in eterno.
Lo studente giallo-nero si riposizionò, così da avere la sua nanetta in linea di tiro. Aveva compreso - o meglio immaginato - dalla timidezza con cui le gambe la sorreggevano che faticasse a tenersi in equilibrio. Doveva essere sconvolta, stanca emotivamente e fisicamente. Se la battaglia interiore che aveva combattuto non era abbastanza, le condizioni ostiche dell’inverno di Hogsmeade avrebbero potuto rappresentare un serio problema. Non perse tempo e corse da lei, deciso a dimostrarle quanto fosse sicuro di volerla nella sua vita. Lei gli aveva confessato che non credeva alle sue parole, i fatti tuttavia le avrebbero dato una conferma.
Camillo era rimasto in silenzio fino a quel momento, ascoltando ciò che il prefetto aveva voluto dirgli, ma una volta vicino a lei decise di sbriciolare l’andazzo contemplativo del proprio approccio.
«Smettila.» Sicuro di ciò che stava facendo, incisivo fino all’estremo, il fu Randi la invitò a darci un taglio con la tossicità di quelle paranoie. Sognava una Casey leggera, un’anima spensierata ed indomita, non ancorata al suolo dai suoi timori. Non doveva averne, non con lui. Si meritava di meglio di quanto la psiche in quel momento le stava offrendo.
L’olandese afferrò la biondina per le spalle, con delicatezza, intenzionato a voltarla per far sì che fossero perfettamente uno di fronte all’altra, con pochi centimetri a separarli. La reggeva saldamente, pronto a tenerla nel caso in cui avesse voluto scivolare via da quel contatto. A quel punto notò le lacrime sul suo viso ed un nodo gli si strinse alla gola. La mano che reggeva il soprabito a quel punto sarebbe scivolata in una carezza dietro la schiena, fermandosi all’altezza della dodicesima costola, per avere la sicurezza di poterla sostenere. L’altra, quella libera, se nulla glielo avesse impedito, si sarebbe avvicinata al viso, arrivando ad asciugare le lacrime con un tocco morbido dell’indice ed il pollice, schermati dal guanto in pelle.
«Dimmi ancora che non mi credi.» In quel momento Breendbergh avrebbe espresso la sua richiesta, con la serietà che quell’occasione richiedeva, mitigata però dalla dolcezza del suo tono di voce. Nel mentre avrebbe percorso nuovamente il suo corpo con una carezza, scendendo dal viso, attraversando il collo e la spalla, poi il braccio fino ad afferrarle la mano che prima teneva all’altezza dello stomaco. L’avrebbe quindi portata al centro del proprio petto, schiantandoci il palmo contro con decisione, ma prestando attenzione a non farle male.
«Dimmi ancora che per me non sei nessuno.» Nonostante canotta, maglietta, camicia, maglione e moffetta a separare la pelle dalla pelle, immaginava non le sarebbe stato difficile percepire il richiamo del proprio muscolo cardiaco. Suonava forte, come il batterista generico di una band hardcore. Picchiava contro le pareti, come avrebbe fatto un disperato, sepolto vivo, in preda alla disperazione ultima.
«Sarò pure un presuntuoso, ma sono il tuo presuntuoso.» Camillo avrebbe quindi spiegato a Casey cosa provava per lei. La pretendeva, aveva bisogno di lei, era sua e solamente sua. Il piacevole prezzo da pagare, per quanto lo riguardava, era bilanciare il proprio egoismo con la promessa di considerarsi solo ed unicamente di proprietà della Grifondoro. Mente e corpo. E cuore, se avesse retto la tachicardia.
«Per questo ti dico che non c’è nulla che non possiamo risolvere. Insieme.»
Ambizioso ed ottimista, per desiderio della definizione, avrebbe quindi giurato al prefetto il suo impegno per far funzionare le cose tra loro. Ogni problema poteva essere risolto più facilmente quando si collaborava, invece che facendosene carico singolarmente. Se ne sarebbe convinto sempre di più, tenendo lo sguardo fisso sul viso della ragazza. Era così bella che ne rimaneva sempre incantato, quando sorrideva, ma anche quando la tristezza le stravolgeva la mimica facciale, sebbene preferisse il primo dei due scenari. Avrebbe dovuto trattenersi per resistere all’impulso di stamparle un bacio sulle labbra, tanto erano invitanti. Eppure non sarebbe riuscito a nascondere quanto in realtà desiderasse farlo. L’espressione da scemo e beato impressa sulla sua faccia era così eloquente da fare le veci di Giuda. Ma non gli importava. Andava bene così.


