B r y o n y, Quest Elementalismo ~ Amber

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view post Posted on 18/8/2019, 15:13
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.. Amber S. .Hydra
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Lavanda e Gelsomino.
Quei profumi tanto conosciuti, l'accolsero con l'intensità di un benvenuto che non aveva minimamente previsto. La familiarità della lavanda scivolava sulla pelle fresca come balsamo. Tra i capelli biondi si insinuavano intrecci di Gelsomino e Camomilla, da sempre!

Con la mano libera sfiorò le palpebre prima di aprire. Constatare il successo del proprio incantesimo non le diede un decimo del brivido che seguì invece il poter posare gli occhi sul Camelia in tutta la sua buia essenza. Ferma immobile, come l'ospite più rispettoso ed al contempo il meno desiderato ad una festa, rimase dov'era. Giusto un passo oltre la prima barriera, per poter abbracciare con un solo sguardo più dettagli possibili. Come un gatto nella penombra, attese che il cuore accennasse un rallentamento, prima di muovere i suoi passi incerti e delicati. Non aveva mai chiesto di essere portata lì, perché nemmeno Elise amava parlare del suo vecchio negozio con tanta enfasi e, piuttosto, si rifugiava in repentini cambi d'argomento quando i discorsi della nipote iniziavano a sfiorare la porta d'ingresso. Come per la stanza di Eveline, Amber si era arrangiata - a modo suo - ed aveva trovato la via per infilarsi nello spazio stretto tra "non parliamone" e "tua madre mi aiutava tanto, quando aveva la tua età". L'indice si allungò verso la superficie polverosa del bancone ma, ad un soffio dal posarvisi, si fermò. Non poteva permettersi di rovinare quel santuario - la sacralità del momento cresceva in lei come un germoglio inarrestabile - e lasciare chiara traccia del suo passaggio. Alzò la testa, dimentica del tempo che scorreva, per fingersi una cliente e immaginare l'ombra di Eveline, più alta di Elise, sfiorare le spalle della madre e rivolgersi a lei con l'unico sguardo azzurro intenso che Amber ricordava. Crudele, però, il nodo alla gola si strinse, lasciandola riflettere più sul tempo che avrebbe impiegato la sua mente a dimenticare i tratti della donna, piuttosto che ricordarne i movimenti. Vittima del tormentato subconscio, lasciò che un episodio implodesse nel silenzio, portandola distante dal Camelia, indietro di diversi anni. Circumnavigò l'espositore centrale, scuotendo il capo lentamente.

Non ha gli occhi di sua madre
Un vero peccato
... non ha nemmeno il sorriso della povera Evelina
Dici bene, dici bene amica mia
Tutta suo padre, e di quella famiglia non mi fido mica...
Mh, parole sante, Gretta, parole sante.
E che ne sarà del Camelia, eh?

Radicate in profondità, quelle parole - così come molte altre origliate negli anni - avevano costruito la base solida delle incertezze della Tassorosso. Troppo impegnata a cercare di smentire una discendenza che non riusciva a far quadrare, aveva perso anni e notti... inutilmente. Il paragone naturale che crescendo aveva cercato, era stato malamente martoriato nel tempo, e capire che vivere in funzione di esso non sarebbe stato saggio le aveva ridonato a fatica un po' di serenità. A muoverla fino al Camelia era stata proprio la certezza di voler ritornare tracce di una vita che era stata estirpata troppi in fretta; commemorare e non imitare. Cercare il problema alla base delle preoccupazioni di Daliah era stato ovviamente un pretesto, così come non chiamare Elise e Dustin e scegliere di offrirsi singolarmente. Ed anche se le cose non erano andate esattamente secondo i piani, ora era lì ed aveva tutto il tempo necessario per prendere le misure con il negozio. A male andare, avrebbe solo ottenuto un ricordo ed un'immagine su cui riflettere i giorni successivi. Inspirando, mise a tacere le insensatezze di cui era stata oggetto per anni, ed iniziò a muoversi con meno timore - bacchetta alla mano - tra i profumati intrecci che risalivano le colonne e quel che per molto tempo era riuscito a conservarsi negli scaffali. Le costò però un respiro ancora più profondo, ad occhi chiusi, il dimenticarsi delle spoglie di quello che "avrebbe dovuto essere" per compiacere gli altri e chiunque avesse delle pretese sulla sua crescita. Il pesante mantello delle preoccupazioni cadde a terra in un inudibile tonfo sordo e l'individualità guadagnata gridò vittoria, anche se solo nella sua testa. Ed allora le iridi verdi brillarono al buio che ora dominavano, ammiccando in direzione della parete di edera di fronte a lei. Lasciò che il corpo assorbisse le energie potenzialmente racchiuse in tutto ciò che il Camelia era stato. Respirò la polvere che ne aveva segnato gli anni di chiusura obbligata, e non faticò ad immaginarlo illuminato dai raggi del sole di Cinnamon Street, colorato dai fiori di ogni provenienza e tinta; comprese le varianti su cui Elise ancora sperimentava nella piccola serra dagli Hydra. Un sorriso amaro - di cui era inconsapevole - mosse le lebbra rosate. Non sapeva cosa fosse quello strano calore che percepiva agitarsi in petto, era una sensazione del tutto nuova; come si chiamava il desiderio di voler viaggiare indietro nel tempo abbastanza da vedere la vita insinuarsi nelle commesse del negozio e la stessa bottega riempirsi di clienti e di profumi? Non era solo un voler cancellare il passato, era proprio un desiderio di viverlo anche solo come spettatrice. Camminò con risolutezza verso quella che, passo dopo passo, si rivelò essere una porta. Per i clienti del passato, il negozio finiva lì. Ma per i proprietari doveva esserci qualche stanza in più. Un magazzino? Un ripostiglio? Una serra? Un intero salone tutto per loro? Non poteva indovinare e non voleva farlo; preferiva varcare la soglia e scoprirlo. Diversamente dalla camera privata di Eveline, però, Amber non avrebbe preteso nulla dal Camelia. Non era arrabbiata, non era frustrata e non era intenzionata a calpestare con incuria il santuario in cui aveva finalmente messo piede. Spostando la bacchetta, in un gesto istintivo, nella mano sinistra, allungò la destra e provò a stringere le dita attorno alla maniglia del portone. Se niente l'avesse respinta e non vi fosse stata resistenza, la ragazza avrebbe tentato di aprirla. Difficilmente Amber si approcciava in modo tanto diretto ad un oggetto sconosciuto, ma - scioccamente? - sentiva di doversi avvicinare priva di strutture.

ARSENALE INCANTI

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Homovox, Candens,
Candens Missile, Nebula, Exhalo, Stupeficium, Incanto Patronus, Heolo Benedici, Defodio, Resetka.

6° Classe
Specialis Revelio, Veritas, Illudo Camaleontide, Sicamen, Homenum Revelio.

7° Classe
Legilimens, Imber Sagittae.

EQUIPAGGIAMENTO

Anello mistico delle sireneDirettamente dal lago di Hogwarts, rende più resistente alle fatture chi lo indossa.

Bacchetta magica → Legno di Sorbo, Crine di Thestral, dodici pollici e tre quarti, leggermente flessibile.

Ciondolo Runa Mannaz→ Runa della mente che controlla la comunicazione verbale e le capacità intellettive.


 
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view post Posted on 22/8/2019, 18:53
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Il Fato

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Sorgi, germoglio,è questo che voglio ~

C’era un dettaglio che Amber non avrebbe potuto cogliere del Camelia e che portava l’impronta dell’estro congiunto di Eveline, Dustin ed Elise: il soffitto del negozio, sulla falsariga della Sala Grande a Hogwarts, era stato a suo tempo incantato per fornire alle piante disposte lungo l'espositore il quantitativo di luce di cui abbisognavano a seconda delle specifiche necessità di ciascuna specie, tenuto conto del periodo dell'anno e delle ore del giorno. Seguendo i ritmi di una turnazione serratissima, i responsabili del negozio erano così riusciti ad assicurarsi una crescita in salute per gruppo di esemplari senza rinunciare alla rigogliosità; e, perché no?, anche ad accaparrarsi l'interesse dei passanti più curiosi. Oltre che apprezzabile in termini tecnici, invero, il soffitto costituiva un’attrazione sotto il profilo estetico. I clienti avevano trovato nelle artificiali scelte stagionali del Camelia un’oasi di pace ove rinfrancarsi dal grigiore piovano del clima londinese. Eveline, più di tutti, aveva amato osservarne i volti distesi mentre, ad occhi chiusi, si beavano di un prezioso attimo di ristoro al quale sentiva di aver in parte contribuito.

Quando la mano di Amber fu sul punto di sfiorare il pomello, un fruscio accompagnò lo spostamento delle foglie che ricoprivano le assi del portone. Senzienti e remissive, esse non le opposero resistenza e si scostarono per facilitare il ritrovamento della maniglia. Bastò una sollecitazione appena più decisa sull’impugnatura arrugginita dal tempo e dall'umidità affinché la serratura scattasse e l’uscio si schiudesse dinanzi agli occhi acquamarina della giovane Hydra.
Fu allora che, mentre una lama di luce perlacea — a tratti accecante — penetrava attraverso la fenditura, il comportamento dell’edera mutò. Sarebbe stato impossibile determinare con certezza se quanto accadde di lì a breve fosse da imputarsi alla suggestione o, ancora, a una magia ancestrale. Ebbene, nell’istante in cui le dita di Amber spinsero la porta e il suo corpo si protese in avanti, le foglie optarono per un'inversione di rotta e, allungandosi verso di lei, ne favorirono l’ingresso. Amber poté percepirne il tocco ora attraverso la stoffa dei vestiti, ora sulla pelle nuda, mentre veniva sospinta oltre la soglia con delicata decisione senza che avesse il tempo di ribellarsi. Così, placidamente, ebbe ad abbandonare la prima parte del negozio che non ne aveva ancora scoperto i segreti — se lo volesse o meno era tutto da determinare.

