Pactum Sceleris, Privata.

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16 Anni ↝ Prefetto Grifondoro ↝ III anno

Nieve Rigos

«Medice, cura te ipsum!»


N
el mondo degli affari, correvano voci molto interessanti circa l’esistenza di un mercato nero itinerante e, si badi bene, accessibile soltanto a veri intenditori. Si diceva, in particolare, che alcuni rigattieri — un po’ loschi e un po’ girovaghi — solessero riunirsi con cadenza non troppo regolare in una zona non meglio specificata di Londra. E pare ci fosse spazio per gente di qualsiasi foggia, perfino per chi avesse avuto il vezzo della contrattazione. Le informazioni, come si può intuire da queste poche righe, erano così vaghe e confuse da convergere tutte verso un’unica soluzione: bisognava far parte di un certo giro per saperne abbastanza da poterlo visitare, altrimenti si correva il rischio di finire in una di quelle bizzarre fiere babbane dove tutti sembravano vendere “robbabbella”.

Avvolta nel mantello verde muschio che le aveva regalato Julian, Nieve osservò la prima di un ristretto corridoio di bancarelle con un moto di fierezza. C’erano rivenditori che avevano speso una vita intera nel tentativo di trovare quell’angolo di economia per pochi senza mai riuscirci. Non poteva credere che il suo datore di lavoro le avesse concesso il privilegio di presenziare ad una delle fiere di oggettistica più ambite del mercato magico… be’, di quello che aveva un certo spessore, pur scendendo — e forse proprio per quello — a patti col diavolo!
Abbassò il cappuccio, liberando le ciocche d’argento. Aveva smesso di temere la propria riconoscibilità nel momento stesso in cui aveva imparato a padroneggiare i meccanismi del suo impiego da Safarà. Così, agitò una mano in direzione di una donna dal viso smilzo e dal fisico ossuto, che aveva servito personalmente un paio di volte nei vicoli di Nocturn Alley per ragioni che non si era mai curata di indagare. Poi, passò oltre e dedicò la propria attenzione alla seconda banc… Più che una bancarella, a dirla tutta, si trattava di una tenda di dimensioni non sospette; aveva i lembi sfilacciati che costituivano l'entrata accostati tra loro, tant'è che dal di fuori era pressoché impossibile intravedere la merce in esposizione all'interno.
Attirata dal bordeaux sbiadito delle pareti di tessuto, Nieve mosse un passo in direzione dell’ingresso prima che il pungolo del sospetto la muovesse a prudenza. Tutto ciò che aveva a che vedere con gli affari, aveva scoperto nel tempo, sortiva un fascino fuorviante sul suo animo e annebbiava le sue capacità di giudizio. Il desiderio di scovare un oggetto introvabile e di inserirlo tra quelli in vendita al negozio la entusiasmava al punto da annullare quasi del tutto la parte guardinga che il proprietario di Safarà si era preso la briga di addestrare.

“Non devi mai abbassare la guardia, ragazzina: è quello il momento in cui hai segnato la tua disfatta!”

Allora esitò, conscia di non sapere cosa l'aspettasse al di là dei tendaggi, e quel breve tentennamento bastò a indispettirla. Aveva trascorso una mattinata infernale, tormentata dalla riscoperta fallacia della propria memoria: per una ragione che non riusciva a comprendere — e che non era sicura rientrasse nei ranghi della normalità per una ragazzina all’alba dei diciassette anni — i ricordi sfuggivano alla sua presa e finivano sfocati, diluiti, nella peggiore delle ipotesi perfino cancellati. Era un miracolo che quella circostanza non avesse ancora inficiato il suo rendimento scolastico!
Sospirò, scuotendo il capo per ricacciare il pensiero e la preoccupazione che aveva portato con sé. A tempo debito, avrebbe fatto una capatina in infermeria per chiedere delucidazioni o, magari, avrebbe accennato la cosa a Grimilde via gufo con la promessa di tornare sull’argomento alla prossima merenda a Hogsmeade. Intanto, convenne col piglio pragmatico che l'esperienza da garzona aveva affinato, c'era ben altro di cui occuparsi. E Dio solo sapeva quanto si meritasse un attimo di distrazione!
Una carezza alla gonna, uno sbuffo sardonico verso quella sé stessa così noiosamente proiettata verso il futuro e le sue preoccupazioni e una risatina precedettero il suo ingresso nella tenda.

«Ehilà! C’è nessuno?»

La voce squillante di Nieve si accompagnò al tintinnio di un sonaglio costituito di sole piume e alla folata di vento che la sospinse dolcemente in avanti.

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17 anni ¬ Prefetto Corvonero ¬ III Anno
Megan M. Haven


HFCiVKa

La pioggerellina scendeva copiosa su Notting Hill, bagnava le variopinte mura delle case spegnendo il loro colore vivace che, nelle rare giornate apriche, veniva messo in risalto dal sole. Tuttavia il grigiore delle nuvole e la luce spenta, opaca, non riuscivano ad affievolire la bellezza di quel quartiere e della città inglese. Sotto centinaia di ombrelli vivaci, K-way di tela cerata, la gente passeggiava indisturbata: chi parlava al telefono, chi s’incontrava per un caffè e chi, come di consueto, ogni mattina si recava al mercato. Ed era lì, fra il caos cittadino, nascosti sotto un ombrello bianco, che Megan e Carl camminavano.
Un ricordo chiaro, nitido, come fosse passato solo giorno. Contrariamente sette lunghi anni erano trascorsi ma Megan si ritrovava sempre lì, persa fra i suoi ricordi. Nel presente, se chiudeva gli occhi per qualche attimo, percorreva momenti tra le memorie celate nella sua mente e nel suo cuore. Queste ultime erano le uniche che riuscivano a scaldarla e a farla tornare ciò che era un tempo anche se per poco, ma le bastava. Fino a che avrebbe potuto afferrarle avrebbe mantenuto accesa la luce, quella che fievole ad ogni soffio rischiava di spegnersi.
A distanza di qualche anno, in assenza della sua famiglia, si trovava a percorrere la propria strada confusa, colmata dalla rabbia e dalla paura, circondata da una corazza impenetrabile dura e fredda come il marmo più pregiato al mondo. Ciò che ora non sapeva però, era che con il tempo tutto si sarebbe definito in maniera chiara. Ogni passo che aveva compiuto dall’accaduto, ogni singola scelta che avrebbe fatto, avrebbe determinato ciò che sarebbe stata, ciò che probabilmente non avrebbero mai immaginato di poter vedere i suoi genitori. Tuttavia ora, però, non poteva fare altro che guardarsi fallire nel trattenere il controllo: era proprio andando fuori da ogni schema che riusciva a sentirsi viva e lo aveva sperimentato più volte da averne oggi la certezza assoluta.

«Papà ma quante sono?» le dita minute indicavano le vetrine di “AllSaints”, il famoso negozio di abbigliamento, dove migliaia di antiche macchine da cucire decoravano l’intera parete.
Carl voltò lo sguardo seguendo l’indice di sua figlia. «Tantissime tesoro e sono tutte da collezione! Pensa che è un negozio di vestiti.»
«Che idea buffa, sembra un negozio che vende questa roba antica più che vestiti. Mh, non mi piace!»
scosse la testa accompagnando la frase finale.
«Meg, è proprio questa la cosa magnifica. Sono pezzi antichi, valgono tantissimo e rappresentano un frammento di storia. Per esempio quella è una Salmoiraghi del 1781, fu la prima azienda italiana a produrre macchine da cucire. Questi signori hanno avuto un’idea geniale: invitano la gente a entrare incuriosendola e alla fine qualcuno esce con dei loro articoli. Guarda lì!»
fece cenno alla piccola di osservare una coppia di turisti che avevano alcune buste stracolme di vestiti e sorridevano soddisfatti. Megan li aveva guardati storcendo la bocca e Carl si era lasciato andare a una risata di gusto nell’osservare la sua espressione di totale disapprovazione.
«Proprio non ti piace eh?! Dai andiamo che devo comprare qualche articolo da Alice’s e tu mi aiuterai a scegliere. Ho quell’angolino dello studio del tutto spoglio non riesco a vederlo così. Forza!»
«Una macchina da cucire sarebbe perfetta!»
ghignò incrociando lo sguardo di suo padre che, complice, le sorrise scuotendo la testa.

L’aria di quel posto, fra i vicoli più tetri di Londra, nascosto agli occhi dei babbani, rappresentava tutto meno che l’allegra e gioiosa Notting Hill. Tuttavia quel ricordo era stato possibile proprio perché, fra i numerosi banchi e tende, spiccavano oggetti di antica e rara fattura e davanti a una di esse una macchina da cucire faceva da insegna di benvenuto.
«Ti serve qualcosa ragazzina? Quello è solo uno stupido oggetto babbano.»
Solo in quel momento Megan con un battito di ciglia tornò nel presente e scuotendo la testa rispose al vecchio dietro al banco.
«Sì, beh, ha ragione. Non ho bisogno di nulla, grazie.» abbozzò un mezzo sorriso proseguendo per la sua strada.
Perché era lì?
Non poco più di una settimana fa Megan si era trovata ad assistere a una conversazione tra Lysander e un suo “cliente speciale”. Tant’è che quando fu nominato il mercato nero, dove ora si trovava, aveva pulito più di una volta gli articoli per rimanere ad ascoltare. Parlavano di oggetti di pregiata composizione, manufatti antichi da far andare su di giri qualsiasi cliente di alto rango. Materiali introvabili, di rarità, creduti perduti e per i quali qualsiasi compratore avrebbe venduto l’anima al diavolo per averli.
Così la curiosità si era spinta verso di lei come un vento d’aria fresca in una giornata afosa e un mezzo sorriso malizioso era comparso sulle sue labbra. Aveva memorizzato ogni frase, ogni indicazione e una volta compreso dove e quando trovare quel posto si promise di farci presto un salto: forse avrebbe trovato qualcosa di utile per lei.

