«Avevi detto di non voler partecipare.»
Il commento giunse stizzito, rapido, come una stilettata tra le peggiori in assoluto; nello stesso momento, una vocina interiore si fece strada tra i pensieri disonesti, sbagliati e peccaminosi di un semplice giovane ragazzo. Non ammazzarlo, suggeriva. Non pietrificarlo, non ferirlo, non fargli del male in alcun modo. L'idea di una Fattura Orcovolante in bella mostra, spiaccicata sul volto dell'altro interlocutore alla meglio, fu a sua volta repentinamente accantonata. Un respiro profondo, la consapevolezza di essere in un luogo pubblico, tutto quello andò a descrivere un rinnovato equilibrio di cuore e spirito di Oliver. «Che poi mi dico, se non hai tempo, allora non ci andiamo. Punto, è tanto semplice. No tempo, Brior - no festa. Chiaro, mi sembra. E invece no, andiamo, andiamo tutti insieme, e che culo, Brior, guarda. Che dannatissimo cu-» *Oh ti prego, Coscienza, al diavolo.*
«Levicorpus» fu tutto ciò che il commesso dello store musicale sussurrò a mezza voce; il movimento pari ad una frusta della bacchetta magica, il rituale compreso nei dettagli, l'Incantesimo plasmato da una ferrea quanto immediata volontà, l'attimo successivo James si ritrovò sospeso per la caviglia, sottosopra, come un salame nella cantina di zio Albert. Un altro colpo del legno d'Abete stretto convulsamente dalle mani del Grifondoro e le grida oscene della vittima, puntellate da parolacce di volta in volta, si spensero all'unisono. Oliver sapeva di aver poco tempo a disposizione, a quel punto, per darsela a gambe. Questione di secondi prima che il collega impugnasse la bacchetta e si vendicasse a sua volta. «James, senti, non venire. D'accordo, è stata colpa mia, ma è una buona occasione per tutti noi, per far conoscere gli strumenti al pubblico e agli studenti soprattutto. Quindi resta qui, vai fuori, fai quello che dannazione vu-»
Fu colto da un capogiro immediato, senza possibilità di fermarsi o di continuare il proprio discorso. Da quando aveva conosciuto James, l'altro commesso di Evviva lo Zufolo, tutto era andato a rotoli. Se da un lato poteva essere sicuro di definire il ragazzino come un amico, dall'altro era ben consapevole di quanto entrambi fossero diversi. Anche il lessico di Oliver era mutato drasticamente, in un gergo piuttosto giovanile per i suoi gusti, da quando aveva sentito il collega ripetere più e più insulti ai danni dei clienti. La Visione, tuttavia, annebbiò ogni sentore di lucidità. La bacchetta magica perse il controllo delle dita della mano destra, mentre il ragazzo sfumava nel tempo e nello spazio in un'altra dimensione. Un battito di ciglia, il corpo remotamente lontano, infine si risvegliò in un punto impreciso, distratto più di quanto potesse credere. James gli stava con il fiato sul collo, la punta della bacchetta gli sfiorava il pomo d'Adamo in modo così forte, ravvicinato e pressante, da sentire la rabbia e la preoccupazione pulsare all'unisono nella mente in panne. «Cosa diamine-»
Sentì il sangue zampillare ancor prima di poter frenare il commesso, ancor prima che qualcuno potesse vedere la scena nella sua interezza, e fu a quel punto che l'autocontrollo si stagliò, netto e limpido, come uno Schiantesimo a fior di labbra. Il corpo di James fu rivoltato all'indietro, cozzò contro una schiera di Tamburi Elementali, e nel rumore assordante di quello scontro, Oliver riaprì gli occhi.
«Brior, e che culo, svegliati che abbiamo da fare.»
Sentì il peso della Visione sciogliersi nei suoi filamenti più vivi, intensi e profondi; le mani corsero al collo, là dove aveva percepito la vicinanza di James - lo stesso ragazzo che aveva appena parlato - in modo asfissiante. Non aveva alcun segno, non sulla pelle, non così visibilmente. Si accorse di essere rimasto in piedi per tutto quel tempo, con la custodia di uno strumento musicale tra le mani, la schiena poggiata alla parete, in bilico tra equilibrio e una caduta. Sospirò, ripristinandosi.
«Per colpa tua.» Si volse di scatto verso il collega.
«Avevi detto di non voler partecipa-»
Corse via, lontano, nel retro dello sgabuzzino. Là dove la Visione non poteva concretizzarsi, là dove il Tempo poteva essere bloccato. Perché se fosse rimasto anche solo un secondo di più, tutto sarebbe accaduto. Lo sapeva, già lo sapeva.
Molte ore dopo, di rientro al castello di Hogwarts, Oliver si disse pronto per uscire dal dormitorio. Un'ultima occhiata alla rinfusa allo Specchio Magico del suo bagno, un commento poco gentile da parte dell'artefatto, infine si chiuse con aria stizzita la porta di legno alle sue spalle. La sciarpa che portava al collo era così lunga da aver dovuto rinchiuderla in più giri su se stessa, ma la temperatura del giorno non era così favorevole - non per i suoi gusti - da spingerlo a vestirsi in modo più leggero. Non era prevista pioggia, neve né vento gelido e lo stesso orizzonte che si scorgeva dai confini della Scuola, appena al di fuori delle finestre circolari della propria camerata, lasciava ben sperare. San Patrizio era arrivato con un tempismo inaudito, prima di quanto lo stesso Caposcuola potesse immaginare. O molto più banalmente, si era ripetuto, prima di quanto creduto. Nell'ultimo periodo il suo livello di concentrazione stava letteralmente scemando, e più impegni si erano accavallati gli uni sugli altri fino a realizzarsi in una pila mentalmente instabile. Quando la notizia dei festeggiamenti irlandesi in Villaggio di Hogsmeade aveva raggiunto addirittura il Castello, in effetti, Oliver aveva pensato a lungo se partecipare di persona o meno. La possibilità di fare qualcosa per lo stesso store musicale in cui lavorava, a Londra, era stata la chiave di svolta per il torpore che da molto lo stava attanagliando. Se avesse fatto qualcosa di concreto, di dinamico e di attivo, si sarebbe sentito meno in colpa del solito. Così aveva scelto di indirizzarsi in più punti, in più scelte, quasi tutte contemporaneamente. Aveva scritto una rapida missiva per Leah, le aveva chiesto di andare alla festa insieme e quando aveva ricevuto la sua risposta, si era sentito alle stelle come sempre. Aveva a quel punto parlato dell'occasione di compravendita al proprietario di Evviva Lo Zufolo e, ad eccezione delle lamentele del suo collega, aveva ricevuto dal capo un certo apprezzamento per la proposta. Quel pomeriggio - non più tardi dell'orario che aveva concordato con James - il carico leggero di strumenti musicali sarebbe giunto al sobborgo magico con il suo palco di eccezione. Prima, però, aveva qualcuno da incontrare. Si diresse a passo rapido verso l'uscita, salutando al volo qualche volto familiare strada facendo, e dopo aver superato il ritratto della Signora Grassa - «Oliver, un Idromele di Rosmerta per me, caro!» - finalmente fu in grado di arrivare ai confini di Hogwarts con pochi minuti di anticipo rispetto all'orario di appuntamento. Attese che un gruppetto di studenti lo superasse, sorridendo con curiosità, mentre infilava entrambe le mani nella giacca di un bel grigio azzurrino che indossava sul semplice maglione blu notte di quel pomeriggio. La sciarpa solleticò le gote, mentre il vento già soffiava gentile.