Soltanto un'ora prima di un giorno così estivo, la pioggia aveva trascinato con sé ogni felice aspettativa: un momento ininterrotto, al principio di ogni migliore proposito, di passeggiate in riva al lago o di acquisti allo sbaraglio, di caffè condivisi alla buonora e di torte glassate sui tavolini in legno all'esterno delle più rinomate pasticcerie. Il cielo si era trapunto di nuvole, prima lentamente e poi con maggiore insistenza, fino ad espandersi in una tavolozza di tempre scure, grigie, buie, che già allontanavano a malincuore la folla gremita lì al Villaggio. Ombrelli all'occorrenza, incantesimi sussurrati a fior di labbra, infine la frenetica corsa verso un riparo più concreto: nulla si poteva contro gli scherzi del meteo. Ma proprio quando il temporale sembrava imperversare, il sole - curioso, in un raggio appena accennato, così solitario - aveva sorriso ai buon fedeli: prima timido, poi sempre più sicuro, era spuntato tra gli sprazzi di un azzurro chiaro, etereo, tanto limpido da divenire un tremolio tra le restanti nuvole. Più in fretta di quanto si potesse immaginare, era tornato il bel tempo e anzi, vinto dall'improvvisa scarica d'acqua piovana, impazziva di colori e di piacevoli richiami tra le strade acciottolate del sobborgo di Hogsmeade. I primi ad uscire allo scoperto furono i bambini, sulla scia di una promessa rinnovata di giocare, di divertirsi, di stare semplicemente in compagnia; seguirono gli adulti, tra genitori e altri passanti, tra giovani e studenti allo sbaraglio, e così via in una fiumana consapevole, come se la pioggia fosse stata soltanto una prova. Le serrande dei negozi più vulnerabili alle intemperie si sollevarono leste, lasciando così scivolare via le ultime goccioline fin sull'asfalto bagnato; a colpi di bacchetta, le caffetterie aprivano ancora una volta i battenti, le sedie in legno ripristinavano il loro ordine, infine coppiette e turisti già si avvicinavano alla conferma di una bevanda in comune. Andava bene così, andava bene così per tutti loro. Il Villaggio si riprendeva come se nulla fosse accaduto, e in quella frenetica constatazione si inseriva una routine che già annunciava bellezza. Un bambino dai riccioli più lucenti dell'oro passò correndo verso il negozietto di dolci più ambito del luogo, trascinandosi dietro una donna di mezza età - l'aria stanca, e tuttavia lo sguardo vivace come quello del piccoletto -, gridando ai quattro venti
«Cioccorane, Cioccorane», al principio di un acquisto così delizioso. L'aria profumava di fiori e di pioggia, di terriccio e di asfalto, in una mistura che richiamava il prologo di una frizzante stagione ormai in arrivo. Più si procedeva, più le sfumature del Villaggio si accentuavano, ed era così piacevole passeggiare per i suo vicoli - ora che l'aria si era rinfrescata a dovere. Un gruppetto di ragazzine passò accanto ad un altro studente, lì alla ricerca di un'avventura. La pioggia non lo aveva sorpreso in negativo, lo accoglieva anzi con tutte le promesse del caso. Alla guida di un senso di curiosa aspettativa, il Tassino si incamminava a passo rapido così verso chissà dove: ovunque, quella la direzione; per sempre, quello l'incanto più odierno. Si stagliava nitida una frenetica consapevolezza, per lui e per chi lo circondava, e più si dissolvevano i profumi di dolci e caffè alle sue spalle, più si percepiva piacevolmente un gusto molto più arcigno, molto più vivo. Ad un soffio di vento più freddo, le studentesse lì nei dintorni si strinsero improvvisamente nelle divise indossate, finché ridacchiando imboccarono una stradina laterale. L'uomo adocchiato dal Tassino, al contrario, continuava diretto, di fronte, verso la principale stazione dei treni.
