Kairos, privata

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La sera precedente

«Amber» La voce di Horus la raggiunse prima che abbandonasse la Sala Comune. Le ultime braci scoppiettavano dolcemente sotto il quadro di una Tosca ormai assopita, e la studentessa non sembrava vedere l'ora di coricarsi e abbandonarsi tra le braccia di Morfeo. Ma il richiamo dell'amico esigeva un'attenzione che lei non avrebbe mai negato e, senza pensarci due volte, frenò i propri passi cercandolo con lo sguardo. Era seduto al solito posto, il profilo pulito rischiarato appena dalla fiamma. Non c'erano che loro due, superstiti di una giornata di studio particolarmente intensa. «Si?» «Ho bisogno di parlarti con tranquillità» Senza giri di parole, con un tono che lasciava presagire un discorso non così superficiale, quella frase venne incastonata nella memoria della Tassorosso. «Va bene...» accennò nella speranza di ricevere almeno l'anteprima dell'argomento di cui voleva parlare, ma non ebbe in cambio che una coordinata precisa. «Domattina al Greenwich Park, alle 10?» Senza smettere di fissarlo, faticò a chetare l'agitarsi della sua curiosità, legata alla strana impressione che davvero il tono usato presagisse qualcosa di serio. «Certo» Concluse adottando un'espressione che non avrebbe lasciato l'ombra di alcun dubbio.

Greenwich Park, 9.55

Due minuti.
Era lì da appena due minuti e non riusciva a non guardarsi intorno ogni manciata di secondi. Non ricordava di aver mai aspettato Horus con tanta tensione in corpo. Il tono che il Caposcuola aveva usato la sera prima aveva allarmato le corde dei suoi pensieri, facendo vibrare il filo che li legava. Sottile, era stata davvero una variante sottile a cambiare di poco il tono dell'amico, ma tanto era bastato a far scattare qualche remota molla. Non aveva mai riflettuto su quanto l'umore delle persone a cui teneva, potesse adombrare le iridi di giada. Si era detta, per riuscire a riposare, che non sicuramente la sua stanca immaginazione aveva dipinto scenari inesistenti, e quindi sarebbe stato bene sedarla prima che questi esplodessero in frammenti di dubbia realizzazione. E, nonostante tutto, ferma all'ingresso dei cancelli del parco, cercava la chioma vermiglia. Respiri pesanti riempivano la cassa toracica; si serviva di loro per mettere a tacere i pensieri in lento affollamento davanti alle porte della ragione. Perché aveva scelto Londra? Le chiacchierate tranquille che avevano fatto nel corso degli anni, tra le mura di Hogwarts, non si contavano più... quindi perché Londra? Ne avevano passate di ogni, tra calderoni esplosivi, primini irrequieti, lezioni soporifere, studio e appunti condivisi, per non parlare della mandria di gemelli che - a momenti alterni - li vedeva impazzire entrambi. Accarezzò le chiavi del Wizard, al sicuro nella tasca del cappottino grigio scuro, prima di estrarre la mano. I raggi del sole filtravano attraverso qualche sparsa nube, climaticamente nulla avrebbe impedito a quella giornata di fine inverno di dare il meglio di sé. Uno di quei fasci di luce giocò per qualche istante con i cinque piccoli orecchini esposti lungo il profilo dell'orecchio destro, appena liberato dalla cascata di capelli biondi. L'espressione che troneggiava da quando aveva messo piede a Londra, non era cambiata di una virgola. Si poteva leggere una certa apprensione, screziata dalla curiosità che però non riluceva particolarmente. Non poteva trattarsi di una sciocchezza, ne era più che certa. Ma era altrettanto sicura che se Horus avesse finito per prendersi gioco di lei, glielo avrebbe fatto rimpiangere senza dubbio - non nascose un sorriso al pensiero -, gliene doveva ancora una per essersi addormentato durante l'Homenum Revelio! Non era capitata la giusta occasione per vendicarsi a dovere, e far girare ancora la ruota di quelle attenzioni amichevoli che, alla fine, riempivano le sue giornate e risanavano l'anima.

Si scostò in tempo per lasciare che una famigliola le passasse accanto. Genitori giovani con un figlio particolarmente vispo che, ad occhio e croce, non aveva più di cinque anni. Improvvisamente distratta, si lasciò incantare da quelle interazioni, e dai capelli corvini della donna che ora sollevava in braccio il figlioletto. L'uomo li guardava con l'espressione soddisfatta di chi sapeva di avere qualcosa per cui essere grato.
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Il fuoco danzava nel caminetto in una voluta di spire sinuose e ardenti. Si riflettevano sulle iridi cristalline di lui, che le osservava affascinato, nello stesso modo in cui uno spettatore osserva una danzatrice. La Sala Comune era quieta: gran parte degli studenti erano andati a letto e solo un paio di primine si erano attardate al tavolo dei compiti. Si levava ogni tanto qualche borbottio disperato ed Horus comprese, abbastanza inconsciamente invero, che le due stavano avendo qualche problema con i Mollicci. Con un sorriso malinconico Horus ripensò a quando aveva la loro età: sembrava passato un secolo, eppure in fin dei conti era ancora nel pieno del suo percorso scolastico. Era giunto al quinto anno ad Hogwarts con così tanti ruoli sulla propria schiena da sentirla curva sotto il loro peso. Fin da piccolo aveva sognato di ricoprire un ruolo di spicco come quello di Prefetto o Caposcuola: l’idea di sentirsi importante, di poter accedere a luoghi e conoscenze vietate agli altri studenti lo aveva stimolato anche quando la delusione sembrava gigantesca, e lo aveva sempre spinto a dare il massimo. Ora aveva avuto tutto: la spilla, gli accessi, i permessi speciali. Ed era pronto a rinunciarci, in favore di qualcosa di ben più prezioso, che l’Horus undicenne nemmeno sapeva di aver avuto: la libertà. Si sentiva sereno e mentre piegava indietro il capo e sospirava silenzioso, beandosi del calore che giungeva dal focolare, si sentiva anche piuttosto tranquillo. Aveva ormai preso la decisione definitiva, ne aveva parlato con Eloise e con Atena e si era ormai sentito pronto. Nonostante ciò, Horus temeva ancora il confronto con Amber, e una parte di lui continuava a chiedersi se stesse facendo la cosa giusta. La conversazione con Eloise, del resto, aveva fatto emergere dubbi sui vari punti di vista che non aveva mai preso in considerazione prima. Eppure si sentiva fiducioso e quando sentì le due primine salutare il Prefetto Hydra, il cuore del Caposcuola fece un balzo e lui si alzò dalla poltrona per andarle incontro. Aveva bisogno di parlarle e lei, come sempre, gli aveva dato il suo appoggio. Tosca, che aveva sonnecchiato nel suo quadro fino a quel momento, aprì solo un occhio e sorrise benevola. Quando Amber si ritirò nel dormitorio —seguita dalle due primine— Horus rimase solo.
« È l’ora, caro? » La morbida voce della Fondatrice flautò nel silenzio. Lui alzò gli occhi verso di lei e si sentì rassicurato da quell’anziana signora, così rotonda e gentile, che spesso lo aveva consigliato. « Sì, è l’ora. » Le rispose in un sussurro.

Una leggera bruma avvolgeva la rumorosa Londra quando Horus uscì dal Paiolo Magico.
Era mattino presto e nonostante l’appuntamento con Amber fosse stato fissato nelle due ore successive, Horus non riusciva più a restarsene a letto. Si era svegliato prima dell’alba ed era andato a correre, come suo solito; si era fatto una doccia con calma, aveva fatto colazione ed era uscito quando gli altri studenti erano ancora in pigiama. Sentiva il bisogno di camminare perché, al contrario della sera precedente, nel corso della notte era maturata un’agitazione che non gli avea fatto chiudere occhio. Nella tasca del giacchetto di jeans la spilla da Caposcuola giaceva per l’ultima volta vicino a lui. Con le dita ne sfiorò il leggerissimo rigonfiamento e, nel farlo, ci mise un certo affetto; dopotutto, era impossibile dimenticare tutti gli anni passati insieme.
Si incamminò allora con lentezza, decidendo di fare prima un giro per Soho e poi, trovato un posto isolato, Smaterializzarsi in un punto adatto, non troppo distante dal Greenwich Park, il luogo prescelto. Aveva scelto quel parco, sito nel lato sud di Londra e meno affollato degli altri parchi centrali, perché negli ultimi tempi aveva trovato lì un luogo tranquillo e pacifico dove rifugiarsi. Quando il poco tempo libero glielo permetteva, adorava passeggiare di fianco la “linea del Meridiano”, socchiudendo gli occhi ed immaginando di essere l’unico a poterlo fare, l’unico a camminare sulle strade della Terra. Qualche di minuto prima delle dieci Horus si era Smaterializzato in un angolo del National Marittime Museum, e si era avviato verso il Greenwich Park, approfittandone per fermarsi ad un chiosco per prendere due tè da asporto. Giunto in prossimità dei cancelli la sua attenzione fu catturata dalla famigliola che gli camminava davanti. Il bambino trotterellava di fianco ai genitori indicando gli alberi e gli scoiattoli che correvano sul prato. La donna rise e lo prese in braccio, sistemandogli il berrettino di lana che nascondeva degli arruffati riccioli biondi. Allora il bimbo ridacchiò divertito ed il papà cinse le spalle della donna con un gran sorriso, mentre sorpassavano i cancelli. Per tutta la durata di quell’idilliaca scena, Horus non si era reso conto di aver trattenuto il respiro e quando la famiglia sparì dietro le cancellate, fu come lo spezzarsi di un incantesimo. I polmoni si contrassero e lui riprese fiato, mentre lo stomaco si attorcigliava dolorosamente. Fu una salvezza notare Amber proprio lì di fianco, in attesa. Senza saperlo, entrambi erano stati ipnotizzati da una realtà che non apparteneva più alle loro vite da troppo tempo.
« Ehi, buongiorno. » Il suo saluto risuonò più sottotono di quanto avesse desiderato, perciò si affannò ad abbozzare un sorriso. Le porse quindi il tè: « Ho pensato ti avrebbe fatto piacere. È un Earl Grey. » Spiegò, mentre varcava i cancelli. A quel punto, si sentì improvvisamente a disagio: non aveva mai avuto problemi a parlare con Amber e, anzi, il loro rapporto era mutato così tanto e in maniera così discreta che Horus era convinto che avrebbe potuto parlarle di tutto, senza temere di ricevere in cambio un giudizio affrettato. Ma ora che erano lì ed effettivamente stava per compiere il passo decisivo, non riusciva a trovare le parole adatte. Così rimase in silenzio, portandosi il bicchiere di cartone alle labbra e sorbendo un po’ del tè caldo. Sperò di riuscire a trovare, in quel tepore, le parole giuste da dire. Accidenti, pensò, aveva passato la notte in bianco per pensare a cosa dire, e ora che era lì non riusciva a spiccicare neanche una frase di circostanza.
« Così…a breve avrai i G.U.F.O…. » Esordì, pentendosi subito dopo di quanto detto. Non c’era cosa peggiore che ricordare ad un esaminando dell’esame imminente. « Cioè sì, bello, tra poco finirai Hogwarts. » E ancora una volta Horus si rese conto troppo tardi del mancato entusiasmo che aveva messo nel pronunciare quella constatazione. Chinò il capo e nascose il viso dietro il bicchiere di tè, trincerandosi nel silenzio. In lontananza, la risata cinguettante di un bambino accompagnò i loro passi.

