La verità sul fondo del bicchiere., Privata.

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view post Posted on 16/2/2019, 13:24
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La verità sul fondo del bicchiere ¬

Ogni cosa tornava al proprio posto ora che la sera si affacciava libera nel cielo grigio di una Londra troppo fredda. Il vento soffiava leggero, tagliente quanto basta da costringere Megan a doversi riparare nel tessuto morbido della sciarpa, coprendo il naso freddo e i pronunciati zigomi. I lunghi capelli ondeggiavano ad ogni passo, coperti in parte dal cappello di lana, mentre le mani si riparavano all’interno dei guanti nelle tasche del cappotto. Gli occhi blu seguivano il sentiero, cercavano il percorso più facile e sicuro per raggiungere il posto dove poter sgomberare la mente.
Non aveva voglia di tornare al castello, non in quel momento. Voleva sentire il senso di libertà invaderla e perdersi tra le vie di quella città a tratti dimenticata.
Non ne ricordava quasi più i dettagli e le mancava vedere le macchine sfrecciare fra il caos cittadino dove nessuno avrebbe fatto caso a lei, dove sarebbe stata un numero fra tanti. Sebbene considerasse Hogwarts la sua unica salvezza, a volte si sentiva stretta fra le sue mura. Troppe responsabilità, troppi problemi che non le riguardavano e di cui si faceva carico, si poggiavano sulle sue spalle.
Così mentre la sera scendeva indisturbata, portandosi dietro i suoi dettagli, si era lasciata alle spalle l’Ars Arcana, aveva salutato Lysander e avvolta nel suo pesante cappotto aveva detto addio alla ormai deserta via di Diagon Alley. Il Natale era diventato un ricordo, seppur recente, e finalmente i ritmi iniziavano a rallentare. Non vi era più tanta fila fuori dai negozi, non vi era gente impazzita e ragazzini urlanti. C’era la quiete, Megan aveva ripreso a leggere i suoi amati libri e a prendere il suo tè pomeridiano. La pace lì era tornata e lei si lasciava avvolgere da essa ogni volta che varcava quella soglia, ma poi? Niente cambiava quando a fine turno lasciava dietro si sé quel piccolo spazio di totale serenità. La pace era lì ma non altrove, no nella sua mente men che meno nel suo cuore.
Cinque giorni, li aveva contati. Cinque giorni da quando ogni cosa aveva preso una piega diversa nella sua quotidianità. Non vi era più la sua solitudine a tormentarla, quella ormai era diventata parte integrante del suo essere e non la considerava più il problema principale, c’erano invece numerosi pensieri che cercavano risposte su ciò che era accaduto in una sola sera.
Il Ballo. Proprio lì aveva provato libertà e gioia, poi le aveva viste sgretolarsi fra le sue dita nel giro di pochi istanti.
Doveva essere positiva, Alice glielo ripeteva sempre e nonostante cercasse di concedersi attimi di spensieratezza questi non duravano più di qualche ora. Sporadici momenti cui cercava di prendere il meglio ma che poi si ritrovava a non trattenere. Niente durava ed era ormai abitudine chiedersi se qualcosa di concreto sarebbe rimasto prima o poi. Se qualcuno glielo avesse chiesto, lei avrebbe rifiutato di ammettere di aver bisogno di una mano a sostenerla, ma nel suo profondo, nei lati nascosti della sua anima, lei sperava in un cambiamento prima che lo spiraglio di luci che vedeva ancora non si spegnesse per sempre.
Aveva accelerato il passo mentre cingeva le braccia attorno al proprio corpo, cercando di proteggersi dal freddo che sentiva. Lo odiava perché non riusciva proprio a sopportarlo e cercava di imaginare l’aria tiepida di una primavera inoltrata e il canto soave dei suoi abitanti dopo il lungo inverno.
Sì lasciò trasportare dal caos, da cui fu avvolta improvvisamente, e si immerse al suo interno amalgamandosi tra la folla in strada. Guardava tutti quei ragazzi ridere e scherzare, persone parlare al telefono altre altre aspettare l’autobus. Ogni cosa sembrava così semplice da tormentarla ad ogni passo. Doveva stare tranquilla, dove a respirare e andare avanti. Avrebbe voluto perdersi nelle luci al di là del fiume e dare vita ai suoi pensieri, parlare con se stessa, e nient’altro. Aveva continuato a camminare, passi decisi ma lenti, fino a quando l’enorme struttura di un pub non si palesò davanti ai suoi occhi. Giovani ragazzi intenti a bere fuori dal locale giocavano fra di loro. Il suono delle loro voci invase la mente della ragazza e inevitabilmente attirarono la sua attenzione. Poi mentre una delle bottiglie vuote poste suo tavolo si infrangeva al suolo, il ricordo le sfrecciò nella mente facendole chiudere gli occhi per qualche istante.
Lui non era lì, lui non c’era.
«Credete di poter fare ciò che cazzo vi pare nel mio locale?»
«Hey, Bill! Calmati ok? Puliamo, è solo una bottiglia!»
«Vedete di ripulire tutto e andare via. Se esco e vi ritrovo ancora qui sono affari vostri, chiaro?! Non voglio problemi e voi me ne avete creati fin troppi! »
La porta del pub si era spalancata e un uomo dalla stazza simile a quella di un Troll si era piazzato davanti ai giovani cantandogliene quattro. Megan non si era accorta del trambusto fino a che l’uomo non richiamò la sua attenzione.
Era rimasta ferma lì, in balia degli eventi senza muovere un muscolo, completamente rapita da un momento che l’aveva fatta arrivare lontano.
«Hey tu bellezza, cosa hai da guardare?! Se devi entrare entra, sennò puoi continuare a camminare.» un gesto di invito ad andarsene l’aveva colta impreparata, tanto che incredula aveva aggrottato le sopracciglia e storto la bocca.
Se c’era una cosa che detestava più tutto era l’arroganza; non stava facendo nulla di male e se pensava che avrebbe colto il suo invito si sbagliava di grosso. Non le importavano le conseguenze dei suoi gesti, qualunque esse sarebbero state, in quel momento si sentiva in sfida e non avrebbe fatto alcun passo indietro.
Così si era voltata in direzione del proprietario muovendosi verso di lui a testa alta. Nessuno sguardo aveva caratterizzato quel gesto, già chiaro agli occhi di chi la stava osservando, solamente il suono della porta mentre attraversava la soglia aveva chiuso quel momento, sotto gli sguardi interrogativi dei giovani babbani.
Dritta al bancone si era seduta su uno dei sgabelli, gambe incrociate e gomito destro poggiato sul duro legno antico.
«Un Whiskey incen-… un Whiskey.» un mezzo sorriso mentre si abbandonava al suono della musica che si effondeva nel luogo. La testa si muoveva appena e le dita tamburellavano sulla superficie ruvida.
Sembrava che i brutti pensieri stessero svanendo ma se chiudeva gli occhi sentiva di sbagliare ancora, lo stava facendo di nuovo e questa volta non avrebbe ricevuto alcun aiuto.
Ecco che avvertiva la situazione di pericolo in cui riusciva a sentire la voglia di immergersi senza alcun desiderio di tornare indietro.
Era bello sentirsi a casa in quel modo, lasciare che i brutti pensieri svanissero per qualche istante. Era lontano dal suo mondo, lontano da occhi che conosceva bene.

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Thalia Jane Moran

Quando anche l’ultima cliente fu uscita dal negozio ed ebbe tirato un profondo sospiro di sollievo, Thalia si accasciò sullo sgabello sul quale aveva trascorso le ultime ore del proprio turno da Zarathustra. L’orario di chiusura era appena scattato e la strega si abbandonò a braccia conserte sul bancone, appoggiando la fronte alla fresca superficie di vetro dell’espositore. Chiuse gli occhi per un momento, respirando lentamente ed assaporando il ritrovato silenzio di un pomeriggio particolarmente caotico. Proprio fuori dal negozio, immersi nel mondo babbano, un automobilista ne aveva tamponato un altro e si era scatenato il putiferio tra i due per stabilire chi avesse torto o ragione. Osservandoli dalla vetrina, con la testa appoggiata al pannello di legno sottile che la divideva dalla sala principale del negozio, Thalia aveva pensato a quanto dovesse essere scomodo spostarsi in quelle scatole con le ruote. Non esisteva uomo sulla faccia della terra che non avesse sbraitato almeno una volta per colpa di quel mezzo di trasporto, seppur con la solita pacatezza tipica degli Inglesi. Ripensandoci, ancora china sul bancone, Thalia sorrise divertita chiedendosi se poi quei due scalmanati avessero trovato un accordo o se avessero continuato ad insultarsi per un pezzo di metallo un po’ ammaccato. «Ragazza, tornatene a casa prima di addormentarti sul mio bancone.» sbottò bonariamente una voce alle sue spalle. Riconoscendo il proprietario, Thalia si ridestò, sorridendo mestamente. Raccolse la borsa abbandonata ai suoi piedi e uscì, mentre l’uomo contava i galeoni guadagnati quel giorno e la correttezza dell’inventario aggiornato. La luce del giorno morente si rifletteva sulle facciate degli edifici storici, ingrigite dallo smog e dalle intemperie di quell’inverno particolarmente rigido, mentre attorno a lei il traffico scorreva lento. Tutti quei Babbani sarebbero tornati nelle loro case in periferia o nei piccoli centri fuori Londra, pronti a trascorrere del tempo con le proprie famiglie; era in quei momenti che Thalia ripensava alla sua famiglia, a centinaia di chilometri di distanza, e si domandava se nella solitudine del cottage i suoi genitori avessero trovato il modo di darsi una tregua. Sbuffò, stringendosi nel cappotto e calcando il berretto sulla fronte, superando un gruppetto di ragazzini poco più giovani di lei intenti ad ascoltare musica ad alto volume. Non aveva idea di come si chiamassero quegli aggeggi infernali, ma ogni volta che visitava Londra per piacere o per lavoro, tutti i Babbani ne avevano sempre uno a portata di mano o appiccicato all’orecchio. Gettò loro uno sguardo distratto e proseguì sulla propria strada, sentendo il bisogno di rifugiarsi in un luogo conosciuto in quella grande città per lei anonima. Sua nonna abitava a pochi passi da Diagon Alley e le sarebbe bastato proseguire su quella strada per trovare l’edificio giusto. Incassato tra due palazzine identiche, quello centrale ospitava l’eccentrica strega giornalista che l’aveva influenzata col suo amore per l’arte e per la musica, insegnandole ad essere compassionevole e, allo stesso modo, appassionata. Quelle poche manifestazioni di affetto, che così di rado offriva a chi le stava accanto, le erano state trasmesse proprio da Martha Lynch e in un certo senso, in quel momento dove tutto le sembrava incerto e senza valore, sentiva il bisogno di rifugiarsi tra quelle braccia un po’ ossute, ma capaci di donare amore in modo semplice. Le luci dell’abitazione erano tutte spente e Thalia se ne sorprese, visto che la donna odiava il buio e l’oscurità: casa sua era sempre stata illuminata a giorno, ad eccezione delle ore notturne, e la prima cosa che sua nonna faceva non appena rientrava era proprio quella di accendere ogni lumino e candela che le capitasse a tiro. Stando così le cose, senza provare nemmeno a sollevare il batacchio di ottone, proseguì per la propria strada, senza meta apparente. Gettando uno sguardo all’orologio da polso scoprì che le lancette immobili segnavano ancora le quattro del pomeriggio e scoprì che quell’assenza di coordinate temporali non la disturbava affatto. Per un attimo, un solo e fuggevolissimo momento, si sentì davvero libera e padrona di se stessa. Si trovava in una città che solitamente disprezzava per il suo caos, il traffico congestionato e la vista dell’acqua limacciosa del Tamigi, che scorreva sinuoso tra i due versanti della città, ma per la prima volta sentiva di essere aperta alle possibilità. Sapeva che non avrebbe potuto restare fuori da Hogwarts a lungo, non quanto le sarebbe piaciuto, ma c’era un margine di almeno tre ore a sua disposizione. Si guardò intorno e l’idea sorse in lei spontanea come se ci avesse pensato sin dal principio: Martha diceva che bisognava prima perdersi per poi ritrovarsi e che quella era stata una delle sue costanti; dal canto suo, Thalia non aveva mai capito il senso di quell’affermazione, ma in qualche modo - ora - le sembrava che ciò avesse perfettamente senso. Doveva uscire dagli schemi, perdersi dunque, per ritrovare quel briciolo di naturalezza che in quel periodo sembrava mancarle del tutto e inspiegabilmente.