Una schiera di valigie - rosse, nere, alcune così variopinte - accolse i nuovi viaggiatori in quell'angolo ancor più trafficato del Villaggio. I rumori si accentuarono, il trambusto pure, sulla scia di treni già in partenza, di locomotive in revisione, di squilli e campanelle al richiamo dei vari passeggeri. Il vapore sostituiva l'aroma candido del miele del centro del sobborgo, il carbone rimpiazzava gli effluvi delle caramelle più eccentriche, finché la stazione si rivelò in tutto il suo caotico bagliore. Il centro delle partenze e degli arrivi era gremito come non mai: coppie che si abbracciavano, amici che si ritrovavano, bambini che restavano stretti stretti ai genitori, e così via. Un ragazzo si strinse al corpo del vicino e quando si sciolse dalla presa dell'altro, il volto tentò di mostrarsi invano impassibile: non si volse più indietro, non una volta, portando con sé una borsa a tracolla e lo sguardo di un affetto reciso. Un giovane sognatore, lì sui gradini di un vagone dalla porta ancora spalancata, sembrava prendere appunti, sulle ginocchia aveva un taccuino e si passava tra le mani una piuma carica d'inchiostro; le voci, prima ancora dei suoni e dei colori, risaltavano all'attenzione in un cicaleccio indistinto, e più si tentava di prestare ascolto, più le lingue impattavano alla ribalta di una visione multiculturale, dinamica, così intensa. L'uomo adocchiato dal Tassino aveva smesso di correre, ormai sembrava aver raggiunto la postazione di arrivo: vestito in modo casuale e tuttavia impeccabile, estrasse dal taschino interno della camicia scura una cartellina color ocra e la porse al botteghino cui si era fermato. Mormorò qualcosa allo sportello di fronte e l'attimo dopo ottenne in cambio un biglietto bianco, che parve brillare al metallo del treno alle sue spalle. Qualcuno suggeriva di affrettarsi, lì nei dintorni.
«Ultimi posti per Tiade, ultimi posti!» si sentiva vicino e a quell'ordine diversi passeggeri strinsero le proprie valigie e corsero via, di fretta. Lo stesso giovane scribacchino si alzò dai gradini del vagone, a riprova del fatto che il treno -
quel treno - fosse in partenza.
«Cinque Galeoni per Tiade, dieci per Londra, tre per Hortimes.»
«Tiade in festa, Mellior in fiore.» «Da questa parte, Ser.»
«Carrozza numero sette.»Si alternavano in toni gentili, pacati, tuttavia diretti. Non c'era più tempo, le partenze del giorno si avvicendavano con tutte le promesse del caso, ma il botteghino era ancora aperto - il più prossimo, ce n'erano però altri, la stazione era piuttosto grande - e la fila si era ormai quasi del tutto assottigliata. Il treno più vicino indicava
Tiade con un cartello svolazzante, a mezz'aria, dalle lettere cubitali e in bella mostra. Alla carrozza numero sette, accanto al Tassino, l'uomo con la valigetta scura si inerpicò sui gradini per salire e trovare il proprio posto, ma per un fallo del piede, scivolò all'imboccatura del vagone e la sua borsa capitombolò all'indietro. Si riprese subito, ma i lacci della valigetta al contrario si erano aperti e lasciavano libere, come furfantelle, tre sfere perfettamente circolari, trapunte di un nero più scuro della pece. La prima rotolò via più delle altre, arrivando ai piedi di Camillo. Quando l'uomo si volse indietro, rimettendosi in piedi, recuperò la borsa e imprecando silenziosamente, senza accorgersi della propria perdita salì verso il vagone. Al Tassino restavano le Sfere del Drago, il biglietto per la Terra Promessa, il Botteghino dei Sogni. Tiade, poteva interessare quel nome casuale? La scelta era stata condizionata, sicuramente, ma quelle sfere erano vicine, recuperarle e portarle alla carrozza non sarebbe stato difficile. C'era tutto un nuovo mondo da esplorare ancora dal vivo, così di persona. La caotica vibrante stazione attendeva un solo comando da parte di un altro suo Viaggiatore.