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Edited by Horus Sekhmeth - 13/3/2019, 11:32
 
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Incantata dall'immagine di una felicità che le era appartenuta per troppo poco tempo, si ritrovò un sorriso amaro tra le labbra. Cosa rappresentava quel dolce quadro? Una famiglia felice come molte altre, ma la prima dopo tanto tempo su cui si permetteva di concentrarsi. Fu così facile sostituire l'uomo a John e la donna ad Eveline, che rivedersi nel bimbo dai capelli biondi velò il suo sguardo di un'umida consapevolezza. Difficile tenere il conto dei giorni in cui si preoccupava di non ricordare più la voce di mamma, o quelli in cui cercava il ciondolo con la foto della ragazza bionda che non aveva mai compiuto trent'anni. Poteva non essere più il perno su cui ruotava la sua vita, ma niente avrebbe mai sostituito il vuoto che l'Anatema che uccide aveva generato. Erano passati anni, aveva scalato montagne pur di capire qualcosa di più su quanto era accaduto, ma il dolore non aveva smesso di agitare il cuore. Si era solo... evoluto. Non era più la bimba che tratteneva a fatica le lacrime quando, a Natale, i concasati ricevevano i regali dalla mamma; che poi fossero maglioni fati a mano o dolcetti, poco importava, era l'amore incondizionato che li faceva sospirare a colpire nel segno. Non che lei non ricevesse doni da John e May, o dai nonni Snow, ma qualcuno mancava sempre all'appello. Eppure, ora che era cresciuta, non riusciva comunque ad ignorare i morsi della malinconia nei momenti più sereni, figurarsi quando era già tesa in partenza.

Se non altro, l'arrivo di Horus fu provvidenziale, sebbene il cuore non riuscì a non balzarle in gola. La voce dell'amico l'aveva estratta dalla coltre di pensieri che l'avevano avvolta non appena la famiglia se n'era andata. «Ehi, ciao!» rispose al saluto trasformando l'amarezza di poco prima in un sorriso più accogliente anche se mite, grata di aver sbattuto le palpebre prima di voltarsi ed aver fatto così svanire il velo triste del momento. Lo sguardo ebbe poco tempo per passare in rassegna l'espressione del Tassorosso, perché rapidamente si concentrò sulla tazza da asporto. Ed allora il sorriso si allargò di qualche prezioso millimetro. «Inizio a credere che tu mi conosca troppo bene...» alluse, afferrando senza esitazione il contenitore tiepido che in da subito aveva iniziato a riscaldarle le falangi infreddolite. Perché dimenticava sempre i guanti? «Grazie, comunque.» sottolineò schiarendosi la voce, liberandosi del tono roco con cui sembrava essersi svegliata dal coma vigile. Si sentì in debito per non aver pensato di portare niente con sé, forse un pasticcino sarebbe stato poco pratico ed una fetta di Foresta Nera, in memoria dei vecchi tempi, decisamente ingombrante... ma ritrovarsi in difetto non le piaceva molto. Doveva però ammettere che quelle piccole gentilezze reciproche risollevavano anche le giornate peggiori, ricordando l'un l'altra di avere sempre un amico su cui contare. Mai invadente, a volte silenzioso, ma sempre presente. Nemmeno il tempo di portare alle labbra il cartone riscaldato che la domanda sui G.U.F.O. bloccò il gesto, ed un moto d'ansia ondeggiò rischiando di farle versare il Tè direttamente sugli scarponcini nuovi. «Ah ehm.. si ma, oddio, non sono poi così sicura di come andranno...» provò a dire, anche per smorzare la tensione che sentiva avvinghiarsi a lei come un primate su una palma. *Stai giù*! Avrebbe intimato, se solo quella fosse stata visibile ad occhio nudo. Però Horus proseguì e il tono di quella vaga ironia con cui Amber sperava di sorvolare sull'argomento, cadde al suolo come un frutto troppo maturo. «Cosa?» Mentre lui rifuggiva lo sguardo, lei lo cercava. Non era certa di aver usato abbastanza empatia, ma qualcosa le suggeriva che ci fosse una punta di malcelato dispiacere nell'idea di vederla allontanarsi da Hogwarts. Così, non volendo porvi eccessiva attenzione, si prese il tempo di un sorso ristoratore, prima di aprir bocca. «Tu dimentichi i M.A.G.O. e non intendo uscire da Hogwarts senza averne almeno sei.» Non stava usando un tono rassicurante, quanto piuttosto un qualcosa di simile ad un mix tra ansia da prestazione e desiderio di riuscire nei propri intenti. «Il che si traduce, con questa commissione, in me che studierò fino a trent'anni, terrorizzando gli studenti più giovani. » Rise, tesa.
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Edited by ˜Serenitÿ - 25/5/2019, 19:24
 
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L'imbarazzo si era intromesso fra loro come l’umidità del mattino. Horus non rispose, aggrappandosi piuttosto al suo tè senza accennare minimamente di voler uscire dal suo mutismo. Non era mai stato strano incontrare Amber al di fuori delle mura scolastiche: era capitato che si fossero incontrati al Wizard Store o all’Ars Arcana, che si fossero trattenuti a chiacchierare o a mangiare qualcosa assieme. Ma a ben pensarci, si era sempre trattato di incontri improvvisati o spinti dalle situazioni in cui si erano trovati: un ritardo della Passaporta, un acquisto particolarmente lungo, un impegno comune. Era la prima volta, quella, che uscivano senza alcuna pretesa a fare da collante. Horus sapeva bene che, in realtà, c’era un pretesto, ma Amber ne era ignara e questo rendeva la situazione nuova ed inesplorata. Con il commento sugli esami, Horus si maledì per averla messa in agitazione, ma l’ultima osservazione di lei lo fece ridacchiare sommessamente. Lei non poteva saperlo, ma quel pensiero aveva contribuito ad acquietare uno dei dubbi che avevano tormentato Horus sulla decisione che aveva preso.
Camminavano senza fretta, circondati da una natura in procinto di essere svegliata dalla primavera. Il sole cominciava a scaldare, nonostante l’aria pungente del mattino, ed Horus si fece coraggio e prese parola.
« Mi chiedo se arriverò anche io a questi benedetti G.U.F.O. … Ho dovuto saltare così tante lezioni. Pagherei Galeoni, per avere giornate da quarantotto ore. » Confessò, alzando lievemente lo sguardo verso il cielo terso. Ed era vero: dalla Battaglia di Ottobre, il suo corso di studi aveva subito un continuo rallentamento: i ruoli gli erano capitati fra capo e collo e se all’inizio li aveva accolti con orgoglio, deciso a non deludere le altrui aspettative, ora si rendeva conto di aver sacrificato se stesso e le sue, di aspettative. Nonostante questo, si era reso conto che non sarebbe tornato indietro per nulla al mondo. Doveva solo prendere il coraggio a due mani, e cambiare le carte in tavola. « Di questo passo, io continuerò a terrorizzare gli studenti fino a cinquant’anni. » Aveva sicuramente peccato di entusiasmo nell’ammetterlo, e così si fermò. Nel farlo, fu come se un’ondata di negatività e rimpianti lo trasportasse lontano, una marea incontrollata che minacciava di far abortire ogni suo buon pensiero.
Se ostacola me, questa carica, come può non ostacolare Amber?
*Oh, fanculo.*
« Amber, dammi la mano. » Disse, accorgendosi di aver usato un tono fin troppo serio. Così sorrise, mitigando quella solenne richiesta con un’espressione divertita. « Dai non ti faccio niente. Dammi la mano e chiudi gli occhi. » L’idea, estemporanea, gli era venuta in mente così mprovvisa che nemmeno lui sapeva bene cosa stesse facendo: stava improvvisando. Allungò così la mano libera per prendere quella di lui e posizionarla come desiderava. Rivolse il palmo verso l’alto, sistemando le dita a conca, in attesa di qualcosa che non avrebbe tardato ad arrivare.
« Non sbirciare! » Si premurò di dirle, mentre lasciava la sua mano per frugare nella tasca della giacca di jeans.
Una coppia passò loro di fianco e la ragazza li guardò incuriosita spalancando gli occhi: era sicuramente convinta di aver di fronte una dichiarazione d’amore. Nel notarla, Horus scoppiò a ridere e sentì il peso sul cuore farsi più leggero. Prese l’ultimo sorso di tè come se fosse una Pozione Rinvigorente (o del whisky) e buttò il cartone vuoto nel cestino poco distante.
« Amber Serenity Hydra. » Annunciò solenne, una volta pronto. Posò la spilla sul palmo di Amber, chiudendole delicatamente le dita. Sentiva che una parte di sé stava bluffando: aveva bisogno egoisticamente di credere che sarebbe andato tutto bene e perciò fingeva un’allegria che cozzava con l’agitazione che sentiva. L’altra metà del proprio animo, però, era genuinamente convinta che sarebbe andato tutto bene: Amber era la persona migliore che potesse esserci e la fiducia che provava nei suoi confronti era totale. Dopotutto era stata costruita col tempo, una casa sicura eretta mattone dopo mattone, dove entrambi potevano sentirsi a loro agio e rifugiarsi nel momento del bisogno. La loro amicizia era delicata, silenziosa, ma vivida e reale e questo bastava.
« Puoi aprire gli occhi. » Decretò lui, facendo un piccolo passo indietro e studiando la reazione dell’amica, una volta che avesse aperto la mano e scoperto la spilla da Caposcuola.
Horus sorrise e, nel farlo, una punta di ottimismo gli illuminò gli occhi chiari.
Amber, in fondo, era come lui: amava Tassorosso e meritava quella spilla.