Il cambio d’ambientazione fu così radicale che non avrebbe potuto non destare sbigottimento. Il paesaggio oltre la porta d’edera si rivelò sotto le sembianze di una foresta in tutta la sua naturale magnificenza — ne velava la sontuosità senza pretese, attribuendole un aspetto malinconico, un impalpabile strato di nebbia che faceva d’ostacolo al cielo.
Come se avesse attraversato un portale e si fosse immersa in un mondo di sogno nel quale gli scenari si succedevano con inarrestabile vivacità, Amber fu in grado di scorgerne le fattezze più immediate ma non di intravederne la fine, ammesso e non concesso che quella foresta ne avesse una. Dov’era? Ma, soprattutto, cos’era quel luogo di cui nessuno le aveva mai parlato? Non ebbe tempo di concedersi una valutazione analitica, né di formulare la prima di una folta serie di congetture.
Intanto che lo sguardo vagava sullo spiazzo e azzardava a posarsi sulla prima fila di altissimi alberi a diversi metri da lei, le capitò di cogliere il sintomo di un’ambiguità che richiamava a grandi linee il comportamento dell’edera di poc’anzi: la quercia che le stava dirimpetto scomparve nel nulla senza lasciare traccia; come se — miraggio dei miraggi — non fosse mai esistita. E sarebbe stato un avvenimento già di per sé meritevole di riflessione, se quella sparizione non si fosse accompagnata immantinente a un altro inatteso svelamento.
A pochi passi dal punto in cui l’albero era svanito, svettava ora una figura di donna di eterea bellezza. Vestiva un corpetto di rododendri e una gonna di fronde di salice piangente che frusciava a contatto col terreno; lunghissimi capelli castani le cascavano morbidamente sulle spalle, arricciandosi alle estremità, e un diadema di rami ne incoronava il capo. Quando dischiuse le palpebre come svegliandosi da un sonno profondo e incrociò lo sguardo di Amber, la Tassorosso poté distinguere nel celeste pallido delle iridi che la osservavano la quiete farsi tempesta.
La creatura la attaccò con una rapidità che appartiene a chi non è davvero di questo mondo e con la veemenza spietata di un monarca invincibile. Levò una mano — le dita contratte che arpionavano l’aria in direzione del corpo della studentessa — e impartì un ordine silente ma perentorio. Prima che Amber potesse muoversi o pensare di fuggire, l’edera che le aveva mostrato gentilezza le si rivoltò contro: avviluppate che furono gambe e busto, l’intrico di foglie e rami la scaraventò all’indietro sulla superficie della porta che dava sulla serra.
Scivolando sul terreno, dunque, la creatura si fece avanti attraverso lo spiazzo e ne occupò il centro con tutta l’intenzione di presiederlo, mentre alle sue spalle tornavano a delinearsi i contorni della quercia che aveva determinato l’incontro tra le due — ancora maestosa, austera, possente. Il viso della fanciulla, dominato di una giovinezza arrendevolmente eterna, restituì ad Amber un’espressione di un’ostilità feroce, la stessa di cui si era resa cagione per aver perpetrato un’invasione nel regno d'altri.
L’oltraggio, manifesto e intollerabile, aveva generato livore.
Il livore di un Silvantropo.


Attraversare la porta, ti conduce nella parte sul retro del Camelia: è una serra incantata, che riproduce le fattezze di una grande, bellissima foresta di cui non scorgi la fine. Oltrepassata la porta, la prima cosa che vedi è uno spiazzo battuto discretamente ampio, che parte proprio dal punto in cui giungi subito dopo aver attraversato la soglia; i margini dello spiazzo sono costeggiati da alberi di varia specie, alcuni più imponenti, altri meno. La fila dirimpetto a te dista una ventina di metri da dove ti trovi al momento (intrappolata alla porta).
Ad animare la foresta, come avrai notato, vi sono molti elementi di ambiguità, che ti saranno spiegati in corso d'avventura. Ciò che rileva ad ora è che sei sotto attacco per mano di un Silvantropo, che si trova al centro dello spiazzo (dunque, a circa 10 metri da te): ti rimando alla sede opportuna per saperne di più (click: capitolo 3, paragrafo 7) e ti invito a contattarmi per eventuali chiarimenti a riguardo.
Buona fortuna!
 
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view post Posted on 27/8/2019, 16:00
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.. Amber S. .Hydra
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Nel silenzio dei suoi passi, Amber trovò i respiri corti che sottolineavano ogni momento intenso vissuto in quei diciotto anni. Quando riusciva a concentrarsi su di sé, quando il mondo e le sue insistenze svanivano, allora i battiti del cuore non avevano più segreti per lei che aveva imparato a non governarli. Un tempo aveva erroneamente creduto di poter prendere in mano quel piccolo ribelle per dargli indicazioni e consigli, per fermarlo prima che fosse tardi o per accenderlo quando invece non voleva saperne di ardere. L'età - assurdo a dirsi dato quell'uno ancora a primeggiare sulle due cifre che la componevano - le aveva però insegnato che solo ascoltandone le richiesta avrebbe potuto capire come convivere con lui. E certo vi avrebbe vissuto assieme molto a lungo. Così, percependo l'accorciarsi del respiro ed il mancare del fiato, ogni battito poté suggerirle di prestare attenzione all'accoglienza che la porta d'edera le riservava. Inspirò a pieni polmoni il refolo che scosse le foglie al suo passaggio e non si oppose alla spinta verso l'ignoto che l'intero rampicante esercitava. Si lasciò assolutamente trasportare, sulla scia della purezza con cui si era a sua volta presentata all'ingresso. Chiuse gli occhi per schermarsi dall'intensità della luce che contrastava di netto le ombre in cui si era mossa fino a poco prima. Cosa ci faceva una fonte luminosa tanto intensa in un retrobottega? Fu quello il primo pensiero, materiale e pratico. Una domanda che perse ogni sapore nel momento in cui gli occhi di giada poterono finalmente ispezionare il nuovo luogo... che più che altro appariva a lei come un nuovo mondo! Non si trovava in un magazzino. Non si trovava in uno sgabuzzino senza pretese, e nemmeno poteva limitarsi a credere di essere entrata in un ufficetto scarno. Quella davanti a lei era una foresta e non aveva alcuna intenzione di negarlo. Occhi sgranati si insinuarono tra la nebbia malinconica che abbracciava gli alberi e ne celava le radici. Le era così affine quel sentimento che serpeggiava, invitante, che non dovette compiere alcuno sforzo per appartenervi.

Un silenzio assorto e contemplativo vinse le barriere della ragione, impedendole di scegliere cosa potesse incantarla di più.

Nascere immersa nel Mondo Magico a cui apparteneva per diritto di nascita, non giocava mai troppo a favore di uno stupore genuino, eppure quella foresta si insinuò in lei e scavò così a fondo che Amber si trasformò d'improvviso una sciocca babbana che assisteva per la prima volta ad un incantesimo maestoso. Avrebbe quasi potuto udire il canto basso e uggioso del sottobosco che l'accoglieva. Di case nascoste in teiere e biscottiere in grado di racchiudere banchi di spettri, ne aveva già sentito parlare ed era usanze credere che esistesse molto più di quello, ma il profumo malinconico del mondo oltre la porta del Camelia, chiedeva udienza con così tanta forza che la magia perse consistenza rispetto all'imponenza del bosco senza fine. Avrebbe passato ore a chiedersi perché Elise non gliene avesse mai parlato, o come avesse fatto a coltivare un'intera foresta dietro il negozio... ma l'albero su cui aveva posato gli occhi, svanì inghiottito da un mantello d'invisibilità impalpabile, ed allora anche la mente ammutolì. Strinse le dita attorno al manico del legnetto ancora ben saldo a destra, e la testa si sollevò lentamente da terra, laddove anche le radici della pianta ben radicata erano svanite. Solo così, lo sguardo curioso che nascondeva mille interrogativi, trovò Lei ed impallidì. Vestita di rovi e della foresta stessa, v'era una donna dalla bellezza spettrale, irraggiungibile e angosciante. "No, non è una semplice donna" corresse la mente, mentre il corpo sostava immobile dinnanzi all'apparizione. Nella cupezza uggiosa di quel luogo, non era per forza un bene che vi fosse una creatura simile - qualunque cosa fosse - ma Amber non riuscì a spaventarsi a morte, come forse avrebbe dovuto e darsela a gambe levate. L'ambiguità dei suoi sentimenti esplose quando due occhi azzurri incontrarono l'acquamarina che vibrava ancora d'incertezze. Il tempo di capire che non v'era accoglienza nel ghiaccio, e la creatura colpì. Ben più tangibile di quanto avrebbe desiderato, la forza della donna richiamò l'elemento ed egli rispose, imprigionando Amber. «A-aspett-» L'implorazione si fece sussurro, mentre la mano sinistra scattava in avanti per intimare alla degna sovrana del bosco che forse c'era stato un fraintendimento. L'inizio della richiesta non ebbe una fine, bloccata dal busto in giù, la strega venne scaraventata rapidamente lontano, di nuovo contro la porta da cui poco prima era entrata. L'impatto le fece chiudere gli occhi ed inarcare - per quel che riusciva - la schiena, imponendo alle vertebre una pressione innaturale che strappò un "ah" lievemente sofferto. Il timore che lo sguardo rancoroso della creatura eterea rimandava, gelò il sangue nelle vene di Amber che - per contro - iniziò a credere che in quelle della donna scorresse clorofilla. Cosa sei? Una domanda che forse aveva poco valore rispetto all'ostilità che tagliava la tensione.

