Hellfire, Ecate— trasformazione in Arpia

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view post Posted on 1/2/2019, 17:41
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Il Fato

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eanche la superficie placida del Lago Nero, argentea sotto i raggi lunari, avrebbe potuto acquietare il turbine emotivo che aveva preso a stringerle le viscere.
Come un neonato in preda alla paura si protende verso la madre aspettandosi di udirne il battito confortevole ed il calore inebriante; così Lia aveva cercato rifugio nell'abbraccio del bacino che le aveva donato di nuovo la vita, trovando null'altro che una culla sterile ed ostile.
L'acqua, principio generatore, la rinnegava; lì dove le lambiva le gambe addirittura sfrigolava, come a volerle far pesare quella colpa che le anneriva le membra e le arrossava la vista. Non era la benvenuta, non in quelle condizioni, non mentre era sull'orlo della transizione.
Le gambe erano malferme e dolevano per i cambiamenti strutturali che si susseguivano al loro interno, le ossa che si torcevano millimetro dopo millimetro; eppure la donna riuscì a sfruttare l'ultima oncia di raziocinio per allontanarsi dalle sponde del lago, da Hogwarts, da Aida.
Nel gelo della notte, con l'abito zuppo che la appesantiva, l'unica cosa su cui poteva focalizzarsi era mettere quanta più distanza tra sé e la figlia: non avrebbe permesso che rimanesse coinvolta.
Fu la disperazione a trascinarla fuori dai cancelli della scuola, nelle terre campestri che la separavano dal villaggio di Hogsmeade.
Il pesante strato di neve che aveva coperto indistintamente sentieri e brughiera avrebbe messo alla prova sia il suo senso d'orientamento sia la sua salute, già cagionevole per natura.
L'aria invernale pizzicava la pelle come punte di spilli, ma Lia non sembrava in grado di rendersene conto: un bruciore diffuso dominava il petto e le membra, stritolandola in una morsa di fuoco.

Il profilo delle prime, sparute abitazioni si stagliò netto all'orizzonte —circa a metà tra lei e la via principale di Hogsmeade— nel momento stesso in cui le gambe cedettero sotto il peso del dolore; poi fu la volta della schiena e dei due uncini conficcati nelle scapole che affondavano e strattonavano come a volerle strappare le braccia dal resto del corpo.
Lo spirito vendicativo che albergava dentro di lei ruggì ferale, il suono distorto dalle corde vocali, disumano.
Era questione di attimi prima che il rogo raggiungesse anche la mente, carbonizzando infine l'ultimo rimasuglio di coscienza.
Senza alcuna speranza di redenzione non le restava che bruciare.

Segue dal ballo della Fenice. Ci troviamo ad un paio di chilometri di distanza da Hogsmeade, nella brughiera. Puoi già intravedere la sagoma di alcune case, ma il progredire della trasformazione in arpia ti impedisce momentaneamente di continuare a camminare.
La role si configura come extra e da tale non prevede retribuzioni né va ad intaccare il limite di cumulabilità delle quest. Posta le tue statistiche, potremmo averne bisogno.
Resto disponibile per pm.
 
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Lia Soxilia
view post Posted on 2/2/2019, 16:43





Ecate Soxilia O'Connor
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Era corsa via, quasi una ragazzina in crisi urlante contro l'unica figura gentile con lei, era scappata nuovamente davanti alla difficoltà di ammettere che non poteva essere madre perché avrebbe unicamente fatto soffrire quella dolce bambina che non aveva alcuna colpa. Il suo corpo le rispondeva a fatica oltre la coltre di dolore e cambiamenti che l'imperversavano e qualcosa dentro di lei sembrava essersi definitivamente rotto: stava per trasformarsi davvero allora, le era capitato di avere a che fare con metà arpia quella sera che litigava con Ecate, ma non sapeva che avrebbe fatto tanto male dare sfogo a quella creatura che celava dietro il bel visino. Come sarebbe stato mostrarsi completamente per la creatura che nascondeva? Come sarebbe stato essere quella creatura? Ne conosceva le urla di rabbia e di dolore, ne conosceva la foga con cui litigava con la parte di lei più problematica, ne conosceva le debolezze eppure non aveva idea di cosa avrebbe voluto dire lasciarsi completamente andare ad una rabbia cieca e devastante capace di modificarle le membra. Sarebbe stata consapevole di ciò che faceva? Nemmeno in quel momento era consapevole di dove si trovasse o del freddo che le avrebbe certamente l'avrebbe fatta ammalare, eppure continuava a correre tra la neve.
Perché era arrivata a quel punto? Perché da una semplice festa con un gentile accompagnatore e la promessa di un nuovo concorso per i giovani studenti lei si era ritrovata incapace a controllare la bestia? Perché era sempre lei il mostro? Perché doveva sempre nascondersi ed essere trattenuta da prigioni mentali? Perché doveva far soffrire la sua bambina?
Mille erano i dubbi e le motivazioni per cui si sentisse furiosa, per cui la sua mente non faceva altro che turbinare e chiedere di liberarsi in un grido, mille erano le cose che l'avevano fatta scattare portandola ad una rabbia incomprensibile, ma più di tutti era ciò che aveva urlato ad Aida a perseguitarla come lame roventi capaci di farla impazzire di rabbia. Gli occhi tornarono al viso spaventato della piccola e l'ultimo briciolo di umano dolore si spezzò lasciandola intrisa di una furia cieca: le gambe cedettero sotto lo sforzo ed il dolore che la trasformazione le stava arrecando quasi a volerle distorcere, le mani protratte in avanti ad attutire la caduta sulla neve, la schiena si contrasse sotto il lancinante affondo di due uncini che dalle scapole sembravano volerle strappare le braccia, un fuoco le bruciava dentro quasi come se l'inferno vi avesse trovato casa.
Urlò. Disperata, dolente, furiosa, mostruosa: nella sua voce non vi era niente di umano, non più, quella voce gutturale e graffiata era uscita come un ruggito storpiando anche l'unica parola che avesse un senso in quella catastrofica situazione. "Aida!"
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view post Posted on 8/2/2019, 15:47
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el momento stesso in cui il baco entra nel bozzolo, due sono le cose che possono accadere: la prima, si trasforma in farfalla; la seconda, non sopravvive alla metamorfosi. Indipendentemente da cosa possa accadere, non uscirà dalla crisalide come baco.
La medesima battaglia imperversava nel corpo di Lia, piegata sotto il peso del cambiamento. Il dolore che lo accompagnava non era che l’ennesimo tentativo di soggiogare la sua mente con maggiore facilità, indurla a ritirarsi nella pace dell’incoscienza per lasciare controllo totale alla furia vendicativa che stava emergendo.
Spasmi acuti di dolore si diramarono dalle scapole trafitte lungo le braccia; la pelle prese a tendersi a dismisura e poi ad indurirsi: una serie di piume e squame l’avvolsero completamente creando un ghirigoro mesmerico.
Gli stessi ispessimenti cornei emersero sull’epidermide delle gambe orribilmente sfigurate; alle dita dei piedi s’erano sostituiti tre artigli prensili, le scarpe rotte abbandonate poco più in là nella neve.
Il nome di Aida non aveva fatto in tempo a sfuggirle dalle labbra che queste si unirono in un becco adunco e incapace di articolare suoni umani.
Della bellezza che l'aveva contraddistinta fino ad allora non restava traccia alcuna. Al suo posto una creatura orrenda dal viso e dagli arti d'uccello, priva di raziocinio, mossa da niente se non da rabbia cieca; uno scoppio di furia ribollente, indomita ed incontrollata.