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Di solito si sentiva a suo agio con lui, a volte anche più di quanto avrebbe creduto. Quando con naturalezza disarmante i due si erano avvicinati, si era chiesta più volte se fosse un semplice miraggio, ma altrettante volte lo scambio delle giuste attenzioni aveva messo a tacere ogni dubbio. Riuscivano a donarsi qualcosa che raramente aveva bisogno di parole. Eppure in quel momento, con il Tè a scaldarle le mani e l'argomento "tappabuchi" per eccellenza a dividerli, avvertì un pizzico di disagio tirarla per la manica del cappotto. Sensazione che faticò a nascondere, a maggior ragione considerato che a lui non nascondeva quasi nulla. Aveva imparato ad interpretare i silenzi che riempivano il mondo - il suo, soprattutto -, da quelli rancorosi a quelli più tranquilli, passando per quelli feriti oltre ogni immaginazione, e continuava a pensare che non ci fosse nulla di semplice in quello adottato da Horus, sebbene non sapesse categorizzarlo. Che gli prendeva?. Ed anche quando finalmente la conversazione proseguì, Amber non smise di interrogare lo sguardo sfuggente. «Capisco, credimi. Ultimente è stato un caos anche per me... ho seriamente pensato di rimandare gli esami di un anno. Ma sei lo studente più brillante di Tassorosso e..sai che se ti dovesse servire io... » Non aveva chiesto i motivi delle assenze, sapeva che quando ne avesse avuto l'intenzione, glieli avrebbe rivelati lui stesso, ma non poteva negare di essere stata così presa dallo studio da non aver indagato a sufficienza. Così rammentava la coscienza. «... insomma lo sai, sai dove trovarmi.». Che equivaleva molto ad un "sono qui, se ne hai bisogno", ma la voce perse consistenza sul finale, quando un nuovo sorso di Tè finse di placare i crampi fastidiosi che continuavano a stringerle la bocca dello stomaco. Era fisicamente impossibile, ma perfino il liquido tiepido faticava a superare l'esofago. Cosa stava succedendo? Si fermò di conseguenza quando lo fece anche lui, afferrando il coraggio a due mani, pronta a dar voce alla domanda incastrata in gola da quasi un giorno. Stavolta però fu più veloce Horus e, stupita, Amber lo guardò sottecchi. A che gli serviva la sua mano? Passò il cartone sulla sinistra ed allungò la destra, in un movimento calcolato solo dall'inconscio: la mano sinistra era troppo fredda. «mh.. » Si finse più reticente di quanto non fosse, nel consegnare quelle dita appena scaldate nelle mani dell'amico. Assunse un'espressione scherzosa, più vicina possibile al "non so mica se mi fido di te, sai?", anche se probabilmente ne sarebbe uscito uno strano ibrido, macchiato dall'incertezza che aveva già minacciato di farle tremare la voce. Il cuore ebbe un guizzo quando si sentì rigirare la mano e fu ancora più difficile tenere le palpebre ben serrate. Giusto in tempo per l'ammonimento preventivo di Horus. Si fidava abbastanza da sapere che non l'avrebbe piantata in asso con una mano aperta verso il vuoto, ma questo non limitava la curiosità che la stava inesorabilmente divorando dall'interno. Quando lui rise, lei per contro spostò il peso sulla gamba sinistra, segno di ulteriore impazienza. Non si accorse nemmeno del vago sorriso che l'aveva contagiata, e che faceva di lei una biondina sorridente con metà chioma incastrata dentro un cappotto lungo e un braccio teso nel vuoto. «Cosa stai facen-..» azzardò. ma non concluse la frase perché un tono solenne annunciò il suo nome per esteso, imponendole uno scherzoso silenzio. Nel dubbio, trattenne il respiro. Per fortuna - oppure no? - il ragazzo impiegò poco a consegnare quel che doveva, e prima ancora che le dita di Amber sfiorassero l'oggetto un'intuizione tentò di raggiungerla ma venne prontamente soppressa. L'ombra del sorriso accennato svanì del tutto quando le iridi chiare lessero la scritta impressa sulla spilla del Caposcuola. La spilla che lui le aveva appena consegnato. Per poco non le cadde di mano il Tè. Un'espressione indecifrabile si dipinse lentamente sul suo volto. Era felice? Era spaventata? Oppure era arrabbiata? O... preoccupata? C'era una sensazione che unisse tutto?
Caposcuola.
Lei?
Sul serio?
Ma lui?
Perché?

«Horus» col cuore a mille e la mente ingombra di domande, richieste, perplessità e preoccupazioni, la Tassorosso fece uso di un tono particolarmente serio. Prima ancora di capire cosa potesse significare per lei quella scritta dorata sul fondo miele, ben più decorata di quella di un Prefetto, si chiese cosa ne sarebbe invece stato di lui. Alzò gli occhi, dimentica di avere in mano ancora qualche sorso di Tè e fece un passo avanti. Il pollice percorreva la superficie del piccolo stemma, come se una parte di lei faticasse a considerarlo reale. «Cosa significa?» chiese sebbene conoscesse benissimo la risposta, ma sarebbe stato ben evidente al ragazzo come la domanda vera fosse un'altra, mal celata nello sguardo confuso e preoccupato. «Non te ne stai andando... vero?» si stupì di quella domanda nel momento stesso in cui la pose; non l'aveva preventivata, ma sommare lo sconforto per essere rimasto un po' indietro con gli studi rispetto a lei ed un passaggio di carica così importante la allarmò al punto da costringerla a dar voce ad ogni dubbio. Lui era il Caposcuola, Lui era la Guida di Tassorosso... lo era stato praticamente dal primo giorno che avevano passato assieme, anni ed anni prima. Perché proprio lei? Ancora un passo avanti, lo sguardo concentrato ora su una ed ora sull'altra iride grigia, incurante della vicinanza, del cuore impazzito nel petto e della preoccupazione lampante sul suo volto. «Tu non te ne puoi andare.» sussurrò, le parole rischiarono di mancarle. Non avrebbe sopportato che si allontanasse anche Horus. Aveva perso abbastanza.
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Il viso di lei cambiò così improvvisamente da spingere Horus a chiedersi se avesse scelto l’approccio giusto. Aveva puntato sull’effetto sorpresa perché incapace di prendere il discorso alla larga, sicuro che un metodo diretto fosse assai più consono per l’occasione. Eppure si morse un labbro quando vide il volto di Amber mutare come una giornata di sole improvvisamente nuvolosa. Il timore di aver sbagliato tutto lo strinse in una morsa soffocante e nella mente tornò prepotente il ricordo della confessione di Eloise.
Ogni buon proposito vacillò, ma si costrinse a sorridere e deglutì faticosamente, prima di risponderle. Quel saliscendi di emozioni gli aveva messo a soqquadro lo stomaco, tanto che il ragazzo si maledì di aver bevuto quel tè.
« È proprio quello che sembra, Ambie. » Scelse volutamente il soprannome con cui aveva cominciato a chiamarla, forse per rassicurarla, forse per aggrapparsi a quell’amicizia che temeva di perdere per colpa di una stupida spilla. L’apprensione di lei, però, quel passo in avanti così deciso in contrapposizione al sussurro timoroso che era uscito dalle sue labbra, fece tremare il suo cuore. Non era questo che voleva dimostrare e non era il messaggio che voleva comunicare a lei, come agli altri: doveva farglielo capire con ogni mezzo.
« Oh no! » Esclamò deciso, allungando la mano sinistra e stringendo quella di lei che racchiudeva la spilla. La guardò negli occhi, nel tentativo di dimostrarle la sua più assoluta dedizione. Gli faceva male il petto al pensiero che un suo abbandono potesse venir paventato fra le fila di Tassorosso e faceva ancora più male se a sentirsi tradita fosse stata proprio Amber. « Non me ne posso andare, Tassorosso è la mia casa. » Annunciò, abbassandosi quel tanto che gli bastava per arrivare alla sua stessa altezza d’occhi. Strinse un poco le dita attorno a quelle di Amber, rafforzando il significato di quanto aveva appena detto. [color=]« Ma è arrivato per me il momento di farmi da parte. Continuerò sempre ad esserci, perché non so fare altro. È solo che... comincio a vacillare… »[/color] Allora si raddrizzò, abbassando lo sguardo verso i propri piedi; ammettere le proprie difficoltà era sempre stato complesso, ma differentemente da quanto era successo con Eloise, dopo aver parlato con Atena Horus si sentiva rassicurato dalle possibilità che avrebbero potuto fiorire anche senza la carica di Caposcuola. La donna aveva ragione e in quell’assolato mattino primaverile, Horus fu certo di riuscire a trovare di nuovo l’Equilibrio. Ritrovò così il coraggio di riprender fiato e tornare a guardare la compagna.
« Non è di me che si deve parlare. Non voglio dare a Tassorosso un Caposcuola stanco e in difficoltà. Vorrei che potesse contare su una figura luminosa ed orgogliosa, leale più di chiunque altro. Su qualcuno che ama la Casata e che ogni giorno lo dimostra. Quella persona sei tu, Amber. » Illuminato dai raggi di un tiepido sole, il sorriso sul suo volto si aprì un po’ di più, generando una piccola fossetta sulla guancia sinistra.
« Continuerò sempre ad esserci per te e per Tassorosso, ma mi sono accorto solo ora che sei tu la guida di cui hanno bisogno. » La luce illuminava i capelli di lei, una cascata d’argento che incorniciava gli occhi limpidi di un’anima determinata ed orgogliosa. Era incredibile come Tassorosso, quella casata che tutti avevano sempre creduto come rifugio per gli inetti, avesse creato invero persone come Amber, Niah, Eloise, Thalia, Camillo, Elhena, Leah e tanti, tanti altri. Ogni Tassorosso rappresentava un ideale diverso, un carattere che nessuno poteva inquadrare ed Horus si sentì così orgoglioso di aver visto crescere ognuno di loro, e di esser maturato a sua volta fra le amorevoli braccia di Tosca.
Tassorosso i restanti accettava, sì, Tosca la buona a sé li chiamava.
Non erano i restanti perché mancanti di aggettivi o qualità che tutte le altre Case avevano ben definite: ne avevano così tanti, che nessuno poteva classificarli.
« La guida di cui anche io ho bisogno. » Aggiunse dopo un momento di riflessione. « Se non è quello che vuoi, non sentirti in obbligo. Troveremo assieme una soluzione. » Si premurò di spiegarle con tutta la sincerità di cui fosse capace, sorridendole ancora rassicurante. « Ma se invece, come me ed Atena, sai di essere il punto di riferimento che sei… allora, ti prego. Accettalo. ...Sii la mia Caposcuola, signorina Hydra. » Sussurrò sul finale.