 
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view post Posted on 27/2/2019, 14:52
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«Hai rotto la palla»
Le azioni incontrollate del corpo parlavano per lei. Sin dal momento in cui Camillo le aveva svelato la sua vera identità, la soluzione che la mente aveva imposto alle nuove devastanti emozioni era quella di schermarsi e fuggire. La risposta della carne, invece, smascherava i suoi veri desideri. Ormai, dopo quei primi anni della pre-adolescenza, la piccola aveva cominciato a comprendere quanto fosse importante mantenere almeno un briciolo di autocontrollo nei rapporti sociali; in particolare lo aveva capito mettendosi a confronto con tutte quelle ragazze di buona famiglia che riempivano le quattro case del castello, e con cui sembrava possedere nulla in comune. Non desiderava essere come loro, anzi, si opponeva manifestamente a quel modo di atteggiarsi imposto dall'etichetta da loro assimilato; tuttavia ne invidiava il contegno dell'emozione, quel sottile savoir-faire che le faceva uscire linde e pulite da qualsiasi situazione. Lei non ne era capace. Come uno di quei vulcani esplosivi che popolano il Pacifico, lo strato superiore del suo Ego la convinceva a creare un'armatura, un tappo con cui contenere i bollori e i desideri nella speranza che venissero riassorbiti dalle profondità; lo strato inferiore invece lottava continuamente fra i silenzi, disubbidendo alle regole imposte dall'alto. Così, in quel preciso istante, il respiro bloccato, le gambe che cedevano e la fitta al petto che andavano congiungendosi l'un l'altra in un vera e propria crisi di panico, erano l'impensabile risultato del collasso e dell'esplosione di quella mega-struttura. L'effetto devastante dell'evento poteva essere in grado di incenerire fino all'ultimo filamento ogni rapporto umano costruito, di annerirlo, seppellirlo sotto le polveri dell'ira o di farlo inghiottire dalla lava e dalla terra. Soprattutto, però, incideva su di lei: il processo di accumulo e la conflagrante esplosione spaccavano la terra su cui poggiava i piedi e lei stessa, e nei momenti successivi le nubi ardenti ricadevano sulla sua anima soffocandola, riducendola a un solo ammasso di bile nera. Camillo in tutto quel processo appariva come un'altra delle varie cose da spazzare via. Il suo relazionarsi a lei poteva essere paragonato ad uno di quei temerari insediamenti umani sui pendii del vulcano, che si rassicurano e si gonfiano il petto per gli anni di mancata attività. La potenza della montagna non li avrebbe risparmiati: o sarebbero fuggiti con la coda di paglia, consci di aver fatto arrabbiare il dio del magma con la loro presunzione, oppure sarebbero stati inceneriti senza nemmeno accorgersene.
Il fatto fu che il Tassorosso non cedette. Sotto lo sguardo stupito di Casey, la quale cominciava già ad annientarsi nel senso di colpa, egli decise di andarle incontro per contrastare il disastro. Il secco imperativo, accompagnato dal lieve tocco, si rivelò essere una formula magica in grado di far arrestare l'eruzione, di liberare il cielo dalle nubi nere e di smettere di far tremare la terra. Quel contatto balsamico non solo la rinnervò, ma le dimostrò quanto per lei fosse importante. Sentirsi accolta ancora fra le sue braccia le tolse nuovamente il respiro e la fece avvicinare di un passo, ma non appena egli condusse una mano al suo volto lei si girò dall'altra parte intenzionata a non farsi vedere, coprendosi con le ciocche di capelli chiari. L'unica lacrima calda scesa dai suoi occhi aveva scavato un solco nello scudo e ora l'aria gelida pungeva più che mai in quella porzione di pelle, cosa che lui non avrebbe dovuto né vedere né toccare. La negazione però non riuscì ancora a scalfirlo, e dal viso le dita scesero per afferrare le sue. Nonostante la stanchezza e la resa le venne istintivo ritrarle, un piccolo scatto all'indietro, il riverbero dell'incertezza e della diffidenza che provava nei suoi confronti. La forza però si era dissipata, il vulcano era esploso e il cratere scoperto, e le dita in fine si lasciarono afferrare e trasportare a destinazione.
Il cuore pulsante del ragazzo era la bocca della verità, la prova che la vita stava cercando di darle da tempo. La prima cosa che Casey captò fu che non solo lei provava delle emozioni, e persino così devastanti. Pochi attimi dopo girò nuovamente il viso per guardare il punto di contatto, poi il suo volto, per meravigliarsi di quanto il Tassorosso fosse tenace. Ancora dopo concluse che in qualche modo quanto le aveva detto quel giorno era vero. Si sentì improvvisamente ancora più vulnerabile, poiché a quella consapevolezza le difese crollarono. La Montagna, distrutta dall'esplosione, era solo una ferita aperta in mezzo alla neve e alla polvere. Così crollò, franò fra le sue braccia e nascose il volto proprio lì dove le era stata poggiata la mano. «Io non ti conosco abbastanza» disse. Ed era vero! La foga con cui il ragazzo parlava di loro due insieme - lei stessa ci aveva pensato fino all'ossessione nelle settimane addietro, ma credeva che determinate cose dovessero rimanere per sé - la intimoriva. Come poteva gettarsi fra le braccia di uno sconosciuto? Ascoltandolo, cuore e voce, l'assalì un'altra ondata di pianto. Il concetto del possesso era qualcosa che non comprendeva, qualcosa che la faceva tremare per i pensieri che le suscitava. Da orfana la brama di possedere qualcuno a cui ancorarsi (o che si ancorasse a lei) l'aveva portata a provare disgusto per se stessa. La gelosia e l'ossessione erano vette che lei era in grado di toccare, e l'ultima scenata con Drinky ne era stata la dimostrazione. La sua tutrice, la sua Drinky, il suo amico Caleb, il suo ragazzo... erano titoli spaventosi, in grado di motivare reazioni imperdonabili in lei se tradita la fiducia riposta. Fiducia nel fatto che non l'avrebbero mai abbandonata. Il quesito dunque sorse ingenuamente, con tono puro:

«Posso fidarmi di te?»



Edited by Keyser Söze. - 4/3/2019, 14:55
 
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Triste, come chi ha perso il nome delle cose.