Procedette a tentoni, come avrebbe fatto un turista ingenuo imboccando un vicolo e poi una strada più ampia, sbucando in una zona del tutto sconosciuta ancor peggio della precedente. Attraversò un ponte di pietra scura, immergendosi nel tumulto di Londinesi e turisti stravaganti; si mescolò con loro, sorridendo a chi le rivolgeva un cenno gentile e imitando l’espressione scura di chi, al contrario, non si sentiva affatto empatico verso il prossimo. Con la sua aria un po’ smarrita - non così tipica del suo essere maniaca del controllo - Thalia raggiunse un pub, dal quale proveniva della musica e il vociare confuso di ragazzi e uomini un po’ brilli. I Babbani la incuriosivano da sempre e per certi versi aveva sempre temuto di mescolarsi a loro senza sapere che cosa dire o che cosa fare per dissimulare la propria estraneità da quegli usi e costumi tanto diversi dai suoi. Quella sera, però, si sentiva stranamente emozionata e con la voglia di sperimentare qualcosa di nuovo; forse, quel qualcosa poteva essere proprio lì, a portata di mano. Così, decisa ad immergersi in quel mondo che aveva sempre rifuggito per paura, Thalia si fece largo tra i ragazzi appostati all’ingresso, con le loro bottiglie di vetro scuro per le mani, a passo sicuro. Di una cosa era certa: lì dentro non avrebbe bevuto una sola goccia di alcol. Máire le aveva spiegato che la maggiore età per quelle cose non era diciassette anni, come invece aveva sostenuto lei con convinzione; mancavano giusto un paio d’anni per essere liberi di uscire e gustare una serata in compagnia. Lei lo sapeva bene, perché spesso si era trovata a dover accompagnare Tom nelle sue uscite serali senza la possibilità di prendervi parte come tutti gli altri. Ciononostante, Thalia s’insinuò tra i ragazzi fermi davanti alla porta - che stavano parlottando di qualcosa col proprietario - e uno di loro mormorò qualcosa, indicandola con un cenno del capo. «Ehi, Bill!» disse allora «Non so chi sia, ma qualsiasi cosa ordini, la pago io!» e scoppiò a ridere, emettendo l’alito più puzzolente che Thalia avesse mai sentito spirare sul proprio collo. Fu allora, dopo che ebbe attraversato la porta d’ingresso iniziando a sbottonarsi il cappotto, che udì il fragore di vetri infranti e urla di giubilo immotivate. Bill, il proprietario, corse fuori dal locale minacciando quei ragazzi con l’indice sollevato e uno sguardo truce in volto. Sedette al tavolo vicino alla porta, schermato dall’aria gelida proprio grazie al verso d’apertura dell’uscio, iniziando ad esaminare il tabellone appeso lì accanto. Il tepore del locale accolse ben presto il suo favore e le dita intirizzite dal freddo cominciarono ad abituarsi a quella piacevole sensazione; una ragazza si avvicinò a lei, con un blocchetto tra le mani e il fastidioso ticchettio di una penna biro. Stava per mandarla via senza ordinare nulla quando, proprio da una delle sedie a poca distanza da lei ed affacciate sul bancone sudicio, le sembrò di riconoscere una voce annoiata elevarsi all’improvviso. Inarcando le sopracciglia, cercò di studiare meglio la figura femminile in questione e anche la cameriera si voltò a guardare la cascata di capelli scuri della sconosciuta. C’era solo un modo per scoprire se i suoi sospetti fossero fondati, ma aveva timore di sapere se quella fosse davvero la Milford-Haven. Lo spettro delle loro conversazioni - l’aggettivo “glaciale” avrebbe assunto un nuovo significato se associato a quegli sporadici avvenimenti - aleggiò su di lei per un attimo, finché la ragazza non tossicchiò per richiamare la sua attenzione, chiedendole di ordinare. «Quello che ha preso lei. Anche se non so cosa sia.» concesse infine, sorridendo cortesemente e tornando ad osservare la ragazza appollaiata sullo sgabello. Con un’alzata di spalle e infischiandosene delle regole e della legge babbana alla faccia del caro Bill, la cameriera tornò al bancone, proprio mentre un bicchiere dal fondo largo e squadrato veniva servito alla sconosciuta dall’aria tanto famigliare. *So già che me ne pentirò.* pensò e osservò la cameriera fare ritorno, con un bicchiere dal fondo quadrato e con un liquido ambrato al suo interno. Portò il bicchiere al volto, agitandone il contenuto come avrebbe fatto suo nonno, con lenti movimenti circolari; dal bicchiere si sprigionarono allora tutti gli aromi e Thalia lanciò uno sguardo incredulo alla presunta Milford-Haven *Whiskey?* e lo rimise sul tavolo, aspettando chissà che cosa per dare inizio alle danze. Aveva giurato l'estate precedente di non bere mai più, ma puntando di nuovo lo sguardo sulla ragazza di profilo, adesso certa della sua identità, seppe di non esserne più tanto sicura.
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La verità sul fondo del bicchiere ¬

C’era il tempo a giocare un ruolo fondamentale nella sua vita e prima ancora c’era stato il coraggio di affrontarsi e lasciarsi andare a un dolore a lungo trattenuto. Ora metabolizzava, o almeno cercava di riuscirci in qualche modo anche se era solo l’inizio di un lungo percorso. Era solita ricadere negli errori, a volte senza nemmeno volerlo, però in quel momento trovarsi nella stessa situazione abbandonata qualche giorno prima era stata una sua scelta. Non avrebbe dovuto, lo sapeva bene, non era sicuro. Eppure non poteva dimenticare il sollievo che aveva provato bevendo da quella bottiglia, il senso di leggerezza, il completo abbandono di ogni pensiero negativo e poi... Poi.
Così fra il caos generale che quel luogo ospitava, Megan aveva ritagliato il suo spazio in maniera perfetta. Anche lì, in mezzo a tante persone, si trovava nuovamente nella sua solitudine ma l’avvertiva in maniera diversa questa volta.
Stava vivendo una distrazione ed era ciò di cui aveva bisogno, ciò che aveva cercato proiettandosi - poco prima - contro il parapetto che dava sul Tamigi e che aveva ritrovato all’interno di un pub. Lontano da tutto cercava di godersi quel momento di totale libertà e fra la puzza di chiuso, l’odore dell’alcol, del cibo e il suono caotico della musica, c’era riuscita in qualche modo.
Il bicchiere a tulipano, dalle eleganti rifiniture, venne fatto scivolare sul bancone e solo allora Megan alzò lo sguardo fermandolo con le dita.
«Non capita spesso di servire del Whiskey a una ragazza.» puntualizzò il giovane cameriere guardandola incuriosito con una smorfia maliziosa a colorare l’espressione. Megan gli rivolse un mezzo sorriso, senza dare inizio a una conversazione, mentre una ragazza in grembiule sfrecciava alle sue spalle.
«Potresti continuare a lavorare Paul?!» un tono di rimprovero e Megan sì lasciò sfuggire un ghigno divertito, per poi posare gli occhi sul liquido ambrato.
Poco più di due dita di Whiskey all’interno del bicchiere, lo sollevò verso il viso e sì lasciò inebriare dall’odore di vaniglia e caramello che le invasero le narici, poi bevve un sorso cercando di assaporarne bene il gusto.
Chiuse gli occhi per qualche attimo, provando a lasciarsi scivolare alle spalle in maniera definitiva, almeno per quella sera, quello che stava provando: mancanza, tristezza, ricerca di quei brevi momenti nei quali per qualche istante si era sentita felice.
Respirò.
Se da una parte l’alcol l’avrebbe aiutata dall’altra Megan avvertiva l’assenza di ciò che le aveva e avrebbe portato: non riusciva a toglierselo dalla testa, no.
«Devi scusarlo, in realtà alcuni uomini non sanno che noi donne possiamo essere più toste di quanto immaginano!»
Megan alzò la testa e si ritrovò la cameriera davanti a lei al di là del bancone.
«E poi, sembra che sei stata d’ispirazione per un’altra ragazza.» aggiunse indicando con il mento qualcuno alle sue spalle, mentre versava altro Whiskey in un bicchiere da servire.
Aveva osservato la giovane donna: un sopracciglio alzato, un espressione tra il divertito e il confuso. Era lì per ritagliarsi un attimo di tranquillità ma sembrava proprio che quest’ultima non fosse d’accordo.
Non disse nulla, solo le labbra tese in un sorriso di circostanza avevano caratterizzato quel momento e quando la cameriera si era allontanata, Megan aveva aspettato qualche istante prima di voltarsi.
Bevve un altro piccolo sorso poi ruotò il busto fino a che gli occhioni blu non si incrociarono con quelli grigi di una ragazza poco lontano da lei.
Strizzò le palpebre, temendo di essere vittima di qualche allucinazione, fino a che non si rese conto che quella che vedeva era niente di meno che la realtà.
Thalia Jane Moran era lì a qualche metro da lei.
Oh… molto bene!
Piegò il viso da un lato e curvò le labbra in un sorriso appena accennato. Non ci volle molto per decidere cosa fare o meno, forse aveva trovato il suo perfetto svago, così scese dallo sgabello e si avvicinò al tavolo. «Sembrerebbe che la vita voglia farci incontrare per forza. Non credi? Mi chiedo cosa voglia da noi: una resa forse? O una battaglia definitiva?» le sorrise divertita mentre poggiava rumorosamente il bicchiere sul tavolino.
«Mi scusi, a dimostrazione di quanto mi ha detto prima… Altri due per favore! Uno per me è uno per la mia...» spostò lo sguardo su Thalia «...Collega.» ghignò per poi spostarsi di nuovo in direzione della donna che le fece segno di aver capito.
«Allora, possiamo cominciare dal primo brindisi.» trovò posto davanti alla Tassorosso senza farsi alcun problema, afferrò il bicchiere e lo alzò «A te la scelta.» le fece cenno con l’indice, che tornò subito dopo a stringere il bicchiere.
Sembrava che la serata avesse preso una piega del tutto insolita ma Megan sapeva che chi aveva davanti era perfettamente in grado di allontanarla da tutte le emozioni che si portava dentro. Poteva crearne altre probabilmente, ma non restava che verificare. Così aspettava quel brindisi per dare inizio a qualcosa che sperava di non ricordare in seguito. Forse stava partendo prevenuta?
Vediamo che succede, Moran.