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Smeraldi, annebbiati dai fumi di Londra, fissarono Horus con un'intensità rara perfino per Amber. La ragazza sapeva benissimo cosa comportasse per lui indossare quella spilla ogni giorno. Impegno, dedizione, orgoglio e non poca fatica. Cosa poteva muoverlo a passare il testimone? Era Caposcuola da quando lo conosceva, quasi, e mai una volta aveva smesso di credere in lui. Quando erano più piccoli, forse non dava così tanta importanza al ragazzo dietro il ruolo, ma crescendo molte cose erano cambiate ed il rapporto si era evoluto al punto da vederli avvicinarsi irrimediabilmente. Ignorando i presenti ed i dettami della prossemica - tanto radicati in lei - aveva fatto un passo avanti, a sottolineare come la risposta di Horus a quei quesiti sarebbe stata fondamentale per capire cosa pensare o credere o... decidere!

La mano stretta attorno alla spilla, le cui scritte erano passate dal genere maschile a quello femminile non appena l'oggetto era entrato in contatto con Amber, venne raggiunta da una seconda mano. La presa, lieve, impose alla strega di non curarsene in prima battuta, ora che tutta l'attenzione possibile era dedicata alle parole che presto avrebbe udito. Come un balsamo, la prima rassicurazione scivolò sulle sue spalle, liberando la ragazza da una gran parte di quella nota di dispiacere che pendeva sui loro sguardo come la spada di Damocle. Ma non ogni parola ebbe il retrogusto dolce di una conquista solida. La mente della Tassorosso, infatti, si fossilizzò su quel pungente "comincio a vacillare" che mai sarebbe passato inudito. Lo aveva visto, aveva osservato con particolare attenzione i cambiamenti di Horus nell'ultimo anno. Dietro i sorrisi imbarazzati delle situazioni più improbabili che li avevano coinvolti, c'era sempre più spesso un retroscena incognito, qualcosa che la spingeva a chiedere ed al contempo a tacere. Nel dubbio, aveva continuato a scegliere la seconda opzione, ma l'affetto che agitava il cuore, unito all'empatia che per lui provava con maggior intensità, ben presto l'avrebbero portata ad infrangere una barriera, o più d'una. Già così, contro ogni indicazione, contro ogni reticenza, glissava sul tenersi "quasi" per mano, in un parco pubblico di Londra, alla mercé di sguardi indiscreti e supposizioni sciocche. Strinse a sua volta la mano, percependo sempre con più intensità la presenza di un ruolo di cui la spilla era solo il simbolo, che pretendeva da lei un tributo indicibile. Ma era pronta? Lo lasciò finire, sebbene in più punti avrebbe voluto interromperlo, perché quell'escalation di motivi per cui lei sarebbe stata la guida giusta, aveva velato gli occhi di una commozione tanto sincera quanto difficile da contenere. Non si era mai vista con gli occhi di qualcun altro. Non qualcuno della casata, almeno, e forse nemmeno un amico. A dirla tutta non aveva nemmeno cercato di capire quale fosse l'impressione che dava di sé, si accontentava di sapere di non essere schivata appositamente in corridoio, ma al contempo non compiva grandi sforzi per integrarsi forzosamente. Il carattere di John era riflesso proprio in quei gesti. «Horus io...» quando finalmente si decise a parlare, alla fine di tutto, abbassando la mano e recidendo il contatto, la voce risuonò come spezzata. Era incerta, sì. Aveva bisogno di fare un passo avanti, figurativamente, verso quello che l'accettare avrebbe comportato, anche se mai avrebbe potuto prevedere l'intero percorso. Però, e doveva ammetterlo, dopo anni come Prefetto, diventare Caposcuola sarebbe stata una gratifica non indifferente. "Sii la mia Caposcuola", quella frase risuonò con la potenza di cento tamburi tibetani suonati assieme in una sola volta. «Forse non sono in grado di vedere in me, quello che ci vedi tu.» mosse le labbra in una vago sorriso a metà. «E... non ho mai pensato di volere questo-» aprì le dita rivelando la spilla dorata, che rubò un raggio di sole al solo scopo di brillare ancora più intensamente. Poi, richiuse la mano. «- fino ad oggi. Fino.. ad ora.» Era il "si" più sincero che riusciva a dargli, un "sì" che riverberò come un'onda impazzita all'interno della cassa toracica.«Ma lo farò, e con te al mio fianco - perché ora l'hai detto e non te la scampi - ce la farò.» un sorriso più sincero si aprì, seguito da un sospiro profondo. Non era finita. Lo sguardo, commosso al limite del possibile, finalmente fu distolto da Horus e rivolto al piccolo sentiero del parco. C'erano cose che non gli aveva mai detto e domande che non aveva mai posto e tutte chiedevano a gran voce di uscire dal bozzolo di introversione naturale. *Una alla volta* si disse, iniziando a camminare lentamente, perché ne aveva bisogno.«A undici anni speravo di venir smistata a Grifondoro, come mia madre... per poter capire di più com'era stata la sua vita, come-... come si era mossa nel tempo all'interno di Hogwarts. » Horus sapeva che Amber non aveva più una madre da molto tempo, ma la Tassina non era mai scesa nei dettagli. Di lui, però, poteva fidarsi. Un vago riso di scherno venne subito smorzato dal nodo alla gola. «Ma a Tassorosso ho ritrovato mio padre.» Alzò il capo, l'espressione improvvisamente più seria. «... e una famiglia che non avevo chiesto, ma di cui ora non posso fare a meno. Non so dove sarei, altrimenti. Tassorosso mi ha salvata, mi ha dato quello di cui non sapevo di aver bisogno. Voglio che rimanga così, che resti la "tana" che non ti aspetti, ma che finisca per rimanerti nel cuore... per sempre.» Solo in quel momento si chiese come avrebbe reagito Johnathan Hydra.
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Amber aveva vacillato per un momento che alle sue orecchie era sembrato drammaticamente lungo.
Non ho mai pensato di volere questo”.
Una confessione che lasciava un sapore amaro sulla punta della lingua ed un ronzio nella testa. Il ricordo prese in ostaggio la mente di Horus, riportandolo indietro nel tempo in quel letto del San Mungo: sulle lenzuola candide, la spilla e la comunicazione che annunciava le congratulazioni per la sua nuova carica. Paul Grindelblack, il precedente Caposcuola, giaceva gravemente ferito soltanto un paio di stanze dopo la sua. Aveva mandato giù un groppo dal sapore acre, lo stesso che ora avvertiva in bocca. Lui l’aveva desiderata, quella carica, l’aveva bramata, ma quando era finalmente giunta lo aveva fatto diversamente da quanto si era aspettato. Si era detto di non meritarla, non dopo aver combattuto contro Aster e averci quasi rimesso la pelle. Aveva salvato Margaret e le matricole del loro gruppo, ma tanti altri avevano perso la vita o erano rimasti feriti.
« Io non pensavo nemmeno di meritarlo. » Si era accorto solo in quel momento di aver abbassato lo sguardo e di aver osservato la spilla con un’espressione strana in viso, così rialzò gli occhi verso l’amica. Accennò un sorriso nell’udire la seconda parte di quel discorso che per un attimo gli Dei sembravano aver messo in pausa. Nel sorridere, però, sentì la pelle tirarsi come se, sotto di essa, ci fosse un altro volto, quello Reale, che non riusciva nemmeno ad increspare le labbra. Si sforzò di accantonare quella sensazione che gli opprimeva il petto, un misto di angoscia, pentimento e… nostalgia.
Hai fatto la scelta giusta, Horus”, gli aveva scritto sua madre e così l’aveva spalleggiato Atena quando lui le aveva confessato il suo desiderio. C’era, però, sempre quel discorso con Eloise, quel pensiero di costringere qualcuno ad andare contro il proprio volere o le proprie ambizioni che gravitava come un asteroide pronto all’impatto.
Tentennò, senza trovare il coraggio di dire qualcosa, e non riuscì a guardarla ancora per paura di trovare, in quegli occhi verdi, il risentimento o l’involucro beffardo della menzogna. Ma Amber era diversa ed il suo senso di colpa fu improvvisamente allietato dal balsamo delle sue parole, reali e sincere. Si sentì stringere appena le dita e lui, quasi di riflesso, alzò di nuovo il volto verso quello di lei. Genuino stupore si era dipinto sul suo viso e, involontariamente, gli aveva colorato appena le guance di un rosa pescato, accendendo la voglia sotto l’occhio sinistro. Si stupì di quella confessione, così affine a quello che lui stesso aveva passato. Ancora una volta, pensò, la mano del Destino aveva dato loro una spinta, intrecciando i nastri delle loro vite in un modo assai bizzarro.
Così sorrise di nuovo e questa volta lo fece senza sentire le proprie labbra tirare, senza alcun sentimento negativo a trattenere le sue emozioni, né alcun rimpianto ad inquinare il suo animo.
« Sono sicuro che Tassorosso non cambierà mai, finché ci sarà chi, come te, la protegge. » Asserì, fieramente convinto delle proprie parole e grato per quella risposta che per un attimo sembrò non essere così scontata. Nonostante tutto, era stato così restio ad abbandonare la spilla non per un egoistico senso di attaccamento al potere, ma perché detestava il pensiero di non poter più fare qualcosa per la sua Casata, quel luogo —no, quella famiglia che tanto gli aveva insegnato e dato. Ora, però, tutto sembrava più facile con la richiesta di Amber di rimanere al suo fianco. Aveva ancora un posto, fra loro, poteva ancora essere d’aiuto.
« Camminiamo, vuoi? » Incapace di rimanere ancora fermo in quel punto —gli sguardi dei presenti si stavano facendo un po’ troppo insistenti — sciolse la presa dalla mano di lei e avanzò con calma, senza alcuna fretta. Rimase in silenzio per un po’, godendosi i raggi del sole sempre più alti nel cielo limpido. Costeggiavano la linea del meridiano e le risate argentine di un gruppo di bambini in lontananza si univano al canto delle allodole. Un clima di pace e serenità era improvvisamente sceso su di loro, ma sia Amber che Horus sapevano che i loro cuori erano in realtà agitati da un vento invisibile e silenzioso.
« Sai… è buffo. » Disse improvvisamente, scoccandole un’occhiata in tralice. « Anche io ci rimasi malissimo quando il Cappello mi Smistò a Tassorosso. Ero sul punto di piangere. » Continuò alzando gli occhi verso il cielo azzurro ed infilando le mani nelle tasche, ora improvvisamente vuote. « Ero così convinto di finire in Serpeverde come mio padre, che la delusione fu tale che strappai le tende del mio letto la seconda sera. Non mangiai nemmeno per qualche giorno. E poi, proprio quando avevo accettato la mia sorte… » Tirò un calcio ad un piccolo sasso che rotolò più avanti. « Ecco che questa ragazzina Serpeverde, durante una partita di Quidditch, mi grida che mio padre si sarebbe vergognato di vedermi in Tassorosso. » Ripensò a quel momento con un misto di tristezza e sarcasmo. Nitidamente rivide il viso della piccola Aryadne farsi vicino al suo e risentì, nel petto, il principio della vergogna che aveva provato in quel momento. Ah, se solo avesse saputo che quello sarebbe stato il preambolo di una vicenda molto, molto più grande; se solo avesse affrontato prima Aryadne....
« Ci rimasi così male che sbagliai il gol nella maniera più patetica della storia del Quidditch. » Questa volta rise davvero, ma brevemente perché il suo viso tornò a farsi serio e pensieroso. « Onestamente non so cosa penserebbe mio padre. Mi avrebbe preso in giro, bonariamente. O forse ne sarebbe davvero rimasto deluso. Non lo so. Non… mi ricordo più molto di lui. »* E la cosa mi spaventa così tanto.* Ed era parzialmente vero; il suo terrore di non ricordare più né la voce di Osiris, né il suo viso —nonostante le foto— minava le sue memorie e aveva cominciato ad oscurare la figura di suo padre ogniqualvolta lui tentasse di rievocarne il ricordo.
« Credi che tua… » Indeciso per il tenore di quella conversazione, la sua voce si spense ed Horus serrò la mascella, deglutendo, a disagio, quella che rimase una domanda sospesa nel tempo e nello spazio.