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Insieme. Quella parola, ripetuta più volte per convincere Casey riguardo i suoi progetti futuri, poteva sfiorare i timpani come il tintinnio di un lucchetto che si serrava. Camillo aveva un concetto tutto suo per inquadrare i rapporti con gli altri esseri umani. Anni di lavoro da Magie Sinister lo avevano fatto marcire fin nel profondo, portandolo a paragonare equamente la vita di una persona in carne ed ossa ad un bene commerciale, o ad un servizio, che si poteva offrire per ricevere qualcosa in cambio. Il denaro non c’entrava, ma nella sua visione generale di mercato ogni cosa aveva il suo prezzo. In tal senso, il desiderio di sottrarre la Grifondoro a se stessa - e a chiunque altro - per appropriarsene definitivamente, rendeva necessario saldare l’importo con l’unica valuta di cui disponeva. Se lei doveva essere sua e solamente sua, anche lui le sarebbe appartenuto a titolo esclusivo. Con le parti in accordo il contratto diventava vincolante.
L’olandese, stringendo tra le braccia la sua biondina, si era reso conto di quanto oscuro e contorto fosse il suo modo di percepire quella relazione. La signorina Bell non era un oggetto. Non era un giocattolo. Per quanto gli piacesse pensare di poterla collezionare, imprigionandola dentro al proprio cuore come in un baule, così da poterne fare ciò che voleva a tempo perso, sul piano pratico non gli risultava fattibile. Avrebbe avuto qualcosa su cui lavorare, per approcciarsi al loro legame con maggiore maturità.
«Abbiamo tutto il tempo del mondo.»
Avevano tutto il tempo del mondo per conoscersi. Lui aveva tutto il tempo del mondo per capire come affrontare quella relazione da uomo adulto quale era - almeno all’anagrafe. In quel momento, però, non sentiva la necessità di sussurrare altro. Si limitava a godersi un momento di pace assoluta, assaporandolo lentamente. Camillo, con Casey al proprio petto, si era ritrovato libero da tutti quei drammi esistenziali che fino a pochi istanti prima lo avevano costretto a sforzi emotivi non indifferenti. Tutto d’un tratto l’ansia l’aveva abbandonato, rendendolo padrone delle proprie certezze. Sapeva esattamente cosa voleva, sapeva che si sarebbe impegnato al meglio delle sue possibilità per ottenerlo e che mai l’avrebbe data per scontata. Si promise, però, di fare il possibile per non limitare le libertà dell’altra, perché desiderava la leggerezza che il carattere di lei offriva e non sarebbe riuscito ad amarla fino in fondo se lei si fosse sentita soggetta ad una qualsivoglia forma di oppressione. L’avrebbe soffocata, altrimenti. Non doveva succedere.
Lo studente accolse il corpo della ragazza, che perdendo le forze era finita per rifugiarsi nell’abbraccio che le stava offrendo. Capì che era suo dovere consolarla, rassicurarla, e che lui stesso sarebbe riuscito a trarre beneficio da quella dolce stretta. Così, spostò le braccia per farle spazio, finendo con il richiuderle all’altezza della schiena di lei. La pigiava dolcemente a sé, lasciando sfuggire qualche carezza su e giù per il dorso, al doppio fine di riscaldarla e confortarla. Poi, in risposta alla domanda che lei gli aveva posto, si sentì in dovere di posare un bacio tra i suoi capelli. Amava il profumo della sua chioma dorata - che d’oro non era per davvero, ma non gli importava -, e fu difficile farlo durare pochi istanti. Inebriato, avrebbe voluto rimanere così in eterno, ma per forza di cose dovette sollevare di poco il viso.
«Mi piacerebbe poterti dire di sì, ma la fiducia non è immediata, va costruita poco alla volta. Dovrai capirlo tu. Ciò che posso fare è prometterti la mia onestà assoluta.»
Camillo si spiegó, portando la mano libera dal soprabito all’altezza del collo, per elargire un grattino vicino al bordo della sciarpa. Non era capace di lanciare segnali concreti, di facile interpretazione, con il linguaggio del corpo, ma si impegnò per farle capire che prolungare quell’abbraccio ancora qualche istante lo avrebbe reso felice. Nel mentre, ondeggiando lievemente, un po’ la cullava. Aveva qualcosa per intrattenerla.
«Ho una tradizione, prima del ritorno ad Hogwarts dalle vacanze invernali faccio sempre qualche stupidaggine, per non limitare le mie esperienze di vita alle mura del castello.»
Il Tassorosso confessò un suo segreto, mantenendo basso il volume della voce, ma imprimendo alle sue parole un sentimento di allegria nostalgica. Cercava di allentare la tensione tra loro, di soddisfare la curiosità che Casey, nell'avviarsi del loro incontro, aveva espresso. Così poteva creare un clima più sereno, dando al cuore il tempo di ristabilizzare il proprio battito.
«Venerdì scorso, la sera, sono entrato in un bar che mi è stato consigliato da una mia conoscenza. Il suddetto locale è gestito da un anziano di nazionalità giapponese, credo. Mi è stato detto che ordinando un Sakè del ‘96, mi sarebbe stato servito insieme alle indicazioni per raggiungere una bisca per il gioco d’azzardo. Non che sia un assiduo frequentatore eh, ma sai, ogni tanto una partitella me la faccio volentieri!»
Spiegò, decidendo freddamente come e dove avrebbe cacciato la prossima coccola.
«Quindi mi son bevuto sto vinello, sono montato in bici e mi ci sono fiondato. Quartiere un po’ losco, movimentato, poco illuminato, ma nel complesso abbastanza piacevole. La guardia all’ingresso era restia al farmi accedere, però quando ha visto il rotolino di Elisabette si è automaticamente convinta che avrebbe fatto meglio a lasciarmi passare. Non ti dico quante Elisabette, ma erano regine a tre zeri!»
Strinse un po’ di più per un momento, tornando a ricoprirle la schiena di carezze subito dopo.