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view post Posted on 7/3/2019, 19:01
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Non aveva mai smesso davvero di sentirsi in colpa per come si era comportata nei suoi confronti, ma da quando Thalia aveva sentito due Corvonero sussurrare qualcosa dietro una copia della Gazzetta del Profeta, circa il loro unico Prefetto, la Tassorosso non aveva potuto fare a meno di provare qualcosa in fondo al cuore. Megan non le piaceva affatto e le cose non erano cambiate nemmeno quando, nel silenzio della Biblioteca, la ragazza aveva deciso di dar loro man forte contro Midnight. Per quanto fosse silenziosa e difficile da individuare nella cacofonia tipica della Sala Grande durante i pasti, Thalia riusciva sempre ad individuare la collega di ronda seduta tra gli altri Corvonero; a volte si faceva i fatti suoi e in altre rare circostanze s’intratteneva con i pochi studenti che le si sedevano accanto. Dalla sua postazione, all’estremo opposto della Sala, Thalia era rimasta ad osservarla distrattamente, riconoscendo in lei uno di quegli individui con i quali - per quanto ci potesse provare - non sarebbe mai stata in grado di andare d’accordo. Anche in quel pub ne studiò il profilo, le dita strette attorno al bicchiere, senza curarsi di essere scoperta; i suoi lineamenti ne facevano ancora una bambina - forse per la forma degli occhi grandi o per la dolcezza delle linee morbide delle guance -, ma sapeva fin troppo bene quale fosse la sua vera natura, celata con eleganza sotto quello sguardo in apparenza innocente. Più la osservava, anche ora mentre conversava con la cameriera, più Thalia capiva che il loro rapporto non si era affatto stabilizzato né avrebbe potuto farlo in futuro. C’erano troppe frasi non dette, un astio da commutare in vero e proprio odio o da migliorare in una salvifica indifferenza. Un primo tentativo era stato compiuto prima delle vacanze di Natale, durante i suoi acquisti, e anche in quell’occasione Megan Milford-Haven era riuscita a farla pentire di quel briciolo di genuino rimorso. Tornata a casa, quella sera, aveva gettato alle ortiche ogni buon proposito di riappacificarsi con lei, sprofondando nel divano della Sala Comune e restandovi fino a tarda notte. Le fiamme danzanti nell’alveo del caminetto l’avevano ipnotizzata, finché il sonno non era sopraggiunto in suo soccorso, scacciando gli spettri di un pomeriggio che avrebbe voluto fosse diverso. Ora, col tepore del locale a riscaldarle le membra e la musica di sottofondo a coprire i suoi pensieri, Thalia riportò lo sguardo al suo bicchiere; il liquido ambrato esalava un vago profumo di vaniglia e scoprendolo la Tassorosso storse il naso, allontanando appena il bicchiere da sé. Cominciò a pensare di aver sbagliato ad infiltrarsi tra i Babbani in quel modo e che forse avrebbe dovuto cominciare a conoscere quel mondo con qualcosa di meno complesso e più abbordabile. Stava per prendere il cappotto ed infilarlo, quando la voce di Megan suonò più vicina di quanto si aspettasse. Sollevando lo sguardo, Thalia la trovò proprio lì accanto e torreggiava su di lei con la sua aria fiera e, forse, un po’ malinconica. Aveva sempre l’impressione che fosse una sicurezza di facciata la sua, da quando i suoi genitori erano misteriosamente morti; un modo come un altro per affrontare il lutto, elaborarlo e superarlo. Thalia non la conosceva affatto, ma quella che le sembrava malinconia aleggiava nei suoi occhi nonostante quell’aria tronfia e il tono esaltato di chi abbia appena trovato un passatempo soddisfacente per trascorrere una serata. Non poté sorridere né imporsi di essere lieta nel constatare di essere stata scoperta in modo tanto stupido. Quando, poco prima, i loro sguardi si erano incrociati, Thalia aveva sperato che il buon senso inducesse la Corvonero a fingere di non averla notata, di non voler trascorrere insieme quelle poche ore di svago prima di tornare ad Hogwarts. Per tale ragione si era concentrata prima sul bicchiere e poi sul desiderio di levare le tende. Peccato che tra quegli sguardi e quelle decisioni non abbastanza frettolose fossero passati solo pochi secondi e Megan avesse deciso, contrariamente alle rosee previsioni di Thalia, di colmare lo spazio tra loro e di intavolare una conversazione qualunque. Sospesa in quel gesto - le braccia rivolte all’indietro nel tentativo di infilarle nelle maniche del cappotto - Thalia si limitò a fare retromarcia, abbandonando il piano di andare via e provando a restare. L’euforia di Megan era sospetta e quando le sedette di fronte, la Tassorosso non poté fare a meno di notare l’espressione quasi sadica sul volto, mentre l’altra ordinava altri due whiskey. Scoccò uno sguardo supplichevole alla cameriera, accennando ad una negazione col capo che annullasse l’ordine appena impartito dalla sua ospite. Non voleva ubriacarsi da sola, figurarsi se l’avrebbe fatto con la Milford-Haven. «Megan.» la salutò solo in quel momento, usandole un tono pacato e incolore. Non c’era sarcasmo né allegria in quell’unica parola, solo una lieve constatazione delle circostanze. «Io non ho nulla a cui brindare. Ti cedo l’onore.» aggiunse poi, sorridendo amaramente. Lo sguardo veleggiò sul bicchiere abbandonato sul tavolo e senza poter controllare il movimento della propria mano si trovò a stringere il vetro freddo tra le dita per la seconda volta. Sollevò il bicchiere, tenendolo sospeso davanti a sé e lasciando che fosse Megan a condurre i giochi.
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La verità sul fondo del bicchiere ¬

Se doveva dare una motivazione a quella scelta era certa di non averla. Vedere Thalia lì, in quel pub trovato per caso, aveva acceso in lei qualcosa.
Erano trascorsi anni da quando avevano avuto quel piccolo incidente in Biblioteca e sebbene Megan non riservasse rancore nei confronti delle persone in generale, per la Tassorosso aveva fatto eccezione. Era stata vittima di un gioco scomodo, nel quale aveva fatto la sua parte ma dove era rimasta scottata. Non amava chi abusava dei propri poteri e chi se la prendeva con i più deboli e l’essere stata vittima di entrambe le cose non riusciva a sopportarlo. Per quanto sarebbe andata avanti quella situazione?
Megan conosceva benissimo le proprie intenzioni, le aveva sempre covate nel profondo, se c’era una cosa che le riusciva bene era vendicarsi e lo avrebbe fatto in qualche modo. Non sapeva se Thalia si sarebbe mai aspettata qualcosa ma la Corvonero non le aveva dato modo di credere che prima o poi l’avrebbe pagata.
Le rare volte che i loro sguardi si incrociavano nei corridoi e nella Sala Grande non lasciavano trasparire alcuna emozione. Persino il loro incontro nella biblioteca per l’Esercito del Mezzogiorno, dove per la prima volta avevano trovato un comune accordo, non aveva mutato la situazione.
Probabilmente se nella sua vita le cose fossero andate diversamente, oggi Thalia sarebbe stata solo uno spiacevole ricordo a cui dare il giusto peso. La rabbia che covava non era certo stata d’aiuto e non aveva potuto fare diversamente. Il problema era lei, erano i suoi demoni, e non riusciva ad essere diversa da ciò che era diventata. A volte si chiedeva se lei fosse davvero così, se quel suo lato di sé ci fosse sempre stato. D’altronde vi erano stati dei segnali durante la sua vita e, sebbene si fosse pentita di numerose azioni compiute, ad oggi non riusciva più a sentirne nemmeno un briciolo di rimorso, quando il pensiero la sfiorava, e con il sennò di poi a volte desiderava riviverle esattamente così come erano accadute.
Se c’era una cosa che ricordava, l’unica che aveva in qualche modo smosso una parte positiva, era stato l’incontro avuto con la Tassorosso all’Ars Arcana. Sapeva di aver avuto un atteggiamento del tutto indifferente nei suoi confronti ma una parte di lei, quella celata fra interi blocchi di cemento, aveva apprezzato molto il suo modo di depositare le armi a terra e farsi avanti. Non riusciva però ad essere diversa da ciò che era; per quanto poteva dispiacersi era convinta che Thalia non avrebbe mai preso un posto nella lista delle persone a cui avrebbe dato una possibilità per entrare nella sua vita. Quante cose però sarebbero potute cambiare? Le variabili erano una costante che non poteva controllare e lo sapeva bene. Elijah ne era stato la prova vivente, il cambiamento che non si sarebbe aspettata a cui non riusciva a dare una spiegazione.
E cosa ne sarebbe stato di lei e Thalia invece?
Teneva il braccio alzato con in pugno il bicchiere, era in attesa di una reazione e quando arrivò la colse del tutto impreparata. Doveva lei dare l’inizio alle danze e fu un peccato perché avrebbe tanto voluto vedere come se la sarebbe cavata la compagna.
La guardò per qualche istante, studiando la sua espressione. «Oh, beh,» abbassò il bicchiere e lo poggiò sul tavolo lasciandosi qualche momento per pensare. «potremmo brindare a queste ore di libertà,» un mezzo sorriso per poi tornare a far troneggiare il cristallo a mezz’aria «cosa ne pensi?» allungò il braccio verso la Tassorosso, pochi centimetri e i bicchieri si sarebbero scontrati.
«Sono curiosa di sapere cosa ti ha portata in mezzo ai babbani. Non sono certo un granché ma posso assicurarti che hanno il loro lato positivo.» alzò un sopracciglio e con un cenno del capo andò a indicare un gruppetto di giovani ragazzi che, a qualche metro da loro, ridevano spensierati alleggeriti dall’alcol.
Il voler essere nelle loro stesse condizioni la sfiorò appena, spegnere ogni pensiero e abbandonarsi totalmente a quella realtà sollevata dal peso che portava sulle spalle. Non era certo la strada giusta ma sembrava quella più vicina in quel momento, quella più semplice.
Tornò a guardare la Tassorosso e il mento si sollevò appena. Era certa di poter ottenere ciò che voleva da quella situazione, in un modo o nell’altro avrebbe voluto condurre il gioco e lei glielo stata permettendo: questa volta però avrebbe voluto vincerlo senza condizioni. Sapeva che avrebbe incontrato la sua pace solamente se si fosse ritrovata in pari con Thalia e così quella serata aveva assunto uno scopo ben preciso.
Tuttavia gli imprevisti avrebbero di certo mescolato le carte e stava a lei non perdere la giusta linea. Come avrebbe reagito la ragazza? Quali segreti si sarebbero rivelati quella sera?
Era una battaglia la loro, ancora una volta si trovavano a fronteggiarsi ma con una consapevolezza diversa che albergava in entrambe.
«Quindi? Brindi o no?» la esortò.
Qualunque sarebbe stata la reazione di Thalia, lei avrebbe poi poggiato le labbra sul bicchiere mandando giù il liquido tutto d’un fiato.



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Thalia Jane Moran

Megan non le piaceva e per quanto quella verità fosse ormai nota anche ai silenti muri di pietra di ogni corridoio di Hogwarts, la Tassorosso non si stancava mai di tenere a mente quanto accaduto tra loro, rinnovando la promessa implicita di appianare le divergenze al solo scopo di procedere serenamente ciascuna con la propria esistenza. Incrociarla nei corridoi del castello era praticamente impossibile e quando accadeva, la Corvonero le scivolava accanto silenziosa, senza sfiorarla e senza degnarla di un solo sguardo. Era comprensibile essere sorpresa per quell’anomalo avvicinamento, ma forse non avrebbe dovuto esserlo - visto che era stata lei ad attirare per prima la sua attenzione. Incontrandone lo sguardo carico di sfida, Thalia ebbe la tentazione di battere in ritirata prima di pensare di ingaggiare con lei una nuova lotta. Sentiva sulla pelle il pizzicorio tipico delle grandi occasioni in cui la sua linguaccia non sarebbe stata in grado di trattenere il proprio veleno: Megan sembrava scesa in Terra per guastare le sue giornate, i suoi momenti di libertà e spensieratezza, cambiandole l’umore in pochi secondi. Ancora si pentiva per aver permesso a Nieve di incastrarla, quel giorno in biblioteca, nell’arruolamento della Milford e di Bogdanow nell’Esercito del Mezzogiorno. Ricordava bene gli sguardi malevoli della Corvonero - come dimenticarli! - che, nemmeno dopo la misteriosa dipartita dei genitori di lei, aveva smesso di albergare sul suo viso. Da che cosa derivasse quella naturale predisposizione alla sfida non avrebbe saputo dirlo, ma in cuor proprio immaginava che tutto avesse avuto inizio in quel pomeriggio uggioso di qualche anno prima. Aveva esagerato, sapeva di averlo fatto, ed aveva cercato di porre rimedio al suo gesto a modo proprio e con i propri tempi. Megan non sembrava favorevole ad una riconciliazione e per quella ragione le riservò uno sguardo indecifrabile, provando a mascherare lo stupore di trovarla tanto amichevole nei propri confronti. Per esperienza, una simile confidenza poteva significare due cose: la Corvonero non reggeva l’alcol oppure era consapevole dall’inizio alla fine delle proprie azioni e l’avrebbe messa nel sacco - finalmente - come meritava. Non le restava che giocare le proprie carte e scoprirlo.