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Sbagliava, o il segno chiaro che contornava lo sguardo d’argento si era intensificato? Era stato solo un attimo, come se la confessione di Amber, e di quanto in effetti volesse stringere al petto la spilla e portarla con l’onore che credeva di poter promettere, avesse centrato qualche bersaglio invisibile. Un sorriso più teso segui la sicurezza con cui lui affermò che Tassorosso sarebbe rimasta esattamente com’era, con lei alla guida. Non lo sapeva, non poteva saperlo con certezza, era ancora troppo presto... ma l’ultima cosa che sentiva di volere era apparire come inetta o inadeguata per coloro che forse nemmeno sapevano chi fosse la nuova Caposcuola. Era quella, una delle paure che l’avrebbe accompagnata per più di qualche settimana. Un passo avanti ed iniziò a seguire Horus lungo il meridiano. Camminare, non fermarsi. Anche se lenti e più distesi, quei passi non erano altro che l’unica cosa che avrebbe permesso loro di sopravvivere. Amber non si era mai posta troppe domande, non aveva osato analizzare “cosa” avesse permesso alla loro amicizia di radicarsi tanto a fondo e vivere di vita propria senza un briciolo di ostentazione. O almeno, non se l’era chiesto fino a quel momento. Aveva avuto paura che anche solo investigare il rapporto finisse per renderlo nient’altro che l’ennesimo incantesimo scomposto, da ricomporre. E se avesse sbagliato? E se nel ritornare a passo felpato a non chiedersi nulla, non fosse più possibile? Ogni dubbio, però, venne zittito dalla prima sincera reazione di un Horus undicenne di fronte alla scelta del cappello. Non le aveva mai parlato dell’appartenenza di suo padre a Serpeverde... e di molte altre cose relative alla figura che in qualche modo aveva perso. Quel vuoto che li accomunava, assumeva sempre più le sembianze di una voragine gemella. Un padre da una parte, ed una madre dall’altra. Attenta, ricacciò ogni commento sulla prima reazione del giovane neo-smistato. Lei non l’aveva presa così male, sebbene l’idea di non avere mai accesso alla sala comune di Grifondoro l’avesse intristita al punto da minare il senso di appartenenza già scarso di una undicenne.

Continuò a guardare avanti, finché la rivelazione non raggiunse il suo apice. Incuriosita e già pronta a giudicare l'ignota Serpeverde che aveva messo in dubbio l'appartenenza di Horus a Tassorosso, rivolse all'amico uno sguardo eloquente. Il Quidditch proprio non rientrava tra le cose che avevano in comune, non era riuscita a rimanere sugli spalti nemmeno quando giocava la sua casata, ma poteva capire benissimo cosa volesse dire il non sentirsi all'altezza di un'eredità tanto importante. Dover stare al passo con il vuoto lasciato da qualcuno che non hai imparato a conoscere ma che tutti gli altri hanno amato... era davvero dura. «Ho capito che nessuno sa cosa voglia dire essere un Tassorosso.... nessuno tranne noi.» proferì, con un tono più duro del dovuto, irrigidendo gli zigomi morbidi. Per molto tempo aveva creduto di non poterlo capire nemmeno lei. Tacque di nuovo, però, perché quello spezzone di vita non era finito; doveva arrivare fino in fondo. Volatilizzatosi il riso teso, Amber accolse la serietà di Horus senza bisogno di alcuna spiegazione, senza chiedersi i motivi di quel ritorno, tanto che per lei era stato praticamente lo stesso. Sotto pelle, dietro le espressione che spesso si scambiavano tra un banco e l'altro, o mentre cercavano di riorganizzare compiti e dovere che le spille imponevano, c'era un passato che pochi avrebbero compreso o accettato. La gola si seccò non appena capì dove l'altro la stava portando, verso quali pensieri la stava conducendo, ed il dualismo rischiò di spaccarla. Non andava bene chiedersi cosa avrebbe pensato suo padre, tanto quanto non sarebbe andato bene per lei chiedersi - come aveva fatto - se mai Eveline sarebbe stata fiera dei suoi progressi. Lo sapeva, eppure non evitò di rallentare il passo, capendo di dover completare una frase immensamente difficile. Nel vociare mesto di chi li circondava, ignaro degli argomenti in ballo, lei non sentiva che il giudizio di una coscienza troppo sotto pressione. «Io...» accennò. Il battito rallentò, quasi temesse di forare il muro di silenzio attorno alla morte di Eve, o di risvegliare quella bestia incatenata dal rancore per come Mayline l'aveva trattata ed agitata dal tarlo di un'indagine che non avrebbe portato altro che sofferenza. Non poteva permettersi di perdere quella vaga quiete che a fatica aveva acquisito... però doveva rispondere, e si meravigliò di come la sua voce riuscì a suonare quasi "saggia". «... non me lo chiedo più. » Mai lo avrebbe giudicato per la ricerca che lei stessa aveva portato avanti così tanto... «Mia madre era la persona più solare e serena che chiunque ne parli avesse mai conosciuto» Proseguì, sempre senza guardarlo. Le mani dalle falangi gelide e strette si incontrarono, «Non credo di essere mai stata più diversa da lei di così.» Alzò le spalle, quasi non volesse dare peso a qualcosa che invece le importava davvero molto. «Forse è stupido, e magari non è questo il momento migliore per dirlo, ma...» assecondando il desiderio di trovare almeno un'altra persona, oltre a Killian, che sapesse cosa volesse dire, non si fermò. Gli occhi verdi, resi scuri da una nuvola di passaggio, a quel punto cercarono Horus. «... vorrei che fosse qui, per dirmi lei stessa cosa ne pensa. E invece non ricordo quasi più la sua voce, e se non fosse per alcune foto...» negò lieve con il capo, un sorriso amaro sottolineò il tragico "ovvio" che aleggiava nell'intero discorso; Eve era morta, certo che non sarebbe mai potuta ritornare per dirglielo di persona. Si sforzò comunque di non lasciar cadere il discorso, cercando di rimettere le mani in tasca. «Ma possiamo accontentarci di sapere quello che ne pensano mio padre e tua madre, no?» Ci credeva?
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Horus rimase in silenzio, ascoltando la voce di Amber ed osservando il parco circostante. Non si era mai davvero soffermato su quanto loro due avessero dei punti in comune e quando Amber confessò di non ricordare né la voce, né il volto di sua madre, lui provò un dispiacere intenso, che gli fece dolere la bocca dello stomaco. Non la biasimava: come lei, anche lui negli ultimi tempi cominciava a non ricordare più nulla di Osiris e questo lo spaventava più di ogni altra cosa. Non sapeva quanto tempo Amber avesse passato con sua madre, ma per quanto lo riguardava, forse lui era quello meno giustificabile. Osiris se n’era andato quando lui aveva sette anni; aveva le foto —decine di foto—, ma a differenza di quando era piccolo —quando ostinatamente cercava la scatola che le raccoglieva—, non voleva più guardarle. Osservare il volto di suo padre sorridente con alle spalle un paesaggio esotico, sotto la veranda di casa, ad una partita di Quidditch, intento ad abbracciare sua madre e —ancora peggio— guardarlo mentre giocava con lui, erano ricordi così preziosi, che Horus non aveva coraggio di rivederli per il timore che tutto fosse andato perduto, che si fosse trattata solo di una orribile bugia. Dopo ciò che aveva scoperto, tramite Aryadne, le domande che gli vorticavano nella testa erano mutate da semplici ed innocenti speranze a crudeli ed infidi sospetti. Infine, era sfociata in rabbia, un’ira serpeggiante, ma spaventosamente paziente. Il silenzio e la sofferenza cui lui ed Ainsel erano stati costretti, per tutti quegli anni, diventava sempre più difficile da giustificare ed ormai tutto ciò che ne rimaneva era una stilla racchiusa in fondo al suo cuore. « Credo… di sì? In realtà penso che mia madre sia rimasta più scioccata di me, nel vedermi finire a Tassorosso. Però sì, ora sì. Ora mi basta. » Rise per cercare di allontanare via la pesantezza dei suoi stessi pensieri, desideroso, inoltre, di sollevare un po’ il morale dell’amica. Ma, sfortunatamente, quando si condivide la stessa barca, è difficile governarla quando i venti del passato sono ostinatamente contrari alla direzione del presente. Se prima le sue labbra avevano disegnato un morbido sorriso, ora scivolava via, come schiuma dalle onde. Camminò lentamente, senza aggiungere altro, osservando distrattamente i ranuncoli e i fili d’erba che crescevano ordinatamente ai margini dei prati. Sotto i loro piedi, la linea dorata del meridiano sembrava condurli in luoghi lontani e per un attimo Horus desiderò partire lontano, allontanarsi da Londra e, magari, portare via con sé Amber. 
« Sai, a dire il vero…—Aggiunse dopo un po’—nemmeno io ricordo bene il volto di papà, ma forse quello che più mi manca è il suono della sua voce. Mi tranquillizzava sempre da piccolo. » Fu tentato di lasciarsi trascinare dalle onde delle memorie, invece si voltò appena per poter guardare il viso dell’amica. Chissà perché non faticava ad immaginarsi sua madre: doveva essere sicuramente aggraziata come lei, forse sì, un po’ più sorridente e a quel pensiero gli venne da ridere. Né Horus né Amber, in fondo, potevano essere definiti solari. Eppure, nel vedere il profilo di lei illuminato dalla luce dorata, Horus fu più che certo che dentro la fanciulla si nascondesse, in realtà, molto più di quanto lei stessa sapesse. Decise però di tenere per sé quel pensiero, e scelse, piuttosto, di esprimerne un altro. 
« In ogni caso, sono sicuro che ovunque sia tua mamma, Ambie, sia orgogliosa di te. Come potrebbe non esserlo? Guardati! » Si fermò e allungò una mano sulla spalla di lei, facendo sì che si voltasse verso di lui. « Per quel che vale, io sono molto fiero di te.» Le sorrise sinceramente, poi, leggermente imbarazzato, ritirò la mano e se la infilò nella tasca della giacca di jeans. « Ed ora, dimmi! Idee per il tuo futuro impiego? Da quando sono passato al quinto anno, a casa non mi danno tregua. » Sbuffò, scacciando un ricciolo ribelle dalla fronte.