Con la sua sola presenza, Amber aveva infastidito chi probabilmente ora governava il resto del Camelia, quello era chiaro. E quanto pericoloso poteva essere? La coscienza le suggerì di non andare in quella direzione, mentre lo sguardo verde cercava appigli in una sentenza già scritta. Si costrinse a ragionare; chi aveva davanti? I primi secondi - lunghi ore nella sua mente - rimandarono solo il vuoto più puro. Poi, ricordò. C'era un libro che troneggiava nei suoi bagagli da sempre. Un manuale, una piccola enciclopedia, un compendio di Spiriti e Spettri che regnavano nei più remoti angoli del suo mondo. Uno ad uno, con dovuta meticolosità, li aveva studiati. Alcuni l'avevano spaventata, altri l'avevano incuriosita ed altri ancora era veramente un bene non incontrarli. Ma tutto quello che il lavoro inconscio fece, fu sussurrarle un "Silvantropo" a fior di pelle. In concomitanza con la piccola rivelazione, Amber impallidì ed un brivido superò la costrizione d'edera, insinuandosi in profondità ed acuendo l'espressione incredula che ora indossava. Morgana! Come se il paragrafo successivo fosse scritto a chiare lettere - e così certo non era - la studentessa aprì la mano. Così, in un tonfo quasi inudibile, il sorbo sarebbe scivolato a terra. Separarsi dalla bacchetta era una follia, una bella grossa per qualcuno come lei. Ma aveva senso nella mente preoccupata della Tassorosso. Aveva invaso il territorio di uno Spettro dalla potenza incalcolabile, i cui poteri non erano ancora stati registrati con precisione e sarebbe stato infinitamente sciocco e irrispettoso attaccarlo. Doveva trovare un'altra via. Abbassò il capo, recidendo di netto l'incastro di sguardi. La cascata bionda le coprì parte del volto. Nonostante il Camelia fosse di Elise, Amber non aveva alcun diritto di rivendicarne i confini, men che meno se non li conosceva e non li vedeva. Da anni, forse, il Silvantropo aveva governato sulla foresta, trattandola come il santuario che era, e lei - sciocca, irrispettosa, umana - vi aveva messo piede senza il suo permesso. Con un nodo stretto in gola, deglutendo il terrore che potesse andarle molto peggio di così, parlò... incapace di ricordare se quei particolari spiriti potessero comprenderla. Il tono mesto avrebbe però fatto parte del lavoro nel trasportare il messaggio. «Non.... sono qui.. per distruggere...» scandì.

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view post Posted on 19/9/2019, 22:26
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Sorgi, germoglio,è questo che voglio ~



L u c e

Rischiara il cielo per un attimo soltanto. Fugace come un amore, veloce come il tempo, inafferrabile come la paura. Squarcia la pace bellicosa di un luogo profanato dalla dimenticanza e, ora, violato dall’insolenza. È stanca, delusa, esanime — la foresta. Dell’abbacinante bellezza del passato non le resta che il ricordo. Eppure è ancora lì, viva e invitta. Un attimo soltanto, un giro di chiarore ed eccola rifulgere nel silenzio sacrale seguito all’arrendevolezza di Amber come se gli anni non fossero mai scorsi. E la luce, in questa sua veste di girovaga dispettosa, è già pronta a tornare. Sopra ogni cosa, tuttavia, è preludio.

S u o n o

Svegliato dal bagliore, il cielo borbotta il suo scontento. Esistono modi e modi di attirare l’attenzione. Perché, dei molti, hanno scelto il più sgradito? Il suo grugnito, allora, attraversa e sovrasta la foresta tutta. Quell’angolo di paradiso non dovrebbe esistere e alcuni, per dolore, l’hanno negletto. Il cielo, eppure, sa perfettamente quale ruolo gli sia chiesto di giocare: al lampo segue sempre il tuono.

A c q u a

Le prime gocce discendono dall’alto che la scia del tuono non si è ancora estinta. Dimostrano la frettolosità di chi odi le attese — l’incertezza prima di un bacio, l’intensità vana della speranza che combatte una morte inevitabile, la calma prima della tempesta. S’insinuano nel terreno; alcune fanno appena in tempo a toccarlo che quello le ha già assorbite. Viene da sorridere a guardarle in controluce, mentre una saetta illumina il Silvantropo e la sagoma inerme di Amber. Quelle gocce hanno la stessa cocciuta sfrontatezza che ha spinto la ragazza oltre il consentito, in un regno che non la riconosce e, temendola, non può che attaccarla.

P e t r i c o r e

Lo senti, Amber? L’odore di terra bagnata? L’umidità che inzuppa le zolle maltrattate da un’incuria protratta? La tua vita stretta nelle mani di un altro farsi fragile? E li percepisci i tuoi ricordi tornare in superficie, mentre ti concedi la debolezza per non avere alcuna via di scampo? E, dimmi, cos’è che provi? Che ritmo batte il tuo cuore giovane nella gabbia che ne delimita l’egemonia? Hai paura? Rabbrividisci? O forse… forse sei solo stanca?
E mi senti, Amber? Ti ho portata con me a lungo in questi mesi. La mia mente è il grembo in cui ti ho accolta. Ho voluto prendermi cura di te e ti ho concesso di farti spazio nelle mie fantasie per minuti, ore, giorni. Allora, mi senti mentre muovo i fili della tua esistenza e ti conduco dove non ti aspettavi di giungere? La percepisci la mia presenza al tuo fianco, tutto intorno a te, dentro di te? Sono parole e sono melodia. Sono lo Sconosciuto che non ti riesce mai di conoscere. Governo i tuoi passi perché tu possa perderti, ma mi muove solo il desiderio di aiutarti a trovare chi sei veramente.
E lo sai, Amber, che anche il Fato può perdersi a volte?

M a g i a

Il cielo s’illumina una volta di più. Un dardo infuocato, maiestatico, pieno di sé ne squarcia la trama brumosa. Stavolta, però, non si ferma. Si spinge attraverso le gocce di foschia e raggiunge il Silvantropo. Per un attimo, dalla creatura irradia un’aura che la fa rilucere di un potere arcano. Dopodiché, quella stessa luce — che è magia — ne imbeve la sagoma e si concentra su una fronda della lunga gonna. Il ramo di salice piangente si allunga e percorre lo spazio che lo separa da Amber. Esita un istante e il cielo, con lui, trattiene il tuono tra le spesse nuvole che gli consentono il respiro. Infine, il legno si poggia sul petto della ragazza.

A r d o r e

Il contatto irrita la pelle; la brucia; la tormenta. Incide indebitamente il segno di un tocco non richiesto al centro dello sterno. È fuoco vivo che contrasta la freschezza dell’acqua piovana. Arroventa la carne, la mente, lo spirito di Amber ad una profondità che le è sempre stata sconosciuta. Sta oltrepassando ciascuna delle barriere che ha eretto per proteggersi nel tempo, quelle che la rendono la persona che è. Vuole scovare la Amber più vera, la piccina nei cui occhi si riflette il lampo verde che le ha portato via la mamma. Il cielo rilascia il tuono, ringhiando per lei e, forse, addirittura con lei. Ma non è a lui che spetta l’ultima battuta. Quando tutto tace oltre il ritmico rovescio delle gocce, il Silvantropo parla a Amber attraverso quell’insopportabile, delicatissimo sfiorarsi che le infiamma le fibre del cuore. E nell’essere tutto della fanciulla — l’umana — riverbera una parola.

E v e l i n e

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Ti chiedo l'inverosimile: spogliati e seguimi. Elimina le sovrastrutture, poco alla volta o tutto d'un fiato: la scelta sul modo rimane tua. Ma gioca in modo sfrenato! Gioca con Amber, gioca con la scrittura, gioca con la magia. Tutto ciò che ti chiedo è darmi di Amber quello che non avresti mai pensato di dare. Osa. Puoi farlo in centinaia di modi diversi, purché sia una cosa quasi dolorosamente intima. Ti è concessa la possibilità di volare!

Faccio una piccola precisazione perché non vorrei che il tenore sui generis del post ti confondesse: la parte centrale, in cui io mi rivolgo direttamente a Amber, puoi interpretarla come vuoi. Che lei la percepisca come la voce della creatura, o quella di Eveline, o ancora come la propria, o addirittura come un'opzione altra che solo tu riesci a vedere, andrà bene comunque! La mia invasione di campo è fugace come il lampo che preannuncia la pioggia e serve solo ed esclusivamente il tuo scopo: scoprire Amber.
Divertiti! E, nel farlo, sentiti libera!
 
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Il cuore batteva così lento che per arrestarsi gli sarebbe bastato un attimo. Un solo cenno del Giudice severo che l'aveva allontanato in prima battuta. Non v'era nulla di semplice in quei gesti, né nell'abbandono della bacchetta - una delle poche fonti di sicurezza per Amber - né in uno sguardo che non sapeva rivolgere al Silvantropo. Aveva sempre reagito così. Era lei che di solito respingeva gli invasori, che li metteva spalle al muro e vietava loro di guardarla una seconda volta. Era lei che trovava gli intrusi e li conduceva sgarbatamente fuori dalla porta. Non era abituata, ora, a vestirne i panni. Riusciva solo a pensare a quello che non avrebbe voluto venisse fatto a lei in una situazioni simile e sull'onda di quel pensiero aveva sciolto il legame con la magia artificiale, preferendo svelarsi per ciò che era. Ignara, però, di cosa volesse dire. C'erano regole che non conosceva, scritte su pietra come leggi consacrate alla Foresta. Iridi chiare contro il gioco di luce che rendeva un luogo inospitale la più spettacolare delle meraviglie. Respiri profondi, spezzati solo da un silenzio infranto.