In quegli istanti si addentrava all’interno del mercato, posando gli occhi su ogni oggetto che avrebbe potuto interessarle.
«Basta saper cercare, vecchio mio, ma tu sei in gamba! Voglio dire, guarda cosa hai tirato su! Ricorda solo: ciò che è nascosto è senza dubbio ciò che cerchi. Questa settimana so che arriverà bella roba conviene farci un salto; chiedi di Azariah e digli che ti ho mandato io.»
Ricordava chiaramente quelle parole; aveva cercato di seguirne il filo logico ma c'era tantissima roba lì e della maggior parte conosceva poco e niente, tanto da sentirsi totalmente spaesata. Non aveva un’adeguata preparazione né spirito critico in materia: quanti oggetti contraffatti sarebbero potuti capitarle fra le mani? Molti. La probabilità era alta e nessuno le avrebbe suggerito di lasciar perdere e andare avanti. Tuttavia non aveva paura o timore, non era la prima volta che si addentrava in luoghi simili, aveva imparato a fingere, a mimetizzarsi, portando in volto una maschera perfetta. L’unico briciolo d’ansia provata era la probabilità di incontrare Lysander, e allora sì che avrebbe dovuto inventarsi una bella scusa.
Avanzava avvolta dal mantello nero, con il volto coperto dal cappuccio che nell’ombra lasciava intravedere solo gli occhi blu. Una spallata fra la calca la fece vacillare appena ma poco dopo riprese l’equilibrio proseguendo sicura. Pochi passi ancora ed entrò all’interno di una tenda lasciandosi alle spalle la folla che lentamente diveniva sempre più numerosa e ingestibile. Varcò la soglia di tessuto, s’imbatté in numerosi oggetti e non perse occasione nell’avvicinarsi per osservarli con più attenzione.
«Ciò che è nascosto è senza dubbio ciò che cerchi.» farfugliò, ma proprio mentre stava per afferrare il manico di una lanterna dagli intarsi d'orati, fu colta di sorpresa da una voce familiare che, a qualche metro di distanza da lei, aveva appena fatto il suo ingresso. Cercava qualcuno lì dentro ma non vi era nessuno, o almeno così pareva.
«Sembrerebbe di no.» disse con tono piatto, alzando le spalle, dopo qualche secondo di silenzio assoluto. Non le aveva rivolto lo sguardo, le iridi cobalto riflettevamo ancora in direzione dell'oggetto sul bancone spostandosi lentamente verso tutti gli altri.

«Forsan et haec olim meminisse iuvabit.»


 
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Nieve Rigos

«Medice, cura te ipsum!»


I
l mondo al di qua delle tende apparteneva a un'altra epoca, a un'altra cultura. Oltrepassando la soglia di tessuto, Nieve ebbe la stessa impressione che l'aveva colta negli attimi immediatamente successivi l'atterraggio a Gerusalemme: non avrebbe potuto determinare con esattezza dove si trovasse, ma seppe di essere altrove da Londra.
Un odore di sabbia calda inframmezzava il fresco dell'ambiente in penombra. Sentiva i granelli scricchiolare sotto le suole, depositarsi sui pochi pezzi d'arredo sparsi, insinuarsi nelle intercapedini più recondite e tintinnare a contatto coi metalli preziosi. Riusciva perfino a percepire la fragranza intensa del sole delle lande desertiche natìe, proprio lì dove non aveva possibilità di dominare e scaldare.
La superficie spessa e morbida di un tappeto accolse un ennesimo passo, mentre la Rigos tentava di abituarsi all'oscurità e batteva freneticamente le palpebre per riuscirci. D'istinto, condusse la mano destra al viso e la posizionò all'altezza delle sopracciglia — ricordava un marinaio un po' sprovveduto su un'imbarcazione da quattro soldi nell'immenso ventre dell'oceano selvaggio. Poi, una voce ruppe il silenzio, eterea ed evanescente come il sospiro di un fuoco fatuo. Nieve si voltò nella direzione da cui l'aveva udita provenire e individuò una figura ammantata darle le spalle. Colse solo in modo vago la nota familiare insita nell'intonazione.

«Tu sei qualcuno,» disse dopo un po', ovvia.

Dalla posizione in cui si trovava — diagonalmente rispetto alla sconosciuta, della quale aveva intuito soltanto il sesso — per Nieve era impossibile scorgerne i tratti del viso. Il cappuccio largo offriva all'altra il giusto grado di protezione, la stessa di cui lei si era volontariamente disfatta pochi minuti addietro. Ponderò la questione, ripescando quei residui di prudenza che le erano rimasti in corpo. L'immaginazione le suggeriva di aspettarsi una laida vecchia dalla pelle rattrappita dietro le onde flosce del mantello; riusciva a figurarsene le verruche, lo sguardo vispo, la bocca appena sprofondata verso l'interno a causa dell'età, perfino i fili dei capelli di un argento assai simile al suo. Nel tempo, aveva imparato a diffidare degli anziani più di quanto fosse stata disposta ad ammettere: crescere con una balia di settant'anni aveva instillato nel suo piccolo cuore un'aspettativa di tenerezza di fronte ai segni della senilità. Ỳma non era stata perfetta, ma le aveva salvato la vita; e lei le aveva voluto bene con la disperazione di chi non abbia altri al mondo. La vita nel Regno Unito le aveva insegnato a non lasciarsi sopraffare dagli sciocchi sentimentalismi, che trovavano terreno fertile in uno spirito focoso come il suo.

«Chi sei?» domandò, ancora immobile. Quel figurino incappucciato era riuscito a distogliere la sua attenzione dalla miriade di meraviglie a portata d'acquisto. In compenso, i suoi occhi avevano recuperato quel po' d'abitudine all'oscurità necessario ad orientarsi. Resistette alla tentazione di guardarsi intorno e distogliere lo sguardo dalla sconosciuta solo per pochi altri secondi. Poi, un bagliore rossastro, lampeggiando dal fondo della tenda, si rifletté su una teca di vetro e Nieve cadde in preda alle spire della sua stessa curiosità. Voltò il viso per fissarlo direttamente — seducente rubino sul verde intarsiato d'arancio delle iridi sottili. «In effetti, non sono affari miei.»

Un bisbiglio, mentre già muoveva in direzione del richiamo di luce che pretendeva la sua attenzione; la devozione di chiunque avesse osato rimirarlo senza un filtro.

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view post Posted on 18/7/2019, 23:00
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17 anni ¬ Prefetto Corvonero ¬ III Anno
Megan M. Haven


HFCiVKa

Accarezzava lentamente il metallo dorato dell'oggetto, percorrendo le linee intarsiate che ne timbravano la particolarità. Bella ma troppo comune, si era detta muovendo le iridi lungo la prominente fila d'oro.
Avanzò lateralmente lasciandosi catturare da ogni singolo manufatto che occupava quell'angolo del tendone, perdendosi fra le pietre preziose che riflettevano nel blu cobalto dei suoi occhi spenti. Nell'udire le parole della ragazza dietro di lei, sorrise. Solo dopo la domanda lasciò cadere sulle spalle il cappuccio scoprendo la testa.
«Ti interessa o no?», non si era voltata ancora, giocava divertita nascondendo il profilo fra i suoi lunghi e folti capelli corvini. I polpastrelli della mano sinistra lisciavano la superficie, toccavano il legno laccato coperto da un merletto pregiato: “1666 Burano" l'incisione sull'angolo. Megan non era stanca di osservare, più lo faceva più riusciva a immergersi nel proprio passato. Più volte era stata partecipe di compravendite con suo padre e nel tempo era riuscita a vedere tanti oggetti, assimilando molteplici nozioni base. Così non si lasciava sfuggire nulla, nemmeno il velo di polvere che ricopriva parte dei prodotti artigianali esposti lì da parecchio tempo.

***


«Signore, questo orologio è sicuramente uno degli articoli più preziosi che ho con me. Logines, classe 1910 in oro da 18 carati.»
Lo sguardo attento di Carl sì posava su ogni rifinitura di quello che pareva essere un buon affare. «E quale sarebbe il prezzo?» chiese mentre le dita scorrevano lungo la catenella gialla: il quadrante in vetro rifletteva perfettamente la luce e nessun graffio ne segnava il tempo. «È in perfetto stato devo dire.», continuò con tono incerto mentre con i polpastrelli accarezzava l’incisione.
«Oh, lo è! Mi creda che è veramente un ottimo affare.», il vecchio avanzò con entusiasmo, «Ha un valore di 3500 sterline, che ne pensa?»
Carl ghignò portando l’oggetto nella mano destra «Penso che sia troppo!» aprì le dita scoprendo il palmo e porgendo l’orologio verso il venditore. In realtà avrebbe potuto spendere anche di più, i soldi di certo non mancavano, ma la trattativa era la parte che più amava e non vi era cosa più soddisfacente per lui del portare a casa una perfetta occasione.