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"Accontentarsi" era l'espressione che più odiava, eppure non riusciva a scrollarsela di dosso, la seguiva come fosse parte integrante della sua stessa ombra. Era in agguato dietro ogni cespuglio, pronta a limitare le intenzioni di Amber e frenarne gli slanci. Ma se in alcuni casi la biondina poteva combatterla e dimostrare quanta bellezza vi fosse oltre i confini di una psiche chiusa, dall'altra in diversi momenti non c'era nient'altro da fare che rassegnarsi. Strinse al petto la sensazione di sconfitta che l'idea di accontentarsi solo dei commenti di John, le provocava. Non voleva dare alle sue parole una connotazione negativa, il padre era una figura così importante per lei che sembrava ingiusto doverlo relegare a scarno sostituto, ma la verità era ovvia: Eve sarebbe mancata per sempre, a prescindere dagli sforzi del genitore rimasto. La studentessa non si aspettava di introdurre un discorso così pesante in un giorno tanto intenso, ma il filo che li legava era per la maggior parte costituito dal dolore di un'assenza che - e questo ancora non lo sapevano - li aveva resi orfani a metà a soli sette anni. Non c'era solo quello, ma Amber sapeva che con lui avrebbe potuto parlare dei momenti in cui la mancanza della madre diventava impossibile da gestire e superare, e così avrebbe potuto fare Horus se ne avesse sentito il bisogno. Erano pochissime le persona ad Hogwarts a cui la Tassorosso aveva raccontato di aver perso la madre, ma non ce n'era nessuna che sapeva anche come fosse successo. Inizialmente imputava il non aprirsi alla riservatezza timorosa dei primi due anni, dopo alla gelosia verso un ricordo che doveva essere solo suo, per paura che chiunque l'avesse sfiorato avrebbe finito per rovinarlo e, infine, per non ricevere la pietà di chi non avrebbe mai potuto capire. La rabbia che Amber ancora covava all'interno del guscio elegante che madre natura e indubbie fortune genetiche le avevano donato, non si calcolava. A volte, nel silenzio di un sonno senza sogni, i muscoli si tendevano e i nervi si irrigidivano e gli incubi tornavano. Accolse il momento di silenzio e lasciò che lo sguardo vagasse sul parco. Le falangi gelide ad accarezzare la base del collo scoperto. «La sua voce... » annuì, mesta. «Io ho paura di non sentirla parte di me... come se in undici anni di assenza io l'abbia dimenticata o non sia riuscita a capire quanto di lei ci sia in me e dove sia nel riflesso allo specchio.» ma non disse altro, perché il commento successivo di Horus le strappò un involontario sorriso malinconico. Mosse il capo ed i filamenti dorati riflessero i toni più caldi della luce diurna. Ammantatasi però di una serietà vera e profonda, rivolse le iridi acquamarina verso l'amico e aggiunse: «Grazie, davve-...» che però le morì quasi in gola quando sentì la mano di lui raggiungerle la spalla. Voleva che capisse di dover essere fiera dei passi che aveva compiuto e che in molti lo sarebbero stati, Eve compresa, così come lo era lui. E qualcosa, in quel frammento di quiete immobile, si abbatté sulla barriera di cristallo che circondava il cuore ed un potente battito riecheggiò nel silenzio.«Sempre che tra un mese non ci ritroviamo senza una Sala Comune perché avrò fatto così tanti danni al nostro spirito che nascerà una nuova casata e tu e Tosca mi odierete per sempre. » aggiunse nel tentativo di sdrammatizzare, perché non avrebbe davvero saputo che altro dire; ammutolita dal vedere quanto Horus credeva in lei. Il sorrido divertito avrebbe fatto la sua comparsa in scena, mascherando un po' quelli che in realtà non erano timori così casuali o infondati. Riprendendo a camminare, con il cuore appena più leggero, seguì il filo del nuovo discorso.«Ah, vediamo... di sicuro so cosa NON voglio fare! » riaggiustò una ciocca fuori posto, «non sarò mai un Auror o un Insegnante... credo che alla fine dei sette anni ne avrò abbastanza di Hogwarts e, in verità mi piacerebbe viaggiare. » ma quella non era che la punta dell'Iceberg. «Un anno. Dopo i M.A.G.O. mi prenderò un anno per visitare i luoghi in cui la magia è ancora primordiale, in cui i rituali alchemici - tu devi fare Alchimia! - sono ancora alle basi e ... credo che questo mi porterà a richiedere un posto come spezzaincantesimi. » Per evitare un bimbo particolarmente vivace, in fuga da una donna scalmanata e sfiancata, per poco non urtò il fianco di Horus. «Ma la verità è che forse mi piacerebbe lavorare anche come Inquisitrice. Poter scendere sempre in campo come spezzaincantesimi ma avere più "controllo"... ha senso?» chiese, tornando allineata sul percorso, per poi indagare: «Tu? Rimarrai a Londra o...? » evitò di citare il fatto che Zio William le avesse anticipato il desiderio di Costa di metterla a lavorare per la gestione delle risorse dei suoi impianti minerari in Germania. Decisamente Amber non avrebbe mai preso in considerazione quel mestiere, ed il solo pensarci era assurdo e per nulla vicino ai suoi desideri. Non avrebbe continuato sulla scia degli Hydra, ne era sicura.
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Benché Amber fosse l’unica con cui lui era sicuro di potersi confidare, avendo nel cuore il medesimo dolore, Horus fu lieto di cambiare discorso. Il viso triste di lei non aveva fatto altro che rimestare ricordi e speranze, facendo riemergere la paura e l’ansia per quel che si stava preparando a fare. Per un momento fu tentato di confidarle di Villa Cavendish, di raccontarle tutto; sentiva il bisogno, quasi disperato, di liberarsi dal peso di quella decisione, la necessità, umana, di avere il supporto di qualcuno, di un’amica. Si incupì pensando ad Emily e come aveva preso la sua decisione di affrontare da solo l’intrusione nell’abitazione della cugina: non era proprio la reazione che si era aspettato da lei. E tutto quello che poi, inevitabilmente, era seguito: il silenzio.
Ma Horus si trattenne, ricacciando in fondo alla mente quel desiderio di confidenza, ascoltando Amber e sorridendo alle sue parole. Un po’, doveva ammetterlo, la invidiava: una volta era stato diligente nello studio tanto quanto lei, ma nell’ultimo periodo la mole di compiti extrascolastici e la carica di Caposcuola avevano risucchiato così tanto del suo tempo (e della sua voglia) che lo studio aveva subito una brusca frenata. Voleva recuperare tutto il tempo perso, e in fretta anche.
« Oh, diamine se adorerò fare Alchimia. Anche se la Belecthor… di’ un po’, a te non ricorda qualcuno? » Disse pensieroso. Poi scosse il capo, come scacciando quella considerazione sciocca e si sorprese nell’udire Amber rivelare il lavoro dei suoi sogni. Si fermò e un gran sorriso gli illuminò il volto, mentre ricordava quell’incontro fortuito con la Abyss che gli aveva aperto gli occhi. 
« Non posso crederci! » Esclamò entusiasta: la sola idea di affrontare il discorso con l’amica era assai più stimolante del rimuginare da solo sul suo futuro. « Stavo pensando che non mi dispiacerebbe diventare Spezzaincantesimi. Sai, papà era… è »— si corresse, riprendendo a camminare—un magiarcheologo e ho sempre pensato che avrei seguito le sue orme. Mi piace viaggiare, vedere e imparare cose nuove. Ma quel tipo di impiego…credo che sia troppo… come dire… poco stimolante per come sono fatto io. » Sorrise a mo’ di scusa, come se avesse appena pronunciato una calunnia. Cercò di non pensare a quel che avrebbe detto Osiris se solo avesse udito il figlio definire “poco stimolante” il lavoro per cui aveva sacrificato tutto —anche la famiglia, forse. 
« Come Inquisitrice… » Si voltò e la studiò con teatralità, incorniciandole il viso con le dita come una specie di macchina fotografica. « Oh sì, ti ci vedo proprio, hai quel cipiglio nonsoché che metterebbe tutti in riga. » Horus rise, riportando lo sguardo dritto davanti a sé. Non fu difficile immaginare Amber, vestita di tutto punto, gli splendidi capelli dorati legati in un’alta coda e il profilo fiero, tutt’intenta a dispiegare fogli di precisi calcoli alchemici mentre guidava il lavoro di una squadra di Spezzaincantesimi in un qualche remoto sito in Mesopotamia. 
« Chissà… » Disse lui, infilandosi le mani infreddolite nelle tasche della giacca di jeans blu. « Forse saremo di nuovo colleghi. Sarebbe divertente, ma temo che ti farò impazzire. » Sorrise al cielo, fantasticando su un se stesso più grande, fra antichi monumenti vergati da simboli arcani, o fra i resti di un vecchio maniero in Baviera. Rimase in silenzio, mentre la sua attenzione veniva catturata da un gruppo di gazze che zampettavano sui corti prati del parco. Un bambino si stava divertendo ad inseguirle e loro, troppo pigre, svolazzavano quel tanto che bastava per portarsi fuori tiro. Poco più in là, seduti sull’erba, i genitori del bimbo lo osservavano divertiti, ma attenti ad ogni suo passo. 
Gli balenò nella mente, allora, uno strano collegamento con l’Horus più adulto e si chiese se fosse davvero disposto ad essere come suo padre: era nel suo sangue, il desiderio di libertà? Così radicato nel suo animo da spingerlo a sfuggire i legami più stretti? Più cresceva, infatti, più sentiva il desiderio di allontanarsi, di vivere senza catene; una sensazione che si era acuita da quando era diventato falco e aveva assaporato cosa significava davvero “essere liberi”.
« Ambie… » Esordì Horus dopo un po’, gli occhi fissi su quella famigliola come tante altre. 
« Ci pensi mai a come potresti essere… da grande? Intendo dire… » Si corresse e si accigliò, un po’ in difficoltà ed in imbarazzo per quel dubbio che, a voce alta, suonava così infantile. 
« Come genitore… come mamma. » *Hai mai avuto paura al pensiero di non essere in grado perché ti è mancato qualcosa?*
Ma quell’ultimo pensiero Horus lo tenne per sé. Decise che osservare, adesso, i pioppi e i lecci che accompagnavano il sentiero di terra battuta fosse molto più interessante che voltarsi verso Amber. Preferiva evitare di mostrarle quel lieve rossore che gli aveva colorato le guance e la punta delle orecchie e tacque, indeciso se pentirsi o meno di quanto aveva appena indirettamente ammesso.

