B r y o n y, Quest Elementalismo ~ Amber

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view post Posted on 7/5/2019, 18:47
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Il Fato

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Sorgi, germoglio,è questo che voglio ~

Era un giorno d’Agosto come tanti altri, eppure insolitamente figlio dell'imprevisto.
Pur beneficiando della frescura inglese, l’aria era infuocata, pesante, densa. Perfino al calar della sera, quando il sole stiracchiava i suoi ultimi raggi e con uno sbadiglio si lasciava crollare sull’orizzonte lontano, l’estate non mancava di distribuire equamente la sua calura e d'infiammare la terra in vista della notte. In buona sostanza, faceva così tanto caldo che i pochi soffi di vento artico, gentilmente concessi dal Nord del pianeta, bastavano appena a strappare un sospiro di sollievo; e allora, per un attimo, uno soltanto, il mondo pareva un posto migliore e le preoccupazioni svaporavano come rugiada all’approssimarsi del mezzogiorno.

Il frullo delle ali di una civetta; poi di un barbagianni; infine, quello più semplice di un gufo. Mentre il vento fresco sfiorava le piume ora chiare ora scure, il tempo inclemente procedeva sulla scia di un ticchettio laborioso. Non si arrestava mai, inesorabile; non conosceva riposo, incessante.
Entro i confini di Villa Hydra, il tempo non era l’unico alla diuturna ricerca di qualcosa, di qualcuno. Sul cielo terso, le sagome dei rapaci rincorrevano un obiettivo che, di volta in volta, li vedeva planare sul cottage degli Snow e mirare alternativamente al comignolo e alla porta principale. Ciascun esemplare trasportava con sé un fagotto di carta, tenendolo stretto tra le zampe possenti. Solo in prossimità dell’abitazione, a favor di calcolo, si decidevano ad allentare la presa perché la consegna potesse realizzarsi — una volta, due volte, ancora altre in successione.
All’interno dell’accogliente dimora, nel silenzio assoluto dato dall’assenza dei padroni di casa, un tappeto di telegrammi in ordine sparso giaceva sul pavimento e attirava l’attenzione. Non avevano tutti lo stesso messaggio, almeno formalmente; né provenivano dal medesimo destinatario. E, pur tuttavia, portavano l’effigie di un’unica, pressante esigenza.
L’ultimo recapitato, per un mero errore di valutazione dovuto all'afa agostina, giaceva sul nettapiedi del villino rurale, interamente svolto e vergato in una grafia resa storpia dall’urgenza. La civetta, che si era prestata al ruolo di messaggero, stava appollaiata su un trespolo naturale a far da guardia al dispaccio.

“Cara Elise,
perdonerai la mia insistenza, se non perché ci conosciamo da una vita e ti sono cara quanto tu lo sei ai miei occhi, per il motivo che mi spinge a scriverti tante volte in un giorno. C’è qualcosa che non va al Camelia! Non so dirti di che si tratti — se di un roditore annidato tra i vasi, di un malvivente capitato nel posto sbagliato o di un povero disgraziato alla ricerca di riparo dal clima torrido di Londra — ma ti invito a raggiungerci al più presto. Sarò felice di armarmi di bacchetta e rastrello per farti da supporto nell’ispezione.
In ogni caso, vorrei essere sicura che sia tutto in regola. Soprattutto, vorrei lasciare a te la scelta sul modo migliore di procedere. So quanto significhi il Camelia per te e Dustin e, prima di farlo puzzare di Antimago, speravo di capire quali fossero le tue intenzioni. Come ho già scritto nello scorso telegramma, Victor ha sentito dei rumori mentre passava davanti al negozio per trasportare la merce al nostro. Se è stato un colpo di calore a dargli alla testa, prometto di mandarlo a letto senza dolce…. E sai bene che per un goloso come lui non esista minaccia peggiore! Intanto, ti invito a smaterializzarti da queste parti quanto prima per tranquillizzare il mio povero cuore ansioso. Se anche dovesse trattarsi di un falso allarme, nulla ci vieta di cogliere l’occasione per una cena e un dopocena dei nostri.
Ti aspettiamo!

Affezionatamente tua,
Daliah”


In alto a sinistra, un indirizzo:
Cinnamon Street, 4
Quartiere Magico,
Londra
.


Benvenuta nella tua quest, Amber!
La primissima fase si svolge in luoghi a te noti: siamo in estate, precisamente ad Agosto, entro la tenuta degli Hydra. Il movimento che ci interessa, però, coinvolge il cottage dei nonni Snow. C'è un costante andirivieni di volatili presso il villino e ciascun esemplare sembra portare con sé qualcosa, che finisce puntualmente per recapitare. Si tratta di molti telegrammi in successione, che provengono da vari negozianti di Cinnamon Street. Sostanzialmente, anche se riformulato, portano tutti lo stesso messaggio: chiedono a Elise e Dustin di raggiungere la capitale per verificare cosa stia succedendo in questo misterioso Camelia. Sullo zerbino del cottage, per un errore di consegna del postino, giace il più lungo dei telegrammi, quello di Daliah. A casa, ovviamente, non ci sono né Elise né Dustin.
Hai piena libertà di esplorare i perché e i percome della tua collocazione a Villa Hydra in un'estate calda come quella in corso; e di muovere il tuo PG in queste primissime fasi, determinando se e come venga a contatto con questo strano fenomeno che coinvolge il cottage dei nonni. Sei libera anche circa il modo migliore di procedere in ossequio all'indole del tuo PG: che le basti leggere il telegramma di Daliah o che preferisca entrare, sta a te scegliere.
Non mi rimane che un'ultima cosa da dire: divertiti.
Ah sì! E buon compleanno!
 
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view post Posted on 13/5/2019, 11:31
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Quel giorno era nato come tutti gli altri, conseguenza di un'estate ormai a pieno regime e di una prospettiva per le imminenti ore future, piuttosto piatta. Stanca di tutto l'impegno profuso per affrontare i G.U.F.O, Amber si era imposta di non toccare un libro, a meno che questo non servisse a rendere meno infruttuosa la giornata. Tra i suoi progetti, in realtà, c'era ben più di una passeggiata per il grande giardino, considerato soprattutto che nonni materni e paterni non c'erano; chiedere all'autista un passaggio per Londra sarebbe stato semplice come bere un bicchiere d'acqua, dato che per una volta gli Hydra non se n'erano serviti. Nonostante il sottile desiderio di non vagare come un fantasma nullafacente, la giovane strega non poté fare a meno di appiattirsi al muro del corridoio delle camere, al secondo piano, nell'udire il suo nome sussurrato. Erano passati appena due giorni dal suo arrivo a Villa Hydra, e già l'atmosfera era sensibilmente cambiata negli appartamenti dei domestici. Non poteva saperlo, Amber, poiché non vi metteva mai piede, ma i preparativi per il suo ritorno si erano fatti esponenzialmente più complessi dopo le ultime disposizioni di Constantine. E, tra uno sguardo truce del Maggiordomo - che mal sopportava alcuni atteggiamenti delle più giovani cameriere - ed un parlottare conciso di domestiche e lavandaie, molti di quei disagi venivano attribuiti proprio alla giovane ragazza. Ignara, ma non per questo indifferente, la biondina si aggirava come una silenziosa gazzella tra i corridoi della tenuta, alternando momenti di noia a momenti di assoluto e totale relax. «Figurati se si degna, Amber. » un sibilo di Nole, la figlia della Governante, e la strega si appiattì ancora di più al muro, incastrandosi alla perfezione tra una piccola colonna e un'armatura lucidata di recente. Il cuore in gola. C'era del veleno nascosto senza grande abilità nel nome pronunciato a denti stretti, e lei sapeva benissimo - dopo la strana caccia della primavera precedente - il perché di quell'astio malcelato. Come tutti i domestici, e come la ragazzina di cui ora vedeva solo mezza immagine, ma che doveva essere un recente acquisto tra le cameriere, Nole era una magonò. Nata senza magia all'interno del Mondo Magico, e senza alcuna possibilità di farvi appello. Consapevole di non avere tutte le colpe che si attribuiva, Amber cercava di evitarla il più possibile, poiché tra tutti, Magnolia sembrava la più colpita da una natura che non si poteva accettare con tranquillità. «La chiami per nome?! Ma... la conosci? Cioè, dimmi, com'è?!» un chiaro sbuffo rispose alle domande insistenti della novellina, a cui venne affidato un secondo carico di lenzuola da ripulire. «No. E non mi interessa. Stai lontana da lei e fai quello che ti dico. Stai lontana dai maghi, questi qui sono la razza peggiore. Hydra. Se mia madre non tenesse così tanto al suo lavoro, credimi che non sarei qui ora.» e sull'onda di quell'ultima coltellata, Nole riprese a camminare, superando il punto in cui Amber si era nascosta come la peggiore delle ladre, seguita dall'agitato passo della ragazza nuova. Involontariamente aveva chiuso gli occhi nell'udire quella serie di raccomandazioni, chiedendosi se mai sarebbe valso lo sforzo di dare una diversa immagine di sé, o se fosse tardi per chi nasceva con una quantità di pregiudizi tanto alta. Non voleva provare pietà per loro, ma nel riassettarsi la gonna del vestito leggero, non riuscì a non chiedersi se avrebbero mai potuto stringere un qualche legame più sincero, se le situazioni fossero state diverse in partenza. Impossibile.