«Non li conosco.» ribatté pacata, guardandosi attorno distrattamente. Si concentrò su un paio di ragazzi seduti al bancone, incapace di cogliere vere e proprie differenze tra lei e loro. Sembravano così normali, così pateticamente noiosi da non suscitare in lei la minima curiosità. Quella scena, per certi versi, non era troppo diversa da quella che avrebbe potuto notare al Paiolo Magico o ai Tre Manici di Scopa. Erano solo esseri umani, anche se - forse - meno speciali. Nel suo rapporto con Máire, Thalia non aveva mai faticato ad accettare la natura comune della biondina né si era mai sentita superiore a lei; dopotutto, aveva cominciato a sfruttare la propria magia al di fuori del castello solamente da un anno e, fino ad allora, aveva dovuto comportarsi proprio come l'amica Babbana. Non si poteva fingersi diversi da ciò che si era, questo l'aveva capito molto tempo prima, ma nascondere una parte di se stessi - quella dotata di magia, che scorreva a fiotti nel loro sangue - era una delle più grandi limitazioni a cui la sua comunità fosse sottoposta. Per certi versi, Thalia invidiava i babbani, così semplici e spontanei da non doversi curare di smascherare un'intera fascia di popolazione miracolosamente nascosta ai loro occhi. «Cercavo un posto tranquillo e pensavo di averlo trovato. Evidentemente ho fatto male i miei conti.» concluse, sorridendole maliziosa. Negare di fronte all’evidenza del proprio disagio non sarebbe servito a nessuna delle due; Megan era intelligente ed avrebbe senz’altro colto la sfumatura sarcastica di quella risposta. I loro sguardi s’incrociarono per un momento, ma poi gli occhi ardesia della Tassorosso si rivolsero al bicchiere che la rossa stringeva tra le dita affusolate. *Non dovrei.* L'ultima volta, che poi era stata la prima, aveva fraternizzato con un uomo sconosciuto come se, in realtà, si conoscessero da sempre. Aveva fatto diverse figuracce - una peggio dell'altra - ma aveva finito col capire, trascinandosi nei Sotterranei, che da lì in poi avrebbe messo un freno alle trovate adolescenziali, tanto entusiasmanti quanto stupide. La sensazione di annebbiamento, l'incapacità di mettere insieme due parole e la strana euforia provocata dall'alcol erano solo alcuni dei sintomi di un malessere che non avrebbe mai più voluto sperimentare. Ironico che, proprio in quel periodo del sua vita, fosse proprio la Milford a porgerle il suo veleno preferito. Aveva senso - pensò - ma questo non le rendeva più facile accettare il mezzo attraverso cui avrebbe potuto guadagnare la propria redenzione. Sospirò, portando il bicchiere all'altezza di quello della compagna, aspettando che fosse lei a far tintinnare il vetro dell'uno con l'altro.

Non doveva cedere per molte ragioni, ma ce n'era una - su tutte - ad indurla a scivolare nell'oblio dell'alcol. Ipnotizzata dal colore ambrato del whiskey, Thalia si allontanò dal locale con la mente, isolandosi dal rumore e dalla musica di sottofondo, ignorando il chiacchiericcio e le risate degli avventori; si dimenticò di Megan, del suo sguardo su di lei e della sensazione che tutto ciò fosse dannatamente sbagliato. Ricordò quel pomeriggio di dicembre, prima delle vacanze di Natale e del modo in cui aveva provato a lasciar da parte il passato in funzione di un futuro migliore. Le sue scuse all’Ars erano rimaste sospese nel nulla, cadendo nel vuoto col saluto freddo della Corvonero. Non erano vere e proprie scuse, lo sapeva fin troppo bene, ma era convinta che Megan non si sarebbe accontentata di una banale richiesta di perdono. L’aveva umiliata, era stata prepotente. Non c’era motivo di fornirle uno spunto di redenzione, eppure Thalia sentiva di doverci provare. Sì, se l’aveva preteso lei stessa in altre occasioni, perché non avrebbe dovuto comportarsi così a propria volta? Improvvisamente, l’idea di bere quel whiskey non le sembrò più così malvagia e, forse, avrebbe potuto facilitare l’intero processo. Tornò al presente soltanto con l’aiuto di Megan, la cui voce la raggiunse come da una distanza siderale.
«Alla libertà, allora.» concesse, distogliendo lo sguardo dal drink. Era inutile: per quanto provasse a fuggire dalla resa dei conti più sanguinosa di sempre, si trovava allo stesso punto. Megan era pronta a sferrare il suo attacco e lei era pronta a sacrificarsi. Prendendo coraggio, avvicinò il bicchiere alle labbra. *Morgana, fai in modo che ne valga la pena!*
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La verità sul fondo del bicchiere ¬

Aveva ricambiato il sorriso malizioso di Thalia comprendendo a pieno la frase pungente.
«Mannaggia!» rispose così, alzando un sopracciglio e abbassando il labbro inferiore. Non si sentì offesa, anzi, la trovò divertente perché nonostante tutto sapeva di non potersi annoiare con lei.
Il tintinnio dei bicchieri risuonò nel loro piccolo spazio riservato, lasciando esplodere sulle labbra di Megan un sorriso sincero prima di concedersi quell'ultimo sorso tutto d'un fiato. Sembrava che ogni cosa fosse estremamente al passo con le sue aspettative ma allo stesso modo qualcosa pareva sfuggirle di mano. Si passò il pollice sulla linea delle labbra, nella parte inferiore, asciugando la leggera goccia che le aveva inumidito la pelle. Poi, dopo aver fatto dondolare il bicchiere a mezz’aria, poggiò quest’ultimo con decisione sul tavolo in legno, senza staccare le dita attorno al suo collo.
In quel momento posava gli occhi su Thalia certa di scorgere in lei, e di sentire in sé, qualcosa di più simile a una resa. Ma quali sarebbero state le modalità? Lei conosceva le proprie tuttavia ignorava quelle della Tassorosso, per questo motivo avrebbe cercato di comprendere in qualche modo.
Un passo alla volta avrebbe utilizzato mosse ben studiate. Come in una partita di scacchi avrebbe tentato di prevalere con intelligenza, furbizia, cercando di stare sempre una mossa avanti al proprio avversario; lasciando cadere lentamente sulla scacchiera ogni pedone, passo dopo passo. Ma quante cose sarebbero potute cambiare? L’imprevedibilità era qualcosa che doveva considerare. Prendere una strada e andare dritta fino alla sua meta era ciò che aveva sempre fatto, delle volte però aveva dovuto fermarsi, talvolta cambiare e perfino tornare indietro. Cosa sarebbe successo con Thalia?
Si spinse in avanti avvicinandosi di più al viso della ragazza, incrociando i suoi occhi grigi scuriti da quella luce che pareva far scorgere nel loro riflesso il colore di una tempesta appena passata. Tristezza? Confusione? Totale perdita della realtà? O semplicemente preoccupazione? Megan non capiva perché mai quello sguardo aveva qualcosa di familiare, qualcosa che sentiva di percepire chiaramente: un brivido freddo che non avrebbe voluto avvertire, non in quel momento.
Abbassò lo sguardo, chinando la testa verso la superficie legnosa, la mano che stringeva il bicchiere andò ad allentarsi e le dita iniziarono a percorre il bordo con delicatezza, toccando tutta la sua circonferenza. Era inutile soffermarsi su congetture dettate dalle proprie sensazioni, era inutile sentire ciò che provava in quel momento soprattutto se quello che riusciva ad attraversarla era solo un’onda malinconica.
Malinconia, tristezza.
Sempre così presenti nella sua vita che gli esigui attimi di felicità li riserbava a pochi e li custodiva gelosamente. A volte si chiedeva se avrebbe avuto, prima o poi, la possibilità di riemergere, di non perdersi una volta trovato uno sprazzo di luce, di non tornare nel buio. Fino a quel momento non c'era mai riuscita, se non alimentando l'anima di soli e brevi momenti di serenità.
Ora, però, non doveva pensare. Ora voleva solo bere.
Spostò lo sguardo verso la sala: i ragazzi erano ancora lì, stringevano i calici di birra fra le mani, ridevano, si abbracciavano e Megan sapeva benissimo che la sua serata non avrebbe avuto lo stesso esito. Non era la Moran in grado di farla sentire in quel modo, spensierata, o probabilmente in realtà era lei a non volerlo in generale. Così direzionò lo sguardo verso il bancone alla ricerca della ragazza alla quale poco prima aveva ordinato da bere.
«Allora Moran, è da un po’ che non siamo solo io e te.» alzò il mento passandosi la mano libera fra i capelli ma senza voltarsi a guardarla. Sulle labbra comparve un sorriso sardonico, mascherando qualsiasi pensiero che le aveva attraversato la mente negli istanti appena passati. Un respiro lento, controllato, e solo quando fu pronta tornò a incorciare i suoi occhi: Thalia non doveva capire, o solo immaginare, quanti e quali pensieri affollavano la sua mente.
Non era facile per Megan nascondere le sue emozioni, i suoi occhi e le sue espressioni lasciavano chiaramente intendere cosa poteva passarle nella testa. Dopo la divulgazione della notizia della morte dei genitori, poi, ogni cosa era amplificata e di riflesso anche le reazioni di chi incrociava il suo sguardo. Non aveva bisogno di essere compatita né di essere trattata in modo diverso, era una cosa che non tollerava.
Le iridi blu si soffermarono in maniera decisiva sui lineamenti della Tassorosso questa volta. Fino a quel momento non l'aveva mai guardata così bene, né si era accorta di quanto fosse cresciuta e cambiata la sua espressione. il suo viso delicato, spruzzato di lentiggini, lasciava la prima impressione di una ragazza dolce e gentile, ma Megan sapeva bene che non era affatto così e le era bastato veramente poco per farsi quell'idea. Thalia nascondeva altro sotto quella bella apparenza, aveva potuto testarlo, ma poteva davvero giudicarla? Lei era poi tanto diversa? No, eppure...
«Quante cose sono cambiate nel frattempo, non credi?» aggiunse mentre le mani ora si univano a sorreggere il mento. «E tu? Tu credi di essere cambiata?» Inclinò la testa da un lato ma prima ancora che potesse aggiungere altro la giovane cameriera irruppe fra di loro posando i bicchieri sul tavolo.
«Ecco a voi fanciulle! Ah, questi due sono stati gentilmente offerti da quei ragazzi laggiù. È roba buona!» fece cenno a indicare il gruppetto sul quale poco prima Megan si era soffermata, strizzò l'occhio ad entrambe per poi defilarsi.
Megan guardò verso i ragazzi, che erano a qualche metro di distanza dal loro tavolo, e uno di loro parve cogliere perfettamente il suo sguardo. Lo vide alzare il bicchiere facendo cenno con stampato in volto un sorriso malizioso e, affianco a lui, lo stesso fece il suo amico.
La Corvonero sorrise educata, nella maniera meno spontanea possibile, portò lo sguardo verso il liquido trasparente e qualche secondo dopo si rivolse a Thalia scoppiando in una risata flebile. «Questa non mi era mai capitata, davvero. Cos'è un tentativo di abbordaggio?» scosse la testa divertita. «Vogliamo fare le maleducate?» mosse le iridi di nuovo verso il cicchetto e poi in direzione della compagna. «Tutto d'un fiato, però.» afferrò il piccolo bicchiere e lo portò verso i due giovani ricambiando il gesto in segno di ringraziamento. Successivamente si spostò verso la Tassorosso e alzò le spalle «Ci risiamo.» concluse bevendo in un solo sorso.
Solo dopo aver poggiato il bicchierino sul tavolino aveva invitato la ragazza a riprendere il discorso da dove era stato interrotto.
«Dunque, dicevamo?»