***


Megan sorrise tornando al presente. Le lancette di un orologio da taschino, appeso poco più avanti in una teca affissa sulla parete, risuonavano nelle sue orecchie.
Tic, Tac, Tic, Tac.
Un altro passo in direzione di quel suono, poi le dita fecero pressione sul piccolo pomello in legno pregiato e tirarono verso l’esterno, lasciando scattare il semplice meccanismo di apertura.
Accidenti!, le labbra si curvarono e gli occhi si strinsero mentre un colpo netto - con il palmo verso la piccola parete del contenitore - andò a frenare la caduta dell’oggetto. Aprì gli occhi, lentamente, dalla bocca un sospiro di sollievo si librò nell'aria, e afferrò la catenella lasciando roteare l’orologio davanti a sé. Era ridotto male: numerosi graffi tagliavano la superficie un tempo liscia e impeccabile e il quadrante, a numeri arabi, era sporco con piccole crepe ai lati. Sulla parte posteriore il nome dell’azienda era quasi del tutto scomparso ma fu semplice per Megan riconoscere che ciò che teneva fra le mani era familiare.
Grand Prix, aveva letto silenziosamente e la mano tremò appena.
Furono i passi della ragazza alle sue spalle a distrarla da quel momento. Megan raccolse l’oggetto racchiudendolo nella mano sinistra, per poi lasciar scivolare il braccio lungo il fianco.
La bionda le volgeva le spalle adesso e non aveva risposto alla domanda che le aveva rivolto poco prima. Così si voltò interamente verso la giovane figura, studiando il corpo della Grifondoro con attenzione.
Nieve, strinse le palpebre focalizzando la studentessa. Megan non ebbe alcun dubbio: l'argento dei capelli e la voce inconfondibile. Era da tempo che non la vedeva così chiaramente, l'ultima volta in Biblioteca era stata poco concentrata su di lei, distratta dalla volontà di infastidire Thalia.
La vide avanzare verso una teca, attratta da qualcosa che la Corvonero da lì non riusciva a scorgere. Dunque anche lei avanzò nella stessa direzione fino a quando gli occhi blu non incrociarono l’intermittente bagliore rossastro da cui venne rapita.
«Ma cos’è?», chiese al Prefetto senza fermarsi.
L’avrebbe presto affiancata.

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Nieve Rigos

«Medice, cura te ipsum!»


«
Non lo so» sussurrò in risposta alla domanda dell'altra, quando finalmente l'ebbe affiancata. La vicinanza tra i loro corpi e la nota adesso più chiara nella voce di costei riuscirono a strapparla allo stordimento incantato nel quale si era concessa di piombare alla vista del lampeggio. Portò lo sguardo sui lineamenti della giovane e, nel riconoscerla, la sorpresa divenne soddisfazione: edotta a suo tempo circa i rischi di avventurarsi nei meandri di quel losco mercato, le forniva un certo conforto a livello subliminale avere di fianco qualcuno di noto. La curva della bocca tracciò un sorriso in segno di saluto. «Megan!»

«Benvenute» fece d'un tratto una voce, costringendo Nieve a voltare il capo di scatto. Le pupille, all'erta, sondarono l'oscurità appena rischiarata dal bagliore intermittente. La stupì intravedere il profilo di due grandi occhi marroni proprio là dove aveva creduto che vi fosse il nulla più assoluto. Intanto, la luce continuava a pulsare. «È un piacere avervi qui! Capita di rado una fortuna come questa: due clienti così giovani non si vedevano da queste parti da talmente tanto tempo che sospetterei un miraggio, se non fossi sicura di essere a Londra e non più in Giordania». Nel silenzio che seguì quelle frasi, alcune vecchie lanterne ad olio si accesero alle spalle della voce di donna che si era rivolta a entrambe e il fuoco ne rivelò l'identità. «Accomodatevi, prego».

Nieve trattenne il fiato, mentre sottoponeva a una frenetica ispezione visiva il quadro che le fiamme si erano divertite a svelare: una donna discretamente giovane, di bell'aspetto e dalla postura decisa sedeva dietro un tavolino circolare, grande abbastanza per ospitarle tutte e tre. Vestiva colori sgargianti — una bandana rossa, frangiata di ciondoli d'ottone che ricadevano sulla fronte, le fasciava i capelli neri; una veste viola ne cingeva le forme generose, simbolo di una femminilità prorompente — e sorrideva al loro indirizzo con gentilezza. Al suo cospetto, sulla superficie ordinata del mobile, stavano una sfera di cristallo e una pila ordinata di quelli che Nieve riconobbe come tarocchi.
Il ricordo di Evgeniya la travolse a spizzichi e bocconi, sottraendole momentaneamente le facoltà di parola.

«Sono una divinatrice, specializzata in cartomanzia» proseguì la sconosciuta e la Rigos, per la prima volta, captò la nota di estraneità che ne imbrattava la pronuncia inglese. «Nella mia tenda, niente compravendite con tanto di gare al ribasso. Tutto quello che vedete è stato lasciato qui dai clienti. È così che funziona: entrate, lasciate in pegno qualcosa che vi appartiene affinché io legga nel vostro passato, o futuro se preferite, e in cambio vi sarà assegnato uno degli oggetti qui presenti. Sarà lui a scegliervi naturalmente — lo sguardo della cartomante saettò in direzione di Megan, soffermandosi sulla mano sinistra di lei, prima di tornare a cercare il cobalto di quegli occhi tormentati — e non il contrario».

Adesso che la luce aveva scacciato le tenebre, Nieve individuò nel vistoso anello che la dama portava nell'indice della mano sinistra la fonte del brillio che aveva attirato entrambe fin lì. Quel rubino, si disse, doveva essere incantato per condurre gli avventori esattamente dove la donna voleva che giungessero. Inspirò, le spalle ritte e la posa rigida, mentre si costringeva a scacciare con intransigenza il pensiero di Astaroth, richiamato prepotentemente dalla vista della sfera di cristallo alla destra della cartomante.

«E se non volessimo sederci?» domandò d'un tratto, il tono impregnato di ostilità.
L'attenzione della sconosciuta, allora, tornò su di lei.
«Avresti modo di scoprirlo, se e quando l'occasione dovesse presentarsi. Ma non è questo il tuo caso, non è vero?»
Dal modo in cui le sorrise, Nieve comprese di avere segnato il proprio destino nell'istante stesso in cui aveva oltrepassato la soglia della tenda. Non avrebbe saputo dire con altrettanta certezza, per converso, se le parole dell'altra celassero o meno una velata minaccia ai danni suoi e di Megan. Erano obbligate a subire le sciocche letture della straniera nella cui dimora si erano intrufolate senza potervisi sottrarre? Oppure esisteva l'opportunità di intraprendere una via alternativa, quale che essa fosse?
La Rigos volse lo sguardo alla ricerca di quello della Corvonero.
«In ogni caso, io ci sto» si limitò a dirle, criptica.

Per come stavano le cose, le parole di Nieve significavano che avrebbe preso posto con Megan, se avessero ritenuto opportuno sedersi; ma significavano anche che avrebbe dato battaglia al fianco della Haven, se le condizioni lo avessero richiesto. Gli schieramenti, del resto, erano già stati fatti da tempo, sicché non si trattava più di comprendere da che parte stare, bensì, piuttosto, di determinare quale direzione intraprendere. E, in quel particolare momento della vita della Rigos, era un bene non averla come avversaria. Ma poteva dirsi altrettanto dell'averla come alleata?

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«Nieve!» chinò leggermente il capo in segno di saluto.
Quella breve riverenza fra le due durò una manciata di secondi: uno sguardo fugace e un sorriso cordiale, poi vennero rapite da una voce proveniente dallo spazio in cui qualche istante prima avevano posato gli occhi.
Megan si voltò di scatto e un sussulto sorpreso fece sobbalzare appena il proprio corpo. Una figura poco distante se ne stava seduta fronte a un tavolo circolare. Non l’aveva vista poco prima, era certa che non ci fosse nessuno in quel luogo.
Di bella presenza e discretamente giovane, vestiva colori sgargianti e le studentesse non poterono non notare ogni dettaglio. L’invito ad accomodarsi non tardò ad arrivare e Megan alzò un sopracciglio confusa. Una divinatrice avrebbe forse letto loro il futuro e questo la stuzzicava tanto da avere la tentazione di sedersi a quel tavolo immediatamente. D’altra parte, però, la paura di scoprire qualcosa che non avrebbe potuto sopportare la tratteneva dal compiere quel passo. Il problema non era solo la poca fiducia che riponeva nell’essere umano ma anche la riservatezza che era parte fondamentale dei suoi principi, del suo modo di essere. Chi era quella signora? E soprattutto cosa voleva veramente da loro? Non era affatto convinta.
Megan aprì la mano che stringeva l’orologio antico, sorrise sprezzante e lo lasciò scivolare su un banchetto a qualche centimetro da lei, sulla sinistra. Un tonfo e si mischiò fra collane e bracciali d’argento; seguì con lo sguardo quell’azione poi tornò a guardare la signora impassibile.
Sai cosa me ne faccio di questo stupido orologio?
Tornò indietro nel tempo, ancora.