Centuries old and unbending

E' un lampo ad attirare la sua attenzione, che si alterna tra l'entità e quel cielo irrequieto. Non si muove, Amber, riduce il respiro al minimo, incapace di pensare di poter infastidire ancora di più chi le sta davanti. Occhi calmi osservano il frammentarsi di un cielo fittizio che però sembra così reale che la strega dimentica di essere all'interno del Camelia. La luce taglia le nubi grigie e il rombo del tuono sovrasta ogni pensiero. Ma cosa può pensare lei che ha profanato un luogo di cui lentamente ne scopre la sacralità? Quando la pioggia la coglie le sembra di respirare di nuovo, come se prima il fiato fosse stato trattenuto perché anche solo espirare non sembrasse una violazione. Sa quello che deve fare, ne è convinta; rendersi invisibile, inattaccabile... ridurre al minimo la sua sola presenza cosicché nessuno abbia da avvedersene. Se lei non dà preoccupazioni, lei non è una preoccupazione. Era così che aveva interpretato la vita dopo i sette anni. "Se non faccio rumore, non mi vedono... se non mi vedono non sanno che soffro... se non lo sanno non si preoccupano". Un mantra ripetuto tanto a lungo da divenire una lama premuta contro il petto. Il suo, prima di quello altrui. Aveva imparato a dormire così silenziosamente, in quelle notti in cui avrebbe solo voluto piangere ogni lacrima, come quel cielo sofferente, che chiedersi se fosse viva o morta sarebbe stato il minimo, vedendola. Ma silenziare un problema non ne dichiarava la risoluzione, poiché questo tornava a farle visita con gli interessi di anni di oppressione. E non era così che stava reagendo la foresta? Quanti anni era rimasta chiusa nella cantinetta del Camelia, in balia solo di sé? D'istinto Amber chiude gli occhi quando una goccia scivola sulla pelle delle guance, ustionandole.

Stay in your place
Better seen and not heard


E' in quel momento che la voce della creatura la raggiunge, ed impone così alle palpebre di rimanere chiuse e sigillate. Un solco scavato per più di undici anni si mostra a lei dall'interno, disegnandola come un cono infinito. C'è l'eco della madre che non ha mai vissuto, in quelle parole precise e taglienti. Sono schiaffi e carezze, sono pugni nello stomaco e abbracci. Lo sa che se gettasse un sasso oltre quel foro passerebbe un tempo infinito prima di sentirne il duro atterraggio, lì sul fondo. Ma quelle parole, quei richiami... deve combatterli. Si sforza di non ricordare, stringe i denti perché quei rami non raggiungano la fragile sagoma martoriata che cerca invano di proteggere. Ma perde quella battaglia nel momento in cui decide di vincerla. E' quello il momento in cui il cuore accelera i battiti, in cui il respiro si fa corto e regolare, in cui negare con il capo diventa indispensabile sotto il rombo reale della cielo. Dovrebbe essere grata per quei racconti così toccanti, per il modo in cui quella creatura sembra volersi prendere cura di lei in qualche forma, ma non lo è. E' furente. La rabbia di un abbandono che non ha mai capito e degli anni in cui è stata tenuta all'oscuro di troppo, sgorga come un fiume in piena e lei, lei non la ferma. Cavalca l'onda e sceglie di rompere il silenzio con un fragoroso «NO» che ringhia aprendo gli occhi. Nel verde che li contraddistingue c'è una vena più scura che ricorda molto meno la dolcezza dei sette anni a cui è quasi regredita, ma che incarna perfettamente il desiderio di libertà dei diciotto. «Questo no.» stringe i pugni con rabbia, ma non è cieca, è precisa. «Non sei stata con me quando non ti vedevo. Non sai cos'ho passato. Non c'eri quando avevo bisogno di te. Tu..non c'eri..» acquista un tono duro che non manca di sottolineare la sofferenza di cui si è sempre fatta carico, che vacilla alla fine. «Non mi hai guidata qui.. io HO SCELTO di venire qui. IO ho scelto di cercarti.» Non sa più se si sta riferendo al Silvantropo o alla figura che in quel momento incarna. Si può essere in collera con i morti? Si può incolpare una madre per la morte che certo non ha cercato ma che ha segnato un vuoto incolmabile? Amber non si è mai concessa di soffrire nel modo giusto. Non ha mai concesso all'irrazionalità di farla reagire come forse avrebbe dovuto... non ha mai permesso alla bimba di sentirsi persa, con il solo risultato di farla smarrire di più.

Vede la creatura brillare di pura magia, ma gli occhi inumiditi dal dolore gareggiano per sconfiggere la nebbia che li avvolge. Così quando il Silvantropo allunga un ramo verso di lei, forse pronto a colpire, Amber lo sfida a farlo. Paura e Coraggio si spalleggiando nel momento esatto in cui il salice si ferma a pochi centimetri. Poi, il contatto. Amber grida la sofferenza che non ha mai osato esprimere e la trattiene in una morsa quando il ramo brucia proprio al centro dello sterno con la più pura intenzione di forarne l'anima. Chiude ancora gli occhi, come istintiva reazione al dolore che non si limita alla semplice fisicità. Può sopportare il bruciore di un tizzone ardente sulla pelle, ma non può sopportare una lettura dell'anima non concessa, estratta così a forza. Vorrebbe fermarlo, vorrebbe muovere le mani per afferrarlo e strapparlo via, lontano da lei e lontano dai suoi segreti... ma non può. Un lampo verde riporta il silenzio, assorbe la rabbia e toglie il fiato. Svuotata, come se d'improvviso la memoria avesse portato via tutto quel che c'era di lei nel mezzo, tutti i progressi che pensava di aver fatto in quegli anni, torna in quel vicolo silenzioso.
E piange.
Piange il corpo inerte della madre. Piange l'abbandono. Piange l'assenza di una vita

Ora è il Silvantropo a chiedere qualcosa che va oltre il consentito, ma Amber non ha motivo di schermarsi, perché sa che non può e non vuole. Eveline, chiede. «è morta». La risposta di Amber, neutralizzata ogni barriera, è ferma e dolente. Lo sguardo si fissa, i capelli biondi e umidi si attaccano alla pelle come ventose. La pioggia è sale umido sul volto. Si può incolpare un morto di non essere abbastanza presente e vivo?

But now that story is ending

ARSENALE INCANTI

1-2-3-4 Classe (no proibiti)
+ Repsi Genitum

5° Classe
Homovox, Candens,
Candens Missile, Nebula, Exhalo, Stupeficium, Incanto Patronus, Heolo Benedici, Defodio, Resetka.

6° Classe
Specialis Revelio, Veritas, Illudo Camaleontide, Sicamen, Homenum Revelio.

7° Classe
Legilimens, Imber Sagittae.

EQUIPAGGIAMENTO

Anello mistico delle sireneDirettamente dal lago di Hogwarts, rende più resistente alle fatture chi lo indossa.

Bacchetta magica → Legno di Sorbo, Crine di Thestral, dodici pollici e tre quarti, leggermente flessibile.

Ciondolo Runa Mannaz→ Runa della mente che controlla la comunicazione verbale e le capacità intellettive.
Hufflepuff Headgirl ▾ 18y.o
PS 232_PC 215_PM 234_EX 49.5

 
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Sorgi, germoglio,è questo che voglio ~

Il contatto permane, prepotente, a contrastare le urla di protesta di Amber. Osservandola dalla distanza, il Silvantropo inclina impercettibilmente il capo e la ascolta. C’è qualcosa in quella ragazza che, dismettendo gli abiti della minaccia, risulta familiare alla creatura; qualcosa che rimanda alla furia distruttiva dell'acqua cheta e le ricorda che sé stessa e… Eveline.

S o r g i

La pressione sullo sterno aumenta e il bruciore s’intensifica, eppure un cambiamento è intervenuto nell’esatto momento in cui il Silvantropo ha sfiorato l’umana. La magia, raggiungendo la fanciulla attraverso il ramo di salice piangente, ha scovato una miccia sepolta in profondità, sotto strati di eleganza ed esasperante compostezza. È un innesco che Amber non sa di possedere e che il dolore ha quasi fagocitato, prima che l'ordine di una mente brillante lo imbrigliasse e imparasse a domarlo.
Quando l’estremità rovente della fronda si discosta dallo sterno dell’altra, sull’epidermide lesa emerge un segno preciso nei suoi contorni. Rappresenta un piccolo germoglio a spirale, un ricciolo di vita dall’apparenza fragile, ripiegato su sé stesso per preservarsi dai colpi inattesi della sorte. Ha il colore acceso che assume la pelle dopo un’ustione, ma è destinato a tramutarsi in una voglia rosata. Soprattutto, rappresenta la parte di Eveline che vive in Amber; l’amore che trascende il confine con l’Aldilà e semplicemente permane.

G e r m o g l i o

Il cielo infittisce il suo lavorio in un eccesso di zelo. Così, mentre i lampi e i tuoni s’intervallano con cadenza sempre crescente, la foresta al di sotto manifesta gli stessi sintomi d’impazienza. Come se lunghe dita invisibili giocassero a pigiare i tasti di quell’enorme pianoforte naturale, gli alberi spariscono e riappaiono velocemente, a intermittenza, suonando una melodia che fa da accompagnamento alla rabbia della giovane Hydra.
Vuole farsi carico di quella sofferenza — la foresta.
Qualcosa attira l’attenzione del Silvantropo, nel frattempo che Presente e Passato baloccano con le emozioni di Amber e ne mortificano le resistenze. Dunque, la creatura si avvicina. Ha gli occhi celesti fissi sul pavimento ai piedi dell’umana: là dove stava un sentiero sterrato, sorge adesso un tappeto di gemme verdi che non appartengono a Lei, che è Signora della serra. Le emozioni di Amber, intanto, s'impigliano tra le fronde della sua gonna di foglie come sale tra le ciglia.
Poi, la verità raggiunge entrambe.