Ancora qualche passo, nel più desolato silenzio, ed una voce ben più familiare spense i pensieri in totale subbuglio. Era quella di Herbert Chapman, il maggiordomo. «Miss Amber.», poche parole in grado di chetare il cuore agitato ancora dalle frasi di Nole. Convinta dal sorriso buono del magonò, Amber rispose ripagandolo con la stessa moneta. La livrea estiva non era poi diversa da quella invernale, più leggera ma non meno elegante. «Tutto bene? Posso fare qualcosa per lei?» chiese, prima ancora di ricevere il saluto di cortesia. Come facesse, lui, a scovare perfino dietro le maschere meglio realizzate, una crepa, ancora non sapeva dirlo. Nell'avvicinarsi, il sorriso gentile della biondina si spense, le labbra morbide si incurvarono in direzione opposta, e lo sguardo vagò oltre le finestre ad arco del corridoio. «Non ne sono molto sicura » ammise. Non avrebbe mai mentito all'uomo che, per tutte quelle estati più lievi, l'aveva sempre coccolata come fosse un membro della sua famiglia, promettendole viaggi ai confini del mondo ed impartendole lezioni di vita che mai avrebbe dimenticato. Nell'udire i passi dell'uomo farsi più vicini, si chiese se non fosse il momento migliore per esporre i dubbi proprio su quella natura di magonò che sempre aveva schivato, ma che da più di un anno non smettevano di assillarla. Ma non lo fece, perché uno strano agitarsi di pennuti catturò la sua vista. In lontananza, ma visibile, il cottage degli Snow - ricoperto d'edera - si stagliava in tutto il suo piccolo splendore, ma a catturare l'intensità delle iridi chiare, fu la concatenazione di svariati volati di dimensioni differenti, che lo sorvolarono. «Credo di dover... andare» sussurrò, assorta, senza neppure notare lo sguardo d'assenso di Chapman che, spostandosi a lato, le diede modo di passare oltre l'arco, invadere il salotto e uscire dal portone principale, aperto per arieggiare l'androne.

Da quando il giardino era diventato così difficile da percorrere? I piedi di Amber tentarono svariate accelerazioni, mentre attraversava la tenuta trasversalmente, per passare dalla lussuosa villa degli Hydra al ben più modesto ed apprezzabile, cottage degli Snow. Elise e Dustin - consapevoli di cosa avesse bisogno la nipote - le avevano dato libero accesso alla dimora, concedendole senza indugi di servirsene come meglio credeva, qualora le aspettative racchiuse tra le alte e candide mura, fossero state opprimenti. Quanta ragione ! Rallentando, in dirittura d'arrivo, la ragazza calpestò con cura il breve viale di ciottoli, alzando lo sguardo verso il comignolo e la struttura che fungeva da tetto; in cui zompettavano barbagianni e allocchi, tutti inconsapevoli dell'assenza dei Nonni di Amber. A distrarla, un miagolio grasso e pretenzioso, che le impose di direzionare le iridi curiose verso un tronchetto vicino al muro esterno, su cui sedeva il massiccio Castore. Pelo rossiccio, rischiarato dal sole estivo, occhi azzurri come il cielo più terso e unghie decisamente affilate. Era il famiglio di casa Snow da una decina di anni, e nonostante l'aspetto e la mole, era il gatto più buono che Amber avesse mai conosciuto... ed anche uno dei più esigenti se si trattava di grattini e pasticcini al salmone. Un secondo "meow" stizzito, si levò a far agitare un gufo nero, che sbatté le ali con veemenza. Vinta, Amber allungò la mano, destra verso la bestiola, che colse l'occasione ghiotta per appoggiarvisi con tutto il peso del testone largo. «Ok ok.. ti senti solo eh? » un rivolo di empatia scivolò lungo le spalle della Tassorosso, prima che il passo successivo la portasse lì dove una missiva era scivolata. Non stava bene leggere la posta altrui, lo sapeva, e l'incedere più incerto ne era un chiaro indizio. Gli scarponcini beige, fermi ad un passo dal tappetino d'ingresso, dichiaravano la semplicità di quell'abbigliamento estivo. Risalendo lungo le gambe magre e appena meno pallide di qualche mese prima, a fasciare la figura c'era un vestitino bianco panna. Al collo, il ciondolo acquistato pochi mesi prima. Solo Morgana sapeva quanto aveva impiegato a scegliere quale runa sentisse più affine al suo spirito, e non era neppure certa di aver compito la scelta migliore. Un solo anellino a stringere l'anulare destro, che alternava l'argento della struttura ad una fessura di pura colorazione oceanica. L'aveva sempre trovato meraviglioso. Fu proprio quello a brillare a contatto con un raggio diretto del sole d'agosto, mentre con la scusa del "non si offenderanno" la strega allungava la mano e srotolava la pergamena. Lesse d'un fiato, nonostante la grafia frettolosa, tre volte. Una prima analisi la convinse di aver fatto bene a leggere la missiva non indirizzata a lei, ma la seconda analisi la allarmò. I nonni non sarebbe rientrati prima di Domenica, e mancavano quattro giorni a Domenica. Se davvero la signora Daliah richiedeva una presenza urgente, forse attendere non avrebbe fatto che aggravare le cose. Rughe d'espressione si rincorsero per la quarta rilettura, atta ad estrarre i punti chiave del testo. Il Camelia, quel negozietto di cui Elise le aveva accennato saltuariamente, chiuso da chissà quanto anni, era ancora aperto? Ricordava distintamente come i nonni avessero spiegato che era stato chiuso, e lo sarebbe rimasto per gli anni a venire, anche se pochi erano i dettagli con cui avevano infarcito quella storia. E lei non aveva mai chiesto di più, purtroppo. Sceso dal tronco, Castore appoggiò la schiena alla caviglia di Amber, strusciando il fianco con l'eleganza tipica di un gatto troppo cresciuto. Sì, si sentiva decisamente solo! In altre circostanze, la ragazza avrebbe aperto la porta di casa, lasciato entrare il re incontrastato dei soprammobili e preso posto sul divanetto, dichiarando quel posto come sua "tana" per qualche ora; ma l'urgenza evidenziata dalla lettera richiedeva un'azione. Sotto la manica larga, il porta bacchetta in cuoio scattò, rilasciando il catalizzatore, prontamente afferrato dalla mano dominante. Prima ancora che il pensiero razionale emergesse, Amber aveva deciso. Riassunse tutto in maniera limpida: I nonni non c'erano, sarebbe andata a controllare, avrebbe avvisato Daliah che Elise non era disponibile e se ci fosse stato bisogno di aiuto... beh, avrebbe aiutato laddove possibile. Semplice. Conosceva Cinnamon Street, non l'aveva attraversata tante volte, ma l'aveva fatto abbastanza da individuare un punto, al suo inizio, in cui materializzarsi. Era ora di far fruttare il patentino chiuso nel porta documenti. Con la missiva stretta in mano e la bacchetta ben salda, si figurò con più precisione possibile il punto in cui atterrare, il cartello chiaro appeso al muro in mattoni di un negozio, i ciottoli a comporre la via magica, ed il sole estivo che ne illuminava i contorni. Immaginò il corpo svanire dal tappetino di Casa Snow, e ricomporsi proprio lì, all'inizio di Cinnamon Street. Impresse tutta la propria volontà in quell'immagine, richiamando la determinazione in suo possesso e convogliando ogni fibra di quel pensiero - mai avrebbe tentennato, o rischiato di spezzarsi - affinché la decisione si imponesse ligia. Scacciò i timori e si avvolse nella sicurezza di chi sapeva quel che stava per fare, e solo quanto i tre capisaldi risuonarono come unica melodia, ruotò su se stessa; pronta a far luce sulla faccenda. Se fosse andato per il verso giusto, con uno schiocco Amber sarebbe svanita anche alla vista acuta di Chapman, che non aveva smesso di seguirla con fare attento, e di Castore, che invece avrebbe disapprovato.

ARSENALE INCANTI

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Homovox, Candens,
Candens Missile, Nebula, Exhalo, Stupeficium, Incanto Patronus, Heolo Benedici, Defodio, Resetka.

6° Classe
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7° Classe
Legilimens, Imber Sagittae.

EQUIPAGGIAMENTO

Anello mistico delle sireneDirettamente dal lago di Hogwarts, rende più resistente alle fatture chi lo indossa.

Bacchetta magica → Legno di Sorbo, Crine di Thestral, dodici pollici e tre quarti, leggermente flessibile.

Ciondolo Runa Mannaz→ Runa della mente che controlla la comunicazione verbale e le capacità intellettive.


 
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view post Posted on 24/5/2019, 10:29
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Cinnamon Street era una via a dir poco deliziosa.
Sita nel cuore del quartiere magico di Londra, possedeva l’estro pittorico — un po’ bohémien — di Montmartre, la verve verace dei paesini del Sud Italia e un ordine spiccatamente britannico. Il suo aspetto sbarazzino e, a un tempo, rigoroso rendeva il passeggio lungo quell'unico viale ritemprante per lo spirito. Non era necessaria una commissione per spingersi fin laggiù. Cinnamon Street era la meta e il motivo della passeggiata in sé stesso.

Un’eco felina e un paio di schiocchi più tardi, Amber Hydra fece apparizione entro i confini di una stradina interinale, che si affacciava proprio sul viale adibito ai mercanteggi. Il chiasso della città giungeva attutito alle sue orecchie — le prime ore del pomeriggio, quelle immediatamente successive al pranzo, erano sempre gravide di una certa fiacchezza anche per chi, come gli abitanti di Londra, aveva fatto dello stacanovismo un mantra. Così, i passanti ciondolavano di qui e di là. Avevano l’espressione intontita sul viso rubizzo, i lineamenti protetti a stento da cappellini di paglia intrecciata, e lo sguardo vagava senza meta tra le vetrine senza che fossero capaci di fermarsi per meglio rimirare un articolo. Il timore era che, se mai l’avessero fatto, non avrebbero più trovato la forza di ripartire.
Ciononostante, nella calca rovente della metropoli, Cinnamon Street rimaneva comunque un piccolo angolo di paradiso. L’amministrazione comunale aveva messo all’opera decine di addetti per evocare una copertura d’edera che offrisse un riparo dal sole ai pedoni — signoreggiava per intero sulla via, conferendole un aspetto fiabesco. Sotto il soffitto di rampicanti, la vita scorreva lenta, fresca, pacifica su un sottofondo di profumi intensi.

Il numero 4 di Cinnamon Street era piacevolmente in linea con lo stile del viale. Ubicato tra gli edifici sulla destra della via, possedeva numerosi banchi espositivi che davano direttamente sulla strada. L’insegna — di legno, sospesa ad un supporto in ferro battuto, finemente intagliata — recitava un semplice ed evocativo “Daliah’s”.
Sull’uscio era possibile intravedere un uomo non più nel fiore degli anni: aveva folti capelli grigi, occhi indecentemente azzurri e labbra sottili sempre sorridenti sul viso smilzo. Indossava un ampio grembiule blu elettrico che ne sottolineava l’altezza e, nel frattempo, occhieggiava i generi alimentari di pertinenza del locale. Un’espressione intenta precedette lo sfodero della bacchetta. Percorrendo il tratto di strada antistante il negozio, Victor agitò l’arma con decisione e una sottilissima pioggerella scaturì dalla punta — ravvivava la frutta e la verdura per impedire che le temperature altissime ne inficiassero la freschezza. Per ottima che fosse stata la trovata del soffitto d’edera, infatti, nulla si poteva contro il caldo, contro la natura.
Era intento ad accarezzare una foglia di lattuga e a sussurrargli di tenere duro, quando una voce lo costrinse a voltarsi.