***


«Beh, signore, è molto pregiato. Un pezzo che varrebbe anche di più mi creda» la voce tremò.
Gli occhi di Carl, scrutavano con attenzione la figura che aveva davanti. Studiavano con meticolosa attenzione l'espressione che evidenziava ogni parola pronunciata. Era evidente quando un uomo mentiva, era solito distogliere lo sguardo, guardare altrove, grattarsi una parte del corpo e mordersi le labbra. Carl non era stupido e ben presto il vecchio lo avrebbe scoperto.
«Me lo lasci vedere con più attenzione» rispose. Il palmo della mano si aprì fronte all'interlocutore, un invito chiaro che venne accolto dal venditore in una manciata di secondi. Strinse l'oggetto in pugno, uno scatto deciso e un mezzo sorriso di chi sa.
I polpastrelli premettero con cura l'ingranaggio, attivarono il meccanismo ricaricando l'orologio. Osservò con cura le rifiniture, passando le dita fra le curve linee, fino a scorgere una sporgenza. Era stato aperto e sicuramente qualche pezzo era stato sostituito o chissà, ma non era l'originale.
Un ghigno e strinse nella mano l'arnese con forza. Le nocche impallidirono e solo quando decise di mollare la presa sbattendo l'oggetto sul tavolo tornarono rosee.
«Lo sa vero che non sono un'idiota?»
«Certamente, signore!»
«E allora mi dica per quale motivo sta cercando di vendermi un oggetto contraffatto?» grugnì.
«Posso spiegarle, signore» il vecchio deglutì, «non è come sembra» la voce tremò ancora una volta.
«Sai cosa me ne faccio di questo stupido orologio?» premette il palmo sul quadrante che finì per creparsi totalmente, poi afferrò il vecchio per il cravattino.
«Non provi mai più a fregarmi, è chiaro?» disse con tono minaccioso.
Il venditore annuì e Carl lo lasciò andare.
«Meggy, vieni» aprì la mano porgendola verso la sua bambina. Megan rimasta immobile di fronte a quella situazione strinse gli occhi e sorrise, poi allungò la manina e l'afferrò.

***



Il pugno era serrato, le parve quasi di sentire la mano calda di suo padre. Quel ricordo la portò a sorridere, si riconosceva molto in lui e ne era tanto fiera. L'attenzione poi si spostò su Nieve. Ascoltò le parole che la ragazza rivolse alla Divinatrice e si interrogò sul perché le stesse dando adito. Era solo una megera che credeva di far abboccare al proprio amo due giovani ragazze inesperte; dovevano uscire da lì e basta.
Tuttavia, quando la Grifondoro si voltò verso di lei, ella riuscì a cogliere lo sguardo d’intesa prima ancora delle parole che poco dopo scivolarono dalle sue labbra.
«Hai qualcosa da darle?» chiese a voce bassa. Si avvicinò, «Sono un mucchio di stronzate, Nieve. Guarda tu stessa!» le sussurrò vicino all’orecchio, poi si staccò mostrando un mezzo sorriso divertito.
«Mettiamo il caso che volessimo sederci, cosa ci da la conferma di non essere prese in giro?», rivolse quella domanda alla signora mentre si avvicinava al tavolo sfiorando con l’indice della mano destra una delle due sedie. «Sa dirmi cosa ho mangiato a colazione?», tornò a guardare Nieve scoppiando a ridere.
L’impassibilità nel volto della donna lasciò Megan nell’attesa. Il volto segnato appena dal tempo era rivolto verso un punto non definito. Gli occhi castagno non lasciavano penetrare nulla, nessuna di quelle parole parve toccarla, così niente si poteva scorgere nelle sue iridi, nessuna emozione.
«Sai, Megan, credo che tu avresti molto più da chiedere di una semplice colazione. Non è forse così, cara?» non distolse ancora lo sguardo perso nel vuoto. «Sei tormentata dalle domande, dai perché... È forse il momento di scoprire i motivi di ciò che ti è accaduto, no?» Solo al termine di quella frase posò gli occhi sulla giovane ragazza. Megan rabbrividì ma cercò di celare lo stato d’animo che in quelle parole si stava risvegliando e che cercava di nascondere da tempo. «No, vorrei sapere cosa ho mangiato a colazione. Soffro di memoria corta» afferrò la sedia e la tirò leggermente indietro, «dunque?» prese posto davanti a lei con aria di sfida. Qualche secondo e rivolse un’occhiata alla compagna poco distante: alzò le sopracciglia piegando leggermente la testa da un lato in un chiaro invito ad affiancarla.
Era difficile ammettere quanto quelle parole l’avessero colpita; i gesti parlavano da sé ma la soddisfazione era ciò che più detestava dare.
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Nieve Rigos

«Medice, cura te ipsum!»


I
l cricchio del legno, mentre la sedia accoglieva il peso di Nieve, fece da contraltare al fruscio dei tarocchi. L'impenetrabile straniera, nella cui tenda si erano bravamente spinte entrambe, mescolava ciascuno dei pezzi del suo grosso mazzo con rapidità: le carte passavano da un palmo all'altro, soccombendo al costante cambio di posizione, sotto il deciso tocco della divinatrice. Nello scrutarne le movenze e nel prendere nota della secca determinazione che le contraddistingueva, la Rigos ebbe a trovare la risposta che andava cercando. Non le avrebbe lasciate andare senza prima ottenere da loro il diletto che bramava. Che, per succedere, avesse in animo di ricorrere alla violenza fisica, ovvero a una strategia più subdola, l'avrebbero scoperto col tempo!
Così, mantenendo una posizione volutamente defilata rispetto alla compagna, Nieve ascoltò lo scambio di battute in corso. Benché non le appartenesse quel genere di curiosità umana che sfociava nel prestare orecchio alle informazioni personali sul conto altrui, l'istinto la invitò a fare eccezione. Non si trattava di un improvviso stimolo al pettegolezzo, venuto al mondo entro quella tenda per chissà quale miracolo. Era, piuttosto, un'esigenza conservativa ad animarla: dal modo in cui avesse reagito Megan alla lettura della cartomante avrebbe potuto comprendere se si trovassero di fronte a una persona in possesso del Dono oppure innanzi a un'impostora; e, nel primo dei due casi, non aveva la benché minima intenzione di sottoporre a qualsivoglia scrutinio alcuna delle verità più dolorose che la riguardavano. Finché non gliele avessero sbattute in faccia, quelle verità, avrebbe potuto voltare il capo in un'altra direzione e fingere di ignorarne il significato. La fase di rabbiosa negazione nella quale si era rifugiata serviva proprio a perseguire — del tutto inconsapevolmente — quell'unico scopo, che la teneva lontana dalla presa di coscienza.

«Le tue colazioni sono sostanzialmente uguali ai tuoi pranzi e alle tue cene: ingurgiti rabbia, frustrazione e solitudine, ma, invece che digerirle, sono loro a corrodere te». Il verdetto della donna calò sul tavolo impietosamente. Nieve, come ustionata, sussultò in modo impercettibile. Megan poteva non saperlo e neppure immaginarlo, ma la Rigos aveva appena ritrovato in quelle poche frasi il fedele ritratto della sua vita da un intero anno a quella parte. A braccia incrociate, non si accorse di aver conficcato i polpastrelli nel tessuto del maglione. «Perfino adesso, in questo preciso momento, riesco a vederle nei tuoi occhi. Le stai usando contro di me per proteggerti o, forse, nella speranza che questo basti a liberartene».
Fu la risata disarmonica di Nieve a infrangere la bolla di solennità seguita all'implacabile sentenza della bella straniera, qualche attimo più tardi. La Rigos attese di incrociare gli occhi della cartomante, prima di parlare; nel verde delle sue iridi, lingue di follia lambivano il poco senno che aveva resistito a stento nei mesi trascorsi.
«Cazzate! Le tue sono cazzate» dichiarò, proterva. Aveva un angolo della bocca leggermente inclinato all'insù e l'attitudine di chi cerchi lo scontro. «Siamo due adolescenti. Ne hai mai visto uno felice e spensierato in vita tua?! Perché a me non risulta, a meno che non si facciano della peggio roba». Disciolse l'intreccio delle braccia, poggiando le palme delle mani sul tavolo rotondo. Sinuosa, si fece avanti con le movenze di un serpente, rinnegando la natura che la voleva simile al grifone. «Buone nuove: ci sentiamo tutti arrabbiati perché la vita fa schifo, frustrati perché non possiamo fare niente per cambiarla e soli perché ognuno pensa per sé e non si cura degli altri, sperando di riuscire quantomeno a sopravvivere dignitosamente. Se questo è tutto quello che hai da dire, mi stupisco che tu sia riuscita ad accumulare tanta roba con questo mucchio di stronzate. Ammesso che la storia che ci hai propinato non rientri nel gruppo delle vaccate, nel qual caso mi inchino e ti lascio continuare finché non hai finito col tuo teatrino, o somma divinatrice».
Di tutti gli insegnamenti appresi dalla sua famiglia adottiva, la capacità di mordersi la lingua e trattare diplomaticamente con gli sconosciuti era la lezione che Nieve aveva fatto e faceva più fatica ad applicare. Ne aveva compreso i vantaggi in ambito lavorativo e conosceva i rischi di non attenervisi in ambito scolastico, ma per quanto riguardava la vita privata... Oh, quello era tutto un altro paio di maniche! Il suo intervento, stimolato dal desiderio recondito di smascherare chi avevano di fronte prima che fosse troppo tardi, le si ritorse presto contro.
«E dire che la Divinazione dovrebbe esserti cara...» furono le prime, placide, sottilmente venefiche considerazioni pronunciate dalla cartomante, dopo un mutismo durato secoli. Nieve si sentì pietrificare dal riferimento ad Astaroth. «... in un certo senso. Per un altro, immagino che tutto quello che la riguarda sia capace di farti ammattire, di dare spago a quei tuoi bellissimi e impetuosi demoni. Eppure, dovresti saperlo bene che non esercitare il giusto controllo sulle parole potrebbe avere delle conseguenze irreversibili, se pronunciate nel modo sbagliato al cospetto della persona giusta» concluse, flemmatica, gli occhi caldi come tizzoni ardenti nello smeraldo dell'islandese. «Gli orologi giocano un ruolo importante nella tua vita, non è così?» Repentinamente, era tornata a soffermarsi su Megan. «Il tempo è una costante della tua esistenza, soprattutto ora: a volte troppo, altre troppo poco; poi veloce, infine lento. Non ti dà alcuna tregua! E tu perdi sempre, disastrosamente, nel tentativo di tenerlo a bada. Ebbene, perderai ancora, ancora e ancora fintantoché non capirai che nessuno può manipolare il tempo. Tutto ciò che ci è dato è di imparare a conoscerlo, guardare dentro le sue pieghe» le disse. Dunque, depose le carte e le porse una mano. Stava invitando la Corvonero a affidarle la propria affinché le fosse concesso di leggerne le linee. «Se è quello che vuoi, non hai che da scegliere: passato, presente o futuro?»