“ È m o r t a ”

Un suono sinistro si leva dal Silvantropo, azzittendo ogni strepito e imponendogli d’impallidire. È impossibile determinarne la natura — che sa di grida —, ma non lo è interpretarne le ragioni. La funesta una sofferenza che l’avvicina a Amber sotto le sembianze della comprensione. È una forma di connessione inesplicabile, che non passa attraverso le parole o il sentire comune, né attraverso l’identificazione. Come Eveline è stata madre per sua figlia, è stata madre, figlia e amica anche per la foresta. In qualche modo, è come se il mondo dentro la serra si sia sempre aspettato di vederla tornare, un giorno.

È q u e s t o c h e v o g l i o

Poco alla volta e di nuovo, l’atmosfera cambia entro i confini del bosco. Il fragore del cielo diventa un borbottio sommesso che ricorda il brontolare di un nonno fintamente arcigno; la pioggia si fa più fitta e leggera, silenziosa; gli alberi si travestono dell’evanescenza perlacea di chi non si ricordi più come stare al mondo; e l’edera che ha avvinghiato Amber la lascia andare sul tappeto di germogli che la fanciulla non sa di aver creato e che non si piegano sotto il suo peso, ma la sostengono a pochi centimetri da terra — il rinfianco ostinato e imperituro di una madre attraverso lo spaziotempo.
Il Silvantropo, afflitto, china il capo e tace.

EuLo9J0
 
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view post Posted on 24/10/2019, 09:47
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La verità è un vetro appannato su cui s'infrange la pioggia.
La pioggia è una goccia salata che bagna il terreno.
Il terreno è... vivo.

Acuito dal dolore vero, quello che di fisico non ha nulla ma di psicologico ha tutto, il bruciore allo sterno aumenta con il progredire della scoperta. Le grida di Amber si innalzano oltre l'evanescenza degli alberi che la circondano, su verso il cielo adirato che risponde a tono. Scava a fondo, il Silvantropo e lo fa senza degnarla di una stilla di pietà. E' brutale nella sua ricerca e così quel che ne esce è una risposta di crudeltà inaudita. La costrizione che blocca il corpo della studentessa non fa che renderla ancora più libera di esporsi come mai ha fatto prima d'ora. E' nuda di fronte all'evidenza di un trauma che non ha mai superato, ma ancora non sa quanto a fondo sia radicato il seme della speranza, della rinascita. Le lacrime che spesso simboleggiano una sconfitta, un piegarsi all'evidenza di un fato sadico, per lei cambiano senso e diventano il punto di non ritorno per una vita che nemmeno sapeva di possedere. Per quanti anni si è incolpata per essere sopravvissuta?

Eppure questo è ciò che ha fatto fin ad ora.
Ma sopravvivere non è vivere, nemmeno gli somiglia.

Abbassa il capo perché sfinita, quando il ramo si ritira ed interrompe il contatto. I capelli lunghi, ancora più umidi, si incollano al volto arrossato e pallido e le impediscono di accorgersi in prima battuta dell'avvicinarsi della regina di quel mondo silvestre. Sovrastata da sensazioni che si è impedita di provare per anni, non è pronta nell'immediato a vedere il cambiamento che si irradia proprio lì, sotto i suoi piedi, e quando viene rilasciata dalla prigionia, crolla al suolo. Le mani aperte la sorreggono prima che lo faccia qualcos'altro, ma lei rimane lì. Ferma in una bolla tra un respiro affannato ed un cuore in fiamme. "Se solo potessi averne due", sussurra tra sé, "non starei così male". Ignora quanto invece sarebbe deleterio raddoppiare le emozioni che vive ed immagazzina ogni singolo giorno. Ma in quel momento va bene così, purché apra gli occhi ed inizi a vedere. L'espressione muta di nuovo in uno stupore curioso e sospetto, ancora troppo slavato dal dolore che scorre in lacrime lente. La scossa empatica la pervade quando le parole si mescolano e si sbaglia quando si dice di non saper dialogare con la Foresta, perché il dolore è lingua comune ed ora lì dentro lo provano tutti. Non chiede abbracci, né comprensione, ma dovrebbe... e, forse, vorrebbe. A tutti quelli - soprattutto a scuola - che in qualche modo venivano a sapere di quanto accaduto ad Eveline, o più che altro che la donna era morta tanto presto, Amber riservava un cambio di argomento repentino, cercando di mettere una pietra sopra il cadavere con un semplice "è passato tanto tempo, ora" che però non voleva dire assolutamente nulla. Niente avrebbe mai potuto cancellare l'assenza di una madre nei momenti critici della sua esistenza, passati presenti o futuri. Ma lei doveva vivere comunque, non solo sopravvivere.

Infine anche la Foresta si calma, la pioggia rallenta, gli alberi svaniscono con più sicurezza ed Amber decide di alzarsi da terra, e di accorgersi finalmente che i germogli nati sotto i suoi stessi piedi la stanno a loro volta sorreggendo. C'è una consapevolezza che prova a muoversi tra le rovine del cuore bruciato che si ritrova in petto, e che ancora batte, ma non è nitida. Ed è alzandosi che la vede, più vicina ed ancora più bella. Nel dolore che pare affliggerla e che si traduce in una fitta empatica per Amber, il Silvantropo ha il capo chino e se possibile le sembra sbiadita... e con lo spegnersi dell'ira si apre un nuovo scenario. La strega che fino a poche ore prima non sapeva nemmeno del retrobottega del Camelia, come poteva immaginare che un'intera foresta vivesse al suo interno, magari proprio innescata da Eveline, o curata da lei e da Nonna Elise! E coma mai la nonna stessa non gliene aveva mai parlato? Poteva ignorare l'esistenza di una creatura chiusa per anni al suo interno... magari proprio nella speranza che a tornare fosse Eve e non certo Amber? Compie un passo avanti, incerto come figlio di un cerbiatto nato da pochi minuti. Ignora il richiamo angelico della bacchetta in sorbo, che le ricorda che ora sì che potrebbe avere la meglio su chi l'ha tenuta in scacco dal primo istante. Ma non è vendetta che cerca; non più. E' comprensione, e quella ha tutt'altro sapore. La Foresta la chiama, e lei si toglie in pochi gesti rituali i sandali, lasciando che i piedi nudi siano il vero contatto con il nuovo suolo; perché è così che deve essere se vuole essere parte di quel mondo, ne è fermamente convinta. «E' stata lei.....Lei ha fatto questo... è così?» chiede conferma senza muovere altri muscoli, incurante del piccolo strappo sotto il tessuto bianco da cui traspare il marchio eterno che vive tra i seni. «Mia madre...» afferma con incertezza, «... si prendeva cura di voi» la domanda persiste, ma lo sguardo arrossato si perde oltre l'immensità del cuore verde del Camelia, che pulsa sotto l'epidermide. Quante cose non sapeva sulla donna che l'aveva messa al mondo?

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view post Posted on 26/10/2019, 19:44
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Sorgi, germoglio,è questo che voglio ~

Gli occhi del Silvantropo si levano per incrociare quelli della fanciulla.
Nel tempo che ha trascorso a capo chino, il celeste delle iridi si è come diluito attraverso la scossa di dolore di un lutto inatteso; e, poiché una creatura della sua foggia non è destinata a piangere — non nel modo che appartiene agli esseri viventi, non come ha fatto Amber —, si scolorisce in favore delle sfumature del ghiaccio. È la pioggia, che scivola addosso a entrambe senza risparmiare nessuno degli anfratti che vorrebbero nascondersi a vicenda, l’unica manifestazione liquida che può concedersi per dare a Eveline un addio dovuto. La Natura, ben più degli uomini, conosce il ruolo della Morte nel cerchio della Vita e, sebbene strepiti, finisce per accettarlo. E il Silvantropo ha di fronte la prova tangibile che non tutto sia perduto; che Eveline non sia scomparsa per sempre, non senza aver lasciato il suo personalissimo germoglio nelle vesti della figlia e averla condotta — chissà come — lì nella foresta.

La creatura sorride a Amber e annuisce in risposta alla sua domanda: sua madre ha trascorso nella serra più tempo di quanto possa immaginare e ha dato il suo insostituibile contributo alla crescita di quell’ecosistema. Insieme, Eveline e il Silvantropo hanno regnato sulla foresta e le hanno impresso una bellezza che neppure l’incuria è riuscita a intaccare; un’eredità che, adesso, è pronta ad essere trasferita a chi di dovere.
La sagoma femminea, che fronteggia la giovane e ne ha osservato le movenze con curiosità, imprigiona gli occhi acquamarina per un lungo istante, prima di condurre i propri sul segno che le ha lasciato in petto e infine sul pavimento. La consapevolezza di Amber non è ancora germogliata, realizza. Pertanto, si china con leggiadria sulle ginocchia e descrive con la mano destra una curva nello spazio che le separa, tenendo i polpastrelli a pochi centimetri dal terreno battuto. Una distesa di boccioli scaturisce dalla superficie bagnata, giocando a intrecciarsi con le estremità della gonna di salice piangente nel modo infantile che hanno i bambini di stuzzicare i grandi quando desiderano attirarne l’attenzione. Il Silvantropo rivolge un’espressione di ammonimento severa ai germogli per ricondurli all’ordine, ma c’è un’ombra di divertimento sui suoi lineamenti.
È nel momento in cui solleva il viso e i capelli le ricadono sulle spalle che giunge il tempo della rivelazione, mentre il cielo si rischiara e alcuni raggi, attraversando la cortina di pioggia, illuminano i rami della sua corona. La creatura sfiora il piccolo campo in boccio ai suoi piedi, poi conduce la mano al petto e accarezza i petali del corpetto di rododendri per attribuirsene la maternità. Dunque, rivolge un cenno all’altra struttura di verde vestita — un po’ incerta, ma forte e determinata nel sostegno che fornisce alla fanciulla, come lo è chi viene sorretta — e, stavolta, indica Amber.