«Oh-Oh! Miss Yolanda, buongiorno!» Rinfoderato il catalizzatore, portò la mano sinistra al capo per rivolgerle un gesto di saluto, afferrando la cupola di un cappello immaginario e simulando l’atto di sollevarlo. La donna rise e gli regalò un inchino. «C’è qualcosa in particolare che possiamo fornirvi, oggi?»

Sempre sulla destra, al numero 2 di Cinnamon Street, un locale in disuso con le vetrate ricoperte di vecchissime edizioni della Gazzetta del Profeta precedeva il Daliah’s. Un tempo — non troppo lontano ma abbastanza da tingerne le pareti di malinconia — l’insegna avrebbe recitato “Camelia” e i proprietari del 2 e del 4 si sarebbero divertiti a commentare a gran voce la musicalità data dall’accostamento dei nomi delle rispettive attività, prima di accordarsi per la cena.
Un tempo che sapeva di serenità, di gioia e in cui ogni cosa era più viva.
 
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view post Posted on 26/5/2019, 10:25
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Chiuse gli occhi di fronte al Cottage di Elise, e li riaprì sulla splendida Cinnamon Street... o quasi. Per digerire lo strappo che aveva seguito la prima giravolta, le ci volle più di qualche istante, e non si rese conto di essersi appoggiata a palmo aperto al muro più vicino. Testa bassa e profondi respiri, era quello il segreto per affrontare la nausea che - nonostante non fosse la sua prima smaterializzazione dopo aver preso il patentino - ogni volta le rimestava lo stomaco. "Passerà", le aveva detto John qualche settimana dopo l'esame, ma era trascorso un anno da allora, ed ancora qualcosa sfuggiva al suo controllo. Fortunatamente, in quella piccola stradina secondaria, non v'era l'ombra di qualcuno interessato al suo disagio. Il vociare basso degli abitanti del viale e di chi lo visitava, la rimise al mondo dopo altri profondi respiri. Quando anche i polmoni furono sazi, alzò la testa e lasciò che gli occhi si abituassero al vivace colore della sua destinazione. Incerta, come chi teme di rovinare un quadro bellissimo con una pennellata di troppo, mosse un passo oltre il vicoletto. Fu come tornare indietro nel tempo. Anni, mesi, giorni ed ore si fusero in una linea temporale incerta ed il treno dei pensieri si fermò ad una stazione in pezzi, avvolta dalla fitta nebbia di un ricordo troppo lontano e troppo sbiadito. Un ricordo che vedeva una bimba bionda con non più di 5 anni sulle spalle, camminare a passo svelto tra mamma e papà. Gli occhi grandi e verdi divoravano ogni centimetro della via magica e non sembravano annoiarsi nell'osservare a ripetizione ogni singolo passante, da quelli che le rispondevano con un sorriso gentile, a chi ignorava totalmente la sua insistenza. Erano passati così tanti anni, che perfino le raccomandazioni di Eveline sul non fissare le persone così tanto, non avevano più una voce a cui essere associati. Ma nonostante l'amarezza fosse uno dei sapori predominanti quando guardava ad un passato lontano, Amber non si fece contagiare dalla solita malinconia, anzi!

Cinnamon Street era così pacifica, perfino sotto il torrido sole pomeridiano della Capitale, che la bionda non trovò alcun impedimento nel sentirsi "a casa". Il tetto di rampicanti che seguiva le svolte della via avrebbe protetto chiunque dal sole cocente e permesso ai profumi inebrianti di non soffocare sotto il peso di un calore eccessivo. Dopo un primo controllo di assestamento, finalmente la ragazza si concentrò sulle insegne, passeggiando con cautela verso i numeri più bassi dei civici. «Dove sei, numero quattro.... » mormorò a bassa voce, mentre le iridi rischiarate dal sole si puntavano sul banchetto di una strega particolarmente procace che si proponeva di offrire assaggi di spezie provenienti da ogni dove. Paprika dolce, Timo d'Irlanda, Sale delle colline rocciose del picco del Dorsorugoso - un nome più lungo non c'era? - fino ad arrivare a polveri dai colori accesi il cui nome era davvero impronunciabile. Sorrise tra se e sé, finché non si rese conto di essere nei pressi dei numeri dispari più bassi. Volse la testa a destra e lì, intento a muoversi con l'esperienza dovuta, un uomo stava agitando la bacchetta. Sopra di lui un'insegna eloquente non sembrava necessitare di alcuna presentazione: "Daliah's". Era arrivata, eppure la titubanza istintiva le fece rallentare il passo, ed aggirare il vecchio dedito alla cura dei suoi ortaggi, per fermare definitivamente l'incedere di fronte al numero due. Un intreccio di sensazioni assestò un duro colpo - seppur senza averne un movente preciso - al cuore di Amber, che fece uno sforzo immane per non avvicinarsi e sfiorare il vetro che la divideva da pagine di giornale sbiadite. Ricacciò quel nodo fino in fondo alla gola, ed attese che l'uomo, forse quel Victor citato dalla signora Daliah?, concludesse il dialogo con tale Yolanda, per poi avvicinarsi lateralmente... Espressione cauta, iridi pronte a catturare movimenti ed informazioni nascoste oltre quelle azzurre del mago. Sapeva di non essere la persona che i mandanti della missiva si aspettavano, ma sperava davvero di poter risolvere qualcosa senza dover per forza far tornare i nonni dalla loro meritata vacanza. «Mi scusi....» si schiarì la voce, compiendo qualche altro passo, i capelli biondi, appena mossi da un soffio di vento fresco - un toccasana - sfiorarono un'espositore. «...sto cercando la signora Daliah e il signor Victor. Sono la nipote di Elise»

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Gli occhi di Victor si spostarono su Amber solo dopo un ulteriore scambio di battute e la rapida consegna di un involto bitorzoluto in favore della cliente. Miss Yolanda gli sorrise, occhieggiando un’ultima volta l’espositore per accertarsi di non aver bisogno d’altro; infine, attraversò lo spazio che separava il commerciante e la biondissima sconosciuta e oltrepassò la soglia del negozio con l’intenzione di pagare il dovuto.
La smorfia cordiale di Victor — apparsa sul suo viso non appena la voce di Amber ne aveva richiamato l’attenzione — si spense poco alla volta e diventò altro quando la giovane palesò la propria identità. Incapace di trattenersi, la sottopose a uno studio attento, mentre la sua espressione mutuava le sfumature dell’incredulità e, per finire, quelle di una malinconia addolcita.

Tornò a sorriderle. «Certo che lo sei,» le disse e il tono tradiva un'ovvietà macchiata di tenerezza. Non avrebbe mai potuto mettere in discussione l’affermazione di Amber, non dopo averla guardata e, in un certo senso, perfino riconosciuta in quel modo tutto emozionale che hanno gli esseri umani di connettersi agli altri in virtù di un’affezione riflessa. «E io sono Victor. È un piacere averti qui!» Poco alla volta, il brio che la sorpresa aveva smorzato tornò a impossessarsi del suo animo. «Mia moglie impazzirà quando scoprirà chi sei,» le confessò. Poi, compì un passo verso Amber per rendere il loro colloquio appena più confidenziale. «E noi le faremo un bello scherzetto. Seguimi!»

Un occhiolino bastò a sancire — almeno per Victor — l’accordo. Date le spalle alla Tassorosso, fece per immettersi nel locale; si scostò dall’uscio solo per concedere la precedenza a Miss Yolanda. Quando l’ebbe salutata, si affrettò a introdursi all’interno del negozio e fece cenno ad Amber di imitarlo.

«Daliah, tesoro, abbiamo un piccolo problema con una cliente. Venga, prego, venga,» fece, rivolto ad Amber con piglio a metà tra il serio e il mortificato.

Al di là del bancone, con una cotonatura da far invidia a una gran dama del Settecento e una crocchia ad uso contenitivo, stava una signora non più nel fiore degli anni ma che non aveva perso una sola stilla della propria bellezza. Vestita di colori pastello che ne esaltavano l’incarnato tipicamente inglese, lasciò saettare lo sguardo dal marito ad Amber per prendere le misure con la situazione che le stavano presentando. Entrambe le mani, poggiate sul marmo del mobile che la separava dagli altri due, esibivano il dettaglio di una manicure delicatissima e perfettamente in tema con l’attività per la quale aveva speso una vita. Non c’erano dubbi, solo a guardarla, che fosse il motore del negozio e che la sua impronta fosse ravvisabile ben oltre la semplice insegna, che ne portava il nome.

«Ci viene rimproverato di aver fornito una pessima qualità di castagne, che hanno rovinato un’importantissima cena durante lo scorso weekend,» le spiegò e la raggiunse in prossimità del bancone. «Possiamo fornirle qualcosa per rimediare? Un rimborso? Magari anche...»
«Sciocchezze!» La voce di Daliah tagliò corto la questione. Stava immobile nella medesima posizione che aveva usato per accoglierli, gli occhi brillanti. «Le castagne sono fuori stagione. Non se ne vedono in questo negozio da mesi. E, se anche ce ne fossero state, non le avrei certo vendute. Ora, se ti sei divertito abbastanza a suon di castronerie, dimmi un po' cosa ci fa qui questa signorina, altrimenti liberiamola. Avrà sicuramente di meglio da fare che non stare qui ad assecondare i giochi di un vecchietto mezzo tocco.»
«Ed ecco a te Daliah! Sei ancora sicura di volerci avere a che fare?» chiese ad Amber, ridacchiando divertito; non c'era l'ombra di pentimento sul suo viso smilzo, né di offesa nonostante lo smascheramento teatrale della moglie. «Questa signorina, che avrà sicuramente di meglio da fare, è la nipote di Elise e Dustin, vecchia scorbutica!»
Bastarono quelle parole a trasformare l'attitudine della commerciante. Immediatamente, qualcosa nella sua espressione si distese e addolcì, intenta com'era a sottoporla allo stesso scrutinio estatico che le aveva riservato Victor poco prima.
«Amber?» disse poco dopo, aggirando il bancone per farsi appena più vicina. «Ti ha mandata Elise? C'è un motivo in particolare per cui ci stavi cercando? Oh, e benvenuta, ovviamente! Possiamo offrirti qualcosa? Sarai accaldata... Abbiamo un'acqua aromatizzata con mela, zenzero e mirtilli che è veramente un toccasana.»
«Immagino che spetti a me fare gli onori di negozio. Torno subito!»
Daliah sorrise ad Amber e le indicò col braccio la porzione alla sinistra dell'ingresso: un piccolo salotto in vimini stava posizionato in prossimità della vetrina che dava sulla strada, la sola delle due a non essere occupata dagli espositori. Da lì, era possibile godersi le gioie del passeggio senza essere esposti all'asfissiante calore esterno.
«Accomodati, prego!»
 