«Sono entrato, son passato per una lavanderia e mi sono trovato nel retro, in una stanza abbastanza ampia, con un tavolo verde, attorno al quale era seduto un gruppo di uomini orientali, non troppo giovani, vestiti bene. Puntavano forte al poker texano. Mi sono accomodato e li ho visti sghignazzare, ma quando gli ho mostrato le Seconde, di colpo l’aria si è fatta più seria e tesa. Io ero tranquillo, sapevo cosa stavo facendo, ma credo mi abbiano scambiato per uno scemo da spennare.»
Introduzione assurda, ambientazione da film gangster anni ‘60. Quella storia aveva anche dei difetti.
«Allora, senza perder tempo, abbiamo iniziato a giocare. Prima mano, butto le banconote al centro del tavolo, guardo i presenti dritto negli occhi uno ad uno, ma non guardo le carte e chiamo l’All-in. Disappunto sui loro volti, sorrisetto divertito sul mio. Non rischiano e mi prendo i bui, che erano già un bel po’ di spiccioli.»
Da quelle premesse Casey avrebbe potuto intuire qualcosa sul carattere del giovane e lui ne era perfettamente conscio. Dava l’impressione di essere un ragazzo impulsivo, in cerca di qualche via assurda da percorrere per raggiungere un tipo di divertimento altresì inaccessibile. Sprezzante del pericolo, ma in grado di vivere serenamente esperienze ansiogene. Puntava forte, all’apparenza senza la ragione a guidarlo, mascherando una strategia precisa in grado di ricompensarlo più che degnamente in caso di successo. Così nel poker come nella vita.
«Seconda mano. Faccio lo stesso giochetto, scatenando rabbia e lamentele in lingua madre, ma ancora nessuno mi segue e pian piano inizio ad accumulare un bel gruzzoletto.
Alla terza mano le cose cambiano. Io punto sempre tutto alla cieca. Tutti i presenti tranne uno mi lasciano gli spiccioli. Questo qui aveva una coppia di Donne in prima mano, si vedeva che aveva carte buone, altrimenti non ci sarebbe mai stato. Io ho scoperto solo dopo di avere un dieci di fiori e un tre di cuori, orribile. Ma la fortuna mi ha baciato le labbra e quando son state girate le carte mi sono ritrovato con una doppia coppia e l’ho battuto.
»
Camillo, in preda ad una botta di vita, strapazzò un po’ la sua dolcissima controparte, che fino a quel momento si era ritrovata intrappolata in un moto rilassante. La scosse un pochino, senza esagerare, per destarla dalla tranquillità riservatale. Era, a suo avviso, un gesto d’affetto tutt’altro che convenzionale, un po’ casuale ed inaspettato, ma non ci aveva riflettuto abbastanza per potervi porre un freno.
«Non ho mai visto così tanti soldi tutti insieme… lo so che non era una somma impensabile per un adulto con un buon lavoro e dei risparmi. Ma io, studente, non sono mai stato così ricco in vita mia, stavo già pensando a cosa avrei potuto farci! E siccome sono dell’idea che, in certe occasioni, è meglio smettere finché si vince, ho iniziato a raccogliere ció che mi ero guadagnato. Poi mi sono alzato, ho fatto in tempo solo a dire 哥哥.»
L’olandese smise di muoversi, tornando ad abbracciare la fanciulla con una discreta staticità. Dalla pausa, dall’impostazione seria della voce in contrapposizione a quella carica di gioia che fino ad allora aveva accompagnato la narrazione, si poteva percepire l’arrivo di una confessione più cupa.
«Un loro scagnozzo, chiamato a gran voce da un giocatore irritato, mi ha preso alla sprovvista. Dovevi vederlo, era un ciccione immenso, altissimo, mi ha fatto venire una strizza che non ti dico. E sapeva menare le mani. Mi ha preso per le spalle, mi ha voltato come una trottola, neanche fossi stato leggero, e mi ha tirato un colpo di Karate con il palmo sulla guancia che stentavo a crederci. Ne ho prese di sberle in vita mia, ma mai così forti. Mi ha fatto malissimo, ma ero solo felice che non mi avesse spaccato il naso. E credo ci fosse andato piano, solo perché sono un ragazzino, aveva tutte le carte in regola per pestarmi di brutto se solo avesse voluto. Poi mi ha ributtato sulla sedia e lì ho capito che dovevo perdere qualche zero prima di potermene andare.»
Breendbergh sghignazzò. Non c’era molto da ridere, ma la storia non era finita lì.
«A questo punto ti starai chiedendo “Camillo, ma se ti ha tirato solo un cartone nel muso, perché sei gonfio da ambo i lati?”. Domanda lecita, stellina mia. La risposta è che sono scemo.»
Il vizio di parlare da solo lo aiutava ad arrivare al punto più in fretta.
«Due secondi per riprendermi ed ero già in piedi. Mi sono voltato di nuovo verso la guardia, l’ho fissata con sdegno negli occhi e gli ho ringhiato: “Lasci o raddoppi?”. E sbeeem, mi ha tirato una pizza dall’altra parte che avrei preferito morire. Poi mi ha trascinato di peso e mi ha sbattuto fuori dalla lavanderia, piantandomi lì senza un soldo bucato, nemmeno quelli che avevo prima di arrivare.»
Camillo lasciò scivolare l’ennesima carezza sulla schiena della Grifondoro, prima di dare un senso a tutto quanto.
