Asphodelus, Privata

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view post Posted on 25/5/2019, 13:52
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Serpeverde
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Asphodelus
Nonostante Morgan prediligesse le stagioni fredde, anche la primavera sapeva regalargli qualche giornata piacevole. Quella mattina, dopo aver fatto colazione, volse lo sguardo oltre il vetro della finestra del corridoio, come era sua abitudine fare prima di tornare nella sala comune. Il cielo era coperto da un manto grigio di nubi e le nebbie serpeggiavano rade appena sopra la terra; erano gli ultimi sprazzi d’inverno che spogliavano a tratti la primavera dal suo tepore ed assopiva il rumoroso risveglio degli insetti. Rimase lì impuntato alcuni istanti, con l’espressione seria. A chi lo avesse guardato da fuori poteva dare l’impressione di essersi incantato, in realtà stava ragionando se fosse veramente il caso di prendersi lo scomodo di uscire. Sbatté le palpebre due volte, e si voltò prendendo la strada dei sotterranei.
Il tempo di prendere il mantello - nelle cui tasche mise qualche rotolo di pergamena, penna d’oca e inchiostro – ed uscì dalla sala comune di Serpeverde tanto silenziosamente quanto era entrato. Si poteva dire che fosse un fantasma all’interno di quel dormitorio, ma andava bene così. Non aveva chiesto di finire lì, non si sentiva grato al Cappello Parlante, era tutto un insieme di: “non”.
Uscì nel giardino, l’aria densa della nebbia mattutina che andava diradandosi gli investì le narici. Quel fenomeno atmosferico gli aveva sempre donato una sensazione di pulito che lo appagava, quasi lo portò a sorridere. Mentre girovagava all’aperto, il che era quasi un miracolo, cominciava a comporre nella mente le parole della lettera che avrebbe scritto alla madre. Lei gli intimava sempre di uscire ogni qualvolta gli si presentasse l’occasione, ma la donna era troppo cara per lasciarsi scappare che a preoccuparla non erano tanto i polmoni del figlio quanto la sua grave inespressività.
Morgan volse l’occhio verso la Foresta Proibita, cercò di immaginarsi quali creature potessero abitarla se non era concesso l’accesso a nessuno, si immaginò anche chi avrebbe voluto vedere al suo interno, intento a scappare da un Lupo Mannaro o che altro. Sospirò, i suoi lineamenti si distesero in una vaghissima sfumatura di serenità mentre le palpebre si stringevano. Era stato divertente ma, subito dopo un pesante senso di colpa lo avvolse, tanto da farlo rabbrividire come se un alito di nebbia fredda si fosse insinuata all’interno dei suoi vestiti. Scosse la testa, roteando gli occhi verso il cielo.
Continuò a camminare a vuoto per un po’, era alla ricerca di una foglia, un fiore, o qualsiasi cosa avesse testimoniato nella lettera che era effettivamente uscito, quando una strana catapecchia, nei pressi del Platano Picchiatore, catturò la sua attenzione. Dava l’idea di essere instabile e sbilenca, ma anche se cercava di non guardarla, era come se avesse un effetto magnetico su di lui. Si convinse che intorno alla capanna potevano esserci dei fiori adatti, e quella scusa bastò per placare la sua coscienza dato che, non sapeva nemmeno se avesse il permesso di andarci oppure no. Si avvicinò silenziosamente aggirandola, c’era terra fertile da raccolto, ma non sembrava esser seminato; fra le zolle argillose si snodavano timidi fili d’erba che testimoniavano il fatto che il terreno non fosse stato smosso.


Che strano…

Disse ruotando il viso di lato mentre ispezionava con attenzione l’orto, quando un rumore di passi gli giunse alle orecchie. Scattò sull’attenti, guardandosi alle spalle, facendo scattare gli occhi verso gli avvallamenti del tappeto d’erba, ma non vide nulla. Diede la colpa a qualche uccello, sceso di lì forse per cacciare; nonostante tutto era primavera.
Storse leggermente la bocca di lato, accompagnando il movimento con gli occhi, vide una fila di lunghe spighe, senza foglie, da lontano poteva sembrare un’erbaccia, poiché lo stelo spoglio non aveva proprio un colore invitante, bensì verdino spento, quasi malaticcio. Sulla punta c’era una sorta di pigna, ma osservandola meglio, Morgan si rese conto che in realtà era una rosetta di fiori bianchi. Si avvicinò tralasciando l’orto, che aveva perso ogni suo fascino, e riuscì a vedere la forma dei cinque petali bislunghi incastonati fra loro. Erano perfetti, questo stava a significare che non avevano temuto i cambi di stagione improvvisi che aveva regalato quella primavera. Senza prendere precauzioni, ignaro del pericolo che avrebbe corso se si fosse trattato di una pianta magica, colse un paio di fiori. Li osservò facendoli ruotare all’interno del palmo e fortunatamente per lui non accadde nulla.
Ancora una volta sentì dei rumori attorno alla capanna, ebbe l’istinto di nascondere la mano occupata dietro la schiena, mentre si avvicinava in direzione dei passi. Si tasto la tasca del mantello e si rese conto di aver lasciato la bacchetta nella sua stanza. Chiuse gli occhi per un istante, bloccandosi; ma dopo un sospiro di coraggio continuò ad avvicinarsi cercando di fare il minor rumore possibile.
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