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Composta, lasciò che l'ispezione del mago facesse il suo corso. Non aveva nemmeno pensato che la sua stessa identità, dichiarata in cinque parole, potesse essere messa in dubbio... eppure per altrettanti secondi temette di non essere creduta. Vedere l'uomo cambiare espressione mentre la osservava con l'intento - forse - di riconoscerle punti comuni con Elise, le impose di trattenere il fiato. E fu solo quando l'approvazione divenne più chiara per il vecchio mago, che Amber riprese a respirare. Le piaceva essere accomunata alla nonna, ma il retrogusto malinconico che legava la donna ad Eveline finiva sempre ad appesantire lo sguardo dell'adolescente. Ad ogni modo sorrise con cautela alla presa di coscienza di Victor, ed annuì appena; una riverenza ormai radicata dell'educazione impostale fin da bambina. Il sollievo di non dover rimbalzare i convenevoli tra più persone fino a trovare quelle con cui doveva parlare, seguì il primo sorriso. Victor era lì, e quindi non appena si fosse liberato sarebbero arrivati al dunque - o almeno così credeva. In verità lui aveva altri piani ed il prendersi gioco della moglie rientrava tra quelli. La bionda tentò una flebile protesta «Scusi cos-?», che non portò a nulla perché il progetto di Victor era già bello che avanzato. Ignorando quale fosse la sua parte nel teatrino dal retrogusto dolce, seguì le indicazioni cogliendo l'occasione di compiere a sua volta un'accurata ispezione dell'interno del negozio. Però il vagare delle iridi chiare si arrestò nel momento in cui Daliah entrò in scena, quasi come se le luci della sua personale ribalta fossero puntate sull'anziana proprietaria. Cautamente seguì l'invito del vecchio commesso, ma pregò allo stesso tempo di non venire messa in cattiva luce proprio davanti all'altra persona con cui doveva parlare quel giorno. Se c'era una cosa che Amber non sapeva fare, era improvvisare. Era totalmente negata nel reggere il gioco a chiunque, tant'è che perfino con Killian - con cui ogni sembrava più naturale - faticava a far durare "lo spettacolo" troppo a lungo. Fingersi qualcosa che non era la metteva in crisi, era già stato difficile raggiungere la pace nell'essere ciò che era! Trasformarsi quindi in una cliente insoddisfatta dalla qualità delle castagne fu quasi impossibile, senza nemmeno contare la sua reticenza che premeva con forza sul pedale del freno. Sollevò le spalle, quasi cercasse di non apparire eccessivamente di parte con nessuno dei due, non poteva permettersi di inimicarsi Daliah tanto quanto di deludere Victor. Per buona grazia, la proprietaria del negozio (era impossibile non pensare che Daliah fosse proprio lei) frantumò il sogno del compagno sbugiardandolo in meno di un minuto. Solo allora, al sentirsi definire una povera vittima del divertimento dell'uomo, Amber rilassò le spalle, in tempo per assistere ad un nuovo scambio/battibecco dei commercianti. Sentirsi chiamare per nome, infine, diede tutto un altro sapore alla presentazione buffa. Le premure della strega piombarono sulla ragazza come una tormenta d'affetto al quale lei riuscì a rispondere con un misero «Si» riferito solo alla prima delle tante domande. Abituata a non rifiutare un invito gentile, seguì l'indicazione e prese posto nel salottino in vimini, godendo di un momento di frescura che prometteva un sollievo insperato. Eppure sapeva di non essere lì solo per fare quattro chiacchiere con una vecchia amica della nonna. Ed era particolarmente confusa dal fatto che l'urgenza che credeva di aver percepito nelle righe vergate in fretta e furia, non fosse riportata interamente nello sguardo concentrati di Daliah. «Grazie, Signora Daliah, ma sto bene così» asserì, cordialmente, una volta accomodatasi su una poltrona tra quelle presenti. Lentamente, estrasse la lettera che la donna doveva aver spedito poco tempo prima e che Amber aveva portato con sé. «Vede...» iniziò, abbassando il tono affinché nessuno dei clienti potesse udirla. Non aveva ben chiaro cosa avesse innescato i timori della donna per il Camelia, quindi non poteva sbandierarli ai quattro venti. «... sono qui per questa.» spinse la lettera verso il mittente. «I nonni non sono a casa in questi giorni, quindi ho pensato che...» aveva sbagliato a farsi avanti? Avrebbe dovuto farsi gli affari suoi? «... magari avrei potuto dare una mano io, per non scomodarli.» Non v'era nulla di più onesto della verità, o almeno così diceva sempre Elise. E la verità era che Amber non voleva obbligare gli Snow a tornare prima dalla vacanza estiva per vedere la nonna preoccuparsi, se poteva risolvere la faccenda diversamente. Un'altra verità, era che non aveva mai visto il negozietto in cui Eveline aveva passato gran parte della giovinezza, e la curiosità era quasi insostenibile.

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Candens Missile, Nebula, Exhalo, Stupeficium, Incanto Patronus, Heolo Benedici, Defodio, Resetka.

6° Classe
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Legilimens, Imber Sagittae.

EQUIPAGGIAMENTO

Anello mistico delle sireneDirettamente dal lago di Hogwarts, rende più resistente alle fatture chi lo indossa.

Bacchetta magica → Legno di Sorbo, Crine di Thestral, dodici pollici e tre quarti, leggermente flessibile.

Ciondolo Runa Mannaz→ Runa della mente che controlla la comunicazione verbale e le capacità intellettive.


 
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Amber aveva appena fatto in tempo a sedersi, imitata da Daliah, e a comunicarle la ragione della sua visita inattesa, quando Victor fece ritorno dal retrobottega guidando un carrellino in legno e ferro battuto — scivolava dolcemente sulle ruote solide in direzione del salottino in vimini.

«Guardate un po’ che meraviglia,» disse alle due donne con voce allegra.

E, invero, aveva ragione. Il ripiano in alto era disseminato di poche, dolci accortezze che avrebbero reso felici più d’uno dei viandanti di Cinnamon Street, offrendo una valida alternativa alla passeggiata sotto il sole rovente di Agosto. A farla da padrona era una grossa brocca panciuta di vetro: conteneva un liquido cristallino, tinto di una delicatissima tonalità di lilla per effetto dell’infusione — mirtilli, spicchi di mela e pochi petali di viola galleggiavano pigramente tra i cubetti di ghiaccio come turisti nelle acque di un mare limpido. Accanto, stavano tre porzioni modeste di una torta glassata al cioccolato e farcita a due strati.

«Hai colto al balzo l’occasione, non è così? Vecchio mangione! Morirai di diabete!»

In effetti, come spesso accadeva, Daliah non aveva commesso un errore di valutazione. Da quando gli occhi di Victor si erano posati sul dolce, non aveva vissuto che per il momento dell’assaggio. Né i clienti, né il caldo, né Amber erano riusciti a distoglierne l’attenzione dall’aspettativa della merenda. Anzi, se possibile, l’arrivo della giovane Hydra aveva inconsciamente — e immediatamente! — ravviato in lui il proposito di servirsene una bella fetta. Erano in anticipo di poco più di un’ora rispetto all’ora del tè, suvvia! Che bisogno c’era di fare i precisini?
Quindi, annuì da vero impunito per confermare le deduzioni della moglie, prima di porgere un piattino all’ospite e strizzarle l’occhio una volta di più. Da vero gentiluomo, si riservò di ribattere ai punzecchiamenti di Daliah in un secondo momento e, intanto, si assicurò di accompagnare i gesti di Amber per evitare che incontrasse difficoltà nella gestione della piccola posata in rame. Infine, afferrò la brocca.

«Ho colto al balzo l’occasione di mostrare apprezzamento per gli sforzi di mia moglie,» rispose dopo un po’, versando l’acqua aromatizzata in un bicchiere e deponendolo, poi, sul tavolo basso che separava Amber e Daliah a beneficio della prima. «Sarei un vero ingrato se permettessi alle sperimentazioni di una cuoca sopraffina come te di rimanere a prendere polvere su un davanzale.» Ripetè i gesti, servendo la moglie e sé stesso. Solo allora decise di accomodarsi sulla poltrona rimasta, non senza esibirsi in un sospiro misto di sollievo e aspettativa — aveva sul viso l’espressione estatica dei bambini. «Ci ha messo un pizzico lavanda, sai?» rivelò alla ragazza con lo stesso fare complice di poc’anzi. «Dev’essere squisita!»

Daliah scosse il capo, seguendo distrattamente il profilo delle unghie della mano sinistra coi polpastrelli della destra — i disegni delicati della mela e del mirtillo svettavano sullo smalto trasparente, facendo risaltare la grazia delle sue dita affusolate nonostante i segni dell’età le avessero rese più nodose. Continuare a battibeccarsi con Victor era una battaglia persa in partenza, lo sapeva bene. Se c’era una cosa che aveva imparato in quarant’anni di matrimonio, era che fosse pressoché impossibile fiaccarne lo spirito. Che, poi, quello fosse il motivo per cui l’aveva sposato era un altro paio di maniche e non l’avrebbe mai ammesso a voce alta!