La trasformazione in Arpia è completa. Per darti un'idea dell'aspetto, fai pure riferimento a questa immagine; poiché il braccio destro è necrotizzato, anche l'ala corrispettiva risente della maledizione.
Nello scrivere il tuo post ti prego di considerare che non hai alcun controllo sullo stato di arpia (alcuna forma di ragione/lucidità mentale), fa fede come sempre il regolamento razze.
Ad un chilometro da te circa si vedono le prime abitazioni di Hogsmeade, il resto è tutta brughiera innevata. Alla tua destra, lontana svariati chilometri, si erge una catena montuosa.
In caso di problemi, non esitare a scrivermi.

Arpia
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Lia Soxilia
view post Posted on 10/2/2019, 17:13





Ecate Soxilia O'Connor
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Il dolore e la rabbia ebbero il sopravvento sulla giovane bionda veela che era scappata da Hogwarts ed era caduta nella neve della brughiera di Hogsmeade, di quella giovane fanciulla ammaliante dalla pelle candida e le forme armoniche non era rimasto che un paio di stivali rotti ed un abito strappato; al suo posto, inginocchiata al suolo fra la neve, vi stava una creatura mostruosa quanto mitica che faceva tornare alla mente i racconti Omerici: al posto di braccia delicate e mani aggraziate vi erano un paio di ali grandi e ruvide formate da grandi piume ispide l'una grigiastra e l'altra nera, l'unico segnale che prima era proprio Lia, le belle gambe scattanti e seducenti ora erano cosce ricoperte di piume e zampe che si appoggiavano su tre artigli prensili graffianti e pericolosi, i bei capelli setosi erano divenuti un ammasso informe di crespi steli paglierini che svolazzavano sul viso deturpato su cui era spuntato un becco adunco e grottesco. Non vi era più nulla di Lia in quella creatura orrenda che stridiva sotto la morsa gelida dell'inverno, nel suo lamento urlato in un lacerante suono che spezzava la notte non vi era traccia di consapevolezza e in quegli occhi gialli di furia Lia non era nemmeno rintracciabile, persa nell'oblio profondo e irraggiungibile del inconscio.
Ma l'Arpia che ora sostava immobile aveva qualcosa per cui muoversi, aveva qualcosa che chiedeva che supplicava alle sue membra orrende di farsi largo fra la neve, fra il cielo scuro della notte, qualcosa che la portava a sollevare quel suo corpo inguardabile e avvizzito fino a reggersi sulle due zampe come un aquila appollaiata sulla neve di un ramo; quel qualcosa era la rabbia, voleva scatenare la sua furia, quel suo bisogno di violenta rabbia e devastante vendetta che l'aveva creata e portata alla luce, quella che era stata a scoccare la scintilla decisiva affinché Ecate morisse e Lia la liberasse. Con le ali spalancate pronta ad afferrare l'opportunità di sfogarsi, l'Arpia si concesse un altro stridio lungo e sprezzante di rabbia mentre muoveva i primi passi nella sua forma nuova e messa a nudo, come un pulcino appena nato che impara a zampettare fuori dal nido. I suoi occhi scorsero montagne nella direzione della sua ala malconcia mentre dalla parte opposta piccole strutture mostravano l'inizio del villaggio di Hogsmeade: dove sarebbe andata la furente mostruosità appena nata? Voleva liberare quel fuoco che aveva dentro, quel disperato bisogno di dar voce alla sua furia, quale migliore arena se non un villaggio? L'Arpia non aveva avuto bisogno di pensare, con gli occhi ricolmi del suo sentimento per eccellenza aveva mosso i primi passi in direzione del villaggio, prima piano poi con maggior sicurezza aveva cominciato a correre a tempo con il suo cuore.
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view post Posted on 22/2/2019, 19:26
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Il Fato