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Thalia Jane Moran

Il tintinnio dei bicchieri non fu che l’inizio di una nuova prova; Megan la osservava con aria di sfida, come se si aspettasse da un momento all’altro di vederla vacillare. Ne aveva tutta l’intenzione, giacché la sua esperienza con l’alcol e i liquori non era vasta e tanto meno positiva, ma si convinceva istante dopo istante a darsi maggior credito, come se la vicinanza alla Corvonero la rendesse meno inibita di quanto in realtà fosse necessario. Il suo rapporto con il Prefetto non era mai stato facile né scontato ed, anzi, avvertiva nella persona seduta con lei una spinta ad eccedere in ogni comportamento; Megan testava la sua pazienza, la sua abilità a resistere all’impulso di scattare come una molla ogniqualvolta ne avesse l’occasione. Erano rivali, acerrime in un certo senso, e se anche il senso di colpa per quella situazione le suggeriva di esserne la responsabile, Thalia non riusciva mai a cedere del tutto al tentativo di redimersi. In qualsiasi circostanza la incontrasse, dalle sue labbra non usciva che un sospiro, sintomo di sconforto sempre maggiore, e l’intenzione di tentare un nuovo approccio in futuro si andava fortificando di volta in volta, senza mai trovare tuttavia una degna applicazione. Megan riusciva sempre a ridurre a zero ogni sua mossa e di questo Thalia non poteva che sentirsi responsabile. Le sue iridi, di quel tenue color grigio-azzurro, la seguivano e ne osservavano i movimenti: la sicurezza ostentata, la capacità di bere in un sol colpo il liquore rimasto sul fondo del bicchiere e, persino, i gesti calcolati per creare disagio in lei - così composta e in netto contrasto con il suo essere libera da ogni convenzione. Il vetro freddo si stemperò velocemente sotto il calore delle sue dita e del palmo morbido e non poté far altro che emulare la compagna, seppur con minor determinazione. Il primo sorso risvegliò la memoria col proprio gusto, simile al caramello su una manciata di pop corn. Nella mente il ricordo di Máire e la festicciola di quartiere, dove per la prima volta era riuscita a metter le mani su quella strana prelibatezza babbana, emerse prepotentemente; la stordì come un suono troppo forte e sordo, come se non avesse potuto opporsi in alcun modo a quella sensazione altrimenti inebriante. Il pizzicore alla gola e la sensazione piacevole di calore allo stomaco suggellarono definitivamente quel battesimo, mentre un lungo sospiro le restituiva il profumo del legno di cedro. Era un insieme di sensazioni nuove e avvolgenti, in un certo modo quasi emozionanti. Non si trattava del Moscow Mule, dell’umore con cui si era permessa di osare quella sera, né della ragione per cui aveva scelto di dimenticare l’intero evento. Era semplice Whiskey babbano, di buona qualità senza dubbio, e di una compagnia insolita in grado di spingerla oltre ogni limite immaginato dalla sua mente laboriosa. Megan le stava offrendo una tregua di cui non aveva saputo di aver bisogno sino a quel momento e, ora, quel brindisi alla libertà aveva cominciato ad assumere un nuovo strabiliante significato. Umettate e stropicciate le labbra in un sorrisino carico di sorpresa, Thalia lasciò il bicchiere sul tavolo appoggiandosi soddisfatta allo schienale. «Vero.» annuì, chinando il capo in cenno di assenso e seguendo lo sguardo della Corvonero «E’ proprio un peccato, ma… lo sappiamo di chi è la colpa, no?» aggiunse poi, sorridendo candidamente. Parlava senza freni, senza inciampare in paure futili. Il suo cuore batteva regolare nel petto, eppure percepiva una discreta frenesia nel voler scoprire ad ogni costo quale sarebbe stata la risposta del Prefetto. Avrebbe potuto evitare di porle quella stupida domanda retorica, ma ormai avevano raggiunto entrambe uno stadio di pacata consapevolezza difficile da scavalcare in favore dei vecchi rancori mai sopiti. Avevano sventolato bandiera bianca ed era giunto il momento di chiarire una volta per tutte ciò che, come un boccone amaro, era rimasto in sospeso tra di loro. *Non hai proprio idea di quante cose siano cambiate.* pensò, mentre l’espressione sardonica sul viso le restituiva l’esatta immagine di quella fugace riflessione; irrimediabilmente suonava come una frase fatta, ad hoc insomma, proprio per quella specifica conversazione. Più si convinceva di voler la pace tra lei e la Corvonero e più si sentiva sciocca nel voler sottostare ad un rapporto che, di fatto, non sarebbe mai stato diverso da ciò che era: una sfida costante, aperta alle possibilità e all’ultimo respiro.

Fu proprio un sospiro e l’aria scanzonata della rossa che accolsero la cameriera e due nuovi bicchieri colmi; gettato uno sguardo distratto ai due giovani gentiluomini, Thalia si limitò ad osservarli senza tuttavia eccedere coi ringraziamenti. Un angolo della bocca si distirò verso l’alto ad emulare un sorrisino, salvo poi sparire come una nuvoletta di vapore che si dissolve nell’aria. Il secondo bicchiere sarebbe rimasto pieno, per quel che la riguardava, col primo ancora colmo per metà del liquido ambrato. Non aveva intenzione di cedere alle lusinghe maschili, né di lasciar troppo spazio a Megan in quello scontro particolare. Il modo in cui si serviva degli alcolici era per lei motivo d’ammirazione - volendo definirla tale - e stupore insieme. Non avrebbe mai immaginato che un corpicino tanto esile e slanciato potesse reggere tanto bene quel particolare nettare. «Parlavamo di cambiamento.» suggerì, andandole in soccorso «E devo dire che sì, sono cambiate un paio di cose.» *Una o due, tanto per cominciare.* «Il Ballo delle Ceneri ha cambiato molte cose.» aggiunse poi, riferendosi maggiormente a se stessa con amarezza.
Era stata l’occasione per dimostrare al mondo che Hogwarts era rimasta in piedi, fiera e combattiva più che mai, come se dopo tutto quello che era successo ai G.U.F.O. di Swan, una festa avesse potuto render davvero giustizia ai caduti e alla ferita inferta al loro mondo. Naturalmente ci aveva creduto, aveva sperato lei stessa di dimenticare quanto accaduto quel giorno, ma lo sguardo dei compagni spaventati e rinchiusi nella Sala Comune sarebbe rimasto impresso a fuoco nella sua memoria per sempre, insieme alla fatica e alla costernazione.
E poi, c’erano i fattori personali. Su quelli aveva ampiamente riflettuto e non desiderava far altro che lasciare al Tempo il modo di emendare le sue ferite emotive: vergogna e disonore prima di tutto, ma anche senso di colpa, rabbia e imbarazzo, tutte incarnate da un unico essere vivente. Fatto di carne ed ossa come molti altri uomini, era riuscito là dove nessuno si era mai spinto e nemmeno il confronto-scontro aveva potuto soddisfare appieno il suo bisogno di risposte e la ricerca di una rivalsa. «Spero che il tuo Ballo delle Ceneri sia stato meglio del mio, te lo auguro proprio.» disse e gli occhi corsero al palmo destro, aperto ed adagiato delicatamente sul sinistro. Un chiromante avrebbe fatto carte false per leggere la storia scritta sulle linee delle sue mani, ma lei riusciva a vedere oltre quelle pieghe. Se si concentrava, riusciva ancora a vedere i segni della propria rabbia che lui si era tanto preoccupato di togliere.
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La verità sul fondo del bicchiere ¬

Subito dopo aver fatto quella domanda Megan sì lasciò cadere poggiando la schiena sulla spalliera. Gli avambracci stesi sul tavolo, le dita a stringere il bicchiere roteandolo lentamente e gli occhi bassi, posati sul cristallo. Nemmeno quando Thalia iniziò a parlare distolse lo sguardo: l’ascoltava senza far trasparire alcun interesse ma sentiva chiaramente ogni parola. Solo alla fine del discorso, solamente quando la parola “Ballo” venne pronunciata di nuovo, accompagnata da una domanda, sospirò e alzò gli occhi verso l’alto lasciando la testa cadere indietro.
«Il Ballo? Una perdita di tempo.» si ricompose fissando le iridi cineree della Tassorosso.
«Credi sia servito a qualcosa? Non penso.» Non avrebbe voluto sembrare così cinica e fredda ma d'altronde non era capace di pensarla diversamente. Solo con Alice era riuscita a spendere due o tre parole di conforto ma si trattava di una cosa pressoché personale: aveva consolato un'amica.
Quelle parole si erano slegate dal pensiero che da quel giorno l'aveva accompagnata, palesandosi alla presenza di chi probabilmente avrebbe potuto contestarle. Si fecero spazio fra le sue labbra senza alcuna censura e tentennamento, fredde come il ghiaccio.
Il giorno dei GUFO di Patrick, il giorno in cui Hogwarts venne rasa al suolo, per lei aveva assunto tutt'altro significato e la vita di tante persone, che avevano rischiato e anche perso, aveva un'importanza minore. Una parte sé, però, avrebbe dovuto ringraziare chi quel giorno aveva difeso la sua nuova casa, chi aveva combattuto per non perdere nulla di ciò che aveva costruito, ma non v'era riuscita allora e non lo avrebbe fatto oggi.
«Posso dire di aver imparato a ballare, però! Non credevo che Sullivan avesse questo genere di "doti".» affermò divertita evidenziando l'ultima parola, poi le mostrò un mezzo sorriso a sancire la fine di quella prima parte. In quel momento l’immagine chiara di quell’evento si palesò davanti ai suoi occhi e Thalia sfumò via.

Ciò che aveva provato quella sera lo aveva definito “strano”, perché cumuli di emozioni si erano contrapposti fra di loro lasciandola vacillare in una limbo dove non aveva alcuna certezza. C’era stata gioia, spensieratezza, vuoto e ad oggi il pensiero di poter avere la possibilità di riviverlo ancora le provocava ansia.
Non si era mai sentita così sopraffatta dalle emozioni che, positive e negative, si erano insinuate nel suo corpo e nella sua mente. Aveva accarezzato Elijah e le loro labbra si erano quasi sfiorate; gli aveva permesso di spingersi oltre e ora si sentiva così confusa da non volerci nemmeno pensare. Perché per lei era chiaro quanto si era esposta quella notte mostrando al Serpeverde ciò che aveva dentro, lasciando che scavalcasse il muro di cemento che aveva eretto e per qualunque persona impenetrabile. Ora lui avrebbe saputo riconoscere i suoi punti deboli e lei non avrebbe mai voluto sentirsi in pericolo.
Così, nei giorni a seguire, si era rifugiata nei suoi pensieri, rimuginando fra di essi e arrivando alla conclusione che non avrebbe mai più permesso a Elijah di farlo di nuovo: di approfittarsi di lei così come aveva fatto con tutte le altre.
La reputazione di Sullivan era nota a molti ma Megan era solita sperimentare sulla sua pelle prima di mettere una croce sopra a qualsiasi persona, o situazione. Aveva visto in lui qualcosa, si era sentita legata a lui dal dolore che, seppur in maniera differente, condividevano. Poi c'era Victoria e Megan aveva un debole per quella ragazzina, che si sentiva in dovere di proteggere. Tuttavia non era lucida quella sera, la bottiglia di Whiskey aveva alleggerito qualsiasi azione e parola. Si chiedeva spesso se tutto ciò che aveva provato fosse stato solo un impulso dettato dalla circostanza, dal fatto di essere una ragazza e lui un ragazzo, oppure se c'era davvero dell'altro.
Ci pensava spesso ma la conclusione giungeva chiara ogni volta: quella notte tutto era stato un tremendo errore.
La sua mente percorreva veloce ogni istante, attimo dopo attimo, e fu per lei impossibile non ricordare cosa l'aveva spinta sulla Torre il giorno del Ballo delle Ceneri. Limpida fu la figura di Wolfgang davanti ai suoi occhi: il suo viso rivolto altrove e una bottiglia in mano, poi le sue parole e con esse la consapevolezza, sempre più definita, di aver sbagliato tutto con lui.
Era cambiata e con lei ciò che la circondava, ineluttabilmente. Sì, aveva distrutto il legame che avevano costruito nel tempo ed era stato un errore. Megan ne era cosciente ma non era sicura di poter rimediare, di esserne realmente capace, o di volerlo.
Sempre la stessa storia a tormentarla: non voleva fargli del male, più di quanto non gliene avesse già fatto inconsciamente e sebbene poteva essere considerata una scelta egoistica a lei non importava.
Non sarebbe mai cambiata per questo teneva a debita distanza chiunque.