«Senza un soldo.» Ribadì. «Ma mentre mi accompagnava dolcemente verso l’uscita io mi sono un po’ ribellato eee… e niente. Avrà anche potuto conoscere l’arte del Kung-Fu, ma io conosco l’arte del borseggio, che penso sia altrettanto valida nella capitale inglese! Gli ho sfilato l’orologio e una catena d’oro senza che nemmeno se ne rendesse conto. Poi me li sono rivenduti e sono andato in pari con la mia somma iniziale, più un paio di pranzi all’all you can eat di fiducia.»
Concluse, posando l’ennesimo bacio tra i capelli della biondina. Sperava che non si fosse annoiata troppo, così come sperava gli desse retta. Le aveva promesso onestà e onestà aveva ricevuto.
«Assurdo, vero? Ed è solo una delle tante disavventure strampalate che mi capitano nella vita. Quindi insomma, ora che te l’ho raccontato mi vedo come un demente, ma sentivo di doverti mettere in guardia. Questo sono io.»
Avrebbe capito se avesse avuto dei ripensamenti sulla loro relazione. La signorina Bell aveva tutto il diritto di piantarlo in asso, specialmente nella fase iniziale del rapporto. Se proprio era necessario lo avrebbe preferito. Temeva di trovarsi il cuore spezzato in petto più avanti, dopo essersi convinto per chissà quanto tempo che le cose funzionassero. Il cuore, per l’appunto, durante il monologo si era ripreso, assestando un battito più stabile di quello sperimentato uno o due minuti prima. La regolarità delle pulsazioni cardiache era una conseguenza della sincerità con cui si era confidato. Sapeva che lei poteva ascoltarle, serrata in quell’abbraccio, quindi pregava che anni di colesterolo a mille non gli avessero giocato brutti scherzi. Però, per come la vedeva, siccome era stato lui a farsi avanti, spettava a lei il compito di accettarlo o respingerlo. Avrebbe rispettato la sua decisione.


 
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«Hai rotto la palla»
Era fatta. Si era lasciata andare e ora l'abbraccio morbido di Camillo l'avvolgeva. Le resistenze non si erano affievolite unicamente per la stanchezza emotiva, ma si erano arrese di fronte alla necessità più profonda di essere felice con lui. Questo desiderio aspettava solo di germogliare dalle sezioni più anguste e oscure della sua psiche, di affiorare in superficie e di beccarsi il calore dei raggi solari. Col viso affondato nel petto del ragazzo, Casey sentì ancor più forte quel battito, il quale pian piano si calmava dopo averla accolta accanto a sé a suon di gran cassa. Ora, in qualche modo, si sentiva al sicuro.
Passarono alcuni secondi prima che potesse realmente rendersi conto di quanto stava accadendo. Dunque lo strinse ancor più forte a sé, impregnandogli il maglione delle lacrime che le fuoriuscivano furtive dagli occhi. Annuì con foga alla sua affermazione: il tempo probabilmente sarebbe stato in grado di dissipare ogni tensione, di abituare il cuore a quel nuovo contatto e di confermare l'onestà degli intenti di entrambi. Conoscersi, forse, era l'obiettivo che stava più in basso nella lista delle sue priorità, e magari con quella parola, dal suo punto di vista, intendeva più "il garantirsi sincerità e fedeltà". Tuttavia questi erano concetti che lei non sarebbe mai stata in grado di formulare in quel momento, nemmeno col pensiero. L'unica cosa chiara nella sua testa era che finalmente si trovava di nuovo fra quelle braccia. Di fatto non poté dire altro che un triste «Hai ragione», che giunse ovattato alle orecchie di lui per la stretta in cui era cinta. La sua indole caparbia e l'attaccamento a quella ossessionante fobia di rimanere sola avrebbero spinto chiunque ad aspettarsi un'altra reazione impulsiva da lei, un rifiuto netto dell'incertezza che il domani offriva. La ragazzina invece annuì e basta, elargendo il suo consenso, sebbene col cuore piccolo piccolo: non sarebbe mai riuscita dargli torto, poiché effettivamente quella era l'unica sicurezza che, in qualsiasi ambito della vita, avrebbero mai potuto avere. Scossa com'era dal riverbero dell'agitazione, non sapremo mai per certo se ella acconsentì proprio a causa di quella consapevolezza (condita dall'evidente onestà di Camillo nel non pronunziare le parole in questione solo come infima difesa ad un eventuale cambio di rotta) o se per resa. Continuò a stringerlo mentre lui le accarezzava il dorso, regalandole una profonda sensazione di sicurezza e di conforto.