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L'
immobilità che caratterizzò i primi istanti successivi alla trasformazione era solo apparente; come roccia vulcanica, solida e coriacea, celava sotto la superficie il flemmatico ribollire del magma: denso, vibrante, vorace.
Con la pressione alle stelle ed i condotti del raziocinio ostruiti, era solo questione di attimi perché contenere quella furia rossastra divenisse impossibile ed il cratere, famelico, semplicemente esplodesse.
Come fenice, l'O'Connor s'affacciava alla vita ancora una volta, preda del rogo che l'animava; incendiata dal puro istinto che —come impresso nel dna— caratterizzava ciascuna Arpia senza eccezione e reclamava vendetta. Si slanciò, puledra inesperta, nei primi passi resi ancora più maldestri dall'apertura alare ingombrante che mal s'adattava agli spostamenti via terra. Continuò a caracollare goffamente, la neve smossa ad ogni falcata.
Priva di grazia e discrezione, percorreva quel campo come se lo possedesse, senza rendersi conto ancora d'essere un ospite sgradito.

A poche centinaia di metri dal Lago Nero affiorava in superficie un suo emissario, un rigagnolo poco profondo che tagliava trasversalmente la carrareccia che portava al villaggio magico; nelle sue vicinanze, sotto terra, si diramavano decine e decine di piccole tane collegate le une alle altre da cunicoli ritorti abilmente scavati dall'alacre lavoro di altrettanti animali.
Si trattava di tassi, per la maggior parte, sebbene non fosse raro che questi simpatici mammiferi spartissero più o meno pacificamente le camerate con volpi o conigli selvatici.
A dicembre inoltrato, complice il freddo che sferzava implacabile le lande scozzesi, il senso comune avrebbe voluto che questi animali stessero conducendo il proprio sonno letargico, insensibili alle scaramucce della superficie. Non era così: ingannata dall’attardarsi d’un autunno tutto sommato caldo, la comunità di tassi aveva scombussolato la propria tabella di marcia posticipando l’occlusione dei cunicoli e l’usuale sospensione delle attività. Se a questo s’aggiungeva la naturale repulsione che le veela —e le arpie— suscitavano in animali babbani e non, e che Lia non si stesse certo muovendo in modo leggero, ecco, non si poteva sperare in un risultato diverso.
Partì come una ricognizione: musetti striati di nero che spuntavano dai cumuli di neve, nasi all’insù che annusavano l’aria, zampette soffici che s’avvicinavano ai margini del suo campo visivo. Che stava accadendo? Più importante, qualunque cosa fosse era forse abbastanza da distrarla? L’ostilità che naturalmente correva tra le due creature avrebbe avuto la meglio?
Il Fato sembrava pronto a scommettere di sì e, se anche l’istinto di Lia non fosse stato del medesimo avviso, con ogni probabilità a farle cambiare idea sarebbe stato sufficiente il brontolio basso che si levò in crescendo, come una nota monocorde. Un avvertimento.
Scusa per l'attesa.

Arpia
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Lia Soxilia
view post Posted on 24/2/2019, 12:59





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Le membra goffe e ripugnanti dell'Arpia smuovevano in falcate pesanti la neve che attutiva i passi di tutti tranne che i suoi, quel corpo suo appena scoperto si rivelava ingombrante e pesante con quelle ali aperte ancora incapaci di adattarsi a ciò che lei stessa voleva solcando la neve con il loro strascicare continuo; il respiro affannato e rovente che si condensava in nuvole di fumo bianco attorno al viso in quel gelido ambiente che le lacerava le membra e le affaticava i muscoli fino a farla sorregger solo da quella volontà implicita alla sua esistenza che la costringeva a muoversi nell'unica direzione dove avrebbe potuto dar vita a ciò che era. Una bestia incapace di alcun ragionamento o di emozioni differenti dalla furia, un animale guidato unicamente da quell'istinto primordiale e peccaminoso dal quale era nato, un rifiuto disgustoso per la società. Lia, la bella e dolce veela che aveva amore per tutti, sembrava quasi non essere mai esistita mentre sotto gli occhi si osservava la figura riluttante e spasmodica di rabbia che arrancava nella neve. Nemmeno Ecate, la temibile e spietata umana capace di mille mila atrocità, pareva essere vicina in quel momento al mostro che aveva deturpato la sua carne e ne aveva fatto succube reietta.
Fu per un rumore che stonava con il silenzio di quella notte ad attirare l'attenzione della mostruosità che si aggirava per la campagna di Hogsmeade, fu per quei musetti paffuti e teneri che erano sbucati dal nulla e quegli occhi che cercavano proprio lei, fu per il lento brusio minaccioso che andava in crescendo: l'Arpia si fermò ad osservare il popolo di animali babbani che l'aveva circondata curiosi e infastiditi dapprima e che ora provavano rabbia e disgusto come qualunque essere nel vedere l'abominio del mondo, quella creatura deplorevole che la Natura stessa avrebbe dovuto abortire al posto di creare. Ma l'Arpia era venuta alla luce, si era manifestata e non avrebbe permesso a nessuno di ostacolare il suo desiderio o di ringhiarle contro, l'orgoglio di sentirsi superiori e la presunzione di dover esistere, la rabbia di volere ciò che riteneva le spettasse. La creatura ringhiò di rimando alla nota bassa che le lanciavano contro i tassi che l'avevano accerchiata, con le ginocchia leggermente piegate in avanti e il busto curvo a cercare di intensificare i suoi versi, gli occhi gialli illuminati dalla furia a cui la luna faceva da riflettori, il becco aperto nei suoi latrati, il petto gonfio pronto allo scontro. Come avrebbe mai potuto tornare alla sua forma innocua?
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view post Posted on 21/3/2019, 15:52
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Il Fato

