Jolene White
Poco tempo era passato dal Ballo delle Ceneri, l'ultimo evento degno di nota in un'esistenza monotona come quella di Jolene. La giovane vi era ritornata con la memoria in svariate occasioni, incapace di trovare nella quotidianità la giusta distrazione ad un pensiero fisso. Continuava a rivedersi mentre fronteggiava lo specchio che le aveva aperto gli occhi, la gemella stralunata che, con la sua lingua tagliente, incrinava un'armatura costruita con cura nel corso del tempo. Aveva vissuto quei momenti come immersa in un incubo terribilmente reale e ora, a distanza di giorni, non era più sicura se determinate verità fossero uscite allora dalle labbra dell'Altra o se fossero frutto di successive elucubrazioni. Questo fatto, da solo, bastava a dimostrare quanto le due figure fossero sovrapponibili, in un'identificazione che aveva rinunciato a rigettare.
L'accettazione, tuttavia, era ben lungi dall'essere stata raggiunta. La giovane era continuamente sovrappensiero, e un'espressione piuttosto cupa si poteva leggere sul suo volto nei momenti in cui non credeva di essere osservata. Non aveva cessato di svolgere i propri doveri con la dedizione e l'efficacia che la contraddistinguevano, ma qualcosa in lei si era mosso. Quanto avrebbe impiegato la sua nuova forma ad assestarsi, non le era dato sapere. Tutto ciò che poteva fare era nascondere il nuovo squilibrio a coloro che la circondavano: si trattava di una battaglia personale, credeva. D'altronde, chi avrebbe potuto curarsi del malessere dell'Infermiera? Fintanto che avesse svolto il suo dovere, avrebbe potuto considerarsi quasi invisibile tra le mura del Castello.
Quel giorno, a tavola, aveva alzato lo sguardo dal proprio piatto e lo aveva diretto verso il punto in cui, per una notte, la porta era stata accessibile a tutti. Sotto al soffitto incantato della Sala Grande, che in quell'occasione rispecchiava un cielo coperto di grigio, Jolene si era poi affrettata a congedarsi. Sentiva l'impellente bisogno dell'aria aperta, e non solo della sua illusione. Mancavano ancora un paio d'ore al momento in cui avrebbe dovuto riprendere il proprio turno in Infermeria, quindi decise per una passeggiata a Hogsmeade, dove sperava di trovare qualche distrazione a quello stato d'animo tanto morboso.
Indossati i vestiti con cui era arrivata ad Hogwarts quella mattina, imboccò a passi decisi la strada che portava al villaggio magico. Era piacevole sentire l'aria fredda contro il viso, poter mirare verso il punto in cui lo sguardo non riusciva più a stare dietro alla strada. Nel Castello gli spazi erano limitati, e ciò che di infinito si poteva scorgere dall'altezza delle sue finestre apparteneva all'esterno delle sue mura, la cui pesantezza Jolene aveva iniziato a percepire.
Le prime abitazioni si delinearono in lontananza, come acquerelli sbiaditi, e la giovane accelerò il passo. Le costruzioni divennero più solide ad ogni metro percorso, e presto arrivarono a costeggiare la sua strada su entrambi i lati. Jolene era intenta ad osservare ciò che la circondava, quando una figura attirò la sua attenzione per il colore sgargiante che ne caratterizzava la chioma e la barba folta. Si chiese se anche lei saltasse all'occhio in quel modo, con i lunghi capelli rossi che il vento aveva preso a spingerle davanti al viso. Più si avvicinava, più si faceva marcata l'impressione di conoscere quell'uomo, per quanto non potesse ricordare in quale circostanza lo avesse incontrato.
Un movimento repentino del rosso la distrasse del tutto: chiunque fosse, si piegò sulla panchina su cui era seduto e, letteralmente, vomitò anche l'anima. La prima reazione di Jolene fu di ritrarsi storcendo il naso perché, per quanto abituata al corpo umano e ai suoi più bassi sfoghi, non aveva ancora fatto il callo a certe scene. Fu solo un momento, prima che la giovane si affrettasse verso il malcapitato, il cui stomaco sembrava essersi momentaneamente calmato.
«Ti senti bene?» Domandò ingenuamente, piazzandoglisi vicino e piegando il busto in avanti per guardarlo meglio in volto. In quel momento l'odore dell'uomo la colpì con violenza: fino ad allora il vento aveva portato lontano il fetore di fumo e alcool, ma ora era troppo vicina perché vi fosse scampo. Si ritrasse con un'espressione poco lusinghiera, prima di riprendere il controllo di sé. Mai diagnosi fu più lampante. «Ehm… Ti posso trasfigurare un bicchiere d'acqua?»