«Quindi, Elise non sa che sei qui?» domandò Daliah allora, volgendo lo sguardo verso Amber. Aveva bevuto un sorso d’acqua aromatizzata ed era rimasta compiaciuta del gusto, prima di risolversi a parlare. Sospirò, sovrappensiero. «Non mi piace,» aggiunse senza troppi giri di parole, gli occhi di ghiaccio puntati in quelli della ragazza. Aveva riconosciuto la propria grafia nel telegramma che le aveva mostrato Amber e tanto era bastato a ravvivare il ricordo dell’urgenza che l’aveva indotta a infastidire così insistentemente l’amica. «Il tuo ragionamento è molto logico per la tua età ed è anche molto generoso come nipote,» continuò, l’espressione seria sul viso severo. «Ma, se hai letto quello che ho scritto e so che è così perché me l’hai detto, avrai anche intuito che la questione desta in me un certo allarme. Ed è questo mio allarme ad averti spinta immediatamente qui senza pensare di temporeggiare. Mi sbaglio?» Un alito di vento, penetrando dalla porta d’ingresso, mosse una ciocca dei capelli di Daliah, facendo in modo che le sfiorasse una guancia. Victor, sullo sfondo della conversazione, aveva smesso di abbuffarsi di torta — gli era piaciuta eccome! — per lasciar correre lo sguardo dall’una all’altra delle due interlocutrici. «Non esporrei mai la nipote di Elise e Dustin a un rischio, specie se non sono sicura dell’entità del rischio in questione. E questo è quanto!»

Solo a quel punto, finalmente, le sorrise con espressione addolcita, dismettendo i panni dell’educatrice inflessibile per tornare a indossare quelli della nonna premurosa. Si assicurò di darle un’altra occhiata curiosa e attenta e di sorseggiare un altro po’ della sua acqua. Poi, tornò a parlarle.

«Sei bella come un fiore nel pieno della primavera! Saresti stata un’attrazione incredibile per i clienti del negozio dei tuoi nonni, se fosse stato ancora aperto. Come lo era tua madre, del resto.»

Si allungò per afferrare il piattino col dolce e se lo portò in grembo.
 
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Immune - o quasi - alle leccornie esposte sul bel banchetto mobile, la ragazza rimase composta. Schiena dritta, espressione solida, e più di una domanda a frullarle nel cervello come ali impazzite di un gufo. C'era molta urgenza nelle lettere vergate in fretta dalla Signora Daliah, eppure c'era anche spazio per una merenda nel mentre... non le tornava molto l'insieme. Lei, però, era solo un'ospite e non si azzardò a dire nulla. In vero erano molto invitanti quei triangoli di torta al cioccolato e se non avesse ingerito al volo qualche biscotto, probabilmente il suo stomaco avrebbe dichiarato una resa immediata. La glassa al cioccolato era da sempre la sua favorita. Un peccato di gola a cui però sapeva resistere benissimo. Spostò lo sguardo dall'uomo alla donna, lasciandosi cullare dal battibeccare che tanto li accomunava ai suoi nonni. In genere però era sempre Elise a tentare di prendere in giro il buon Dustin, che rispondeva a volte con qualche occhiataccia poco credibile, ed altre volte con altrettanta verve. Ignorando i fondamenti di quei rapporti, Amber non poteva fare altro che sorridere, mesta, e lasciare intatta la sfera di cristallo in cui aveva rinchiuso John... per non pensare a quanto anche lui meritasse di tornare a vivere sentimenti similari. Distratta per pochi e cruciali secondi, venne sopraffatta dall'ospitalità di Victor e si ritrovò a reggere un piattino decorato ed una piccola forchetta, quasi innestata a metà fetta di torta come una spada in una roccia. Rifiutare era, a quel punto, impensabile. Godendo della brezza che spirava oltre la veranda, la ragazza chiuse gli occhi ed inspirò a pieni polmoni lo stato di calma estiva di cui si poteva percepire solo in quel punto preciso di Cinnamon Street. Spezie, profumo, vociare accaldato dei clienti, tutto si mescolava così bene da rendere il quartiere babbano un vero paradiso. Non faticava a credere perché la nonna lo avesse scelto per farne la destinazione del Camelia. Prima però che potesse portare alle labbra il dolce al cioccolato, Daliah intavolò l'argomento principale, ed il piattino tornò a posarsi sulla superficie del tavolo basso che le separava. Finalmente nessuno ignorava più l'erumpert nella stanza e tutta la sua attenzione finì lì, negli occhi chiari della padrona del negozio. Il primo "non mi piace" fu assorbito da Amber con decorosa calma, ma non poté dire altrettanto del resto del discorso. Lei non era più abituata a vedersi messa da parte per inesperienza o inadeguatezza. Sebbene ci fosse un retrogusto dolce dietro le parole dell'anziana, che certo non voleva mettere a rischio la nipote della sua amica, a sua insaputa, la ragazza non poté che pensarla diversamente. Aveva affrontato troppe situazioni in cui le era stato chiesto di essere adulta, saggia, coraggiosa, impavida e perfino quel che non era, pur di uscirne viva. Aveva visto situazioni che ancora meno adulti avrebbero voluto affrontare.... ma, alla fine dei conti, cos'era se non una studentessa alla fine del quinto anno? Diverse volte avrebbe voluto poter scoppiare in lacrime per la frustrazione di doversi sempre dimostrare all'altezza di compiti per cui non era portata o che erano troppo gravosi per una semplice ragazzina. Ma crescendo era stata abituata a non arrendersi e così ora tornare a ricoprire un ruolo da "inesperta" non le andava a genio. Ignorò il boccone amaro mentre la gola si seccava ed abbassò lo sguardo verso la superficie in vimini della poltrona. Avrebbe dovuto scegliere saggiamente le proprie parole, filtrando con educazione le prime che erano riaffiorate taglienti come un sicamèn ben eseguito. La tempesta marina che imperversava nello sguardo, venne però spenta prima che quell'ultimo potesse tornare su Daliah. «Mia madre...?» le parole per poco non morirono in gola, mentre l'espressione si trasformava radicalmente in curioso stupore. Stretta nel vestito candido, consapevole di avere un aspetto gradevole, Amber non se la sarebbe mai sentita di esporsi come "accalappia clienti", così come dubitava di poter davvero svolgere un lavoro che richiedeva così tanto dialogo con il pubblico... ma Eveline si? Nel tentativo di precedere ogni risposta, però, la ragazza tornò con i piedi per terra e lo sguardo meno vago. «Capisco la sua osservazione... eppure non mi sento così fragile.» alzò la testa. «Forse non avrei dovuto metterla in questa posizione, ma potremmo accertarci della questione, insieme. Se non ci sarà niente che potremmo fare, allora chiameremo l'antimago o chi di competenza.» Avrebbe potuto fermarsi lì, dimostrare che fare la scavezzacollo non fosse proprio il suo obiettivo nella vita, ed invece - complice il sentirsi una nipote acquisita? - aggiunse: «Hogwarts è cambiata molto, negli ultimi anni. Non viviamo in una campana di vetro. Ho imparato a capire cosa possa essere fuori dalla mia portata, e cosa invece non somigli nemmeno vagamente agli orrori che ho visto e ... affrontato». Tacque, senza sfiorare né l'acqua, né il dolce. Occhi fissi su Daliah ed un nodo stretto in gola.

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Affrontare l’argomento Eveline, per spinoso che fosse, avrebbe riempito il cuore di Daliah di una felicità così pura che, alfine, la malinconia si sarebbe vista costretta a farsi da parte. Amber, tuttavia, aveva altri piani. Nel modo in cui la vide reagire, la titolare del negozio ortofrutticolo scorse i tratti di molti membri della famiglia di lei, ma si trattenne dal proseguire in quella direzione.

«Forse, il problema è proprio questo,» ribatté, lasciando intendere che fosse ben lungi dal cedere di un solo millimetro. «Le mancanze di Hogwarts vi hanno fatto dimenticare ciò che siete: bambini.» Le mani reggevano il piattino con placidità, dando l’impressione che Daliah fosse più che abituata a tenere quel genere di conversazioni; a fare le ramanzine. «Io sono nata in tempi molto oscuri, Amber, e ho visto lo scempio della guerra e ciò che porta con sé. So che viviamo in un momento molto, molto difficile per fingersi spensierati; e so che vi sono stati richiesti degli sforzi estremi quando ce n’è stato bisogno. Il contributo di voi ragazzi è stato impagabile, ma non è così che dev’essere. Vedervi schierati in prima linea non è la regola: dev’essere l’eccezione.»

Le parole di Daliah, ora più che mai, rivelavano il vissuto di chi ha attraversato tutte le fasi di una lunga esistenza e ne ha conosciuto via via le gioie e i dolori. Amber avrebbe potuto non comprendere il suo ragionamento, perché molte erano le generazioni che si frapponevano tra loro a rendere complessa la comunicazione, ma non le avrebbe permesso di essere la vittima sacrificale di un gioco che la voleva nelle retrovie. Se necessario, si sarebbe fatta odiare pur di ricordarle quale fosse il suo posto nel mondo.

«Quello che voglio dire è che non dubito che tu sia capace di affrontare qualsiasi cosa e di superarla meglio di quanto non farei io. Intendo dire che non è tuo dovere farlo. Alla tua età, a toglierti il sonno dovrebbero essere l’incomprensione con una cara amica, l’antipatia verso un insegnante, il risultato di un compito, la cotta per il ragazzo o la ragazza che ti fa battere il cuore; non come porre rimedio alle mancanze dei grandi. Avrai una vita per fare i conti con le beghe degli adulti, Amber, e ti assicuro che rimpiangerai la possibilità di spensieratezza che hai adesso. Sfruttala! E non sentirti mai in colpa per questo!»

Daliah comprese di essersi assunta un compito spinoso nel momento stesso in cui smise di parlare. Amber avrebbe potuto adirarsi con lei e considerare il suo un tentativo di usurpazione. Non era sua nonna e non era certamente sua madre per arrogarsi il diritto di darle una lezione di vita. Per questo, si convinse a portare una piccola porzione di dolce alla bocca e ne gustò il sapore — Victor aveva avuto ragione a immaginare che fosse squisito.