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E
ra partita come una ricognizione. Poi, identificata la figura dell’arpia, percepita la sua natura infernale, si erano levati i primi, minacciosi avvertimenti.
Alla risposta altrettanto intimidatoria dello spirito vendicativo si erano infine aperte le ostilità.
Cinque dei tassi che l’avevano circondata scattarono in avanti, insospettabilmente rapidi su quelle zampe corte ma forti; nel salto, sarebbe stato possibile notare —come in un fermo immagine— gli angoli della bocca tirati all’indietro a scoprire la dentizione adatta ad un onnivoro.
Tuttavia, a dover preoccupare maggiormente, non erano i canini prominenti bensì gli unghioni spessi e ricurvi che spuntavano alla sommità delle zampe; abituati a scavare il terreno indurito dall’inverno, come se la sarebbero cavata contro la pelle coriacea dell’arpia?
Una domanda che non avrebbe atteso a lungo per la risposta. Coordinati come un sol corpo, i tassi mirarono a quelle che un tempo erano due gambe lunghe e snelle ma che adesso erano orribilmente sfigurate affondando denti e unghie quanto più in profondità possibile (-14PS).

Il dolore, a differenza della ragione, era un linguaggio universale; un linguaggio che persino Lia nello stato in cui si trovava avrebbe potuto comprendere. Giunse come una stilettata rossastra, in grado solamente di far divampare ancora più alte ed intense le fiamme dell’ira.
Davanti al pericolo, in natura, si distinguevano tre tipi di reazione: combattimento, fuga o immobilità.
A quale delle tre si sarebbe rivolta la creatura? Inesperta e presa in contropiede si sarebbe forse bloccata, incapace di reagire? Avrebbe preferito abbandonare lo scontro? O ancora, avrebbe risposto con altrettanta ferocia, dando fondo alla rabbia che le ribolliva nel petto e che fremeva per essere riversata all'esterno?
Era un momento importante, a suo modo. Aveva l'occasione di conoscere un aspetto di se stessa ancora inesplorato. Chi era l'arpia? Cosa era in grado di fare? Quali i suoi limiti? Quali le potenzialità?
Le alternative erano molteplici.
Ti ringrazio per la pazienza.

Arpia
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Lia Soxilia
view post Posted on 25/3/2019, 16:20





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Piccoli ma agguerriti, i tassi si erano presto lanciati verso l'abominio le fauci aperte pronte a mordere e gli artigli allargati pronti a nuocere al nemico che immobile gli ringhiava contro: l'Arpia ringhiava e fremeva di rabbia, chiedeva al cielo vendetta ma non aveva fatto un passo alcuno per attaccare per prima, immobile sembrava solo voler chiedere a quei piccoli esseri di lasciarla libera di sfogarsi. Ma i tassi non lo avevano capito, credevano li avrebbe attaccati comunque ed erano partiti all'attacco ottenendo il vantaggio della prima mossa; i loro artigli si erano conficcati nella pelle coriacea degli arti inferiori e presto anche i loro affilati canini fecero presa sulla pelle mentre l'Arpia urlava al vento il suo dolore. Fu qualcosa di inaspettato, il dolore che provava riempiva ognuno dei suoi sensi fino a scendere nell'incoscienza beata dove erano state allontanate Lia ed Ecate, toccandole come se fossero loro stesse quelle aggredite; Ecate grugnì rabbiosa mentre Lia piangeva ed urlava, chiedeva pietà da quel tormento che non avrebbe potuto fermare e fu quello che spinse l'Arpia a reagire. Alla fine l'Arpia si muoveva solo per due motivi: la rabbia e quel senso di protezione nei confronti della sua controparte innocente, Lia; era già successo, all'epoca non si era trasformata ma aveva dato battaglia anche alla stessa Ecate per difendere Lia, alla sua Lia.
Il mostro scattò consapevole di ciò che doveva fare: con le mani artigliate avrebbe preso a staccare e lanciare lontano i piccoli esserini incattiviti cercando di fermarli dalla loro opera di attacco, qualcosa nell'arpia si era concretizzato portando la rabbia e quel desiderio di vendetta che pochi attimi prima nutriva contro il mondo verso quegli esserini che avevano osato ferirla. Sentiva l'aria gelida bruciarle i polmoni e gonfiare quella sensazione di fuoco che le faceva fremere l'intero corpo, era come se stesse andando a fuoco e nel contempo fosse lei stessa il fuoco; una battaglia o un carnevale di cui era responsabile e vittima. Tremava, incapace di capire la reale motivazione di quel gesto, ma non si sarebbe fermata pronta a combattere fino a che le forze non l'avessero abbandonata o fino a che la vittoria non sarebbe stata raggiunta. Era questa la sua missione, il suo modo di vivere. Vincere o morire provandoci. Quasi come se tutte le personalità di cui era dotata fossero legate da quell'unico filo rosso. Ma era davvero quella la sua vita: una battaglia all'ultimo sangue perenne dove alla fine non vinceva mai davvero? L'arpia non si sarebbe mai posta questo dubbio così esistenziale, lei era il lato meno riflessivo quello guidato solo da pulsioni primitive e da quel feroce senso di rabbia, lei era l'animale delle tre personalità, o almeno era ciò che stavano cominciando ad afferrare nel loro oblio le altre due controparti. Di cosa sarebbe stata capace la creatura ripudiata anche dall'inferno se solo nel suo agire avesse scoperto di cosa era capace? Se quel fuoco divampante e concreto quanto l'abominio si fosse definitivamente fatto materia malleabile sotto i desideri dell'arpia, questa avrebbe saputo gestirlo? Forse presto la creatura avrebbe appreso il suo potenziale estremo, oppure avrebbe lottato con le sole forze delle sue membra implacabile.
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view post Posted on 5/4/2019, 11:41
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Il Fato