La voce del Tassorosso funse da amo per far abboccare la sua attenzione e farla uscire dal mare confuso reduce della tempesta. KC alzò lo sguardo arrossato e ormai asciutto, incuriosita da quella nuova storia che le stava per raccontare. Fra tutti gli aspetti degni di nota, per quanto ella ancora non lo conoscesse abbastanza, la capacità di Camillo di strabordare dal cono d'ombra realizzato dal senso comune era quella che l'aveva colpita di più. Sin dal ballo, il suo contatto, la sua voce, la sua sola presenza nella stanza, la facevano sentire leggera. Quando rileggeva i passi della sua lettera, ad esempio, si ritrovava ad ondeggiare come una piuma per aria, abbandonando, grazie alla di lui inafferrabile creatività, ogni contatto con le proprie pesanti elucubrazioni. Talvolta risultava difficile credere alle sue storielle, come quella dell'essere un babbano venuto in bicicletta ad un party esclusivo in una scuola per ricchi, ma ormai non le importava più: adesso riusciva solo a sorridergli e ad apprezzarlo. La nuova storia però, per quanto fosse assurda, aveva lasciato delle tracce tangibili nel presente. Alzò ancora una volta gli occhi per vedere i due orribili ematomi, e le si strinse il cuore. L'attenzione ridestata lentamente si fece sempre più intensa, tanto che, con una manifesta espressività sul suo volto, partecipò attivamente al racconto. Curiosità, paura, apprensione, si esplicarono nella posizione delle sopracciglia e in piccoli frammenti di interiezioni ed esclamazioni come «ah», «cos-», «per davvero?!», «ma che ca...», «OH MIO DIO!», i quali terminarono con una risata nervosa assieme al discorso, imbarazzata e coperta da una manina. Fu lì che lo guardò negli occhi, dopo la rigorosa scossa affettuosa che le aveva dato, e gli sorrise. Coccolata da quella nuova sensazione di leggerezza si avvicinò di più a lui, mentre gli angoli della sua bocca, furbetti, si curvarono ancora all'insù. Lentamente alzò il capo, poi le punte dei piedi, per inerpicarsi su quei venti-trenta centimetri che li separavano. Un lieve fruscio dei vestiti l'uno contro l'altro mentre le ciocche sbarazzine di capelli tinti le scivolavano dal viso, e le sue labbra si poggiarono lievemente, appositamente per non imporgli alcun ulteriore dolore, proprio lì dove una delle due guance era stata ferita. Non ci fu uno schiocco, solo un momentaneo contatto che, nonostante l'apparente repentina sicurezza, la fece tremare. Al momento dovuto, dopo alcuni secondi di sospensione, si riportò alla posizione iniziale e allontanò il corpo dalla sua stretta. Abbassò lo sguardo per portare l'intera attenzione sulle sue mani, che all'altezza del petto avrebbero disegnato entrambe con pollice ed indice una "V". Mise le punta delle dita una di fronte all'altra senza farle combaciare e poi alzò di nuovo lo sguardo per dire:

«La prossima volta che ti toccano, quei bastardi, giuro che gli faccio un culo così».

 
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view post Posted on 8/3/2019, 17:06
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Auuuu
Camillo, nella sua personalissima esperienza di vita, si era reso conto di averne incontrati veramente pochi più scemi di lui. La riflessione era fiorita, irradiata dalla facilità con cui quell’appuntamento stava sfuggendogli di mano. Si era dimostrato deciso, consapevole delle sue azioni e suoi desideri, serio e ragionevole, garantendo a Casey delle certezze indispensabili per la salute della loro relazione. Era riuscito a tenere il passo della Grifondoro, senza mai permetterle di sfuggire al suo sostegno. Poi, quando per la seconda volta se l’era ritrovata tra le braccia, pian piano aveva iniziato a smarrire il senno. Era chiaro pure a lui che la biondina gli mandasse in pappa il cervello - anche quando non erano insieme, gli bastava pensare a lei per perdere il lume -, ma trovarsi dinanzi all’evidenza continuava ad essere spiazzante. Non era nemmeno sicuro di potercisi abituare.
Concluso il discorso si era concesso una breve riflessione sul significato delle sue parole. In un primo momento aveva ritenuto opportuno vuotare il sacco sulla questione lividi, ma man mano che la narrazione si era sviluppata, i dubbi sull’utilità finale dell’aneddoto avevano iniziato ad assillarlo. Raccontare qualcosa di sé era giusto, doveroso in quel caso specifico; confessare la sequela dei crimini commessi il venerdì precedente era tutt’altra cosa. Si era domandato se Casey, in preda al panico, avesse deciso di assecondarlo perché spaventata. In fin dei conti, all’epoca dei fatti, per lei restava comunque uno sconosciuto. La natura dell’interesse dimostrato era rimasta per qualche istante uno struggente mistero. Paranoico com’era, sentiva di aver ripreso a ruzzolare verso il baratro. Si sbagliava.
Per l’ennesima volta, con il morale pronto a tuffarsi in picchiata, il Tassorosso ricevette un cenno d’affetto dalla sua biondina. Il sorriso furbo che lei aveva mostrato gli aveva permesso di comprendere quale sarebbe stata la mossa successiva. Lì, nelle eventualità che la ragione aveva ignorato, l’istinto si era imposto timoniere, conducendo il corpo del giovane ad accompagnare i movimenti della controparte. Non vi era stato un solo istante di esitazione, ma in un moto del tutto automatico, Breendbergh aveva alzato lievemente il braccio che saldava a sé la Grifondoro, armonizzando delicatamente la sua salita. Poco più bassa di lui, aveva dovuto mettersi in punta di piedi per poter posare le labbra su una delle sue guance ammaccate. Gli sarebbe piaciuto stritolarla solo per questo. Il contatto di quel bacio sulla pelle ferita aveva innescato l’ennesimo moto di rivolta nel petto dello studente, calmo tuttavia all’apparenza. Per nulla abituato alla tenerezza, alla premura che in quel momento stava ricevendo, finì per perdere definitivamente la testa. Un piacevole brivido attraversò il suo viso, poi il collo, dal lato esposto al gesto d’affetto, esaurendosi come una vigorosa scarica elettrica sparata lungo la spina dorsale. Quella dimostrazione, seppur contenuta e riservata, era valsa come una dichiarazione intrascurabile. Era stata vitale per l’olandese. Di tanto in tanto necessitava di un segnale spontaneo che gli permettesse di ricredersi sui propri timori. Le sue aspettative non erano pretenziose, gli sarebbe bastato molto di meno per convincersi dei sentimenti di Casey. Invece, travolto dalla dolcezza come da un fiume in piena, si immerse in quell’attimo sottratto alla vita, annegando piacevolmente nell’amore che lo investiva. Provava qualcosa di tanto intenso che gli sembrava tangibile. Poteva sviscerare quel gesto con facilità, strappare i dettagli dall’insieme e apprezzarli nella loro singolare bellezza, ma preferì lasciare che si amalgamassero tra loro. In quella totalità assoluta, ogni finezza esaltava l’altra, un po’ come gli ingredienti di una ricetta, sapientemente realizzata dalle mani esperte di uno chef. Ora che ne aveva preso un assaggio, non poteva più farne a meno.