«Ho un’idea,» esordì d’improvviso l’uomo. «Visto che Dustin ed Elise non possono controllare di persona e che certamente non manderemo Amber — il sostegno alle tesi della moglie trapelò senza lasciare spazio a dubbi di sorta — non rimane che una soluzione: andrò io a controllare.»
Daliah attese di deglutire l’ennesima forchettata di torta, prima di rispondere.
«Non andrai da solo. Verrò con te ed Amber rimarrà qui o tornerà a casa, se dovesse preferirlo.» La guardò per tutto il tempo, in parte per confermare l’irremovibilità della decisione presa e in parte per coglierne la reazione. «Nel caso in cui rimanessi e non dovessimo tornare entro un quarto d’ora, temo che dovrai chiedere l’intervento degli antimago.»
«E, se dovesse passare qualche cliente, sentiti libera di servirlo.»
Daliah lo guardò malamente, mentre Victor ridacchiava.
«Lascialo perdere! Digli che torneremo presto!»

Tanto decretato, pochi minuti più tardi, Amber poté osservare la coppia abbandonare il negozio attraverso la porta d’ingresso, non prima che la donna avesse avuto cura di recuperare una chiave dorata da uno dei cassetti dietro il bancone.
Era sola entro i margini del Daliah’s.


Ti trovi da sola al Daliah's.
Non ci sono limiti alle azioni che puoi compiere. Puoi decidere di fermare i coniugi appena oltre l'uscio; seguirli testardamente e spettare la reazione dei due; seguirli di nascosto; rimanere nel negozio ed esplorarlo. Nel caso in cui optassi per quest'ultima eventualità, ho deciso di allegare una mappa che ti renda più semplice muoverti in un ambiente che, finora, ho tratteggiato solo a grandi linee.

QVZ8cEl
Dimensioni originali: click
Le lettere di ciascuna seduta indicano chi occupava quale.
Il pallino grigio è il carrello.


Un'ultima precisazione: Cinnamon Street si trova nel quartiere magico, non babbano.
 
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Dire che la situazione le fosse sfuggita di mano sarebbe stato riduttivo. Nel giro di pochi minuti, la decisione e l'ostinazione di Daliah si erano rafforzate e Victor, su cui lo sguardo di Amber aveva vagato più volte, aveva impiegato meno di tre secondi per confermare le scelte della moglie e relegare la studentessa a semplice "bambina". Soffocare il senso di inadeguatezza che le parole della donna le avevano provocato fu impossibile. Tutti gli anni in cui aveva sperato di poter essere considerata adulta, in cui aveva pregato che suo padre non la mandasse a dormire se doveva parlare con zia May della mamma, in cui aveva implorato Chapman affinché non dicesse a nessuno che era sveglia fuori orario.... mandati in fumo con un semplice: "ciò che siete: bambini". Intatta, la fetta di torta non poté che assistere al monologo convinto della padrona del negozio, che sembrava lasciare poco spazio ad un possibile dialogo. Ma quello che davvero bloccava in gola ogni singola parola o rimostranza, era che la strega aveva ragione. Hogwarts aveva trasformato i suoi alunni in eccezioni, non sarebbe mai dovuta andare in quel modo, gli Auror avrebbero dovuto occuparsi della faccenda assieme al personale scolastico. Ed Amber lo sapeva e quella consapevolezza bruciava come l'Ardemonio che aveva raso al suolo mezzo Castello. Però, e fu su quello che lo sguardo acquamarina puntò per non spegnersi, Daliah non aveva considerato che, una volta diventati l'eccezione, non v'era più alcun modo per riuscire a trasfigurarli di nuovo in "regola". Da quando era piccola, la biondina si era sentita costretta a crescere e maturare prima dei coetanei, ed ora - per quanto affetto vi fosse tra le righe del loro dialogo - non poteva più lasciar correre ogni cosa solo pensando che avrebbe dovuto occuparsene qualcun altro. Non riusciva a permettersi di credere che gli sforzi fatti per migliorare le sue capacità, e diventare una strega al di sopra della norma, non sarebbero mai valsi a nulla fin tanto che fosse rimasta ad Hogwarts. Era ingiusto, e niente nella sua espressione sembrava lasciar intendere il contrario. Non capiva, e non poteva capire, come potessero con facilità rinchiuderla di nuovo nella campana di vetro da cui si era liberata con tanta fatica e tanto lavoro. Avrebbe voluto dire molte cose tra un'affermazione e l'altra, ma non ne fu capace, e l'unico risultato evidente fu solo il corrucciarsi della sua espressione. Sentirsi inutile era qualcosa che non sperimentava da un bel po' di tempo. Non le piaceva per nulla. Ancora una volta, il confronto tra bambino ed adulto la paralizzò. Il tono ferito del Killian che l'anno precedente aveva dichiarato quanto lei appartenesse chiaramente alla prima delle due categorie, tornò a farle visita. La mano sinistra abbandonò definitivamente l'idea di afferrare il bicchiere di acqua aromatizzata, preferendo invece lo stringere il tessuto del vestito candido. Le cose con l'Auror si erano sistemate, i due si erano chiariti, ma il tempo che Amber aveva impiegato per riprendersi dalla constatazione più terrificante di sempre, non si calcolava. Ed ora doveva tornare indietro? Doveva davvero tornare a chiedersi se non fosse "troppo piccola" per determinate esperienze o decisioni? Aveva diciotto anni, aveva affrontato i G.U.F.O. e si era dimostrata in grado di sopportare incontri con entità più pericolose di un terrorista. Ed anche se Daliah non lo sapeva, Amber sì e non poteva ignorarlo. «Come preferite.» Disse, quando capì che non vi sarebbe stato un muro su cui arrampicarsi per far cambiare loro idea. Vibrava sottovoce il dissenso per più di metà del discorso che le era stato rivolto. Non accennò a quale delle opzioni si sarebbe appellata, semplicemente perché non poteva farlo. Nel vederli allontanarsi, si chiese quanti problemi avrebbe causato l'inimicarsi i due amici dei nonni materni, e quanto il gioco valesse la candela. Perché sapeva benissimo quale sarebbe stata la sua mossa, soprattutto ora che si era mentalmente focalizzata sull'idea del dimostrare loro quanto poco "bambina" fosse e quanto impossibile fosse farla regredire allo stato che la società imponeva. C'era solo un modo per non trasformare quell'incontro in un problema in più per Elise e Dustin, e prevedeva più passi ben gestiti. Assumendo l'espressione più rassegnata in repertorio - non così lontana da quanto già sottolineato poco prima - lasciò che i due l'abbandonassero in negozio, poi afferrò il legnetto in sorbo e contò fino a centocinquanta. Più il numero si alzava e più il verde liquido che tingeva le iridi si scuriva, le sopracciglia bionde s'incarcavano e la volontà di dimostrare qualcosa a chiunque raggiungeva picchi mai conosciuti prima. Tenersi a bada era qualcosa che faceva da così tanto tempo che non aveva più memoria di quando aveva iniziato. Attese quel che per lei era da considerarsi un tempo sufficiente e si avviò all'uscita con la chiara intenzione di seguire le orme di Daliah e Victor, ma senza essere vista a sua volta. SE non avesse trovato nessuno dei pressi del Camelia, avrebbe sfiorato con la schiena i fogli di giornale che ne proteggevano le vetrate e poi avrebbe perso interesse per le persone nei paraggi, dovendo concentrare tutta se stessa sull'immagazzinare ogni dettaglio di negozi, pavimentazione e raggi che il sole insinuava sotto il tettuccio d'edera. Ogni cosa doveva essere registrata, immagazzinata e indossata da Amber come una seconda pelle. Non tutti avevano appreso quel che aveva appreso lei e se non ai due anziani, lo doveva almeno a se stessa. L'aula ventuno aveva visto abbastanza tentativi perché quel giorno l'illusione non funzionasse. Non chiuse gli occhi, anzi, li tenne bene aperti affinché non sfuggisse alla loro indagine minuziosa nemmeno il muoversi lento di una foglia e si voltò per ispezionare gli articoli sciupati dal sole e le parole mozzate dal caldo, perché quelle l'avrebbero attraversata come un proiettile di vetro. Quando si sentì pronta, interiorizzò l'ambiente aperto e lasciò che esplodesse in ogni fibra del suo corpo, come se il contorno della sua sagoma servisse solo a definirlo. Alzò la bacchetta in sorbo e colpì il centro della nuca. Illùdo Camaleontide, l'imposizione decisa. Accentata dove necessario, la formula avrebbe percorso in un lungo ed in largo la sua mente, avvinghiandosi all'immagine di sé che svaniva in favore di una mimetizzazione con l'ambiente circostante, ad un passo dalla porta del Camelia. Che quella fosse chiusa o aperta, poco importava al momento: Amber doveva solo riuscire a prendere posizione, il resto sarebbe venuto a suo tempo.

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view post Posted on 16/7/2019, 19:06
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Un refolo di vento s’insinuò al Daliah’s attraverso l’uscio aperto. Curioso, percorse lo spazio ordinato del negozio da una parte all’altra, prima di arrestarsi per un'ispezione e tornare all'esterno in un giro di corrente. Quasi che cercasse qualcuno e che quel qualcuno gli fosse sfuggito per un pelo, si levò di una spanna e accarezzò la nuca di Amber nello stesso momento in cui la magia prese a fluire dalla bacchetta nel suo corpo giovane. Ah-Ah! Ti ho scovata!, cantò vittoria.

Una serie infinita di brividi sottili si dipartì dal punto di contatto tra pelle e sorbo, mentre le membra della ragazza si disponevano ad accogliere i dettagli dell’ambiente che la circondava: l’opacità dei vetri tartassati dal sole, la sfumatura giallognola dei giornali consumati dal tempo, il verde brillante dell’edera che sovrastava Cinnamon Street, il rosso e l’arancione delle spezie più esotiche, il verde della lattuga di Victor e, ancora, gli altri numerosi colori che vivacizzavano quell’angolo di paradiso urbano. Amber li assorbì tutti, uno alla volta, in preda a una febbre sinuosa; la stessa che seguiva un bacio sulla curva del collo, una carezza sul fianco, una risata bassa a ridosso dell’orecchio in una notte di intimità.
Quando il processo innescato dall’Illudo Camaleontide terminò, i pochi occhi che si erano distrattamente posati su di lei non ebbero più modo di distinguerla e la giovane Hydra guadagnò la grazia dell’invisibilità e dei suoi spazi di manovra. C’era un accenno di ribellione nella tenacia con cui si era opposta all’ordine di Daliah, dopo averle fatto credere in un cedimento; la dimostrazione che, per bambina che fosse secondo il giudizio di molti, non avesse intenzione di starsene in castigo ad aspettare a braccia conserte.