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U
na scelta in fondo non c’era mai stata. Non era proprio quello il punto? L’arpia non era una bestia che potesse essere contenuta. Possedeva uno scopo, questo sì; un ben individuabile proposito la muoveva e la indirizzava, ma lo stesso si poteva dire della mano che tende l’arco: tuttavia, una volta scoccata, cosa la freccia avrebbe colpito non stava più all’arciere deciderlo.
La stessa tensione aveva percorso Lia, uno spasimo lungo tutto il corpo accompagnata da un’epifania, uno scorcio della vera natura di quello spirito vendicativo.
Era bastato poco per farle perdere il controllo, se mai lo aveva davvero avuto; nelle prime trasformazioni, l’arpia mostrava il lato più capriccioso e volubile di sé: preda della fiamma della passione, sottomessa alla direzione del vento, innescata alla prima provocazione.
I tassi non si arresero senza opporre una certa resistenza, per quanti ne potesse scaraventare lontano altrettanti subentravano più agguerriti dei precedenti (-8PS), ma infine dovettero cedere alla superiorità della creatura infernale.
Quella scaramuccia sembrava averla fomentata ulteriormente, il suo potere divampò come torcia nella notte; da dove proveniva? Quanto a lungo sarebbe stata in grado di sfruttarlo?
Al momento non importava altro che quella nuova ondata di energia, la sensazione febbrile di sentirsi invincibili e soccombere al delirio di onnipotenza.
La neve si sciolse un poco tutto intorno a lei mentre due sfere rossastre delle dimensioni di un pugno si materializzavano nell’aria; queste vennero scaraventate contro i pochi tassi che rimanevano ed il fuoco attecchì immediatamente alla pelliccia infoltita per l’inverno.
Fino ad allora gli animali selvatici avevano ringhiato, soffiato, persino abbaiato in risposta ai colpi dell’arpia, ma nel momento stesso in cui la pelle aveva iniziato a bruciare grida acute di dolore si erano levate in cielo; lamenti strazianti mentre le creature si rotolavano nella neve alla disperata ricerca d’un poco di sollievo.
Un primo sentore di carne bruciata tinse l’aria senza che le sfere smettessero di comparire e colpire: tanti piccoli focolai brillavano sul manto candido.
Inebriata com’era da quella scarica di euforia e adrenalina, la donna-mostro difficilmente si sarebbe accorta dello scotto da pagare per via del consumo di tante energie in un colpo solo; eppure non avrebbe dovuto aspettare ancora molto per saggiare i primi segnali di cedimento da parte del corpo.
L'unica cosa che contava era che Hogsmeade fosse ancora lì.

Anche l'ultimo tasso aveva smesso di contorcersi.
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Lia Soxilia
view post Posted on 14/4/2019, 09:11





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Il duello era cominciato con un forte svantaggio dell'Arpia che sembrava soccombere al numero dei piccoli animali agguerriti, si lanciavano a più riprese contro il mostro che li strappava dalle sue carni e ne spediva lontano i corpi, ma la mitologica creatura non si dava per vinta intestardita più che mai con quel fuoco ad arroventare i suoi gesti la bestia combatteva senza tregua. In un tripudio di orrore e mefitica opulenza la discendente delle guardiane delle isole Strofadi si accese di fuoco scoprendo l'ennesimo elemento di forza del suo essere e compiacendosi della forza di cui era capace: grandi sfere infuocate si erano andate creando fra le sue mani artigliate come generate dal fuoco stesso che la muoveva, fuoco puro che plasmava in colpi netti per fermare l'attacco di quegli esserini pelosi a cui il fuoco bruciava le carni. Mugolii di dolore riempirono l'aria gelida della notte del solstizio d'Inverno, mugolii di dolore lancinante mescolati all'odore di carne e pelli bruciate riempiva quella notte che anni prima si era riempita di urla simili e dell'odore di sangue: come dodici anni prima il mostro stava generando dolore e regalando al mondo un nuovo essere. Il ghigno sul volto della bestia divenne più intenso mentre altre sfere divampavano dalle sue mani e si scagliavano a colpire gli ultimi tassi decisa a non avere pietà alcuna e distruggere coloro che avevano osato ferirla; non le importava di nulla, quella mente semplice e primitiva che aveva preso il sopravvento sul corpo deforme aveva conosciuto la sensazione di una potenza assoluta, di una forza ineguagliabile ed ora chiedeva di non smettere mai di avvertire quella forza, quella sensazione di onnipotenza.
L'Arpia non sapeva che c'era un prezzo per quella forza, non sapeva che il suo corpo avrebbe pagato il conto delle sue azioni, probabilmente nemmeno le importava, ma ad essere onesti nemmeno la Veela sapeva fino ad allora di cosa era capace l'Arpia, non sapeva quanta brutalità e temibile forza incontrollata era in grado di usare quel suo alter ego che guidato da una rabbia cieca si era finalmente mostrato nella sua interezza. Presto la prima avrebbe scoperto che la sua forza aveva un costo e la seconda avrebbe scoperto che la sua incapacità di autocontrollo aveva un pericolo.
Quando anche l'ultimo tasso colpito dalle sue sfere di fuoco crollò a terra esanime con il pelo bruciato fino a mostrare la carne rossa e nera di una grave ustione, l'Arpia urlò la sua fierezza per l'opera di distruzione che aveva compiuto: aveva massacrato e bruciato quel piccolo popolo di tassi lasciandoli nella neve a morire fra le atroci sofferenze delle ustioni e ciò la riempiva di un senso di orgogliosa soddisfazione così grande da farle vibrare le membra mentre negli occhi gialli si muovevano le ombre delle fiamme che le sue sfere danzando nelle mani facevano agitare. Nessuno avrebbe più potuto fermarla dal suo intento, Hogsmeade era ad un soffio da lei e lei sentiva di voler scoprire se quelle ali che si trascinava addosso erano in grado di sollevarla e accompagnarla nella sua campagna di distruzione.
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view post Posted on 23/4/2019, 16:33
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Burn. Tame. Adapt. Ignite.
S
i può intravedere la complessità della natura dell’uomo in ciascuna delle sfaccettature che compongono gli strati dell’esistenza. Alcuni —tra i babbani e, in misura minore, tra i maghi filo-babbani— argomentano che lo sviluppo della tecnica e della scienza già da sé basterebbe ad esaltare la superiorità della specie umana; altri esaminano la Storia, costellata di imperi sorti e caduti, impressi per sempre nel tempo; altri esplorano l’istinto all’affiliazione, alla creazione di legami, o ancora gli ingranaggi su cui le società si fondano, le leggi, l’economia, la religione…
Gli esempi che testimoniano la grandezza e la supremazia dell’uomo sul resto delle specie non mancano. Per parte mia, trovo inutile affannarsi analizzando i prodotti del genio e della follia umana quando una prova così lampante e terribile si nasconde proprio sotto ai nostri occhi; quale dimostrazione migliore della natura stessa dell’uomo, quale evidenza più innocente e primordiale dei bisogni che lo muovono?
Non v’è altro esemplare che abbia mai calpestato la terra che fosse mosso da una tale necessità di conquista quanto l’uomo; un’esigenza che trascende il primario bisogno di sicurezza fisica, quella che spinge il leone ad espandere i suoi terreni di caccia o il picchio a rintanarsi sui rami più alti.
È, piuttosto, la brama di potere e controllo; l’inebriante scarica di adrenalina che deriva dalla consapevolezza di poter esercitare la propria autorità sul prossimo, di poter disporre degli altri a proprio piacere; il brivido della sottomissione, dell’umiliazione persino.
Una volta tastato il suo sapore dolceamaro, non c’è speranza di tornare indietro. È una necessità divoratrice che prende, e prende e prende.
La veela lo sapeva bene e ancora non le bastava.
L'occhio si posava sull'orizzonte, vorace; ora che aveva scoperto quella nuova sorgente di potere non desiderava altro che abbeverarsene con avidità animalesca. Eppure, per paradossale che fosse, testare i proprio limiti con l'intento di superarli era un comportamento molto umano.
Le membra fremettero, l’aria accarezzò gli spazi sottili tra una piuma e l’altra; quelle ali che l’avevano impacciata nella sua avanzata appartenevano in realtà al cielo ed al cielo desideravano tornare.
Una scrollata e poi un’altra, gli arti che si sgranchivano per la prima volta, affatto abituati al movimento o al peso. Una breve rincorsa e l’arpia spiccò il volo… o un breve salto.
Volenterosa, ma inesperta e la necrosi non rendeva le cose più semplici: quelle svariate centinaia di metri avrebbero costituito un discreto banco di prova.