B r y o n y


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Bryony si afferma come nome femminile di origine latina, il cui significato letterale è “germogliare”.
 
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view post Posted on 4/11/2019, 17:55
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Il mondo, quello vero, si schiude di fronte a lei.
Ignorante, cade vittima di una vita a cui aveva smesso di dar credito.

Inondata dalle immagini più impensate, Amber affonda le mani nei germogli umidi e cerca così conferma di quel passato tanto ignoto e tanto calzante. Perché lo fa? Non ne ha idea, è... istintivo. Era logico per una bimba, soprattutto se colpita da un tale lutto, credere che la propria madre avesse qualcosa di speciale, che potesse distinguersi dalla massa, che perfino lassù in quel cielo tanto ostile, potesse vivere e brillare di luce assoluta. Un motivo in più per farla salire sul piccolo piedistallo privato che doveva forzatamente separare quella donna di cui a stento ricordava il suono della voce, da tutte le altre madri ancora vive e vegete. Ma crescendo si era abituata invece all'idea che non vi fosse proprio nulla di ché nella vita della donna, chiaramente si sbagliava di grosso. Nessun familiare le aveva mai parlato di quella foresta, di quel mondo che era riservato a pochi e celato alla vista di tutti. Un ecosistema in clorofilla e linfa, proprio lì, a non più di trenta passi dal corso principale di Cinnamon Street. Un segreto custodito prima e poi, abbandonato.

Abbandonato come si è sentita lei impunemente, per anni.

Il canto della pioggia diventa un lento requiem per l'addio che - in fondo - nessuna delle due ha potuto vivere. La prima, troppo scioccata dall'accaduto, la seconda troppo inumana. E' su quelle note che le ultime lacrime scendono e bagnano il terreno vivo di quel luogo tanto magico e tanto doloroso. *Mamma* sussurra il cuore infranto mentre la ragazza ritrova una calma che tutto è fuorché silente. Lo spazio che la ragione si ricava, in quello scambio di sguardi dolorosi, è riservato solo alle spiegazioni elementari che seguono in risposta ai quesiti. E nulla più. C'è altro a guidarla ora che l'ostilità della Foresta è cessata e che la connessione, seppur nella peggiore delle circostanze, è stabilita. Il corpo è debole e forte insieme, quando lo sfinimento sopraggiunge e mette fine allo scricchiolio delle ossa. Un colpo al cuore la coglie d'improvviso, quando capisce che una nuova responsabilità si è aggiunta al suo carico. E' così, non sta sbagliando. Probabilmente per più di dieci anni quel posto e quell'anima sono rimasti in attesa che Eveline Snow facesse la sua comparsa, ed ora che era stata invece Amber Hydra a mettervi piede, era suo il compito di proseguire il lavoro della madre? «Oh... capisco» sospira, e lo sguardo cristallino incontra quello slavato dello spirito dei boschi. In realtà ancora non sa quanto a fondo deve capire, ma una prima promessa l'ha già siglata con la sicurezza degli occhi arrossati e provati. Vorrebbe dirsi di non avere tempo, di non avere intenzioni, ma in entrambi i casi mentirebbe a se stessa, ed ha appena promesso di non farlo più. L'incastro degli sguardi dura abbastanza da convincere la ragazza che "c'è di più" e, per una volta, il suo sesto senso non sbaglia. Ormai priva di ogni difesa, ma sicura di non subire più alcun attacco, segue l'istinto e lo sguardo del Silvantropo. E' semplice quella spiegazione, è impossibile che ora non la colga, eppure batte le ciglia due volte prima di capire. Non i sofferma - e sbaglia - troppo sul frammento di pelle esposta ed ora arrossata dal marchio indelebile impresso, perché va oltre e vede quel gesto, quel portarsi la mano a sfiorare il petto, come l'intesa di un richiamo all'Io più profondo.

B R Y O N Y

E' il germoglio che cresce e si rafforza, figlio di un dono d'amore puro e incontaminato. Non lo sa, non se conosce il senso letterale, eppure capisce. Sebbene evidenziati dal rossore diffuso, gli occhi scacciano il velo di lacrime e lasciando cadere al suolo il velo d'ignoranza. E' allora che - riluttante al credere che sia così - Amber accetta e comprende. In quest'ordine. «Io posso fare questo...?» chiede, ma la domanda non è rivolta alla creatura, quanto più a se stessa, ed a quella Eveline che non è lì a guidarla lungo un percorso che ora sa di voler compiere da sola. Testarda, si accuccia a terra ed imita di nuovo i gesti del Silvantropo, apre il palmo e sfiora delicatamente i germogli che la sorreggono, infondendo in quel gesto un'amore malinconico e forse troppo triste, seppur una nota felice stia già condannando il dolore e richiamando uno sbuffo di strana gioia. Ha un'affinità con le piante? Era così che la foresta era nata e cresciuta? Eveline aveva quel potere? «Cosa posso fare per voi... per questo posto, adesso? Io posso...» Non pensa a se stessa, una volta tanto.

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view post Posted on 16/11/2019, 15:39
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Sorgi, germoglio,è questo che voglio ~


«Adoro quando piove qui dentro!»
La considerazione di Eveline interrompe il flusso di pensieri che le occupa la mente e che, inutilmente, sta tentando d’arginare. Per vessato che sia come cliché, parlare del clima è in un certo senso confortevole. Imposta la conversazione su un binario che procede quieto, dando agli interlocutori il tempo di decidere quale direzione intraprendere; se aprirsi o ritrarsi. E lei non ha ancora scelto.
«La pioggia è importante, no? Per l’intero ecosistema!»
La domanda è rivolta al Silvantropo, che procede al suo fianco in silenzio. Eveline scruta la creatura, un’amica inaspettata in cui ha trovato un aiuto insperato, e prova a sondarne l’espressione. Sorride nel constatarne l’aura pacifica e, rinfrancata di riflesso, emette un sospiro. Allora, la vede annuire sommessamente.
«L’acqua nutre la terra, che nutre la fauna, che nutre la flora. È tutto così perfettamente concatenato. Tutto così… giusto» riflette a voce alta, il viso leggermente inclinato all’insù e le gocce di pioggia che le solleticano la pelle, giocose. «Vorrei che la vita lo fosse altrettanto. Invece, con le sue svolte e giravolte, più passa il tempo e meno diventa lineare.»
Il Silvantropo le scocca un’occhiata curiosa, osservandone il profilo. Senza averne contezza, Eveline ha intrapreso la direzione di chi voglia schiudersi. Sta solo facendo il giro largo, molto largo, e in fondo va bene così. Nello spazio protetto della serra, le stagioni scorrono in maniera differente e lo stesso vale per le convenzioni. Eveline e la creatura hanno i loro rituali, che non cedono ai dettami del mondo che sta al di là. Dunque, non percepiscono la pressione di uno schema già visto e approvato.
Va come deve andare.
«Ho conosciuto un ragazzo, ieri sera…»
Entrambe si scrutano per un intero, lunghissimo minuto.
Da ultimo, complici, si sorridono.

T o r n a


La creatura mantiene un atteggiamento criptico, volutamente.
Ha osservato Amber prendere dimestichezza con le rivelazioni che si sono frapposte sul cammino della sua vita, tra titubanze e certezze. Non è semplice chiedere a una ragazza di diciotto anni di accogliere l’eredità di una madre prematuramente perduta e agevolarne l’incontro; e lo è ancora meno metterla di fronte all’evidenza di non averla conosciuta, di non aver scoperto di lei tutto ciò che una figlia vorrebbe sapere della donna che l’ha messa al mondo. Eppure, non c’è affettazione nelle maniere del Silvantropo, né l’orgoglio del rinfaccio. Ha frequentato Eveline in circostanze che saranno per sempre precluse a Amber, ma non è lì per competere con lei. È lì per guidarla come ha guidato la Snow e, nel farlo, intende riavvicinarle tra loro.
Si solleva, quindi, e le dà le spalle. Cauta, comincia a scivolare in direzione dello spiazzo, diretta verso il cuore della foresta. Non impone alla fanciulla di seguirla, né glielo domanda. È una pulsione, quella della scoperta, che deve provenire dal cuore e che necessita di termini ben precisi per farsi azione; che rigetta ogni approssimazione, ogni forzatura.
Il Silvantropo si propone di raccontarle una fiaba o, meglio, di lasciare che la natura si racconti da sé. Pertanto, mentre avanza e avanza e avanza ancora, incurante della scelta della ragazza, stimola la vegetazione a risvegliarsi. E sorride nel vederla spalancare gli occhi e stiracchiarsi tutta: la pioggia cessa di riversarsi sul terreno, gli alberi si radicano nuovamente al suolo — rifuggendo la tentazione di scomparire nel solco della tetraggine — e riacquistano magnificenza, il cielo si acquieta e la serra torna a respirare. Alla vista di Amber, si spalanca il mondo che vive all’interno del Camelia e gli abitanti che lo occupano si risolvono a venire allo scoperto.
Una libellula, timidamente, prende l’iniziativa e si lancia nel vuoto spazio tra una betulla e un pino; e, per terrorizzante che sia la prospettiva di cadere, volare è come tornare a vivere. Giunge il turno di uno scoiattolo di tirare fuori il musetto dal proprio nascondiglio; e poi di un lombrico, di una ranocchia, di un colibrì, di un rettile e di alcune farfalle. La storia mostra i suoi preziosi nelle pieghe tra una pagina e l’altra, offrendo uno spettacolo d’inedita bellezza che commuove il Silvantropo. Dopo dieci anni di solitudine e incuria, forse, esiste la possibilità di rinascere.