Alla sua destra, dalla porta socchiusa del Camelia, provenivano le voci dei due coniugi che l’avevano accolta con affetto, soffocate dalla distanza che li separava. Era lì, a un passo da lei, uno dei luoghi di cui aveva sentito parlare senza che le fosse dato di visitarlo; uno dei luoghi che portava ancora — magari! — l’impronta della sua amatissima Eveline.
La corolla di una margherita, attraverso le assi, le fece l’occhiolino.
Era un benvenuto?
 
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view post Posted on 25/7/2019, 21:11
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Tra le ciglia s'impigliò l'ultimo raggio di sole filtrato dal soffitto, prima che la viscida sensazione dell'incantesimo scendesse su di lei. Rivoli incantati si insinuarono tra i suoi capelli come mani inesperte, provocandole un solo brivido infastidito. Quei fili dorati, appena ondulati verso la punta, erano parte della sua forza - o così li aveva sempre considerati - ma erano anche una debolezza. Non amava che qualcuno li toccasse o che i suoi stessi movimenti la portassero a far sì che sfiorassero altre persone, ma per coloro che avevano il permesso di rigirarseli tra le dita; la faccenda era ben diversa. Sensibili alle carezze selezionate, diventavano inviolabili per tutto il resto. Arrossì prima che il suo volto si facesse trasparente ed un articolo su un vecchio notiziario lo sostituisse, al pensiero di chi sapeva benissimo come aggirare gli ostacoli delle sue reticenze e trasformare il fastidio in un contatto più che desiderato. Un sorriso frenato dai canini e la realtà riacquistò terreno riportando la ragazza alla realtà ma donandole il promemoria di quanto aveva capito di sé anche nei mesi precedenti. Se stava sfidando gli ordini più autoritari di Daliah non era certo per sciocca sconsideratezza ma perché a vibrarle lungo la spina dorsale c'era la sicurezza - forse esagerata? - di sapere che avrebbe potuto affrontare qualsiasi situazione si fosse presentata ad attenderla. Così, ad un passo dal Camelia e dalle voci familiari dei coniugi entrati prima di lei, si sentì pronta. O almeno così credette, perché quando il cervello impartì l'ordine alle gambe, queste non si mossero di un millimetro. Gli occhi chiari, fissi su una piccola corolla di margherita vennero attraversati da una consapevolezza che fece tremare le pareti del cuore. Stava davvero per entrare al Camelia? Il posto di cui nessuno voleva mai parlare davvero? Ricordava con dolore il momento in cui aveva violato la privacy della stanza di Eveline, a casa dei nonni, e ancora più dolorosamente non aveva dimenticato quanto la discussione con Killian lì dentro l'avesse abbattuta. Ma non è la stessa cosa , si disse in uno scarso tentativo di auto convincimento. Non lo era, certo, ma questo non voleva dire che vi fosse meno importanza in quel che stava per fare. Il negozio non era solo un luogo di ricordi per Elise, ma era il vero santuario del suo passato. Il percorso che la nonna aveva scelto di affrontare con Dustin accanto e le sue figlie ad aiutare, era l'ossigeno che aveva alimentato l'ambiente lì dentro... era davvero giusto che Amber vi mettesse piede così impunemente? Era davvero giusto che per la seconda volta fosse lei a cercare le risposte che nessuno sembrava disposto a darle? Per quanto avesse sperato che la sua famiglia cogliesse la morale delle vicende passate, così non era stato; non del tutto. Tutto il coraggio che aveva indossato nel momento in cui Daliah e Victor si erano mossi per abbandonarla nel salottino, sembrava ora pesare sulle spalle. Eppure non era arrivata fin lì per fare marcia indietro. Aggrappatasi a quel guizzo di spirito avventuriero che le scampagnate con la Scuola di Atene non avevano ancora ucciso, strinse più forte il legnetto in sorbo. Riavvicinò i piedi e scacciò il pensiero molesto e quello scrupolo di coscienza che - lo sapeva, era inevitabile - prima o poi sarebbe tornato a farle visita. Doveva rendersi più silenziosa possibile. Visualizzò, approfittando dell'invisibilità del momento, con tutta calma i cuscinetti morbidi che decoravano le zampine della sua gatta. Rosati e soffici, avevano subìto molte volte gli agguati di Amber che, nel momento di profondo collasso di Eve, allungava i polpastrelli per pungolarli dolcemente. Immaginò che questi, della dovuta grandezza, sostituissero la suola di entrambi i suoi stivaletti, e rendessero quindi impercettibile il movimento dei piedi su assi e ciottoli.*Felpàto* impose mentalmente, facendo attenzione al giusto accento sulla vocale di mezzo e puntando proprio i piedi con la bacchetta. Mantenne una presa morbida, memore delle precedenti esecuzioni e di tutte le volte che aveva passeggiato in piena notte per la villa senza svegliare Costa e Cordelia. Sapeva che - se avesse funzionato - non avrebbe avuto molto tempo per sfruttarlo, ma entrare senza essere percepita poteva già essere un enorme vantaggio. Non sapeva cosa aspettarsi dal Camelia, ma di sicuro sarebbe stato qualcosa di più interessante del rimanere ferma in mezzo a Cinnamon Street. Un sospiro e, se avesse percepito il silenzio dei suoi passi, ne avrebbe compiuti a sufficienza per entrare cautamente in negozio. Si augurò di non ritrovarsi subito faccia a faccia con i due anziani e che l'Illudo la seguisse almeno un po' oltre la soglia, il tempo di capire con cosa avevano a che fare. Trattenne il fiato consapevolmente. Il cuore mosse battiti sordi nel torace, lenti e profondi come il mistero che aveva sempre rappresentato il Camelia ed il passato di sua madre.

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Candens Missile, Nebula, Exhalo, Stupeficium, Incanto Patronus, Heolo Benedici, Defodio, Resetka.

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view post Posted on 30/7/2019, 17:23
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Un raggio di sole filtrò attraverso un intrico di foglie e affondò nella pallina di un cono gelato, stretto tra le mani di una bimba di quattro anni appena. Una goccia di cioccolato fece per colarle sulla manina paffuta, prima che la lingua la raccogliesse con ingordigia. Nel movimento, la tiara di plastica e finti diamanti che indossava la piccola riflesse la luce di quel sottilissimo fascio e la rispedì all’indirizzo di Amber, proprio mentre quest’ultima accedeva al Camelia e si lasciava alle spalle il chiasso stanco e sonnolento di Cinnamon Street.
Protetta dagli effetti del Felpato, la giovane non incontrò alcun impedimento se non nel cigolio dei cardini. Il rumore attirò l’attenzione di Daliah, che spostò lo sguardo in quella direzione per accertarsi che nessuno si fosse intrufolato nel negozio, approfittando dell’uscio schiuso. La veste cangiante di cui era rivestita la pelle di Amber le consentì di non essere scorta perfino là dove il cambio d’ambientazione avrebbe potuto richiedere un minimo aggiustamento cromatico che facesse al caso suo. Un espositore alto almeno due metri intervenne come alleato, tranquillizzando l’autoritaria signora e riportandone l’attenzione altrove.
Nella penombra del locale, illuminato dal brillio che svettava sulla sommità delle bacchette dei coniugi, il Camelia appariva più grande e ordinato di quanto suggerisse l’esterno. Amber, nascosta a favor di segretezza, poté sentire i due sorveglianti improvvisati battibeccare circa l’interazione avvenuta poco prima — Victor rimproverava a Daliah un’eccessiva durezza e Daliah rimproverava a Victor di non averle dato manforte circa una questione tanto spinosa. Quando pareva che il bisticcio fosse sul punto di farsi più serio del necessario date le circostanze, la vocina acuta di una donna provenne dall’esterno e attirò l’udito di entrambi: chiamava per nome i proprietari del Daliah e domandava — inutilmente e scioccamente, ci sarebbe da aggiungere — ai passanti se avessero visto i negozianti.

«Qua non c’è nulla che non vada: dev’essersi trattato di un roditore, che ha trovato un buco e l’ha usato per entrare ma anche per uscire,» sentenziò Victor in modo pratico. «Sarà il caso di tornare in negozio, Dal. Ho come l’impressione che Amber non sia rimasta…»
Il viso di Daliah, rischiarato dal Lumos, si adombrò impercettibilmente. Gettò un’ultima occhiata di perlustrazione al Camelia e uno sguardo in tralice a una porta lontana sullo sfondo del negozio; infine, annuì.
«Ora mi pento di aver inviato tanti telegrammi: se la povera Elise fosse stata in casa, si sarebbe impensierita per niente,» disse, riflettendo a voce alta, mentre imboccava insieme al marito la via che conduceva alla porta. «Avrei dovuto essere meno insistente… e anche meno dura con la ragazza,» aggiunse sul finire.
Victor, che la precedeva di poco, la aspettò e le fece passare un braccio attorno alle spalle con quel fare rincuorante che, a suo tempo, l’aveva conquistata e che, perfino adesso, riusciva a risollevarle l’umore.
«Non è successo niente. Non le hai detto nulla di sbagliato, anzi penso che le tue parole possano servirle da lezione per il futuro.» Le baciò il capo e, con la punta del piede, aprì la porta. Un’ondata di luce e calore investì entrambi, costringendoli a socchiudere gli occhi. «Elise capirà e noi sfrutteremo l’occasione per organizzare una bella cena e chiedere che venga anche Amber. Non resisterà due volte alla tua torta al cioccolato, te lo garantisco.»

Meno di un minuto e tre giri di serratura più tardi, la quiete del Camelia era spezzata soltanto dal sommesso vociare ovattato degli occupanti di Cinnamon Street. Come già era accaduto pochi minuti prima, Amber poté beneficiare del lusso della propria condizione.
Era sola entro i margini del Camelia… o così pareva.
Sola forse, ma certamente al buio.
 