I tonfi nella neve echeggiarono nei cunicoli strappando i cuccioli di tasso all'abbraccio di Morfeo; sonnacchiosi, si mossero alla ricerca dei genitori senza trovarli. Quello sarebbe stato il loro ultimo inverno.
Descrivi pure il tentativo di volo tenendo in considerazione lo stato dell'ala destra.
Perdi 5PS e 5PC per i primi segni di stanchezza, ancora impercettibili nell'euforia generale.

Arpia
PS 165/192
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Lia Soxilia
view post Posted on 26/4/2019, 09:17





Ecate Soxilia O'Connor
Guaritore Apprendista
Incantesimi Quarta Classe
Veela
Medimaga
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Then tell me
WhyI see her dancing there
Why her smold'ring eyes still scorch my soul
I feel her, I see her
The sun caught in her sunshine hair
Is blazing in me out of all control
Zoppicante nella neve sulle zampe piumate e possenti con quel ghigno soddisfatto di chi ha vinto la guerra conquistando il titolo di più forte, dalle mani artigliate sfere di fuoco galleggianti a mostrare il nuovo sfolgorante potere distruttivo di cui ha trovato padronanza, gli occhi avidi a fissare il cielo beandosi della quiete a cui presto cercherà di porre rimedio pur di abbeverarsi ancora alla sorgente del potere e a quel soddisfacente calice della forza che ha già trangugiato attimi prima. Così si mostrava l’Arpia dal petto gonfio d’orgoglio mentre poco distante la bianca neve era macchiata di rosso e costellata di corpi esanimi bruciati del popolo dei tassi che l’aveva attaccata. La creatura immonda e disumana gioiva del suo operato e della sua immane potenza incapace di cogliere il prezzo di quella sua scelta, trasudava forza e ciò era il suo nettare divino per cui avrebbe commesso chissà quali atrocità per poterne ancora assaporare una stilla. Quella sua battaglia di difesa e protezione per la sua Lia si era tramutata nell’implacabile desiderio di potere e conquista che faceva sembrare Ecate un agnellino a confronto: l’Arpia era fin troppo umana anche per l’Umana. Ma allora che differenza v’era fra Ecate che coscientemente aveva ferito e provato ad uccidere da quella creatura che aveva ucciso? Cosa distingueva nella mostruosità l’Umana dall’Arpia? Chi poteva dire quale fosse in realtà il mostro da rinchiudere e frenare? Non Ecate e non l’Arpia, parti di una stessa medaglia la cui faccia opposta si incarnava in Lia: ancora una volta la trivia dea di cui portava il nome si palesava fisicamente nella donna che un giorno avrebbe dovuto fare i conti con quel suo chimerico essere.