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L'aria fresca di Londra crepitava tra un respiro affannato di chi correva ancora alla buon'ora, e chi invece - come loro due - passeggiava con calma. Nel mezzo di quanto stava accadendo, Amber si rammaricò di non avere una nuova tazza bollente da tenere in mano per scaldarle le falangi di nuovo gelide. La bionda sapeva cosa la legava ad Horus, e fortunatamente non si trattava solo del dolore che li aveva in parte resi orfani di un genitore durante i punti cruciali della loro crescita... ma era un'amicizia che si era rinsaldata lezione dopo lezione, in classe, in sala comune e nel condividere la spilla che ora che era passata totalmente in mano sua. Eppure, nonostante ciò, c'era sempre un muro tra loro. Amber avrebbe voluto dirgli molto di più su quanto le stava accadendo e le era accaduto. Aveva sempre lo stimolo di farlo.. magari quando lo vedeva assorto e sprofondato nella poltrona vicino al camino, o quando lo incontrava per i corridoi da solo, o quando condividevano le ronde. Ma non lo faceva mai. Alla fine deviava su qualcosa di più leggero, cambiava argomento e non entrava in profondità, e non era ancora riuscita a capire perché si comportasse così. Forse era solo un'abitudine sbagliata, mascherata da desiderio di non riaprire ferite di sorta nell'altro. «Dici?» riemerse dal piccolo pozzo dei suoi pensieri, «Non ci ho fatto caso... in genere quando spiega tutto diventa, beh... fondamentale da ricordare. Non c'è un attimo di pausa mentale durante le sue lezioni.» ecco forse quello non metteva così in luce la materia, ma Horus doveva essere preparato anche al peggio. Niente commentini sul calderone di Porzia, ogni volta sul punto di esplodere. In effetti, a ben ammetterlo, Amber si era sentita particolarmente sola con se stessa a lezione di Alchimia. Alternato al tuffo nel passato, lo sguardo al futuro e ad un possibile impiego al Ministero travolse la tassorosso come un'onda in piena! «S C H E R Z I?» Esplose, incontrollata, per poi serrare le labbra e mangiarsi mezzo sorriso nel mentre. La sola prospettiva di ritrovarsi a lavorare fianco a fianco con Horus riscaldò un po' quel cuoricino sotto il cappotto scuro. Era sempre stato difficile per lei legarsi a qualcuno e la prospettiva di perdere i pochi contatti che aveva l'angosciava di tanto in tanto. In effetti, il nome dell'amico già in sé doveva richiamare l'interesse dei suoi genitori per una certa radicata cultura, e se non ricordava male proprio la nonna del ragazzo si occupava di qualcosa di simile in Egitto? «Ci pensi? Potresti portarmi il Tè anche la mattin-» si interruppe solo per sottolineare il tono scherzoso della battuta, una delle rare battute che Amber si concedeva ma che sempre più spesso avrebbero fatto capolino, ora che la fonte della sua felicità era stabile e lavorava al Ministero. «AH, quindi mi stai dicendo che sono abbastanza minacciosa eh?» Incrociò le braccio al petto, ma poco dopo scoppiò in una risata sincera che scemò in un tono più sottile. «Però sarebbe bello avere un alleato... insomma, il Mondo è così vasto e c'è così tanto da imparare che una persona sola non può bastare.» e lo credeva sul serio, ci sperava perfino. Era tutto iniziato con un semplice volersi migliorare, dopo le batoste subite a ripetizione durante le avventure della Scuola di Atene, ma ora l'ambizione aveva un posto tutto suo nel cuore di Amber e così il desiderio di non fermarsi alle conoscenze che Hogwarts avrebbe potuto fornirle. Lei sapeva che c'era di più, doveva almeno provare a raggiungerlo. «Ed in quanto all'Inquisitrice.. spero davvero che tu abbia ragione...» ammise, lasciando che il momento di pausa successivo fosse la sua mente a vagare sulla sua personale prospettiva. I lineamenti morbidi, arrossati dal freddo, mostravano la parte più dolce e nascosta della biondina, anche se lei non ne era cosciente. Chiare e limpide, le iridi vagavano quiete oltre un orizzonte di case e negozi. Non riusciva davvero ad immaginarsi nella parte, ma voleva a tutti i costi scacciare l'immagine di una se stessa più grande, interamente vestita in abiti scuri e tristi, affacciata alla finestra appannata di un'ala di Villa Hydra: prigioniera di se stessa e di un'eredità pesante come l'intero edificio. Quello era il futuro che doveva evitare a tutti i costi, era il grigiore che incombeva sull'anima nei momenti più bui. Era lei, in verità, in tutta la sua rigida bellezza... ma era una versione così triste che ora non poteva e non voleva più pensarci. «Mh?» Un tiepido raggio di sole si riflesse nel brillo concentrato dei suoi occhi, prima che Horus tornasse dalla quiete in cui entrambi erano sprofondati ed inchiodasse le sue certezze al muro, di nuovo; figli? Famiglia? Educazione?... c-cosa? C'erano due Amber in lei, due strade.. due futuri. Uno verso cui credeva, l'altro da cui invece fuggiva. «Io non-.. oddio è... è presto.. no?» un colpo d'ansia irrigidì i suoi passi, mentre le iridi ed il loro brillio sfuggivano al suo controllo. Boccheggiò a vuoto, deglutì in silenzio. «Beh io non ci ho pensato... perché tu si? » chiese, sebbene non la stesse guardando. C'era così tanto da pensare e... e fare, tra la Amber di diciotto anni pronta ai G.U.F.O. e l'adulta affermata sul lavoro e pronta ad una famiglia. E con chi avrebbe dovuto farla poi.. Killian? A miracolo avevano trovato i giusti incastri per altro da pochissimo, non poteva certo pensarci nell'immediato. Né poteva calcare le orme di Eveline che a soli ventitré anni già aspettava una bimba. Eppure qualcosa si sentì di rispondere, stavolta seriamente. «Horus io.. non lo so sinceramente se ne sarei in grado. Credo di non avere idea di come si faccia ad essere una madre e ... MIO PADRE. » Il tono si alzò di colpo ed Amber smise di camminare. Qualcosa avrebbe fatto immediatamente comprendere all'amico che non si trattava del continuo del discorso perché, senza preavviso, lei gli afferrò una manica per tentare di trascinarlo fuori dal sentiero. «E'-... .». John Hydra, ignaro dei due - al momento - era esattamente alla fine di quel piccolo sentierino che stavano percorrendo. Dava loro le spalle nel suo cappotto infeltrito, ma Amber poteva riconoscerlo ovunque, pur non essendo sicura di cosa ci facesse lì.
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Sì, se n’era pentito. Nel silenzio che seguì, spesso come un muro, Horus si era subito reso conto di quanto strana suonasse la sua domanda. Non ebbe il coraggio di guardare Amber e tenne quindi il viso ostinatamente orientato davanti a sé, a disagio. Camminava distrattamente e gli occhi argentei, ora, scorrevano vacui sui tronchi degli alberi e sui cespugli ordinatamente potati. La voce dell’amica, titubante e confusa lo fece sentire ancora più sciocco ed Horus sentì il rossore inondargli il volto e le orecchie. 
« Sì. Cioè… no! Voglio dire… » Balbettò imbarazzato, guardandola nervosamente e portandosi una mano dietro il collo.
 « È che a volte, sai… mi capita di pensare se la mancanza di mio padre possa avermi privato di… » Horus trattenne il respiro cercando di trovare le parole, ma non riuscendoci sospirò o, meglio, sbuffò. 
« È sempre stato un pensiero astratto, ecco, niente di definito. La mia famiglia, quella da parte di papà, vorrebbe che io mi sposassi presto e… insomma, quella roba lì. » Ridacchiò ed un lieve cenno di isteria fu chiaramente percepibile in quel riso forse fin troppo acuto. Ancora ben deciso a guardare dappertutto, ma non Amber, tornò ad osservare il paesaggio, seguendo distrattamente il sentiero di ghiaino. 
« Ma io… non è che sia molto fortunato con le ragazze… » Confessò ed il suo viso venne oscurato da un’ombra. Tacque, mordendosi il labbro, mentre ripensava ad Emily e a come il loro rapporto si fosse incrinato. 
Gli occhi di lei, colmi di risentimento, lo guardavano attraverso il velo dei ricordi ed il suo bel viso affilato era arrossato dalla rabbia. Horus percepì chiaramente una stretta allo stomaco ed ebbe come l’impressione che le sue viscere si fossero tramutate in piombo. Dalla Danza delle Ceneri non si erano mai parlati. Si cercavano ancora, con lo sguardo, con i gesti e con i baci ma era come se si fossero aggrappati ad una violenta fisicità per sfuggire ad un confronto che, probabilmente, entrambi temevano più di ogni altra cosa. Era come se, da quel giorno, si fosse eretta una barriera fatta d’orgoglio e silenzi e ciò che spaventava Horus era il trovare quella barriera stranamente confortante. Sfortunatamente il parallelismo con ciò che era accaduto con Mya era uno dei pensieri che più lo logorava ma, come in un circolo vizioso, più se ne rendeva conto, più si intestardiva e la voce spariva ogni qualvolta incontrava Emily; a lei, del resto, sembrava andare bene anche così e lui non faceva nulla per cambiare la direzione di quel rapporto. Improvvisamente incupito e di malumore, Horus quasi non si rese conto della risposta di Amber e quando lei alzò la voce, lui sobbalzò, fermandosi di colpo.
« C-cosa? » Domandò, sbattendo le palpebre con fare piuttosto ottuso e guardandosi spaventato alle spalle, come se si aspettasse di veder comparire il padre di Amber proprio dietro di sé. Accortosi che non c’era nessuno, Horus piegò la testa di lato ed era lì lì per chiederle se si fosse bevuta il cervello —quante probabilità c’erano di incontrare a caso suo padre, lì a Greenwich park?— quando lei lo afferrò per la manica e lo trascinò via dal sentiero. 
« Ah, ehi! Asssss… » Sibilò mentre barcollava verso il prato e poi seguiva con gli occhi il dito di Amber. Le sue labbra rimasero schiuse a metà di un commento, mentre osservava un uomo alto, avvolto in un vecchio cappotto, che camminava tranquillo poco più avanti. Poi il suo sguardo fu catturato da un famigliare bagliore infuocato e la bocca si spalancò in un’espressione attonita.
« E m-mia madre?! » Boccheggiò, incredulo, mentre le braccia gli ricadevano lungo i fianchi e osservava la figura snella di Ainsel Sekhmeth che passeggiava lungo lo stesso viale. Indossava abiti Babbani (un trench color cammello, dei pantaloni neri e degli stivali scuri) e si guardava intorno, un po’ spaesata, senza sapere che suo figlio era proprio qualche metro avanti a lei, semi-nascosto dietro un cespuglio. 
Horus, infatti, appena si era ripreso dallo stupore, aveva acchiappato Amber per la vita e s’era nascosto dietro un voluminoso arbusto di alloro. La sua testa rossa sbucava oltre le foglie verde scuro, creando un contrasto terribile alla vista. 
Ainsel, ancora apparentemente ignara, aveva fermato il padre di Amber e aveva cominciato a parlare indicando un punto imprecisato dietro la schiena di lui — e verso di loro? No, impossibile, pensò Horus con una punta di panico.
« Ma… ma… si conoscono? » Si volse verso Amber, il viso che tradiva lo sbigottimento più totale. « Ci avranno visto? » Bisbigliò preoccupato, aggrottando le sopracciglia. Non sapeva bene perché si sentisse così agitato, in fondo, né lui né Amber stavano facendo niente di male. Ma Horus sapeva anche che sua madre stava cercando di capire da mesi chi fosse la sua ragazza (non aveva mai avuto l’occasione di presentarle Emily ed Emily non aveva accettato di buon grado di passare qualche giorno a casa sua durante le scorse vacanze estive). E, cosa più importante di tutte…
« Io non le ho mica detto che lasciavo la carica di Caposcuola… » Spaventato, guardò Amber, come se si aspettasse che lei avesse appuntata al petto la spilla appena ricevuta, ed ammutolì.
In lontananza si udivano dei passi e una risata argentina; Horus sperò fosse l’ennesimo marmocchio e non sua madre (e il padre di Amber?) che veniva inconsapevolmente verso di loro.