TUM.
Il rumore del vetro sul legno la fece sobbalzare, distogliendola completamente dai pensieri. Si morse il labbro e recuperò il bicchiere, poi lasciò le braccia incrociarsi contro il suo busto in una posizione di totale chiusura.
«In ogni caso credo di aver perso qualcuno e di aver smarrito me stessa quella sera.» la voce era priva di ogni emozione, scandiva quelle parole come se non avessero senso, come se non scalfissero affatto il suo cuore. Le labbra tuttavia la tradirono, si assottigliarono e un’espressione ferita comparve sul suo volto.
«Il Ballo delle Ceneri ha cambiato molte cose.» ripeté le parole di Thalia, confermando anche per lei quella condizione. Abbassò lo sguardo mentre un sorriso forzato si fece spazio sul suo volto «E se devo dirti la verità, beh... sono stanca.»
Tornò a spingersi in avanti verso la Tassorosso, le braccia si sciolsero dalla morsa e la mano sinistra afferrò l’ultimo bicchiere di Whiskey rimasto. Un sorso e lo buttò giù tutto d’un fiato, poi con il dorso della mano cercò di tamponare le gocce sui bordi delle labbra: non lasciò il bicchiere sul tavolino ma lo strinse fra le sue dita con forza, cercando di dare sfogo alle tremende sensazioni che stava provando.
«Dimmi: come ti sentiresti se improvvisamente il tuo mondo cadesse a pezzi? Se l’unica certezza ti venisse portata via? Se nonostante i tuoi sforzi non riuscissi a liberarti della sensazione di vuoto che ti circonda?» alzò il braccio lasciando oscillare il bicchiere fra le dita.
«Credi che quassù nessuno possa ferirti e poi?»
La mano si aprì e il bicchiere cadde sulla superficie legnosa frantumandosi in mille pezzi. Un rumore secco che si confuse fra il caos del locale ma che non sfuggì agli occhi attenti della cameriera.
«E poi qualcuno decide di farti a pezzi. Lasciandoti quaggiù, sola, abbandonata, e tu ti porti dietro ogni scheggia.» aggiunse afferrando un frammento di vetro, spingendolo verso la Tassorosso.
«Ferire le persone è diventata la mia specialità e sono certa di riuscirci molto bene.» le dita premettero forte e il sangue fuoriuscì dall’indice.
Quanto era difficile per lei accettare tutto quello: la condizione di una vita che non avrebbe mai voluto. Spesso s’immaginava diversa, colmata da una serenità che riusciva a scorgere nei volti di molti studenti a Hogwarts. Era consapevole di non essere l’unica ad avere dei mostri dentro di sé ma non era riuscita mai a trovare qualcuno che non riuscisse a gestirli proprio come lei. Sembrava l’unica al mondo e si sentiva sbagliata, arrabbiata, tremendamente in difetto.
Se era così, se era diventata quello che i suoi genitori non avrebbero mai voluto vedere, era proprio per colpa loro. Per anni aveva vissuto in una teca di vetro, colmata da false verità e illusioni. Ora si portava dietro tutto e questo non poteva evitarlo in alcun modo.
Dove sarebbe arrivata? Non lo sapeva.
«Sai Thalia, come ti dicevo prima, molte cose sono cambiate. Non sono la persona che ero un tempo ma non credo che tu abbia inciso particolarmente nel mio cambiamento.» portò il dito ferito verso le labbra, succhiando via il sangue, mentre il frammento giaceva nell'esatta metà del tavolino.
«Sei solamente stata stronza, d’altronde è così facile farla con chi è più piccolo di te. Non trovi? Forse però non lo reputo poi così divertente.» uno sguardo alla ferita e poi portò gli occhi blu verso la figura di fronte a sé. Il tono piatto riusciva a far capire chiaramente alla Tassorosso che quelle parole erano alimentate da una calma sarcastica, che avrebbe ceduto prima o poi nel liberare la vendetta che albergava in lei da anni.
Ma l'alcol che ruolo avrebbe avuto? Stava già dando i suoi primi risultati e tutto sembrava essere in costante mutamento.


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Inclinò il capo di lato, in un pacato cenno di assenso, condividendo in buona parte le idee della Milford sul Ballo. Non sarebbe stata una festa a ripulire i segni del Fuoco dalle pareti, a cancellare il dolore per la perdita di persone amate o a instillare nuovo coraggio in coloro che avevano avuto la fortuna - o sfortuna - di restare. Era convinta quanto Megan che quella cerimonia non fosse servita a nulla e, benché una parte di lei avesse riversato nell’evento una buona dose di speranza nel Futuro, quest’ultimo non aveva fatto altro che apparirle nebuloso ed incerto. Richiuse le dita sul palmo aperto, percepì una stretta allo stomaco, come se d’improvviso avesse ricordato qualcosa di estremamente doloroso e che aveva cercato di dimenticare con ogni fibra del proprio essere. Non sapeva dare un’identità a quella sensazione pungente, ma sapeva che non aveva nulla a che vedere con Megan e i suoi tentativi di danza con Sullivan. Fu ciò che la strega disse in seguito a gettarla in uno stato di sconforto totale e cominciò a nutrire così la convinzione che proprio loro - avversarie senza una vera e propria ragione - fossero più simili di quanto volessero ammettere. Forse Megan non riusciva a vederlo da sola e probabilmente non sarebbe spettato di certo a lei mostrarle la verità alla quale si stavano avvicinando arrancando nel buio, eppure Thalia cominciò a comprendere meglio quella stretta alla bocca dello stomaco, iniziando a capire perché in tutti quegli anni avesse percepito un legame con la Corvonero. Se solo avesse provato ad instillare nella ragazza che ora le sedeva di fronte quell’idea assurda, Thalia sapeva che avrebbe ricevuto solamente disprezzo e una fredda risata di scherno. Tutto ciò che poteva fare era assecondarla, sperando che quella capisse - o perlomeno tentasse di comprendere - quanto fosse stupido continuare ad odiarsi. Portare rancore era stupido, se ne rendeva conto solo ora, e se fosse stata davvero coerente avrebbe cercato di approcciarsi a chiunque le avesse fatto un torto in modo differente, in virtù di quella nuova e strabiliante concezione di vita. Se ci pensava bene, Weiss aveva agito d’istinto - un atto d’impulsività che aveva pagato a caro prezzo - ma che cos’era in confronto ad altri gesti? Che cosa la rendeva diversa da lui se il suo sguardo, ora, si posava sul volto dall’espressione quasi assente di Megan? L’unica differenza era la diversa maturità e l’età in cui tutto ciò era avvenuto. Quella era l’unica giustificazione che Thalia era riuscita a trovare e vi si era aggrappata con ogni forza, come se ne dipendesse la propria esistenza. Poco prima che il bicchiere s’infrangesse sul legno appiccicoso del tavolo, Thalia scostò a malapena il volto, schermandosi gli occhi con la mano sinistra. Rivolse uno sguardo di scuse alla cameriera - insieme ad una promessa di pagamento extra nell’espressione dolente di circostanza -, dopodiché si limitò ad osservarla, lasciandole terminare quel lungo monologo.

Non era stata corretta e sentì di meritare l’insulto che la Haven le rivolse. Forse la Corvonero se ne sarebbe stupita, se non immediatamente almeno in un secondo momento, ma la Tassorosso si limitò ad annuire, complice in quella battaglia fatta di frasi a lungo meditate.
«Come darti torto.» aggiunse senza timore, scostando i pezzetti di vetro dal bordo e riunendoli in un mucchietto di frammenti al centro esatto del tavolo «Sarò stata anche più grande di te, ma questo non toglie che possa essere stata anche più stupida.» Lo sguardo fisso sui pezzetti di vetro trasparente le risparmiò di cogliere l’espressione della Corvonero e di rivelare così l’imbarazzo di quella bruciante ammissione. Senza ferirsi fisicamente, aveva inferto a se stessa la più dolorosa delle penitenze: l’ammissione di colpa, una sconfitta morale alla quale aveva sperato di non avvicinarsi mai. Convinta di essere nel giusto, di poter dare sempre il meglio di sé, aveva finito per peccare della stessa superbia che tanto odiava. Alla fine dei giochi aveva cominciato davvero a somigliare a Leanne, senza averne però alcun motivo. Se sua madre aveva cercato la rivalsa per giustificare l'abbandono paterno, lei non aveva proprio scuse. *Bugiarda.* pensò, mentre la consapevolezza della menzogna andava a rafforzarsi. Sapeva bene quale fosse la causa scatenante di tanta incoerenza e di tutti quegli sbagli, ma ammetterlo avrebbe significato schierare in campo la più tremenda delle armi a disposizione della Sorte.
«Non mi prenderei mai tutto il merito di averti resa quella che sei.» solo allora avrebbe sollevato lo sguardo sulla sua espressione, cercando di decifrarne ogni significato nascosto «Alcune cose ci cambiano senza succedere davvero. Basta la paura, a volte, per scatenare le reazioni peggiori in un uomo grande e grosso... o in una ragazzina stupida e boriosa.»

Finalmente, dopo quella che le era sembrata un'eternità, la stretta allo stomaco cominciò a sciogliersi, come le spire di un serpente che abbandonino una preda priva di qualunque interesse. Aveva ammesso di avere paura e, anche se Megan non sapeva di che cosa si trattasse, era certa di averle appena fornito un pretesto per attaccarla. Una battaglia in campo aperto sarebbe stata troppo equa per ricalibrare gli equilibri; ora la Corvonero si trovava in un punto sopraelevato, dal quale la situazione doveva esserle tanto chiara e le opportunità così allettanti da suggerirle di approfittarne. «In natura si attacca per due motivi: paura o necessità. Quel giorno avevo bisogno di un capro espiatorio su cui riversare tutte le mie frustrazioni.» lo ammise candidamente, senza aspettarsi che lei lo apprezzasse veramente. Come avrebbe potuto, del resto, ammirare colei che tanto serenamente andava a confermare un'idea che era andata consolidandosi naturalmente nel tempo? «Ti sei sacrificata a me senza saperlo e ora che ho provato sulla mia pelle un sopruso diverso, ma molto simile... mi rendo conto di che cosa tu possa aver provato quel giorno.» sospirò, abbassando lo sguardo sulle dita intrecciate.
«Capisco la tua rabbia, la frustrazione e la voglia di rompermi il naso... o qualsiasi altra parte di me che ti possa dare fastidio. Ho provato le stesse cose verso qualcun altro e credimi... non ti portano a nulla. Far soffrire chi ti ha fatto del male non ti darà gioia né consolazione.»
Contrariamente a quanto aveva promesso a se stessa entrando nel locale, le dita affusolate cinsero l'ultimo bicchiere pieno rimasto e, prima di proseguire, riuscì a berne un lungo sorso. Il bruciore lungo l'esofago le tolse il respiro e le annebbiò la mente per un istante, ma non abbastanza da impedirle di concludere la spiegazione di quell'assurdo concetto.
«Se pensi che ti serva darmi una lezione, fallo pure... ma ti accorgerai di due cose: punirmi potrebbe non servirti a nulla oppure capiresti che darmi una sola lezione non ti basterà mai.»