P i a n o


«La mia abilità è cambiata da quando ti conosco…» Il tono di Eveline è disteso. Non nasconde l’emozione di quella rivelazione, o la gratitudine che la anima, ma ne ha il controllo. «E c’è una cosa che vorrei provare a fare.»
Il Silvantropo, che sta seduto su un ramo ricoperto di muschio e carezza il muso del cervo che le ha raggiunte, inclina il capo. Eveline ha gli occhi brillanti e quel lucore significa una cosa e una soltanto: ha trovato un modo per mettere una parte insostituibile di sé nella serra. E la prospettiva, per spaventosa che sia, la entusiasma.
«Vorrei ricambiare la generosità della natura e la tua: mi avete fatto sentire la musica che suonate e mi avete insegnato tante cose di me, cose che neppure immaginavo. Adesso, vorrei che voi sentiste la mia.»

F o r t e


La creatura compie un giro attorno al proprio centro. Ha percorso diversi metri, oltrepassando il margine più lontano dello spiazzo, e ha lasciato alle proprie spalle un tappeto di germogli birichini. I suoi occhi, adesso di un celeste che aspira al turchese, si fissano sul perimetro aereo creato dalle fronde che si sfiorano sopra di lei.
È giunto il momento.
Riporta lo sguardo su Amber per la frazione di un secondo. Le ha chiesto se c'è qualcosa che possa fare per loro. Verrebbe da domandarsi, ad ascoltarla porre quella domanda, se la giovane abbia riflettuto su quante similitudini la avvicinino al mondo in cui si trova nel qui e ora: la solitudine imposta da un lutto impensabile, la rabbia di chi ha imparato a proteggersi dagli intrusi, l’isolamento auto-indotto che diventa prigionia.
Si può sperare nella salvezza, quando si è diventati carcerieri di sé stessi?
E quali sembianze possiede, la salvezza, se aspira allo stravolgimento?
È forse, poi, tanto sbagliato desiderare che qualcuno di esterno trovi la torre derelitta e salvi la principessa che ha perduto le chiavi del proprio cuore?
Un principe, magari.
O un pirata, meglio.
Questa, però, è una storia che non conosce agevolazioni o salvatori.
Amber è la sola protagonista del suo destino e deve decidere cosa farne.
Non si tratta solo di cosa lei può fare per la foresta, ma di ciò che la foresta può fare per lei; di ciò che entrambe possono fare per il Camelia, e i nonni, e John.
Ed Eveline? Cosa può aver lasciato Eveline per una figlia che non ha mai avuto intenzione di abbandonare?
Le mani del Silvantropo si levano e la natura si agita. Il pavimento trema sotto i piedi nudi di Amber. Le radici raspano contro la superficie del terreno e la crepano, allungandosi verso il centro della radura che separa le due figure di donna. Un frullio incessante si eleva dai nascondigli tra le foglie degli arbusti. E, poco alla volta, qualcosa prende forma davanti agli occhi della Hydra.
Cresce piano, di centimetro in centimetro, scompostamente.
Ricorda ora una panca, ora un gobbo di terreno e fronde, ora un cumulo di detriti.
Cos’è? E cosa vuole da lei, ancora?
Quando il processo è finalmente compiuto, l’ambiente smette di scalpitare e una quiete sacrale cala sul luogo che occupano entrambe. Le creature si sporgono sullo spiazzo, chi dall’alto chi dal basso, e osservano. Sono un pubblico e quello che il Silvantropo ha preparato per lei è un palcoscenico.
Al centro un pianoforte, quello che Eveline ha forgiato con le sue stesse mani.

S u o n a


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view post Posted on 2/12/2019, 09:18
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Non hanno bisogno di parole,
così superflue e sopravvalutate.


Amber, che non attende altro che capire di più, osserva il Silvantropo con gli occhi di una ragazza che ormai non è più una bimba e che sa di non poter riavvolgere il nastro. Ha capito che la perdita di Eveline, notizia che non credeva di poter comunicare in quel modo, ha colpito anche la Foresta segreta del Camelia. Dopo anni di assenza, pensare che non potrai più rivedere la persona che così a lungo è stata il tuo punto di riferimento dev'essere straziante ad un livello imparagonabile. Ed è quello che la porta paradossalmente a rispettare la donna di rovi, molto più di quanto avrebbe potuto pensare. C'è un'intesa diversa che le lega, ben lontana dall'affinità che rendeva la creatura complice di Eveline, ma non così distante da non attecchire in Amber. "La Foresta Segreta del Camelia", ripete nella sua testa. Oh, se fosse stato un libro quello sarebbe stato in bella mostra sul suo comodino, appena accanto alla candela, in cima ad ogni scaffale. Ma non lo è, e con la realtà i conti si fanno con altre unità di misura. Non c'è bisogno di parole perché quando il Silvantropo si muovere, la tassorosso lo segue senza minima esitazione. Come prima; niente bacchetta, niente sovrastruttura e i capelli umidi ancora appiccicati al collo ed alle spalle. Non è certo la miglior versione di sé, eppure sotto sotto forse lo è più di quanto crede. Ha costruito un fantastico castello su quello che crede di sapere, ma ormai non ne restano che i detriti; abbattuto troppe volte per tenere il conto. Osserva la foresta farsi densa e accoglierla in quello che un tempo avrebbe definito un abbraccio decisamente troppo stretto, ma che ora profuma di "famiglia" così intensamente da stordirla. Lei è l'erede di molte cose, ed ora lo è anche di quell'angolo di Mondo che tutto è fuorché intangibile. Ogni passo è una rivelazione, quando la pioggia cessa e la vegetazione si risveglia, Amber si trova incapace di tener traccia di tutti quei micro cambiamenti, che però alla fine richiamano un respiro tanto a lungo atteso. Ed anche lei, con un peso al petto, respira più profondamente possibile. Fa fatica a credere che un segreto così sia rimasto sepolto per anni... è davvero possibile che nonna Elise sapesse di quel mondo e non lo avesse mai voluto sostenere dopo anni dalla scomparsa della figlia? E perché lei ora provava vergogna?

Viva dopo anni, la Foresta continua ad accogliere il passaggio del Silvantropo e l'arrivo di Amber con curiosità, almeno tanta quanta ne ha la ragazza. La bionda lo sa, continuerebbe a camminare lungo il percorso di quel risveglio per interminabili ore, ed in parta qualcosa la risveglia quando la regina del regno segreto si ferma. Per un attimo la giovane ha perso di vista la domanda che ha innescato il moto della creatura, non abbastanza da scordarla del tutto però. Il respiro di Amber si fa più denso, più silenzioso, più solenne... e lei non immagina neppure il perché, tanto ormai la ragione ha poco a che fare con quel che sta succedendo, non è lei a muovere la diciottenne ed a guidarne le scelte. Eppure sotto sotto è d'accordo con il cuore. Trema con le radici su cui è appoggiata, e quando la figura di uno strumento si intreccia a rovi ed arbusti, la ragazza perde per qualche istante la capacità di parlare e di respirare. Intendiamoci; la magia non è certo nuova per lei, le scorre nelle vene da quando è nata e di bizzarrie - come noi le intendiamo - ne ha viste e generate molte... ma c'è qualcosa di diverso in quel pianoforte che emerge dalla vegetazione e che ne è parte. La magia che lo avvolge è di un tipo diverso, è privata... intima. Deve suonare.

Amber sa cosa deve fare, ed è senza alcuna vergogna che lascia che un'altra lacrima scenda e segua le vie precedentemente segnate dalle sue pari, poco prima. Ha gli occhi lucidi ed arrossati, le mani affusolate tremano mentre tormentano l'orlo del vestitino... ma non c'è una sola cellula del suo corpo che voglia negarsi quell'occasione. Eveline suonava, quello lo sapeva, probabilmente era molto più abile di lei, ma la ragazzina ricordava anche perfettamente lo sguardo di John quando l'aveva colta a suonare una canzone che tempo prima era stata la scintilla che aveva dato il via a quella coppia spezzata tanto in fretta dal destino. Ed Amber però sapeva anche che non avrebbe suonato le memorie di Eveline, ma tutt'al più lo avrebbe fatto alla sua memoria. Non tituba e dopo aver osservato le fattezze del pianoforte ed il pubblico anomalo che la spia dalle fronde. Niente la ferma dal sedersi sullo sgabello di rovi e foglie e sfiorare in principio di tasti verdognoli che compongono la tastiera. Non sa, e non immagina al momento, che proprio Eveline ha creato quel particolare spazio, quel piccolo palco per la condivisione più limpida dei suoi pensieri. Non lo sa, l'ho detto, ma lo adora con ogni fibra. Fremono le dita quando si posiziona sull'ottava di partenza, la classica. Chiude gli occhi, consapevole di potersi concedere il tempo di capire cosa dire a quella Foresta e come farlo. Forse anche a loro è mancato qualcosa e prima che possa decifrarlo con chiarezza, Amber capisce che deve a tutti un Addio, prima di una presentazione. Devono deporre la Regina assassinata, prima di accoglierne la figlia e lei, più di tutti, sa bene cosa vuol dire non abbandonare mai una speranza anche quando questa è decisamente morta. Inizia.

La prima è per lei.
Per Eveline, perché Amber ne ha bisogno come dell'aria che respira. Mamma...