*Ma cosa mi fai, biondina?*
Lo sguardo del Tassorosso seguì la discesa della nanetta, catturando i particolari della sua espressione. Quel visetto vispo, quegli occhi arrossati dalle lacrime piante, contagiavano la sua mimica facciale, plasmandola a loro immagine e somiglianza. Anche le sue labbra si erano incurvate, formando un sorriso beato e stuzzicante, che lasciava interpretare i pensieri appena formulati. Delle immagini impudiche, tutt’altro che appropriate, erano state dipinte dalla mente del giovane. Trascinato da ciò che provava, avrebbe voluto ricambiare con un gesto ben più audace e passionale, così da poter dare prova al prefetto delle emozioni che lei aveva innescato. Le labbra, le guance ed il collo della signorina Bell erano una tentazione così piacevole che faticò a trattenersi dall’imprimervi un segno d’amore. In particolare, quella piccola porzione di pelle lasciata scoperta dalla sciarpa, al di sotto della mandibola, pareva invitarlo a conficcarci spavaldamente un morso. L’idea di Casey che sussultava spasmodicamente e con violenza tra le sue braccia, scossa da un brivido infuocato - come quello di cui lui stesso era stato preda, pochi istanti prima - lo allettava. Sarebbe stato troppo per lei, così come lo sarebbe stato per lui, ma il cuore non sentiva ragioni. A fermarlo, tuttavia, fu l’ennesima riprova della premura riservatagli. L’irriverenza della studentessa suscitava sempre una discreta ilarità nell’olandese, ed anche quella volta si ritrovò a sghignazzare senza ritegno. Avrebbe pagato profumatamente per vederla alle prese con la gang di giapponesi che gli aveva fatto la festa; la fantasia utopica di osservarli volare di qua e di là come lanterne cinesi accendeva la sua curiosità. Nonostante questo non ce n’era bisogno, ne sarebbe stato alla larga. Aveva imparato la lezione.
«Grazie stellina, mi fai sentire al sicuro.»
Camillo aveva confessato ciò che provava, lasciando da parte l’ironia. Alle parole era seguito un piccolo movimento della mano libera, che andò a sfiorare una di quelle che formava l’ipotetica “chiappa disintegrata”, mimata al petto. Non pretendeva che la Grifondoro pestasse i suoi aguzzini, ma il solo fatto di avere qualcuno che si preoccupava, con cui potersi confidare, che si sarebbe preso cura di lui, lo faceva bruciare di gioia al pari di un tizzone gettato nella pira alla danza delle ceneri. Lì giurò, tra sé e sé, che sarebbe stato lo stesso per lei. Chiunque avesse osato ferirla, anche solo minimamente, si sarebbe ritrovato a fare i conti con un fondoschiena esploso, da là per l’eternità a venire.
Il fu Randi concesse un sorriso innocente alla sua controparte, mentre lo sguardo, prima incupito, si illuminava, alimentato dalle emozioni inesorabili che lo pervadevano. Vivacità, leggerezza, fiducia, passione. Il tocco gentile di quell’impeto vitale per mesi gli era parso qualcosa di trascorso, confinato eternamente in un passato ormai sfiorito. Per molto tempo si era guardato indietro con nostalgia, ritrovandosi invece la solitudine, la disillusione e lo sconforto ad ostacolare il suo avvenire. Da quando aveva conosciuto Casey, però, aveva avuto modo di osservare la feritoia della sua sorte da uno scorcio più ottimistico. Se prima riusciva ad inquadrare solamente un futuro in rovina, dalla sua nuova prospettiva poteva ammirare un domani più roseo e lussureggiante. Lei vantava quell’inesplicabile virtù di migliorargli l’esistenza, di modificare positivamente e irrimediabilmente il suo punto di vista semplicemente standogli accanto.
*Ma cosa mi fai, biondina?*
Il tassorosso era felice, conscio che l’esaltante armonia ritrovata non era piovuta a caso dal cielo, ma merito di qualcuno. Per questo si sentiva in dovere - e non esisteva nulla a cui ambisse più ardentemente - di dimostrare la sua gratitudine a quella persona. Fissò quindi lo sguardo nelle pupille di Casey, palesandosi deciso ad onorare il proprio obiettivo, ma tutt’altro che serio, in contrasto con gli scambi di occhiate precedenti. Non avvertiva più la necessità di rivelarsi autorevole ed accigliato, bensì gioviale e sereno. Questo era quello che raccontavano le sue labbra, il linguaggio del corpo ed il suo tono di voce.
«Vieni qui.»