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Megan M. Haven


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Quelle parole lacerarono la carne come una perfetta lama affilata. Dall’inizio alla fine aveva potuto sentire il freddo dell’acciaio poggiarsi sulla pelle, spingere e penetrare con agevolezza. La carne si apriva e sanguinava copiosamente; la stessa che aveva avuto cura di ricucire con attenzione e proteggere a fatica.
Il tempo aveva dato lei modo di costruire barriere insormontabili. Era diventata pietra e tutto ciò che tentava di scalfirla veniva allontanato, o sconfitto. Il tempo però era persino il suo peggior nemico. Aveva dato e tolto, curato e ferito. Megan aveva pagato — e continuava a farlo — ogni scelta presa con conseguenze incurabili. Quante cose aveva perso? La famiglia, gli amici. Per lei era un peso ma allo stesso tempo sollievo. Difficile dirsi veramente quanto contasse nella propria vita, nel bene e nel male l’aveva resa — a discapito degli eventi — una persona diversa, probabilmente peggiore. E così la rabbia covata, il dolore, avevano acquistato un peso importante diventando parte principale del proprio essere. Rinchiudersi in una luogo personale, dove alimentare le emozioni e implodere giorno dopo giorno, questo era il suo pane quotidiano. Era quel tipo di persona che in una stanza affollata restava in silenzio diventando causa di attrazione pubblica. I fatti l’avevano cambiata e pochi riuscivano realmente ad avvicinarsi a lei. Chi era Megan? La morte dei genitori l’aveva scossa al punto tale da renderla tema interessante per molti, per altri solo un lupo solitario da evitare. Una cosa era certa: lei era pericolosa per se stessa e per chi le stava attorno e di questo ne era convinta.

Al termine di quella sentenza ci fu silenzio. Inevitabile scorgere quanto pesasse in quegli istanti di sorpreso turbamento. Durò qualche secondo e, mentreché elaborava una risposta, ebbe l’istinto di rovesciare il tavolo. Strinse i pugni e il suono delle nocche fu assordante, la tensione in crescita. Poi, Nieve parlò e le mani si rilassarono tornando a poggiare comodamente sulle esili gambe. Gli occhi si persero nel vuoto per esigui istanti e solo quando iniziò il vero e proprio discorso spostò lo sguardo sulla compagna. Provò sollievo e sicuramente gratitudine per quella temporanea via di uscita che le aveva dato. Le parole avevano un filo logico e darle torto non era impossibile; nell’adolescenza affrontare i propri demoni è comune ma sapeva quanto fosse diverso il suo caso. Allo stesso modo la pensava chi le stava di fronte, e presto ogni frase sembrò far crollare le parole della Grifondoro dandole alcun valore. Megan avvertí chiaramente il disagio, poteva persino accorgersi di come il cuore della compagna aveva accelerato i battiti.
Qualche attimo e la strega tornò a rivolgerle la parola. Non c’era via d’uscita, o meglio Megan sapeva già che, per quanto poco avesse avuto modo di vedere le capacità della Divinatrice, era stata esposta e sfidarla avrebbe peggiorato la situazione. Nieve probabilmente si era già fatta qualche domanda su di lei, d’altronde Megan aveva fatto lo stesso e aveva sentito una connessione. Senza alcun dubbio i vissuti erano diversi e con loro anche il modo in cui li avevano affrontati, ma v'era una difficoltà condivisa di fronte a quella situazione. Così, quando fu invitata a scegliere la propria carta, la curiosità l’aveva tesa in trappola. Farsi male era già stato dato per scontato — nulla di così terribile dato quanto già aveva sopportato nella vita — e la tentazione di andare affondo s’era fatta avanti con più vigore. Cosa poteva fare? Mostrarsi realmente, senza filtri, di fronte alla compagna era fuori discussione ma la partita era cominciata e in quei pochi attimi aveva colto, o così le era parso, di stare nella stessa squadra. «Sceglierà lei per me», disse mantenendo un tono piatto. Poi aggiunse: «Sono sicura che sarà in grado perfettamente di mantenere un segreto. Io, ovviamente, avrò cura di fare altrettanto.»
Sarebbe stato chiaro leggere sotto le righe che quello era un patto a cui avrebbe dovuto sottostare qualora avesse acconsentito. Megan, nel suo essere laconica, era sempre molto chiara. Erano lì per una ragione ben precisa e non restava che scoprire cosa il destino avesse tenuto in serbo per loro.
«Bene» rispose la Divinatrice, poi spostò l’attenzione su Nieve penetrando nuovamente negli occhi smeraldo. «Cosa vuoi fare? La fiducia è un aspetto che ti tocca particolarmente, vero? Sai quale è il prezzo da pagare se la si spezza» sorrise beffarda. Voleva chiaramente farle capire che provare a ferirla, insultarla, o escogitare qualsiasi altro stratagemma per mettere in dubbio le sue capacità fosse del tutto inutile e controproducente. Lei sapeva, lei era in grado di poter colpire senza mezze misure e difficoltà alcuna.

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Nieve Rigos

«Medice, cura te ipsum!»


«
Non credo che voglia quello che pensi tu». La voce di Nieve risuonò fioca nello spazio ampio della tenda, mentre rispondeva alla compagna dandole il profilo. Aveva osservato lo scambio in atto tra le due quanto bastava a farsi rapire da una rivelazione di un’opportunità disarmante: Astaroth, oltreché sua mentore, era stata docente di Divinazione. Con espressione assorta e un pungolo fastidioso che giocava a infastidirle le valvole, Nieve liberò un sospiro e fissò lo sguardo sul piglio protervo della pitonessa. Avrebbe fatto qualsiasi cosa — qualsiasi — per ritrovare nei lineamenti di chi aveva di fronte quelli della persona che, a dispetto dell’odio proclamato, amava ancora con ogni fibra del proprio essere. Il sorriso che insorse sulle labbra sottili si fece messaggero di un’amarezza intensa al punto da costringerla a sfregare la lingua contro il palato. Cercò Megan per rivelarle ciò che non era ancora stata in grado di dire. «Credo che volesse leggerti la mano» spiegò, le spalle rigide che cedevano poco alla volta, abbassandosi sotto il peso di una momentanea resa. «Ma pare che tu abbia trovato il modo di scampartela, per mia sfortuna». Con una certa solennità, fece scivolare le dita nel palmo della divinatrice, siglando con la Corvonero il patto che quest’ultima l’aveva invitata a stringere, pur senza intendere in che modo avrebbe finito per declinarsi realmente la sua richiesta. Invero, la decisione di Nieve non aveva nulla a che vedere con la lealtà, né col desiderio di mostrarsi affidabile agli occhi della Haven. Per come stavano le cose, era stato il bisogno spasmodico di avvicinarsi ad Astaroth, pur nella forma di un’illusione sotto mentite spoglie, a indurla in quella direzione. «L’agnello sacrificale che aspettavi, non è così?» bisbigliò all’indirizzo di un non meglio precisato interlocutore.
Gli occhi della veggente risplendettero, giacché si accingeva ad accarezzare con esasperante lentezza le linee incise nella carne morbida di Nieve. Fu con un unico, rapido movimento che rivoltò d’improvviso l’arto della studentessa col fine di esporre il dorso a un attento scrutinio. Alla vista dei marchi frastagliati cui aveva fatto l’abitudine, la Rigos si concesse l’accenno di una risata malinconica — lo sbuffo timido di una balena sul pelo dell’acqua. Non era la prima volta e non sarebbe stata l’ultima, rifletté intanto che la sconosciuta tornava a parlare.
«Sei una delle poche persone che può vantare una fortuna del genere» le sentì dire.
Il sopracciglio di Nieve scattò verso l’alto. «Avere delle cicatrici difficili da ignorare su una delle parti del corpo che si usa più spesso?» domandò, allora, sarcastica.
«Avere un dorso interessante quanto il palmo» la corresse l’altra. «Le mani di una persona racchiudono molto della sua storia: il passato, il presente, il futuro. È letteralmente possibile leggervi dentro, se si presta la dovuta attenzione. Ma questo…» Nieve seguì con attenzione l’interessamento della straniera, incapace di coglierne le ragioni. Per chi, come lei, viveva nella negazione delle atrocità del proprio passato, non aveva alcun senso incaparbirsi nell’obiettivo di attribuirvi un significato: erano quel che erano e nulla di più. Avrebbe avuto modo di ricredersi, di lì a qualche mese, in occasione dell’esame di Difesa contro le Arti Oscure. «… questo è insolito e affascinante».
«Sai dirmi anche come me le sono fatta?» la sfidò.
La divinatrice le sorrise, ammiccante, dunque scosse la testa in senso di diniego. «Non è così che funziona, dovresti ricordarlo» la ammonì, «ma so per esperienza che la violenza lascia sempre delle tracce, alcune meno visibili di altre. Il fatto è che a te non importa, non è vero? Non ti importa di averle e non ti importa che le guardino, ma dovrebbe».
Nieve, che era rimasta inerte fino ad allora, si riscosse appena dal mondo di sogno che aveva prescelto per crogiolarsi. Quel giorno di Agosto, quando Astaroth aveva studiato le linee del suo palmo e aveva assistito al racconto di alcuni particolari del passato della Rigos, l’aria era parsa rischiararsi ed una carezza aveva suggellato l’intimità di un segreto che non aveva mai aspirato ad essere tale. Nella quiete sepolcrale della tenda nella quale si trovavano, invece, non c’era spazio né per la tenerezza né per il ricordo al quale desiderava disperatamente dare nuova vita. Fu così che, rapida, Nieve ritrasse la mano e la allungò in direzione del mazzo di tarocchi che era stato riposto in disparte. Afferrò la carta in cima alla pila e mostrò la figura a Megan, riservandosi di mantenerla momentaneamente nascosta alla fattucchiera. Sogghignò, gli occhi in quelli della compagna, prima di tornare a rivolgersi alla controparte.
«Spero che tu sappia leggere le carte perché, diciamolo, con la mano fai un po’ schifo» mentì con l’ostinazione che appartiene ai sopravvissuti.