Ma all’Arpia non importava nulla di quel frangente morale e filosofico che avrebbe invece distrutto la sensibile Veela, alla creatura importava solo di poter scuotere le sue ali aprirle e conquistare anche il cielo casa naturale di quelle infernali membra che le gravavano addosso dal suo risveglio. Soppesò la spinta dei suoi arti inferiori sprofondando leggermente nella neve, quindi lasciò che fra le piume sensibili delle sue ali sibilasse l’aria fredda della notte del solstizio ed inspirò a pieni polmoni preparandosi a sgranchire le membra piumate che l’avrebbero sollevata: o almeno era quello che voleva, l’Arpia non si era praticamente accorta di quell’ala necrotica alla sua destra che rimandava al braccio della Veela. Finalmente le articolazioni delle ali cominciarono a scricchiolare nel loro primo movimento, quel rumore era come il primo vagito di un neonato, le scapole dell’arpia si mossero a dare le indicazioni e lo spazio di manovra a quel nuovo arto che stava prendendo coscienza di sé; una folata più forte delle altre si liberò dalla sua schiena quando le ali si aprirono maestose e terrificanti rendendo quella visione quasi infernale, l’una folta e piena l’altra secca e triste quasi fossero di due esseri contrapposti. Le fece schioccare poderosamente nel tentativo di prenderne pieno controllo e di farle abituare al peso del corpo e della forza di gravità che pesava su di esse, sfarfallavano scoordinate facendo frullare la neve tutt’attorno e muovendo quegli ispidi capelli che disturbavano la vista della creatura, ella quindi cominciò a muovere i primi passi lenti per poi aumentarne il ritmo nonostante la neve alta e lo sforzo che le richiedeva intestardita dal desiderio stesso di volare si diede quindi l’ultima spinta spiccando il volo. Per quanto sarebbe durato quel librarsi fiero? Con quell’ala, se l’Arpia le avesse dato bado, probabilmente non molto...
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view post Posted on 23/5/2019, 15:55
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I
stante dopo istante, l’arpia acquisiva familiarità con la propria natura e col nuovo corpo in quel vero e proprio battesimo del fuoco. Ne saggiava le capacità latenti, le innumerevoli potenzialità; similmente avrebbe dovuto considerare i limiti che ne derivavano, i vincoli che delimitavano la nuova natura, opposta a quella della veela. Volare, per il momento, si collocava tra i due estremi.
Le ali risposero agli stimoli della donna, lente e pesanti com'era normale che fosse. Ci volle qualche tentativo prima che le zampe inferiori si staccassero da terra per più di qualche centimetro, e l'operazione le costava comunque una certa fatica.
Era fiacca ed impacciata, e la colpa non era da attribuirsi interamente alla condizione di necrosi in cui verteva una delle due ali, che per tale ragione mal rispondeva ai comandi impartiti dai nervi.
Lo sfoggio di potere inscenato poc'anzi a discapito della comunità di tassi e la violenza delle emozioni che l'animavano le stavano succhiando più energie del previsto. L’arpia traeva parte del proprio potere dal crogiuolo incandescente che le ribolliva nel petto e dal quale venivano forgiate l’ira, lo sdegno, la fame; ciò nonostante, le risorse necessarie a mantenere vivo quel fuoco non erano da sottovalutare ed era bene tenere a mente la natura ambivalente delle emozioni stesse: come fiamme divoratrici attaccavano e bruciavano, indomite ed incuranti della mano che tentava di dominarle.
Il volo fu turbolento. Sebbene fosse in aria, la creatura sembrava trascinarsi con una mostruosa gravità; lenta, ma inesorabile, la chioma infernale che le schioccava intorno al volto deforme. I fiocchi di neve le gravitavano tutt'attorno creando un contrasto stridente col piumaggio scuro.
Come oscuro presagio incombeva sulle strade di Hogsmeade, dove ignari maghi già dormivano beati nei loro letti o scambiavano l'ultimo brindisi della nottata.
Comparvero le prime case, al limitare del villaggio; si ergevano abbastanza distanti l'una dalle altre, disseminate in modo tale da poter vantare di un modesto appezzamento di terreno ciascuna, fuori dalla portata del trambusto frenetico delle vie principali.
Fu lì che le ali dell'arpia cedettero. Avevano dato le prime avvisaglie qualche decina di metri più indietro, ma questa volta non ci fu modo di prevenire la caduta. Fece appena in tempo a superare una recinzione alta un metro e mezzo prima di capitombolare nella neve (-4PS).
A qualche metro da lei era situato una stalla modesta, di piccole dimensioni; giusto il lusso di un tetto spiovente, una mangiatoia e alcune sbarre che fungevano da pareti.
La prima pecora belò al cielo il suo dissenso per quella visita inaspettata, seguita rapidamente da una seconda e poi una terza…
Non sarebbe passata inosservata.
Eccomi.
Accusi sempre una maggiore stanchezza che rende difficoltoso mantenere il controllo non solo sulle tue abilità, ma sulla nuova natura in generale. Continui a perdere 5PS e 5PC.
Procedi con cautela (o anche no), non sei più in una zona deserta.

Arpia
PS 156/192
PC 240/125
PM 67/135
 
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Lia Soxilia
view post Posted on 29/5/2019, 10:00