Senza aggiungere altro, il bicchiere tornò alle labbra della strega e il bruciore nella gola aumentò, fino a spegnersi lentamente in un lungo ed agognato sospiro.
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La verità sul fondo del bicchiere ¬

Si sentiva leggera: la testa girava appena e le voci del locale risuonavano nei timpani, lontane. Era sicura di poter reggere ancora un altro bicchiere di Whiskey ma se fino a quel momento aveva cercato rifugio nell’essenza fruttata del liquido ambrato, trovandone la giusta distrazione, ora sembrava che Thalia avesse raggiunto un gradino più alto della sua scala. Quella discussione stava prendendo una piega del tutto insolita: Megan non riusciva a spiegare il motivo degli anni passati a riserbare quel rancore ancora vivo in lei ma più trascorreva il tempo insieme alla Tassorosso, più si chiedeva quale era davvero il punto. Cosa l’aveva condotta a sedersi a quel tavolo? Un puro e semplice divertimento? O c’era altro?
La lasciava parlare, ascoltava ogni singola parola senza interromperla e lo sguardo, attento, non si scostò nemmeno quando la vide sistemare i cocci sul tavolo. Non era certa di sapere ciò che provava stando davanti a lei ma da troppo tempo nutriva quel rancore per far sì che sfumasse via in così pochi attimi di conversazione. Era la prima volta, dopo un lungo periodo, che si trovava faccia a faccia con quella ragazza e per quanto poteva sembrarle cambiata non riusciva a vedere in lei qualcosa di diverso.
«Ti sbagli», disse dopo qualche attimo di silenzio «non sono arrabbiata, non più almeno» continuò con i volto un ghigno divertito, «credo solamente che non meriti affatto di avere la mia considerazione», scostò una ciocca di capelli dal viso e si allungò con il busto verso di lei. «Hai avuto tempo, anni, per venire da me e dirmi tutto questo ma non t’importava», scosse la testa appena «e non t’importa nemmeno adesso», strinse le labbra trattenendo una smorfia. «Sii sincera, sto sbagliando?» le sopracciglia si alzarono e la testa si inclinò da un lato. Un attimo di pausa prima di continuare, poi spostò l’espressione oltre la figura lasciando elaborare ogni pensiero che in quel momento l’assaliva. Davvero vuoi darmi una lezione di vita?, spinse le spalle verso lo schienale della sedia incrociando le braccia, lasciando il corpo adattarsi perfettamente alle forma dell’oggetto.
« Thalia, io una cosa ho imparato quel giorno: a non voler essere come te. Non mi interessa andare oltre, né darti la possibilità di essermi amica» tornò a guardarla, «e ti prego, non darmi giustificazioni stupide e frasi di circostanza che non ne ho bisogno» aggiunse ancora senza freno, «piuttosto ti auguro solo che tu lo abbia capito, perché in questo mondo non sei l’unica ad avere delle paure» puntualizzò con risolutezza, mentre le dita della mano destra iniziarono a tamburellare sulla superficie legnosa.
«Eri piccola e so che si commettono degli sbagli ma tu sei così e per quanto difficile possa essere ammetterlo, la questione non cambia di una virgola», continuava a intarsiare la dose sputando fuori i suoi pensieri dai quali sarebbe stato difficile allontanarsi. «E io sono questa» allargò le braccia, «possiamo farci qualcosa?» solo in quel momento si rilassò del tutto. Quello che stava succedendo fra loro non era chiaro, d’altronde non lo era nemmeno il loro rapporto. C’era qualcosa che le legava inevitabilmente, qualcosa che entrambe rifiutavano di vedere. Ma cosa? Gli occhi di Megan, nel presente o in futuro prossimo, non avrebbero mai smesso di guardarla in quel modo, con indifferenza.
«Cosa ci fai davvero qui?», le concesse un sorriso autentico per la prima volta. Forse non sarebbero state mai amiche e allo stesso modo nemmeno nemiche, probabilmente si sarebbero accontentate di essere ciò che erano l’una con l’altra, unite da un rapporto indefinito.



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Stiracchiò un angolo delle labbra nell'accenno di un sorriso più amaro del fiele e continuò a tacere, lasciando che Megan le sputasse addosso tutto il suo veleno, mascherato dalle buone maniere e da quel falso atteggiamento passivo-aggressivo. Chi si stava elevando, ora, al rango di creatura superiore? Chi tra loro voleva mettere davvero a nudo l'altra? Si scoprì del tutto disinteressata alla risposta, benché quella fosse palesemente davanti ai suoi occhi, vestita di caldi abiti invernali e un'espressione algida dipinta in volto. «Sei tu che ti sei seduta qui.» interruppe il silenzio, continuando a guardarsi le mani, accarezzando la linea al centro del palmo aperto col pollice. In silenzio, aveva ripercorso quel pomeriggio tempestoso, ricordando i fulmini e i tuoni attorno a loro. Si erano odiate in silenzio, detestate senza timore di mostrarlo apertamente ed ora erano sedute allo stesso tavolo. Che cosa significava tutto ciò? «Questo è il mio tavolo. Non sei stata invitata.» puntualizzò allora, ben sapendo che la corda tesa tra loro - quella della pazienza di Megan - stava cominciando a sfilacciarsi sempre di più, pronta a spezzarsi sotto la forza della trazione. Thalia stava davvero facilitando la rottura o era stata Megan a cominciare? Chi avesse il merito di aver dato inizio a quell'ennesimo confronto-scontro non aveva importanza: ciò che contava davvero era sapere come sarebbe andata a finire. A quel punto, smise di massaggiare l'incavo della mano, decisa a porre fine a quell'assurdo teatrino delle false buone intenzioni. Era stanca di tutto, dell'alterigia di Megan e del suo bisogno patologico di essere in pace col mondo anche quando, e soprattutto, quello continuava a sfuggire al suo controllo. Era ora di smetterla e lo sapeva da più tempo di quanto non avrebbe osato ammettere. «Visto che ti sei autoinvitata, tanto valeva dirti quello che non sono riuscita a dirti all'Ars.» sollevò le iridi color ardesia, incontrando quelle azzurre di Megan, e sospirò. «Ho approfittato del fatto che tu fossi qui, lo ammetto. Volevo finalmente essere in pace con me stessa. E tu che scusa hai per essere seduta qui?»
Approfittò di una prima parvenza di silenzio per terminare il proprio bicchiere e cominciare a raccattare le proprie cose. Mandar giù l'ultimo sorso fu più semplice di quanto avesse immaginato, il bruciore attenuato dall'assaggio precedente. Senza smettere di guardarla, Thalia trovò con l'aiuto del tatto la sciarpa all'angolo della panca e cominciò ad avvolgerla attorno al collo esile. Probabilmente, Megan stava meditando vendetta per quella risposta cortese, ma affatto amichevole. E come darle torto? Si era scoperta intollerante con lei già una volta, perché fingere di non poterlo più essere? Quanto fastidio poteva darle che la sua indifferenza non la toccasse affatto? «Sai, una volta ho ringraziato qualcuno per un favore e quella persona mi ha detto che non c'era alcun bisogno. Che l'aveva fatto più per istinto che altro. Ecco.» indossò velocemente la giacca e, dopo aver contato gli spiccioli babbani che aveva in tasca, lasciò cadere le monetine sul tavolo. «In questo momento ho realizzato che cosa volesse dire. E per me è lo stesso. Sentivo di dover assecondare un istinto, di doverti delle scuse. Che tu ci creda o no. Accettarle o meno dipende da te. Io continuo a vivere benissimo comunque.»
Fu allora che si alzò, pronta a congedarsi, e sorridendole garbatamente si sistemò il bavero del cappotto. «Questo giro lo offro io, sempre per quella specie di... istinto.»
Certo, citare e parafrasare Elijah non era stata una gran cosa, a ben pensarci; se solo l'avesse saputo - ovunque egli fosse finito - si sarebbe goduto ogni istante di quel battibecco ed avrebbe gioito ancor di più dell'idea di averle insegnato qualcosa sulla natura umana. Ma Thalia aveva davvero imparato qualcosa su Megan quella sera? O aveva capito qualcos'altro di se stessa?
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Le dita avevano ripreso a tamburellare sul tavolo, lo facevano ritmicamente seguendo la musica che inondava il locale. Megan non aveva staccato nemmeno per un attimo lo sguardo dalla Tassorosso; non aveva fatto altro che rimanere immobile e ascoltare, lasciare sfogare la ragazza con in volto un’espressione vuota, priva di qualsiasi emozione. Tuttavia, la mente elaborava ogni parola e cercava di dare risposte a domande che l’avevano abbracciata fin dal momento in cui aveva deciso di sedersi a quel tavolo. In realtà erano tutte legate a un’unica sola questione: perché lo aveva fatto? Perché si era seduta lì? Divertimento. Di questo era certa, solo che le dinamiche non erano poi andate come aveva previsto, o come credeva potessero andare. Si sarebbe aspettata di tutto, un dibattito acceso o uno scontro aggressivo - visti gli anni trascorsi a lasciar covare astio – ma non che la giovane Tassorosso le rivolgesse delle scuse sincere. Per questo Megan rimase del tutto colpita e destabilizzata dal fatto; era sempre stato distaccato il loro rapporto, colmo di tensione, e non poteva credere che stesse succedendo sul serio. Avrebbe voluto provare dispiacere nell’atteggiamento che aveva assunto e che continuava ad assumere con Thalia ma non era così, non lo sarebbe mai stato. Doveva essere deludente, a tratti umiliante, vedere che nonostante gli sforzi nel confessare un pentimento la controparte non faccia altro che riversarti contro una continua passiva aggressività. Non poteva biasimarla se era arrabbiata, se in quei gesti meccanici in cui intuiva un controllo a tratti instabile, v’era nascosta la voglia di proiettare un incanto o anche semplicemente darle un pugno in pieno volto. Ora se ne stava andando e Megan la rendeva protagonista di una scena che sembrava così perfetta ma che non durò a lungo. Difatti, nel momento esatto in cui la vide alzarsi e gettare le monete sul tavolo sogghignò divertita. Esibì una fragorosa risata senza alcun freno, la testa dondolava a destra e a sinistra palesando un chiaro “No”, poi tornò a guardarla, l’espressione mutò ancora e il suono della voce precipitò nel silenzio. Thalia stava cercando di colpirla ma lei non sentiva nulla, nessuna freccia arrivava dritta a bucarle la pelle. «Divertimento», disse improvvisamente curvando le labbra verso il basso e alzando le spalle. «L’ho fatto semplicemente per divertimento, tutto qui» ribadì con fermezza. Le dita ora disegnavano un cerchio continuo sul tavolo, un modo per Megan di scaricare la tensione, l’impulsività.
«Ah, e l’istinto è una stronzata» parlò ancora portando gli avambracci sul tavolo, le mani si unirono e Megan vi poggiò sopra il mento. «Se lo hai fatto è perché era ciò che volevi» strinse le labbra e sorrise. «Sono i fatti che mi interessano non le parole, Thalia. Mi spiace, probabilmente qualche anno fa questa conversazione sarebbe stata differente, chi può dirlo? Hai solo scelto il tempo sbagliato e di questo non posso attribuirtene una colpa» asserì, poi fece cenno con la testa in direzione dell’entrata del locale. «Allora… vai, no? Le persone sono capaci di scappare quando le cose non riescono a gestirle» si morse il labbro inferiore, gli occhi si spensero per qualche attimo e solo dopo un breve respiro, per lei essenziale, il blu cobalto s'accese nuovamente e la ragazza manifestò un’espressione provocatoria. «L’istinto ti porta ad andare via e forse è un buon suggeritore. »
Poteva davvero buttarsi tutto alle spalle e le avrebbe fatto bene in un certo senso; i pensieri spesso avevano sfiorato l’idea di lasciar stare e di non continuare a gettare benzina su un fuoco smorzato dal tempo. Quest’ultimo era trascorso e anni definivano quella storia ma Megan era consapevole del fatto che - per quanto all’epoca la Tassorosso fosse stata irrispettosa – il suo era solo un modo per sfogarsi e lasciare uscire parte di ciò che aveva dentro. Questo suo “giocare” sottolineava in maniera netta la sua incapacità di avere rapporti, o semplicemente di recuperarli. Un tentativo fallito più volte che con il trascorrere degli anni aveva confermato la sua posizione sociale, forse irrecuperabile. Eppure quella sera una parte di lei, la più intima, era uscita e forse Thalia aveva potuto vedere la tristezza che inondava i suoi occhi, soffocava ogni respiro. Non era un tabù la morte dei suoi genitori ma lei lo era e mai nessuno si era seduto al suo fianco semplicemente chiedendole come si sentisse realmente nonostante i chiari segnali che venivano fuori nonostante cercasse di trattenersi. Un costante tacito aiuto che nessuno era in grado di capire veramente. Così Megan si chiedeva spesso chi sarebbe stato in grado di essere quella persona per lei e se davvero ci sarebbe stata.
Lo sguardo ora posava altrove, guardava il locale e le persone al suo interno: avrebbe voluto essere qualcun altro, solo per qualche ora, dimenticandosi di tutto ciò che la torturava ogni singolo giorno. Un battito di ciglia e riprese cognizione di sé, poi con il gesto della mano andò a chiamare la giovane cameriera che in pochi secondi fu al tavolo. Il conto venne saldato e lasciò che fosse Thalia stessa a farlo, una decisione presa con fatica ma che lasciò andare senza alcuna obiezione. Così, non appena tornarono a essere sole Megan sorrise alla compagna, nessun “Grazie!” ad accompagnare quell’espressione ma era evidente la propria gratitudine.