Tana per Nieve, sussurrava il nemico.
Prendimi se ti riesce, ma io corro forte, te lo dico.


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«Credo che volesse leggerti la mano»
«Ah,» sospirò appena. Il tempo che la Grifondoro terminò la seconda frase e Megan aveva mostrato un sorriso divertito. «Che peccato!»
Allo svolgimento della scena successiva, la Corvonero aveva assistito in silenzio. Il patto sancito stava dando scena a un nuovo tipo di contatto. Cosa veniva messo in gioco? La fiducia, la lealtà. Chi avrebbe tradito chi?
Alle parole della Divinatrice gli occhi cobalto misero a fuoco i palmi. Megan osservava le proprie mani, con il desiderio di sapere. Cosa ne sarebbe stato di lei? Tuttavia mentre il pensiero di chiedere le sfiorò la mente, strinse le dita raccogliendo il vuoto. Non poteva essere così facile. Lei non credeva.
Quando Nieve le mostrò la carta, nascondendola agli occhi della donna, Megan le aveva restituito la stessa espressione; poi ghignò divertita all’ultimo intervento della biondina.
Successivamente, il voltò tornò ad essere pietra e le iridi a puntare il volto della Megera in attesa di una risposta.

La Divinatrice si era presa qualche istante. Gli occhi chiusi lasciavano vedere sottocute le pupille muoversi velocemente. Le mani della donna si era congiunte nervosamente e il flusso di sangue per qualche istante mancò sui polpastrelli. Poi la calma, e il corpo che riprendeva normalità fino a che non tornò a guardarla.
«Mi chiedo quanto tu sia disposta» stuzzicò la donna, ma l’interlocutrice non aveva azzardato alcun movimento. «Quanto tu sia pronta a tutto questo...»
Le dita tamburellarono sul tavolinetto in legno; la donna era pensierosa e lo sguardo verso la Corvonero era serio, tagliato da un’espressione che non riuscì a decifrare. Megan tacque senza alcun segno di cedimento, di nuovo; nella testa la chiara immagine della carta che stringeva nel palmo destro.
«Sei così ferita, povera bambina» piagnucolò, l’espressione dispiaciuta. «È il momento del controllo. Devi assumere il controllo di te stessa, saprai che è l’unico modo. Ci sarà un cambiamento, un sacrificio che ti porterà alla verità; dovrai essere lucida, forte.» la voce della donna era calma e attenta, a volte riusciva a scandire le parole così bene da farle venire i brividi.
«Settima carta. L’APPESO» protese la mano verso Megan, le dita danzarono veloci invitandola a restituirle la carta. «Fai attenzione» disse infine e lei rabbrividì.
Non appena la mano della Megera afferrò la carta, la studentessa distolse lo sguardo.
«Non so quale tipo di influenza hai voluto avere su di me ma non funziona» digrignò i denti nervosamente.
«Spetta al fato dirlo, no?» una risatina si diffuse fra l’ambiente in tessuto.

Megan lasciò che le parole non la sfiorassero fatto, eppure queste avevano smosso le acque provocando in lei una fastidiosa fitta allo stomaco.
«Vogliamo ancora perdere tempo?» intervenne arcigna. Il volto ora tornava a puntare in direzione di Nieve, portando avanti la totale indifferenza nell'ultimo intervento della Divinatrice. E invece la parola “verità” le continuava a fare eco nella testa, iniziando a tormentarla e facendole desiderare di non voler rimanere lì un momento di più, riempirsi la testa di domande che non facevano altro che aggiungersi ad altrettanti interrogativi..
«Ah, giusto. Dobbiamo darti pur qualcosa? Due galeoni bastano?» sorrise serafica. La mano indugiò nella tasca afferrando un galeone, il resto di una colazione espressa. Lanciò la moneta con una forza moderata e il tintinnio sul legno la portò a rotolare fino all’angolo del tavolo. Poi, una sequenza di passi precisi la condussero fuori da quello spazio riservato, tornava a guardare gli oggetti con finto interesse.

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"Certe rooooole non finisconoooooo. Fanno dei giri immmmmmmmenZi e poi ritornanooooooooo..."

Ce la feci, fiorellì! Perdona il vergognosissimo ritardo, ma il mio orologio fa ca'a da qualche mese. Anyway, ho pensato di servirti un po' di Caos alla Rigos per farmi perdonare. :*-*:
Cià!



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Nieve Rigos

«Medice, cura te ipsum!»


«
La gente è strana». Il commento della Divinatrice cavalcò l’onda della calma e si distese in un sorriso. Stringeva, adesso, il galeone di Megan e se lo rigirava tra le dita con curiosità. «Offri loro una parte di te con le migliori intenzioni e ti ripagano così — un cenno alla moneta — come se fossi una puttana e quello che gli hai dato fosse in vendita al miglior offerente».
Uno schianto sul fondo del ventre impedì a Nieve di completare l’azione alla quale si era appropinquata. Con le mani posizionate rispettivamente sul bordo del tavolo e sullo schienale della sedia al fine di scostarsi dalla zona in cui si erano appartate e dare seguito alle intenzioni della Corvonero, le parole della pitonessa l’avevano raggiunta e gelato il sangue nelle vene.
Non si trattava tanto della formulazione della frase, né del concetto in esse racchiuso, quanto delle implicazioni personali di fronte alle quali Nieve non avrebbe potuto rimanere indifferente. Non nel presente, col fantasma di Astaroth a infestarle i pensieri e a intossicarle l’atto stesso dell'esistenza. Non nel futuro, quando avrebbe scoperto di doversi ricredere sulla propria condizione: invero, il peggio non era ancora avvenuto.
Immobili, i muscoli trattennero la tensione, mentre gli occhi si spalancavano e le pupille venivano risucchiate dal vuoto e restituite a un lontano ricordo.
«Mi hai tradita.» I suoi occhi sono vacui quando trovano quelli di Astaroth, che la sta fissando. È in piedi vicino alla porta, bellissima come sempre, in attesa. «Mi hai venduta,» aggiunge e una scarica fa vibrare la sua voce di un’emozione caina, insidiosa. «Mi hai venduta a quel coglione come se fossi una puttana, la tua.» Batte le palpebre lentamente, incredula. «Davanti a chi dei due devo genuflettermi d’ora in poi?!»Cortocircuito
Il frastuono che seguì fece da avanguardia all’ira, accesa da un unico sguardo che aveva costretto il cuore della Rigos a rivoltarsi nella pena, prima che le emozioni trovassero sfogo nella sola estrinsecazione conosciuta: il Caos.
Era bastato un istante — un microscopico, cruciale istante — perché l’islandese fosse messa nelle condizioni di afferrare la conferma che andava cercando: le parole della misteriosa straniera non erano state pronunciate a caso, giacché celavano la malizia che fino a quel momento le era stata studiatamente risparmiata.
Nieve aveva scandagliato i lineamenti della donna e ciò che vi aveva trovato — divertimento, desiderio di giocare perfino, come se la sua vita fosse la scena di un film sul quale permettersi di fare una battuta — era bastato a chiarirle il suo ruolo di pedina.
Lo erano state entrambe, Nieve e Megan, dal momento stesso in cui si erano incautamente insinuate oltre il varco nella tenda. Quali che fossero le capacità della Divinatrice e il modo in cui le riusciva di carpire il genere di informazioni che andava spiattellando ai quattro venti, stava nella sua invereconda disinvoltura l’offesa più grande. Aveva parlato del passato dell’una e del futuro dell’altra senza curarsi di quali finestre avrebbe aperto al cospetto di un occhio estraneo.
Erano poco più che conoscenti, la Rigos e la Haven, alleate nel proposito di scippare la corona dal capo di un crudele monarca che brandiva la propria sapienza come scettro per svergognare gli studenti; eppure, per forte che fosse il proposito che avevano in comune, non avevano che quello come punto d’unione. Nieve non avrebbe saputo dire di Megan se le piacesse fare colazione o merenda, se amasse ballare follemente nei momenti di stress per alleggerire la tensione, se l’idea di ricevere un abbraccio inatteso le facesse accapponare la pelle o le scacciasse via il gelo dal cuore. Che diritto aveva di ascoltare quali pericoli rischiasse di correre nell’avvenire? Quale di ficcanasare involontariamente nei solchi della sua storia personale?
«Vaffanculo, stronza!»
L’imprecazione della Rigos riempì il silenzio seguito al fragore di un momento prima. Aveva ribaltato il tavolo e, con esso, mandato in malora tutto ciò che vi stava sopra. Adesso, le schegge di cristallo della grossa sfera giacevano sul pavimento come gemme imprecise e le carte rimandavano le loro figure terribili a simboleggiare un destino che né la Grifondoro né la Corvonero avrebbero saputo interpretare, tanto meno evitare.
«Con chi credi di avere a che fare, mh?! Con una stupida?!»
«Quello che hai fatto è intollerabile»
l’ammonì l’altra con un’espressione di pietra sul viso bello.
Nieve rise, forte e sprezzantemente.
«Ah sì? E cos’hai intenzione di fare, adesso? Predirmi disgrazie o scagliarmi una tremenda maledizione? Buone nuove: tutta la mia vita è una maledizione. Dovresti saperlo, se sei così brava nel tuo mestiere.»
«Silenzio!»