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view post Posted on 12/12/2019, 08:27
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Pochi minuti prima, lo sguardo di Amber era tornato in cerca di risposte a domande un po' troppo specifiche. Non che non amasse condividere qualcosa con Horus ma ... figli? Genitorialità? Programmi per un futuro di coppia? Ecco quello decisamente non era un argomento di conversazione tanto normale per lei. Tant'è che non poté nascondere ben più di una punta di sbigottimento a lungo a andare. Fu però grata allo stesso imbarazzo che dimostrò anche l'amico, che non la lasciò ad avvampare da sola al gelo. Lo capiva, in fondo. Capiva cosa avesse portato il ragazzo a dubitare del suo "io" più adulto, perché anche lui in qualche modo era rimasto senza la figura di riferimento che gli fosse più simile, almeno sotto certi aspetti. Con ulteriore imbarazzo scacciò i ricordi dei momenti in cui si era forzatamente dovuta rivolgere a Mayline per un consiglio ed aveva ricevuto risposte così contorte da far impallidire un corvo. Per quanto alcune volte fosse stata d'aiuto, sua Zia spesso e volentieri sapeva parlarle ancora meno di suo padre, riuscendo alla fine di ogni discorso a lasciarle addosso più dubbi che certezze. Come quella volta che... «No, sì... capisco insomma...» aggiunse provando a salvare entrambi, Non perse però di vista il cambio di tono e d'umore che il pensiero alle sfortune con le ragazze portò in Horus. Come colto da una ventata di gelida consapevolezza, il cuore di Amber rallentò il ritmo. «Nemmeno io... », espirò in un soffio di realismo puro. Certo le cose con Killian si erano sistemate e anche molto bene, il solo pensiero di quel bacio dopo la tempesta emotiva che li aveva portati sull'orlo di un precipizio infinito, poteva cancellare la tristezza di una giornata "no"... ma quanto aveva sofferto e inferto sofferenza per arrivare fino a quel punto? «... fino a poco tempo fa.» Ammise con un silenzio di tomba nell'anima: lo aveva detto sul serio? Nessuno sapeva di Killian tranne lei e Nonna Elise, seppur senza grandi dettagli di sorta - la vecchia aveva capito tutto prima ancora della nipote - ovviamente. Però la voce si era spenta sul nascere, perché l'idea di metter su famiglia e delle aspettative di quella di Horus, l'avevano riportata su un nuovo binario. «Penso però che mio padre mi vorrebbe da sola almeno fino a trent'anni.» Realizzò mentre un brivido glaciale le attraversava la schiena; prima o poi avrebbe dovuto presentare Killian a Johnathan Hydra, e solo Morgana sapeva come sarebbe finito l'incontro. Amber non voleva nemmeno sfiorare il pensiero di una possibile predizione a riguardo, nossignore! Trovarsi proprio suo padre a qualche metro di distanza, la destabilizzò infine al punto che trascinare Horus oltre una siepe fu il minimo. Senza garbo, senza preavviso e senza il minimo senso della misura; lui avrebbe potuto benissimo non seguirla, ed invece si lasciò - beh più o meno - trasportare. E sentirsi invece sollevare per la vita le fece andare per un secondo il viso in fiamme; il contatto era da sempre il suo punto debole, il tallone d'Achille, e Horus non era mai stato vicino come allora, nemmeno quando gli era letteralmente caduta addosso dopo un salto troppo audace di un fagiolo saltellante nella serra di Erbologia. Per darsi un contegno e non pensare alla presa sul fianco, le servì una schiaffo metaforico e questo proprio non tardò ad arrivare.. perché John non era solo in fondo a quel vialetto, o almeno non lo era rimasto a lungo. Mamma Sekhmeth aveva fatto la sua comparsa, con la sua chioma di fuoco. Per quel poco che., con angoscia, Amber riuscì a spiare, non poté non pensare che fosse semplicemente bellissima. «TUA madre?» squittì allarmata, aspirando l'ultima parola, con le spalle premute contro il tronco dell'arbusto. «Perché c'è anche tua madre?» proseguì irrazionale, prima di riprendere un briciolo di controllo sui neuroni in panne. «E io non ho detto al mio che ero qui... con te.» proseguì, trovando sempre più assurda la presenza proprio di quei due adulti a pochi metri da loro. In aggiunta, passi in vicinanza. «No, no che non ci hanno visto... credo» a chi lo stava dicendo? Si ritrovò a sperare più che a confermare, per poi chiedersi se non sarebbe stato peggio per i due genitori vedere i propri figli appartati tra gli arbusti e troppo vicini tra loro, anziché vederli tranquillamente a passeggio lungo il vialetto. Il cuore martellava angoscia nel petto, la mente macinava idee... ma ognuna era meno plausibile della precedente. Abbassò il tono. «E come potrebbero conoscersi?... Non si sono mai vist-» però la frase le morì in gola, sostituita da una parola che accese una lampadina grande quanto un lampione: «Hogwarts! Oddio.. Horus quanti anni ha tua madre... e di che casata era?» Gli occhi chiari scandagliarono il volto dell'amico, in cerca di informazioni, e l'espressione di fece tanto seria da far apparire quella domanda come una su una lunga lista da interrogatorio. Poche erano le informazioni che John aveva snocciolato negli anni sul suo passato ad Hogwarts prima di incontrare Eveline, ed una di quelle lo vedeva pavoneggiarsi per i corridoio guadagnando occhi dolci e NO, quella proprio non doveva essere l'ipotesi più vera. Già così l'imbarazzo aumentava come la nebbia di Londra, sarebbe stato il colmo se in gioventù quei due si fossero conosciuti e scambiati più di una stretta di mano. Amber non se ne accorse,
JggJgEK
ma quel pensiero scatenò sul suo volto un'espressione a metà tra lo schifo ed una negazione infantile. Il tono si abbassò ancora un po' quando affermò la prima certezza di quei concitati momenti: «Sono loro? A-arrivano? Non..non possono vederci così.» Perché sì erano amici, sì per lei il rapporto era ai limiti del fraterno e sì, per loro non c'era nulla di male... ma certo non poteva pretendere che gli altri fossero tutti legilimens. Poteva sopportare lo sguardo un po' dubbioso di una vecchia impicciona su una panchina, ma spiegare a sua padre perché fosse semi accucciata dietro un arbusto con Horus a meno di un metro e mezzo e l'aria cospiratoria, sarebbe stato molto molto più complesso. E se al posto di John ci fosse stato Killian? Rabbrividì
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