Tiene gli occhi chiusi, mentre il corpo si immobilizza e lascia che i tasti che riproducano - accordati perfettamente - la melodia che vuole richiamare. E' l'addio che nessuno ha avuto modo di dare, ed è su quelle note che le dita s'intrecciano, si accavallano e poi tornano più intensamente a marcare l'intensità che le blocca la gola. E' dolce e ritmata, perché sa dove marcare e cosa invece lasciar fluire come dovuto. Il calore degli accordi familiari agita una fiamme nel petto che non arde da anni. Ed apre gli occhi, rigati appena dal dolore che mai l'abbandonerà. Non certa il Silvantropo, perché non può in quel momento; è ormai rapita dalla melodia a tal punto che si senti sola in quel mondo appartenuto alla madre. Può quasi sentirla, l'eco delle sue note, raggiungere il coro che ha accompagnato il funerale. Può quasi vederla la bara candida in cui è intrappolato il corpo di sua madre. Ora che ripercorre la memoria può notare gli intarsi delicati che l'artigiano ha scolpito e che tanto ricordano dei ramoscelli in fiore e che percorrono la lunghezza dei lati di quella cassa gelida. Adesso ricorda il dolore che non sapeva esprimere, ricorda perché sentiva un peso al petto, un blocco allo stomaco ed un nodo in gola. Non può parlare con la piccola Amber del passato, ma mentre i meccanismi battono sulle corde, lei la tiene per mano. Le è accanto nel tentativo di rassicurarla, di dire che andrà bene anche se ora non sembra, che può farcela e che non è sola come penserà negli anni a venire. La testa ricade appena in avanti quando la canzone richiede da lei più anima di quanta è mai stata disposta a darne. E' per quello che non suona, è perché sa che non può fermare l'onda emotiva che ogni canzone - mai scelta a caso - porta con sé. Lascia correre le dita e permette loro di accanirsi sui tasti, che ben sopportano, perché niente sfugga di quel messaggio. Rallenta solo alla fine, quando l'addio lo richiede. Allora rialza il capo, apre di poco gli occhi e respira. Mentre l'ultima nota riempie il gazebo di rovi, le sue mani ricadono lente in grembo, scivolando via dallo strumento. Amber però non si alza e richiama la destra sollevandola di nuovo.


La seconda è per Amber e per la foresta.
E' la promessa che li vuole uniti da ora in avanti. E' la sua presentazione.



Inizia così dolcemente, quasi in punta di piedi. Perché è così che Amber entra in una stanza. Ed è profonda perché c'è così tanto da dire in lei, che la sola apparenza non basta. Diventa protagonista piano piano, rivelando le note basse di chi è cresciuto alla fine, nonostante tutto. Non è più una bambina dagli acuti insensati e giocosi, ma è un'adulta - o così crede - dalle sfumature più solenni. E le richiama tutte in quella melodia che si sé mostra più di quanto Amber sia capace di dire. Mostra la dolcezza che si cela dietro l'aspetto algido e freddo, mostra le sfumature di un carattere in divenire e sfaccettato. Perché lei vuole che loro sappiano chi è la figlia di Eveline e John, chi ora farà loro compagnia, se la vorranno. Devono sapere che sebbene sia riflessiva e silenziosa non è vero che non ha nulla da dire o che non sa essere anche qualcosa di più. Molto di quello che vuole dire, lei stessa non l'ha ancora capito, ma sa che è giusto lasciare che a parlare siano i tasti, e così accade. Interrompe il ritmo, cambia l'intensità e la velocità a suo piacimento, finché non si ferma proprio lì sul culmine. Perché il fuoco della diciottenne è ancora ben lungi dallo spegnersi.


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view post Posted on 2/1/2020, 15:59
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Il Fato

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Sorgi, germoglio,è questo che voglio ~


Gli addii sono dolorosi. Non importa quali ragioni, eventi, bisogni li abbiano resi necessari, si trascinano sempre appresso un certo quantitativo di sofferenza. Dire addio significa lasciare andare senza dimenticare. Il ricordo di ciò che si è condiviso permane, stabile, contro le dilatazioni del tempo e, ad ogni ticchettio, si tinge di chiarore — è più semplice ricordare i sorrisi elargiti e le carezze ricevute che non le delusioni, per chissà quale assurdo, contraddittorio motivo. E un amore grande come quello orbitante attorno ad Eveline difficilmente avrebbe potuto essere scordato: Amber l’avrebbe portata per sempre dentro di sé e altrettanto avrebbe fatto la foresta.
Gli addi, eppure, possono essere liberatori. Nell’atto di mollare la presa, la stretta del dispiacere si allenta e si dispiegano nuove, infinite possibilità sull’orizzonte sconfinato dell’esistenza. Recidi un arto per consentire al corpo di sopravvivere; rinunci a una persona per concedere a te stesso lo spazio di volare senza il gravame del passato. E l’eredità di una madre incantevole può essere un peso soffocante da sopportare nelle forme del confronto, della mancanza, delle occasioni perdute.
Nelle note suonate dalle mani di Amber sul pianoforte della donna che l’ha messa al mondo e poi prematuramente abbandonata, sta il bisogno della rosa di innalzarsi sopra le cime del cespuglio di rovi per fare la conoscenza del sole. Apparterrà sempre a quel tutto più grande da cui è germogliata, ma sboccerà, profumerà, verrà scaldata e, infine, appassirà per conto proprio. E farà male, e farà bene, ma sarà giusto.

La schiera di astanti presenzia all’esibizione con curiosità. In un primo momento, quel pubblico tutto particolare le fa il dono del silenzio e della distanza — la fiducia è un dono che va conquistato e coltivato. Poi, la curiosità ha la meglio. Alcune creature si fanno vicine a Amber, ora prendendo posto sul punto più alto dello strumento, ora rimanendo ai suoi piedi in rispettosa quiete. Hanno assistito alle sonate di Eveline e hanno assistito al loro cessare, inermi. Adesso che la musica è tornata a risuonare entro lo spazio della serra, riescono distintamente a trovare una somiglianza — sottile, arcana, inspiegabile — con la donna che hanno conosciuto e perduto, ma possono anche cogliere il tocco tutto personale della straniera al quale il Silvantropo ha concesso di sedere al pianoforte.
Ci sono dolore, frustrazione, rabbia, malinconia, timore, dolcezza, coraggio, fiducia e beltà nelle creazioni di Amber e, in ciascuna delle sfumature proiettate dalla sua personalità in divenire, c’è unicità. Per quanto somigli ad Eveline, non è Eveline. Ed è esattamente così che dev’essere. Correre il rischio di perdersi nei tratti sbiaditi di qualcun altro — nel desiderio di rassomigliare a chi è stato e all’alone di perfezione di cui la morte l’ammanta — è un errore che non vale la pena di commettere, non più e non adesso. Adesso, è tempo di trovare la propria strada.

Sulla superficie dello strumento, a mano a mano che l’esecuzione si protrae e muta insieme alle intenzioni dell’autrice, intervengono piccole modificazioni. Talune radici s’intrecciano in modo differente rispetto a quanto non avessero fatto per volere di Eveline; un schiera di delicati germogli sorge attraverso i tasti, giocando a solleticare i polpastrelli di chi li ha naturalmente evocati; alcune anemoni variopinte si schiudono lungo il perimetro irregolare di rizomi e rami, presto raggiunte dalle corolle piene di altrettante dalie. Sulla sommità del pianoforte, perfettamente centrata rispetto al suo corpo, sorge una rosa in boccio: oltre l’abbraccio dei sepali, è possibile intravedere il pallore dei petali timidamente rannicchiati su sé stessi.
Quando Amber s’interrompe, è circondata da moltissimi nuovi amici che ne attendono le mosse. D’un tratto, il frullio delle ali di alcuni colibrì si leva da uno dei rami dello strumento su cui stanno appollaiati, così un coniglio si dispone su due zampe e le dà un buffetto col muso sulla coscia. Sembra un invito: un invito a continuare, un invito a rimanere — il segno dell’avvenuta accettazione.
Il tempo, tuttavia, è tiranno. Così, prima di subito, un rumore proviene dalla porta che li ha fatti conoscere: è una voce che chiama il nome della fanciulla e si fa, poco alla volta, più vicina all’uscio. La platea si ritira lestamente, ma il Silvantropo non abbandona Amber. Continua ad osservarla, a cercarne lo sguardo col bisogno di leggervi la promessa che non verranno abbandonati ancora. Solo quando il celeste allaccia le iridi acquamarina e le tiene arpionate per un lunghissimo istante, la invita con un gesto della mano ad andare prima che il loro segreto venga svelato; prima che l’equilibrio della foresta torni ad essere manomesso da qualcuno che non sono pronti ad incontrare.

È nell’attimo che precede l'abbandono della serra da parte di Amber, è solo allora che il Silvantropo si congeda e, nel farlo, le fa un’ultima rivelazione a significare quanto ancora ci sia da scoprire, quanto altro abbiano da dirsi, quanto sia importante vederla tornare: un incontro solenne tra i raggi che attraversano le fronde — il cervo e la fanciulla.

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Eccoci giunti al termine della nostra avventura, Amber!

Sblocchi l'abilità di Elementalista Inesperto (x), riscoprendoti legata all'elemento della terra.
Mi congratulo con te per il risultato e per aver assecondato i plurimi stimoli che ti sono stati dati: trovo che tu abbia saputo metterti profondamente in gioco come narratrice e che, nel farlo, tu sia riuscita a permettere altrettanto ad Amber. Ti ringrazio per avermi accordato la fiducia di toccare moltissimi elementi del background del tuo personaggio nella speranza di averne avuto il giusto rispetto. A tal proposito, spetta a te stabilire come inserire ciò che hai scoperto finora nella storia di Amber, nonché la gestione dell'argomento Camelia e serra in ossequio a quanto descritto e accaduto nel corso della quest.
Per la prestazione che hai avuto, come scrittrice e come giocatrice, ti assegno + 0.5 punti exp e + 2 Punti Mana, che potrai immediatamente aggiungere alla scheda.

Buone feste e in bocca al Silvantropo per tutto!
 
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26 replies since 7/5/2019, 18:47   826 views
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