Inconsapevolmente, dimentica di Megan, Nieve aveva messo mano alla bacchetta e assunto la posizione di chi sia pronto a dar battaglia; di chi voglia seminare il panico per dar sfogo alla propria esacerbata indignazione. Se solo si fosse concessa il tempo di ponderare le proprie azioni, avrebbe compreso che, nel mettere in atto quell’ultimo siparietto, aveva appena mostrato di sé alla Corvonero molto di più di quanto non avessero svelato le vaghe parole della cartomante.
«Fai del tuo peggio» la incalzò, scellerata. «Io sono pronta a metterci del mio!»

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Megan M. Haven


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Le mani avevano sfiorato le lunghe tende aprendo un varco. Superato quel piccolo spazio Megan aveva preso una boccata d’aria per poi posare gli occhi cobalto sugli oggetti presenti; il suo cuore tamburellava agitato e sembrava volerle uscire dal torace. La giovane studentessa posò una mano sul petto, i palmi cedettero al movimento seguendone il pulso. Abbassò lo sguardo lungo il pavimento e si concesse alcuni secondi prima di riprendere il controllo. Così, in quegli istanti, non ebbe modo di sentire cosa dietro di lei stava accadendo; quell’incontro e le parole dette dalla Divinatrice, avevano smosso qualcosa dentro di lei. Si parlava di “verità” e l’unico filo che conduceva Megan lungo una logicità esatta era la morte dei propri genitori; ciò che bramava più di ogni altra cosa. Rise nervosamente e nella follia di quel momento si sentì pronta al sacrificio: avrebbe fatto di tutto per arrivare al vero. Rendere giustizia anche pagandone un caro prezzo, perfino se questo avrebbe significato andare contro i propri affetti. Quella speranza, ora probabile certezza, qualora avesse dato per certe le parole udite poco prima, era ciò che la rendeva viva. Riusciva a rimanere a galla in un mare in continua tempesta; lei doveva sfidare le onde, unirsi al vento e accarezzare le acque con impeto, esser parte della distruzione e non un'offerta, non più.
«Vaffanculo, stronza!»
Megan alzò il capo interrompendo il flusso di pensieri e tornando alla realtà tangibile. Sentì un brivido lungo la schiena e volse lo sguardo verso il caos dietro di sé.
«Cosa sta succedendo?» chiese. Uno scatto in direzione della tenda, sollevò con la mano sinistra il drappo mentre la destra si spinse ad afferrare la bacchetta.
La situazione era degenerata in pochi secondi, prima ancora di poter comprendere cosa stesse accadendo Megan si era ritrovata Nieve puntare la bacchetta contro la Divinatrice. Senza rendersene conto anche lei era in posizione di attacco, condividendo lo stesso obiettivo della ragazza.
«Vuoi per caso finire... Non è il modo giusto!» Lo sguardo posò finalmente sulla Grifondoro, l’espressione era severa. Si trovavano nel bel mezzo di un mercato non avrebbero avuto modo di farla franca, non in quella maniera almeno. Megan posò gli occhi sulla donna e sorrise vedendo le palpebre della strega spalancate al terrore.
«Lo avevi previsto?» le chiese, sorridendo sprezzante.
La donna si leccò le labbra e alzò le mani all’altezza del viso. «Potete prendere qualsiasi oggetto vogliate e scappare via, non mi interessa. Ma non potete fuggire da ciò che siete: mostri!» pronunciò quelle parole con controllo e alzò il tono della voce.
Megan sgranò gli occhi e rise divertita. «Oh, che paura!» Con un movimento scosse il corpo prendendosi gioco della donna poi abbassò la bacchetta, il tempo di convincersi quale strada seguire.
«Santo cielo,» disse sospirando e carezzando con la mano libera parte del volto «Nieve, qualsiasi cosa tu voglia fare...» Posò lo sguardo sulla compagna tirando i lunghi capelli indietro, attendendo che lei ricambiasse allo stesso modo. Scosse il capo e strinse le palpebre dando vita al primo pensiero che, in quegli attimi, s’era palesato nella sua mente. In tal maniera, direzionò la bacchetta verso la parete che delimitava quel piccolo spazio riservato e diviso dal resto da pesanti tendaggi, desiderando che nessun suono potesse essere udito al di fuori. Un incanto semplice, utile probabilmente in quegli istanti. «Muffliato!» Enunciò con un filo di voce. «Questo potrebbe servirci» concluse con un riso in tralice. Se avesse avuto la possibilità di pensare in maniera lucida, forse avrebbe fatto dietrofront con assoluta tranquillità, lasciando Nieve risolvere quanto aveva appena creato. Non si sarebbe presa la responsabilità di spalleggiare qualcuno che non conosceva affatto. Eppure v’era qualcosa che la spingeva verso la direzione presa, un fastidio continuo che le ronzava nella testa da quando aveva avuto modo di parlare con la donna. Che fossero state un mucchio di sciocchezze o meno, questo le imprimeva un dubbio che si aggiungeva ad altre perplessità dalle quali era da tempo oppressa. Quella donna, che marciasse sul proprio operato o meno, aveva intuito qualcosa e questo faceva sentire Megan fin troppo scoperta, indifesa. Così, più i minuti passavano, maggiore era il desiderio di dare una conclusione a quella messa in scena ed il problema rimaneva trovarla. «Che ne pensi di quello che ci ha proposto?» Chiese alla compagna. Rimaneva immobile, il ciliegio era tornato a puntare contro la povera donna, mentre si manteneva vigile scrutando la soglia con l’intenzione di prevenire una spiacevole sorpresa.
«Non sono io la tua offerta, non avrai risposte da me» la donna parlò di nuovo ma questa volta le parole erano dirette a Megan; quest'ultima non riusciva a comprendere come ella riuscisse a capire parte delle sue intenzioni con così tanta facilità. «Credetemi non ne vale la pena» continuò e il verde acceso dei suoi occhi tornò su Nieve, alla quale sorrise con malizia. Sembrava che l’attimo di terrore che l’aveva avvolta qualche istante prima, fosse del tutto assente adesso.
«Non ho alcuna intenzione di sporcarmi le mani con te, né di subirmi ulteriori stronzate» Megan rispose mordendosi il labbro inferiore. Avanzò di un passo soltanto, scrutò la donna e ancora una volta si soffermò sulla studentessa poco distante; non sapeva che intenzioni avesse il Prefetto ma di certo lei doveva saperlo.
«Dobbiamo fare qualcosa e toglierci questo problema, adesso» disse categorica rimanendo in attesa. Chi era Nieve Rigos? Megan non ne aveva la più pallida idea ma averne avuto un assaggio solleticava certamente la propria curiosità.
«Forsan et haec olim meminisse iuvabit.»


 
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view post Posted on 2/1/2021, 18:48
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entropia.

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16 Anni ↝ Prefetto Grifondoro ↝ III anno

Nieve Rigos

«Medice, cura te ipsum!»


«
Petrìficus totàhlus!»
Con quelle due parole, Nieve pose fine allo scambio in corso e silenziò la bocca della cartomante. Erano bastati un veloce movimento verso l’alto e il corretto accoppiamento della formula con le singole parti dell’esecuzione perché il corpo della donna assumesse la consistenza del granito e la sua espressione venisse fissata nel tempo, immobile. Avrebbe dovuto scegliere un momento diverso, probabilmente, per evitare che quel ghigno continuasse a sbeffeggiarle pur nell’impotenza in cui la sconosciuta era costretta. Ad ogni modo, era andata meglio di quanto si fosse aspettata e decisamente in modo diverso da ciò che si era ripromessa all’inizio della giornata. Come fosse passata dal desiderio di acquistare qualche articolo introvabile al pietrificare una commerciante, doveva ancora capirlo.
«Be’, ci ha detto che possiamo prendere quello che vogliamo, no?» rispose a Megan, cercandone lo sguardo. L’aveva stupita la reazione della Corvonero e, in un certo senso, rinfrancata. Nieve era stata abituata dalla vita a combattere da sola e ad aspettarsi l’abbandono più che la solidarietà. Che la Haven avesse deciso di restare e di mostrarsi sua complice, nonostante la gravità delle conseguenze che si sarebbero potute appalesare ai danni di entrambe, era notevole ai suoi occhi! «E ci ha anche detto come funziona: possiamo prendere un oggetto solo se lasciamo qui qualcosa di noi. Mi pare che ci siamo. Tu le hai dato un galeone e le hai mostrato la carta che ho pescato per te. Io...» Ridacchiò col cuore che le martellava in petto. Se una parte di sé le suggeriva di fuggire, di chiedere scusa, di rimediare, un’altra — che, per un infelice miscuglio di ormoni adolescenziali e contingenze passate, sconosceva la logica — godeva della sensazione di onnipotenza appena sperimentata. «Io penso di averle fatto più di qualche regalino, non trovi?!»
La domanda era retorica, il senso di coalizione che la legava all’altra veritiero. Ne aveva apprezzato le mosse, si rese conto a posteriori: di fronte alla baraonda che Nieve aveva scatenato, Megan era rimasta calma e lucida e si era assicurata di intervenire sull’ambiente per impedire che attirassero l’attenzione altrui. A tal proposito...
«Dobbiamo svignarcela il prima possibile. Non possiamo permettere che qualcuno ci trovi qui. Potrebbero prenderci e portarci chissà dove. Non è detto che avremmo la stessa fortuna avuta con lei». Un cenno del capo in direzione della pitonessa e, via, avanti ancora. «Dobbiamo cancellarle la memoria. Te la senti?» le chiese e lo fece come a intendere di volerle affidare il compito. «Io mi occupo di risistemare questo macello» le comunicò, guardandosi intorno per prendere le misure e dare seguito alle sue parole.
Per un attimo, casualmente, lo sguardo le cadde sull’orologio oggetto di discussione durante le prime battute con Megan. Celere, per impedire che la giovane la vedesse, Nieve raggiunse l’oggetto e se lo mise in tasca, dopodiché rilassò le spalle e puntò la bacchetta di tiglio in direzione della sfera di cristallo. Se avessero fatto gioco di squadra, si disse un attimo prima di eseguire un Reparo, forse avrebbero potuto farla franca.