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view post Posted on 2/8/2019, 10:53
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.. Amber S. .Hydra
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Silenziosa, il più possibile, Amber ridusse al minimo anche il rumore dei propri respiri. Nulla poté, però, contro il cigolio naturale dei cardini che le fece balzare il cuore in gola appena dentro il Camelia. Poteva mai farsi scoprire praticamente subito? *maledizione!* Fortuna volle che ad accoglierla non fossero gli sguardi alterati di Daliah e Victor ma piuttosto uno scaffale a cui si appiattì per nascondersi il più possibile alla vista. Sentiva le voci dei coniugi così vicine che si maledì per non aver atteso qualche minuto di più, il tempo di distaccarli... ma come avrebbe potuto sapere quanto sarebbero rimasti lì dentro? Adombrata dalla struttura dietro cui si nascondeva, strinse le mani al patto e riuscì così a percepire la velocità con cui il cuore pompava sangue nelle vene. Non poteva proprio farsi scoprire, ma non poteva nemmeno essere più silenziosa di così. Immobile, trattenne il fiato finché non udì i due riprendere a discutere come se il rumorino iniziale non fosse più nulla di cui preoccuparsi. Non trasse alcun sospiro di sollievo; troppo concentrata sulle interazioni dei due e su quel richiamo che giunse quasi provvidenziale dall'esterno. Qualcuno doveva essere arrivato al Daliah's e, non avendo trovato nessuno, domandava dove fossero i suoi proprietari. Certo quello dava anche il chiaro indizio di come Amber non fosse rimasta a fare "la guardia" al negozio, ma alimentava la speranza che - richiamati dai clienti - i due tornassero presto sui loro passi. Senza emettere un fiato, la strega continuò ad origliare, incapace di realizzare realmente dove fosse... doveva prima capire che intenzioni avessero i due anziani. Il sottile desiderio di poter osservare le loro reazioni, svanì del tutto quando comprese di essere proprio lei al centro della contesa. E se da una parte Victor aveva ragione, perché la giovane non era rimasta in negozio e certo la moglie non era stata molto morbida, dall'altra Amber non riusciva a fargliene una colpa. Grazie all'amica di Elise aveva imparato una lezione che non avrebbe dimenticato mai più; non poteva sperare che gli esterni comprendessero com'era cambiata la vita ad Hogwarts e quanto in fretta i ragazzini non si comportavano più come tali. Alcune cose erano davvero comprensibili solo da chi le viveva in prima persona ed era inutile sforzarsi di spiegare a parole le proprie ragioni. Per quello aveva scelto di agire da sola.

C'era una forma di amore tanto legata al rispetto in quei due, e quando le passarono vicino per uscire, Amber si chiese come fosse stata la loro vita ad Hogwarts e da quanto conoscessero Elise e Dustin. Ma non potendo prevedere come sarebbe finita la sua personale ricerca, tenne per sé ogni ulteriore domanda e attese che l'inevitabile accadesse. Chiusa a tre mandate, la porta del Camelia inghiottì la luce che proveniva dall'esterno e fu buio. Victor aveva ipotizzato che ad allarmarli fosse stato solo un topo, ed Amber non aveva grandi basi per stabilire il contrario, ma ormai che aveva varcato la soglia... perché perdere l'occasione di esplorare? Con le spalle ancora appoggiate allo scaffale, sollevò la bacchetta davanti a sé. Non temeva il buio, non come quando era bambina, perché aveva imparato a rischiararlo e non certo grazie ad un Lumos che - per quanto semplice - non permetteva di estendere il chiarore a tutto l'esplorabile. Pian piano aveva smesso di soffrire di incubi tanto intensi legati alla mancanza di un punto di luce intorno a sé, e se era stata capace di farlo doveva ringraziare l'incanto che già alimentava i suoi pensieri. Illuminare le tenebre senza disturbarle, senza muovere gli orrori che quelle nascondevano. Rispettare il buio era il solo il primo passo per potersi immergere in esso e muoversi al suo interno come un gatto in una notte senza luna. Riempì la mente della curiosità necessaria a solleticare il desiderio preciso di riconoscere tra le ombre le forme che abitavano il Camelia. Se avesse agito a dovere, il nero sarebbe sfumato in grigio e i toni scuri si sarebbero fatti più chiari, finché non avesse iniziato a distinguere gli oggetti d'arredo da qualunque altra cosa vi fosse. Ma la cosa migliore era che nessun barlume avrebbe mosso l'interesse di chi avesse cercato qualcosa oltre la barriera di giornali; solo lei sarebbe stata interessata dagli effetti dell'incantesimo. La bacchetta chiara e sottile venne allineata in modo che fosse parallela al pavimento e posta all'altezza degli occhi. Chiuse le palpebre e regolarizzò il respiro, affinché niente la distraesse dal suo obiettivo e la concentrazione alimentasse i rivoli di magia che scorrevano nelle sue vene. Quando capì di aver raggiunto l'apice, passò rapidamente il sorbo davanti agli occhi - ancora chiusi - e lasciò che l'imperativo impartisse l'ordine mentale: *Visibula Noctambulus*. Se aprendo le palpebre avesse iniziato a percepire la differenza di visione e la capacità di orientarsi al buio - non più buio, sarebbe finalmente uscita dal nascondiglio per osservare ogni cosa componesse l'ingresso ed i primi metri del Camelia. Il cuore, sciocco sentimentale, avrebbe cercato segni di Eveline.

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Dunque, infine, il Camelia si disvelò dinanzi agli occhi di Amber Hydra, che la magia aveva reso sfrontati abbastanza da penetrare la fitta coltre di oscurità calata per osteggiarla. E, nel farlo, le palesò i segni di una vita che avrebbe potuto intrecciarsi alla sua, se solo le trame del destino non si fossero mosse in direzione diametralmente opposta.
Innanzitutto, il negozio era ampio ben più di quanto ci si potesse aspettare a guardarlo dall’esterno. Si sviluppava in larghezza e in profondità e conservava ancora buona parte degli arredi originali — erano tutti in legno chiaro, talvolta con alcuni spruzzi di azzurro, e in perfetto stato, eccezion fatta per lo spesso strato di polvere che aveva preso ad accumularsi negli anni e che nessuno aveva sentito il bisogno di rimuovere. C’erano in particolare: un lungo bancone a elle che costeggiava la parete laterale di destra, sulla quale erano stati incassati dei riquadri per erbe di ogni tipo — in alcuni punti, le venature profumavano ancora di lavanda e gelsomino; un lungo espositore, munito di appositi ganci per la sistemazione dei vasi, attraversava in orizzontale l’intero ambiente; e ancora, sparsi qui e lì, scaffali alti come colonne di legno, sui quali residuavano le orme di clorofilla e umidità lasciate dalle piante rampicanti che a lungo vi erano rimaste abbarbicate. Sul fondo, ricoperta di un’edera ancora perfettamente verde, un’ampia porta in rovere.

Amber era troppo giovane per saperlo — e la sua famiglia si era assicurata di tacerne i dettagli — ma il Camelia era stato per molti, moltissimi anni uno dei punti nevralgici di Cinnamon Street. La passione e la professionalità di Elise si erano decise a convergere per dar vita ad un’attività di successo, che poteva vantare i consigli di un’erbologa d’eccezione. Il Camelia non era soltanto il luogo dove poter reperire precise specie di piante, semi e fiori. Non era neppure soltanto il centro prediletto al quale rivolgersi per ottenere le migliori decorazioni in pendenza d’un evento con la consapevolezza di non poter rimanere delusi. Era un’officina di odori e profumi che spaziavano dall’arte financo alla cucina. A parlare con Elise, si sarebbe potuto apprendere che un rametto di rosmarino, correttamente essiccato, potesse essere utilizzato come incenso oppure per donare una punta di amarezza a un tè al limone; o ancora che alcuni fiori fossero, oltreché bellissimi, anche commestibili; e che una pianta, trattata con amore, potesse guarire l’animo di chiunque da una ferita profonda — “Sono loro a prendersi cura di noi e non il contrario” soleva ripetere.
Eveline — solare, bellissima, gentile — era sopraggiunta a dare al Camelia quel tocco di magia in più di cui necessitava per diventare speciale. Neppure un nugolo di fate, strette nei loro abitini succinti e fiere delle alette traslucide, sarebbe riuscito a dare lo stesso contributo al negozio. Coi suoi modi gentili e l’istinto naturale di chi sente l’elemento nel quale si muove, apriva il vaso di Pandora dell’amabilità e sfoderava insegnamenti travestiti da consigli, ammaliando la clientela. Sarebbe errato, tuttavia, pensare che Eveline rivestisse esclusivamente il ruolo di chi attiri il pubblico. Il suo contributo, più che nella zona del negozio adibita al contatto con gli avventori, aveva attecchito nelle profondità di un regno celato ai più e che, ancora adesso, le apparteneva; un regno vestito di un verde ederaceo.
Quando la tragedia si era abbattuta sulla famiglia Snow e il negozio aveva dovuto chiudere i battenti, pertanto, non c’era stato mago o strega che non avesse trattenuto un mugugno di dispiacere all’idea di perdere quell’angolo di Paradiso terrestre. Alcuni di loro, a lungo, avevano sperato in una riapertura, confidando che il tempo lenisse la sofferenza degli inizi e lasciasse posto alla rassegnazione. La vita, del resto, non può che andare avanti sempre e ostinatamente.
Chissà quanti di loro avrebbero sobbalzato nell'apprendere che un membro della famiglia, pur nell'atipicità delle circostanze del caso, fosse tornato tra quelle mura! E chissà quanti non avrebbero potuto fare a meno di sperare in un ritorno degli Snow sulla scena, affezionati come il primo giorno in cui vi avevano messo piede! Eppure non è il tempo dei forse e dei chissà, non adesso che Amber si trova dov'è e spasima per aggiungere un altro tassello al puzzle della sua complessa, benché giovane, esistenza.

Il Camelia era a sua completa disposizione.
Finalmente.


Allego, anche stavolta, una piccola mappa che ti aiuti a orientarti nell'ambiente che ho descritto e che possa tornarti utile per capire dove ti trovi.
PatABGW
Dimensioni originali: click
I cerchi in azzurro sono le colonne che menziono nel post.
I rettangoli in azzurro sono gli espositori vari di cui è cosparso il negozio. Alcuni di essi, e direi la maggior parte, sono aperti e lo sono sempre stati; altri portano i degni delle barriere protettive, volte a impedire il tocco indiscriminato dei clienti.
Tu sei la stellina in borgogna.

 
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