Ecate Soxilia O'Connor
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WhyI see her dancing there
Why her smold'ring eyes still scorch my soul
I feel her, I see her
The sun caught in her sunshine hair
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Al primo salto si era staccata di solo qualche centimetro dalla neve e così i successivi, qualcosa dentro l'Arpia sembrava pesarle ed indebolirla anche se di questo il mostro nemmeno se ne accorse; il potere sfoggiato le aveva tolto le energie e anche quella rabbia furiosa di cui non ricordava il motivo sembrava stancarla, era come se improvvisamente quella rabbia avesse bisogno della motivazione per continuare ad ardere senza distruggerla ma anzi infiammandola ancor di più, era come se la rabbia sola non avesse più quella forza iniziale a sostenere l'essere. L'Arpia gracchiò furiosa come a percepire quel nuovo stato di stanchezza pregressa ma finalmente le membra risposero a dovere innalzandola nel cielo: un ammasso deforme che si trascinava nel cielo di una notte nevosa mentre i fiocchi candidi le danzavano attorno terrificati da quella visione che ne disturbava la caduta. Lo schiocco continuo delle ali nere che la tenevano in volo faceva muovere la chioma ispida attorno al volto, il silenzio della notte era spezzato solo da quel battito d'ali che trascinava con sé un'orrore immenso per i malaugurati cittadini che presto avrebbe incontrato sul suo cammino. Oramai l'Arpia aveva scordato quella sensazione di stanchezza che l'aveva colta improvvisamente prima di volare, oramai il suo ego era riaffiorato forte e prepotente convinto della sua forza inarrestabile per quel volo drammatico che la stava portando a distruggere ancora vittime innocenti.
Vide le prime casupole, praticamente delle piccole casette di campagna con pochi metri di terreno da poter chiamare orto, erano poco distanti le une dalle altre e le luci al loro interno erano completamente spente, i proprietari dormivano già da un pezzo beati nel loro confortevole letto probabilmente abbracciati a scaldarsi; prede piccole per l'ego crudele del mostro che chiedeva di distruggere l'intero villaggio in un sol colpo, ma le sue ali non riuscirono a sostenere il peso facendola crollare avviluppata ad esse in una rovinosa discesa poco oltre lo steccato che delimitava le proprietà dell'uomo. L'arpia carponi a terra, con il viso imperlato di neve e le ali sbiancate dalla medesima, ringhiò furente per quella caduta inaspettata stringendo gli artigli in pugni violenti quasi a voler far sanguinare le sue stesse mani: il suo corpo l'aveva tradita, abbandonata lungo la sua corsa a conquistare il primo villaggio del mondo, fragile quel corpo tozzo e mostruoso si era permesso di disobbedirle. Mai avrebbe potuto perdonarlo di un simile gesto. A nulla sarebbe servito ricordarle che già da molto quel corpo l'avvertiva di non avere più forze, che già da molto il suo volo si stava abbassando e che le sue ali stavano perdendo forza; all'Arpia non interessava capire che era stanca, non era una cosa che potesse accettare come non poteva accettare di avere un limite e presto l'avrebbe superato, ma al mostro non importava voleva solo mostrare a tutti il suo potere.
Fu proprio per quell'ego spasmodico e illogico incapace di riflettere sulle conseguenze e sui suoi limiti che, quando una delle pecore di cui si adornava la casetta in cui era caduta belò, l'Arpia decise di dar sfogo a quella rancorosa vendetta contro le sue stesse ali. Le mani in cui ancora gravitavano sfere roventi di un fuoco danzante si aprirono pronte a lanciare contro il fabbricato di legno la sua maledizione mentre il suo grido gracchiante e mostruoso si faceva largo nel silenzio della notte. Avrebbe bruciato tutto e nei suoi occhi avrebbe visto le fiamme danzare infuocandole nuovamente lo spirito ardente di rabbia, avrebbe battezzato col fuoco il suo nuovo mondo di cui lei era salvatrice e dominatrice.
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PS 192-36PS/ 156
PC 125/ 250-10PC 240
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Burn. Tame. Adapt. Ignite.
E
missario senza messaggio, l’arpia sembrava ormai sfoggiare uno stendardo di cui non riconosceva il significato. Non era più una paladina né l’eroica incarnazione di nobili valori; era un crociato senza religione, poco più che un mercenario senza bandiera, orfano di ideologia, intossicato dagli effluvi della guerra e dall’odore del sangue. La brama non accennava a scemare e presto l’avrebbe consumata fin nel midollo.

Intanto, nella stalla, l’agitazione aumentava. Sempre più voci andavano a sommarsi a quel curioso coro di belati, fastidiosi anche nell’atmosfera attutita dalla coltre di neve. Per quanto fastidiosi, tuttavia, costituivano un motivo ricorrente in quelle zone, dove maghi e streghe erano abituati ad avere a che fare col bestiame. Quello a cui assolutamente non erano abituati, e che avrebbe gelato le vene a chiunque nonostante il calore benevolo ancora intrappolato nei camini ormai spenti, era il richiamo rauco e infernale di una creatura come l’arpia. L’urlo mostruoso coprì i versi delle pecore le quali s’ammutolirono per brevi istanti, la voce strozzata dalla paura; si propagò straziante come un omen funesto, instillando terrore e fecondando l’immaginazione di incubi terrificanti.
Eppure, quelle sfere vermiglie parevano piuttosto reali, per quanto meno vivide di quelle che avevano decretato il destino della colonia di tassi. Mantenere l’evocazione era tutt’altro che semplice e l’intensità delle fiamme oltre che il controllo che l’arpia esercitava su di esse ne facevano le spese. La traiettoria dei primi globi luminosi fu incerta e poco precisa; questi finirono per colpire la base delle prime palizzate in legno, ma il fuoco era troppo debole ed il legno troppo umido perché le aspettative dell’arpia venissero soddisfatte.
Il gregge però si mosse come un sol corpo, appiattendosi contro la parete opposta rispetto a quella presa di mira.

Non molto lontano, qualcuno spalancò gli occhi nel buio, il cuore in gola, la fronte madida di sudore: era stato tutto un sogno, era sveglio, andava tutto… bene?
«Marge? Marge! Lo senti anche tu?»
Il verso animalesco era reale.
Continui a perdere 5PS e 5PC.
Il tuo pg ancora non lo può sapere, ma sta richiamando l'attenzione dei maghi e delle streghe più vicini. Se Maometto non ha le forze per andare dalla montagna...

Arpia
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