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view post Posted on 19/2/2021, 19:03
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17 anni ¬ Prefetto Corvonero ¬ III Anno
Megan M. Haven


HFCiVKa

Megan rimase in silenzio, nell’attesa si gustò la scena dirimpetto. Immobile.
«Sì. Facciamo in fretta» asserì subito dopo l’intervento della Grifondoro. Lo sguardo indagò nello spazio alla ricerca dell’oggetto da portare via con sé. Si accorse che l’orologio era sparito e allora si spinse avanti cercando vicino al corpo della donna. Nulla. Il tempo era prezioso e dovette, così, rinunciare alla ricerca. Tuttavia, le iridi cobalto catturarono l'attenzione altrove, misero a fuoco il rubino lungo le dita cineree della donna. L’anello, posizionato sull’indice della mano sinistra, brillava ancora come la prima volta che l’aveva visto. Si piegò leggermente in avanti, allungando la mano libera in direzione del gioiello; estratto, lo lasciò scivolare nella propria tasca. «Anche il tavolo, Nieve» invitò la compagna e poi si sollevò eseguendo l’incanto di memoria. Il braccio dominante, con stretto in pugno il legno di ciliegio, puntò la tempia sinistra della Divinatrice, eseguendo in successione un semicerchio verso il proprio braccio opposto. «Oblivion!» Enunciò decisa. L’intenzione era quella di far dimenticare alla donna il loro incontro, lei stessa, Nieve. Non doveva rimanere alcuna traccia di quei momenti passati, degli ultimi istanti trascorsi: la donna avrebbe dovuto risvegliarsi come da un sonno profondo e senza sogni. In tal modo, il fascio di luce azzurrina colpì la Megera mostrando l’esito sperato.
Megan si interrogò sul perché la donna avesse mantenuto una calma tale da renderla inoffensiva, anche prima del Petrificus evocato dalla Grifondoro. Si sentì decisamente sopraffatta dall’adrenalina che le scorreva in corpo. Quel che stavano facendo era tremendamente sbagliato tanto quanto eccitante e Megan rifuggì da quella sensazione, reprimendo ogni sottile sfumatura. Doveva rimanere lucida, per quanto era difficile farlo.
Così, fece cenno finalmente alla compagna di seguirla. Poco dietro alla donna aveva fatto caso a una fessura, simile a un lungo taglio proveniente da una lama, che dava all’esterno di quell’ampio tendone; una seconda via di fuga. Solo se Nieve l’avesse seguita l’avrebbe lasciata passare avanti e prima di varcare la soglia anche lei, avrebbe direzionato la bacchetta alle spalle della Divinatrice ed enunciato un semplice Finite Incatatem, sparendo definitivamente da lì.
Tornò a respirare. Solo dopo aver rasentato la lunga parete che si sarebbero ritrovate di fronte e trovato una via da dove sbucare con discrezione, Megan avrebbe parlato. Ci sarebbe stato un lungo e pesante silenzio da parte sua in prima battuta, poi l'impatto con la realtà. Consapevolezza.
«Cosa abbiamo fatto? Santo Cielo!» il cuore martellava agitato nel petto, ancora. Poi, il respiro si sarebbe calmato e Megan avrebbe cercato l’anello nella tasca afferrandolo tra le dita, ma senza portarlo alla luce. Quel gesto sarebbe stato conferma di quanto era appena accaduto e per pochi istanti avrebbe avuto il rimorso di aver preso quell’oggetto con sé. Successivamente avrebbe scosso il capo e sorriso, guardando dritta negli occhi Nieve Rigos.
«Forsan et haec olim meminisse iuvabit.»


 
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view post Posted on 18/4/2021, 20:58
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entropia.

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Nieve Rigos

«Medice, cura te ipsum!»


L
e ultime, frenetiche battute ebbero a svolgersi nella quiete.
Se le emozioni si dibattevano energiche nel petto di Nieve e Megan, l'ambiente attorno a loro rispondeva con l'ossimoro della pace. Nessuno era intervenuto per coglierle sul fatto. Nessun meccanismo protettivo era scattato per fermarle. Nessun intoppo nell'esecuzione degli incantesimi. Sembrava, in un certo senso, che quel giorno fosse stato plasmato perché le loro azioni avessero solo che successo; quasi che il Fato, una volta tanto, si fosse sentito di lasciar correre senza metterci lo zampino.

Quando lo sguardo della Rigos incrociò quello di Megan, il fenomeno della rifrazione si verificò tra di loro: provavano le stesse sensazioni e avevano, a muoverle, il medesimo desiderio. La vita le aveva ferite, le persone le avevano deluse e le Parche si erano intrattenute a loro discapito, ponendole entrambe – separatamente – di fronte alle sfide più crudeli. Ed erano giovani, scelleratamente giovani. Lo erano a tal punto da credere che, se il mondo ti serviva un'ingiustizia, il solo modo per provare la rimonta fosse compierne una a tua volta.
Avevano sbagliato con la convinzione di essere nel giusto.
La rabbia, la frustrazione, il senso di abbandono e di isolamento dagli altri si erano mescolati e accresciuti nel tempo, generando confusione. Nieve Rigos, che aveva sempre detestato anche soltanto l'idea di rendersi carnefice per essere stata costantemente una vittima, aveva infine ceduto alla lusinga del potere. Un potere effimero, apparente, corruttivo. E lo aveva fatto senza rendersene conto.
Quanto a Megan...
«Non abbiamo fatto niente» rispose la Rigos con un ghigno accennato sulle labbra sottili. Poi, rivolse un cenno del capo alla sua complice per invitarla a seguirla. Affiancate, procedettero con lentezza lungo le vie di Londra, confondendosi tra i passanti ignari. «Oggi, è stata una bella giornata» esclamò dopo un po' che s'era trincerata in un silenzio studiato.
Stava valutando cosa dire e come farlo con un atteggiamento che le apparteneva poco. Aveva sempre piegato le regole alle sue esigenze, perfino da Prefetto, in barba alla fiducia che le era stata accordata dal Preside e dalla sua Casata, perché nella sua breve vita aveva imparato a stare fuori dal coro – spesso, per volere degli altri più che suo – e a rimanerci. Le regole le stavano strette come un paio di collant della misura sbagliata, che togli prematuramente per avere sollievo. Ciò che avevano appena compiuto, però, era ben diverso dalla tendenza alla ribellione. Sfiorava il confine dell'illecito sotto moltissimi punti di vista.
«Molto bella!»
E lo intendeva. Per la Grifondoro, l'inatteso episodio con la pitonessa e la Haven aveva assunto il sapore della rivalsa. Aveva potuto sostituire Astaroth con una complice della sua età, dimostrando a sé stessa di poter vivere senza quella traditrice. Aveva messo a tacere qualcuno che si era permesso di sfruttare la sua incapacità di usare le parole senza rimanere ingarbugliata. E si era presa il premio che le spettava. Questo e molto dimostrava come non fosse più la creaturina spaurita dell'infanzia, ma il capogruppo di un esercito del quale, in effetti, anche Megan faceva parte.
Si stava trasformando in una leader.
«Così bella che sarebbe un peccato non ricordarla, non trovi?» aggiunse, lanciando a Megan un sorriso e uno sguardo furbesco. Nel suo petto, il cuore aveva smesso di martellare furiosamente, ma una particolare sensazione di vuoto le attanagliava ancora la bocca dello stomaco. «Per la buona compagnia che mi hai offerto!»
Quell'ultima frase fu seguita da un gesto semplice, almeno quant'era inatteso date le circostanze. Con naturalezza, invero, Nieve estrasse dalla tasca del mantello l'orologio che aveva fatto da oggetto del contendere tra Megan e la cartomante. Dopo aver afferrato la mano della Corvonero, lo depose sul palmo di lei.
«Sei davvero degna dell'Esercito del Mezzogiorno!»
Le fossette che aveva sulle guance si mostrarono, quando si concesse un sorriso pieno e vivace, elettrizzata dalla convinzione di aver vinto su tutti i fronti e decisa a suggellare quell'alleanza con qualcosa di tangibile.

Non poteva sapere che, diverso tempo più tardi, nel momento stesso in cui gli effetti dell'incanto smisero di ingabbiare la pitonessa ed ella fu rilasciata, il segno del loro passaggio era rimasto nel tendone, in ossequio alla regola che lo dominava. Soprattutto, era stato trovato. Due capelli – uno ondulato e di un vivido argento e l'altro liscio e corvino – giacquero per alcuni istanti tra l'indice e il pollice della cartonante. Poteva non ricordare, ma nel nodo in cui aveva poi deciso di stringere i due fili e riporli in una fiala stava il prezzo che Nieve e Megan non sapevano di sapevano aver pagato.
Alla fine, l'oggetto le aveva scelte.

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È stato un piacioro! :flower:
 
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