Aveva scelto le uniche due parole che, abbinate insieme, potessero esprimere appieno la sua volontà di averla più vicina. Lei era uscita dall’abbraccio che l’aveva accolta fino a quel momento, prendendosi un passo di distanza da lui; il diavolo dei sotterranei, tuttavia, aveva bisogno che si avvicinasse ancora per spiegarle quanto fosse riconoscente per ciò che gli aveva trasmesso. Non con le parole, con i gesti. Sarebbe stato facile per lui tirarla a sé, incastrarla nuovamente tra le sue braccia, ma desiderava che fosse lei ad accorciare le distanze. A quel punto - si era detto - Casey doveva aver capito le sue intenzioni ed avrebbe avuto, contrarietà espressa, la possibilità di respingerlo e rinunciare al suo cenno. Non voleva si sentisse obbligata. Avrebbe potuto aspettare, ma il cuore gli aveva suggerito di essere audace, di dichiararsi apertamente. Così, privo di esitazione, aveva ingranato la marcia più aggressiva dal punto di vista emotivo. Compiere un gesto eclatante per lasciare il segno. Se la signorina Bell non si fosse allontanata, se avesse compiuto quel passo, Camillo avrebbe portato entrambe le mani all’altezza dei suoi fianchi per poterla prendere delicatamente, seppur con decisione. Poi, con quel mezzo sorriso che gli tagliava la bocca, avrebbe avvicinato lentamente il suo viso a quello di lei, intenzionato a stamparle un bacio sulle labbra. Innocente e leggero. Sarebbe stato il segno dell’affetto che custodiva nell’animo, una piccola manifestazione della dolcezza con cui desiderava dirle: “Mi rendi felice, sono tuo.”


 
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view post Posted on 11/3/2019, 22:19
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«Hai rotto la palla»
Non sapeva perché l'aveva fatto. La successione "bacino sulla guancia" e "li prendo tutti a calci in culo" era degna delle sue, persino in un contesto del genere. Solo sul finire di quell'espressione colorita avvertì quanto fosse stupida. La risata di Camillo però la rincuorò per un breve tratto, allora abbassò le mani stendendo le braccia lungo i fianchi e gli rivolse un sorrisetto imbarazzato. Ora mille domande le giravano per la testa: aveva esagerato nell'avvicinarsi in quel modo? Gli aveva dato fastidio? Gli era piaciuto? Era troppo? Era troppo poco? KC non aveva la minima esperienza al riguardo, e le uniche volte che aveva tentato di immergersi in una situazione simile era rimasta ferita e sola. Il pensiero di essere stata sconveniente, di aver forzato troppo senza rendersene conto causando una sua possibile ritirata la tormentò per alcuni attimi. Il linguaggio del corpo del ragazzo, però, le dimostrò l'esatto opposto: lui le aveva permesso di avvicinarsi accompagnandola col braccio, piegandosi per venirle incontro; lui aveva chiuso gli occhi al momento del lieve tocco delle labbra. La vicinanza, l'intensificarsi degli sguardi ad ogni istante erano valsi quel gesto fugace, del tutto impulsivo e quasi scherzoso. Non era in sé, forse, oppure il suo modo di essere era definitivamente composto da azioni e pensieri dettati dall'emozione e mai da una riflessione accurata.

Tuttavia ne era valsa la pena.
Sciolti i dubbi, gettati alle spalle il problema del nome e della paura, si sentiva euforica. Ogni cosa sembrava perfetta, e tutto ciò che fino a quel momento era stato una nota stonata nella sua vita le parve diventare un piccolo dolore superficiale. Rassicurata dalle conferme che l'atteggiamento di Camillo lasciava trapelare, si concesse un'altra carezza e un'espressione meno timorosa. Il suo sorriso era confidenziale e, sebbene un po’ inebetita, aveva riacquistato la piega furbetta che poc'anzi aveva annunciato il bacio. Avrebbe voluto dire qualcosa di arguto, un motto di spirito in grado spezzare il silenzio e l'imbarazzo di quegli sguardi. Lui le disse, ridendo, che si sentiva protetto, ma sapeva che non faceva sul serio. Il modo in cui la chiamava, "Stellina", la faceva sentire un pizzico a disagio, come se la considerasse più piccola di quanto in realtà fosse, debole e inesperta. E forse era davvero così, ma lei non voleva esserlo. In quel momento, fra le braccia di Camillo, non fu in grado di esprimere quel pensiero.
Continuò a guardarlo negli occhi, ad analizzare la mutevolezza della sua espressione chiedendosi cosa gli passasse per la testa. A un palmo dal suo, il viso del ragazzo sembrava venir attraversato prima da pensieri cupi, quasi da un tono di distacco, poi da improvvisi tremori e attimi in cui i suoi occhi nocciola erano ancora una volta tutti per lei. Intimorita dal silenzio e da quelle reazioni contenute non fece un passo, finché lui non le chiese di avvicinarsi.
Il tutto avvenne con una lentezza inesorabile. Le mani di Camillo si posarono sui suoi fianchi e a lei si mozzò il respiro. Sapeva cosa stava per accadere e, nonostante lo avesse sperato per tutto quel tempo, provava paura. Ma non poteva tirarsi indietro, non poteva fuggire da quelle sensazioni; non poteva permettersi, in fine, di provare il rimorso di non averlo fatto. L'istinto tuttavia, man mano che egli si avvicinava, le fece posare una mano sul suo petto. Stava tentando di respingerlo?

Le labbra di Camillo erano morbide fra le sue, e nonostante quel bacio fu lieve, quasi pudico, una profonda sensazione di calore le pervase tutto il corpo. La mano sul petto di lui si lasciò andare e non fu più un muro fra loro: le dita gli si ancorarono al maglione e lo tirarono a sé. La mente, svuotata di ogni sua elucubrazione, vagava in mondi sconosciuti e perse il conto del tempo. Quando il contatto cessò, aprì gli occhi e lo vide. Era ancora lì, ovviamente, ma adesso per lei aveva un'aspetto del tutto diverso. Adesso con lui si sentiva a casa.
«E adesso?».


Azioni concordate :ue:
Io chiudo qui :flower:
 
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14 replies since 31/1/2019, 01:51   503 views
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