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view post Posted on 21/9/2019, 10:01
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Non si poteva piacere a tutti e, oltre ad essere un dato di fatto, questa era anche una regola con cui aveva iniziato a fare i conti già da diverso tempo. Non si poteva pretendere di occupare un posto speciale nel cuore di chiunque e Thalia aveva appreso quella lezione fin da bambina. Forse Megan era abituata a dettar legge a destra e a manca - ed il tono compassato, i gesti studiati e lo sguardo manipolatore le suggerivano che fosse proprio così. La giovanissima Megan Milford-Haven, orfana di padre e madre, doveva aver vissuto un’infanzia agiata, circondata dall’affetto dei propri cari che l’aveva resa ai suoi occhi arrogante e viziata. Si spingeva all’eccesso, Megan, con quei comportamenti da donna adulta e vissuta: l’alcol, le lezioni di vita impartite con un certo carisma, tutto di lei le faceva pensare che quella fosse una costruzione creata ad hoc dalla Corvonero per tenere a distanza le persone inutili e sciocche. Avvertiva l’urgenza, in un certo senso, di squarciare quella corazza, metterla a nudo e rendere palese quella debolezza mascherata; d’altro canto, il tempo e quegli affetti sinceri di cui piano piano si era circondata le avevano fatto capire che, per certe cose, non sarebbero bastati né il tempo né la volontà. Megan sarebbe sempre stata quel genere di persona incapace di valutare le emozioni altrui, farle proprie e da esse generare un qualsiasi tipo di rapporto nuovo, basato sulla consapevolezza che l’altro esista così com’è e non come ella vorrebbe che fosse. Erano incompatibili, insomma, ad un livello tale che - per un istante - Thalia associò Megan ad Iris, sua sorella. Anche la Serpeverde adorava comandare a bacchetta chiunque le stesse intorno, con la consapevolezza di potersi proteggere dalle conseguenze delle proprie azioni grazie al bel viso, i modi studiati a tavolino e le frasi giuste pronunciate nel momento più appropriato.
Thalia sorrise, allora, prima che la sua empatia potesse anche solo azzardarsi a trattenerla in quel pub. Soccorrere chi aveva bisogno d’aiuto era la sua vocazione ed il suo peggiore vizio; lo era stato nei suoi primi anni di vita - con quel sentimento profondo verso le sorelle minori - e lo era stato fino a poco tempo prima. Ora, però, c’erano dinamiche diverse in corso, situazioni spinose che necessitavano di tutta la sua attenzione per essere risolte al meglio e, in quel quadro complesso, Megan non era altro che una goccia di colore anonimo su una tela variopinta. Quando si decise a parlare, Thalia aveva assunto un'espressione assorta, assorbita completamente dal ricordo di quel pomeriggio da Florian dopo l'avventura di Gerusalemme.
«Sullivan aveva ragione.» mormorò a mezza voce, ripescando dalla memoria il volto del Serpeverde «I punti di vista non possono sempre coincidere. E' un vero peccato, no?»
Calato il berretto di lana sulla fronte e sistemati i capelli dietro alle orecchie, non seppe dire se, dopotutto, Megan avesse capito che cos’avesse voluto dire con quelle poche e semplici parole. Di certo, l’espressione sul suo viso la lasciò interdetta e sentì di dover colmare il vuoto occupato dal silenzio tra loro con un’ultima glaciale battuta. China sul tavolino, coi palmi appoggiati al legno appiccicoso, assunse l’espressione più serafica che fosse riuscita a simulare, con gli occhi fissi in quelli blu cobalto. La tentazione di oltrepassarli e curiosare là dove nessuno sarebbe arrivato era più forte che mai, ma non ne aveva bisogno. In fin dei conti, era riuscita a capire comunque chi fosse Megan per lei. «Thalia Moran non scappa mai da nulla, ricordatelo. Ha solo imparato a lasciarsi alle spalle le cause perse.» Tornata in posizione eretta, sorrise ancora, stavolta con un pizzico di malizia impigliata tra le labbra rosee. Si voltò senza aggiungere altro e gettando un ultimo sguardo al locale babbano sbuffò. Come prima esperienza d’immersione in una realtà vista sempre dall’esterno, non era stata un granché. Forse, in futuro, ci avrebbe provato ancora. Solo il Tempo avrebbe potuto dirlo.

Quando l'aria fredda della sera la investì in pieno, si sentì rigenerata da ogni fatica. Si avviò silenziosa, sgusciando tra gli avventori fermi all'esterno del pub, tra le spirali di fumo di sigaretta. Si strinse nel cappotto e solo quando la musica del pub fu abbastanza lontana Thalia si sentì veramente in pace con se stessa. Aveva detto ciò che sentiva di dover dire, su questo megan aveva avuto ragione, e si era lasciata finalmente alle spalle una parentesi che mai avrebbe riaperto. Sorrise, osservando il cielo nero senza stelle, sentendosi finalmente libera.
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Nessun senso di colpa si faceva avanti dentro Megan, sebbene parte di lei pensasse di essersi spinta troppo oltre. Molte volte avrebbe voluto vedere le cose andare diversamente, eppure si trovava sempre al solito punto: lei e il resto del mondo al di là delle sue mura impenetrabili. Avrebbe dovuto accettare semplicemente quelle scuse che la Tassorosso le aveva rivolto, sorrisi e risate per concludere una serata che avrebbe dovuto essere “normale”. Cosa c’era che non andava in lei? Tutto. Tuttavia, aveva smesso di farsi questo tipo di domande. Era così e non le importava di chi sarebbe rimasto al suo fianco, lei, comunque, sarebbe sopravvissuta anche da sola. L’essere solitaria lasciava attorno a lei un alone di mistero che nessuno poteva scoprire e il suo compito era quello di tenerlo tale per sempre. La fiducia era stata spezzata tante volte, senza alcun dubbio donarla ancora era fuori discussione. Nessun senso di colpa, né rimpianto s’era detta tante volte ma ancora non riusciva a non sentire completamente niente; era una continua lotta a non farsi sopraffare dai sentimenti. Così si proteggeva dai colpi che s'infliggeva ed eliminava i propri pensieri, abbracciando il vuoto di cui da tempo ne era parte integrante.
Il blu cobalto risplendeva sotto le luci artificiali del locale, si specchiavano nelle iridi cineree di Thalia. Era in attesa, aspettava la prossima mossa che non tardò ad arrivare. Quando la ragazza pronunciò il nome del Serpeverde un brivido le attraversò la schiena, tant’è che il suo sguardo s’incupì appena. Megan lasciò che il pensiero del ragazzo le valicasse la mente solo qualche secondo appena, per poi scuotere la testa liberandosene con facilità.
«Veramente?» aveva detto con tono basso, incredula delle parole appena pronunciate dalla ragazza. Sullivan e le sue stronzate, alzò per qualche istante gli occhi al cielo. Non disse nulla e si limitò ad annuire indossando una maschera d’indifferenza e accentuando per qualche secondo un mezzo sorriso.
Aveva ragione i punti di vista non potevano sempre coincidere ma non si trattava di questo, c’era molto di più e Thalia non aveva alcuna colpa. Lei era solamente una goccia in mezzo a un oceano e pagava le conseguenze della tempesta.
Il caos attorno a loro si affievoliva, a mano a mano i giovani inglesi lasciavano il pub nelle condizioni più disparate. Megan aveva spostato lo sguardo su alcuni di loro fingendosi interessata ad altro ma solo quando l’attimo di silenzio venne interrotto dall’ultima frase pronunciata dalla Tassorosso si sentì in obbligo di rispondere e di tornare a guardarla. Adorava il sorriso malizioso che spuntava sulle labbra rosee della giovane adesso e non fece fatica a ricambiare ricopiandone la perfetta curva.
«Beh... Felice di essere una causa persa per te, Moran» un cenno con la testa in segno di saluto e la vide voltarle le spalle. Non si stupiva affatto di quella reazione, era ciò che si aspettava e ciò che voleva; nessuno meritava di conoscere la vera parte di sé men che meno Thalia, l’arrogante e presuntuosa Tassorosso. Non la seguì con lo sguardo si voltò immediatamente verso i grandi finestroni alla sua destra; così si perdeva nel traffico cittadino, osservando sfrecciare le macchine in corsa e udendo i suoni ovattati dei clacson. Anche in quel momento si ritrovò a immaginare una vita diversa, babbana. La magia era utile, probabile però che ogni cosa sarebbe andata diversamente se non fosse nata in una famiglia di maghi purosangue. La verità è che non poteva saperlo ma trovava conforto in un immagine diversa da quella che la rappresentava adesso: spensierata e felice con gli amici in un pub, la scuola e lo studio; interi pomeriggi in casa a suonare il piano, le esibizioni nei più grandi Teatri di Londra, le feste di compleanno e i suoi genitori ancora lì affianco a lei. Non poteva sapere se il destino avrebbe giocato la carta della morte anche se la sua vita avesse avuto un percorso diverso ma non riusciva a liberarsi di quel pensiero, allontanarlo dalla mente.

«Posso?» una voce richiamò la sua attenzione e gli occhi si posarono sulla figura in piedi a mezzo metro da lei. Biondo, occhi verdi - per un attimo le sembrò di vedere Wolfgang - un ragazzo le sorrise in attesa di una risposta e Megan lo guardò aggrottando le sopracciglia confusa.
«È così che funziona?» domandò e lui parve non capire, «Prego!» fece cenno con la mano poco dopo, concedendo un sorriso quando il giovane si accomodò di fronte a lei. Di certo aveva trovato un altro modo per non tornare a rinchiudersi fra i suoi pensieri, un nuovo divertimento.



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